Alliette, Jean-Baptiste (Etteilla) – I Sette Colori dell’Opera Ermetica – Introduzione di Massimo Marra

Pagina on-Line dal 07/04/2012



Etteilla chino al suo tavolo di lavoro, dal frontespizio del Cours théorique et pratique du livre de Thot, 1790.

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INTRODUZIONE:


Negli anni ’80 dell’agitato XVIII secolo parigino, chi avesse avuto la ventura di passeggiare per le strade che di lì a poco avrebbero ospitato le turbolenze rivoluzionarie, scorrendo con lo sguardo i muri, avrebbe notato dei manifesti che pubblicizzavano qualcosa di veramente singolare. I manifesti in questione facevano riferimento infatti ad un noto cartomante che, nella Parigi della nouvelle philosophie illuminista, in quei tempi agitati, avrebbe presto acquisito una tale fama da aprire una vera e propria scuola di magia e da presiedere anche una società di cartomanti. Molti passanti vandalizzavano, imbrattavano o utilizzavano i manifesti per scrivervi motteggi e facezie più o meno ingiuriose, qualcosa cui siamo anche oggi abituati. Il cartomante si arrabbiava moltissimo per questi piccoli atti vandalici, e, sbottando di rabbia nei suoi pamphlets, in cui ai principi delle sue Hautes Sciences egli intercalava i listini prezzi per le sue consultazioni, arrivava ad invocare sul capo dei beffardi piccoli vandali addirittura la pena di morte!…
Il signor Jean-Baptiste Alliette, poiché è lui il nostro cartomante, era infatti, per tutte le cose riguardanti la sua discussa professione, un carattere forte e facilmente incline alla collera.
Egli si presentava ai suoi contemporanei con l’esotico pseudonimo di Etteilla, ricavato dall’inversione del proprio cognome, e con tale pseudonimo esercitava la sua controversa attività e firmava una gran quantità di opuscoli e libri, che contribuirono non poco al suo straordinario successo.
Era nato a Parigi il primo marzo 1738 da Jean-Baptiste [1], un padre che vorrà trasmettergli il proprio nome di battesimo, e che tale nome aveva del resto trasmesso anche ad un fratello di un anno più vecchio. In casa Alliette vi erano dunque ben tre Jean-Baptiste, il padre, di professione rosticciere, un primo figlio, che seguirà le orme professionali del padre, ed il nostro futuro cartomante ed occultista che, in un primo momento, invece, seguirà le orme della madre, Marie-Anne Bautray. Costei, a partire dalla morte del marito, nel 1758, e fino alla sua propria morte, avvenuta nel 1769, svolgerà l’attività di commerciante di sementi e granaglie, professione che sarà appunto quella adottata dal nostro Jean-Baptiste.
Una tradizione protrattasi per oltre un secolo e mezzo dalla morte del nostro cartomante, lo ha insistentemente dipinto come un parrucchiere o peggio un garzone di parrucchiere. Si tratta di una notizia del tutto infondata, generata dall’equivoca interpretazione di un indirizzo che appariva su alcune delle sue pubblicazioni, che dava in effetti come riferimento proprio una nota bottega di parrucchiere. Si trattava semplicemente del domicilio di suo figlio, incaricato della diffusione di alcune delle sue ultime opere, che abitava proprio nello stesso caseggiato in cui era anche ospitata la bottega in questione. Le attività di Alliette furono molteplici, indubbiamente, lo vedremo, ma certamente egli non fu mai parrucchiere, né lo fu alcuno dei suoi più stretti familiari. Non fu nemmeno insegnante d’algebra, come in vita egli amò talvolta spacciarsi. Di una tale presunta ed improbabile attività non vi è alcuna evidenza storica.
In quel momento ancora ben lontano dalla fortunosa e movimentata carriera di indovino, il nostro, nel 1763, aveva sposato una Jeanne Vattier; un matrimonio infelice (“Santippe” – con riferimento alla nota moglie di Socrate, presunto archetipo di tutte le mogli bisbetiche – sarà il soprannome che il cartomante riserverà alla sua metà in alcuni passi sparsi nelle sue opere) che troverà il suo epilogo nella separazione avvenuta nel 1767. È a questi anni che si fanno risalire le prime esperienze cartomantiche del nostro. Tuttavia sappiamo con sicurezza che Jean-Baptiste eserciterà il commercio di granaglie almeno fino al 1769, mentre al 1770 risale la prima pubblicazione: Etteilla, ou maniere de se récréer avec un jeu de cartes / par M.***, Amsterdam; Paris: Lesclapart, 1770.
I Tarocchi di Alliette si distanziano metodologicamente dalla cartomanzia precedente per il loro carattere sistematico. I cartomanti antecedenti, quelli che da sempre predicevano al popolo la ventura con i mazzi in uso, usavano estrarre una carta per volta; il grande Etteilla invece sistemava i suoi tarocchi in piano, disegnando una mappa di relazioni simboliche e numeriche, un paesaggio di segni da interpretare. Le sue carte sono antichissime, risalgono nientemeno che agli antichi Egizi, e costituiscono le pagine del prezioso libro di Thot, il libro della scienza assoluta.
Il libro di Thot, lungi dall’essere una pura e semplice invenzione del nostro, era in verità balzato agli onori della pubblica attenzione grazie all’autorità del pastore protestante Antoine Court de Gebelin (1718-1784), massone della loggia parigina Les Amis réunis, che, nell’ottavo tomo del suo monumentale Le Monde primitif, analysé et comparé avec le monde moderne (1781) aveva con sicurezza identificato nelle lame dei popolarissimi tarocchi la sopravvivenza di un antico libro sapienziale egizio. Utilizzando in maniera estensiva un metodo ermeneutico di evidente derivazione fisiocratica [2], Court de Gebelin non ha alcun dubbio e non sente il bisogno di prove particolari per attribuire le allegorie che egli vede nelle lame dei tarocchi all’antichissima sapienza egizia, ivi raccolta a glorificazione dell’agricoltura e della conoscenza naturale ad essa connessa.
Al proprio saggio Gebelin, nello stesso volume di Le Monde primitif, fa seguire un altro breve scritto dal titolo Recherches sur les tarots et sur la divination par les chartes des tarots, firmato con le sole iniziali di M. le C. de M.. Si tratta con ogni probabilità di Monsieur le comte de Mollet, un ex ufficiale di cavalleria dapprima colonnello e poi luogotenente della guardia Reale, successivamente governatore della contea di Maine et Perche, che figura tra i sottoscrittori dell’opera di Gebelin. De Mollet, col suo saggio specificamente incentrato sulla tecnica divinatoria (che non è esposta in maniera assai chiara e che comunque è fortemente imparentata con le tecniche cartomantiche popolari in quel periodo) ha influito sulla successiva teoria della divinazione in maniera forse ancor più rilevante di quanto non abbia fatto il testo di Gebelin. A lui si deve, tanto per dirne una, il titolo del misterioso libro egiziano, che è, come si è detto, il Libro di Thot; infatti, specifica de Mollet, la parola Tarot viene dall’antico egiziano Ta-Rosch, dove T è l’articolo determinativo, A significa dottrina e Rosch sarebbe il nome egizio del dio Mercurio o Thot. Le etimologie di cui si discorre, naturalmente, non hanno maggior fondamento delle innumerevoli altre che scorrendo il libro di Gebelin il lettore può reperire.

L’Arcano della Giustizia interpretato da Etteilla, da Maniere de se récréer avec le jeu de cartes nommées tarots… par Etteilla, A Amsterdam, 1783. .


Senza dedicarci ad una disamina delle teorie di Gebelin e di de Mollet (il quale non appare, del resto, sempre in perfetta sintonia con quanto scritto dallo stesso Gebelin), rimane da stabilire il perché a stimolare la fantasia dei due scrittori in merito all’ermeneutica delle lame dei tarocchi, sia stato proprio l’antico Egitto.
Da questo punto di vista il lavoro di Baltrusaitis sull’egittomania nel XVIII secolo è troppo noto per tornarvi ancora una volta. La fascinazione egizia che investe la società a partire dagli ultimi decenni del XVII secolo è un fenomeno studiato tuttavia ancora solo parzialmente, le cui radici sono solo in parte state chiarite. Il massone e illuminista Court de Gebelin va letto nell’ambito di questo movimento culturale, in cui la massoneria ha, del resto, un ruolo di primo piano.
Per comprendere il quadro in cui si inseriva il discorso sui tarocchi di Gebelin e del nostro Etteilla, conviene proprio soffermarci in modo particolare sull’egittomania espressa dagli ambienti culturali massonici, prodromo di quella tendenza all’esotismo spirituale tipica dell’esoterismo occidentale moderno di cui ci siamo già occupati in altra sede [3].
La formazione dell’orizzonte ideologico massonico avviene nell’ambito di una tensione più o meno apertamente anticristiana, e riprende l’idea deista di una tolleranza che relativizzi il credo religioso in nome di un universalismo di cui emergerà ben presto la chiara matrice laica. Nel milieu culturale delle logge si fa strada una religiosità intrisa di tensioni scettiche, razionaliste; in particolar modo l’istanza naturalistica (che sfocerà poco dopo nell’interpretazione storico-religiosa di un Dupuis [3]) diviene la base per quella pax fidei relativistica che è alla base della tolleranza massonica. L’ideologia mercantile della borghesia trionfante, inoltre, mal si rispecchiava nel normativismo intransigente ed autoritaristico della religione tradizionale; la nuova classe è alla ricerca di un’etica più confacente alla propria sensibilità, di una religiosità morbida ed adattabile al nuovo orizzonte della razionalità deificata nella nouvelle philosophie ed alla moralità individualista, pragmatica e tollerante del mercante illuminato.
Alla ricerca di una nuova radice storica e culturale, il naturalismo sensista e materialista illuministico, tinto della nuova sensiblerie che non dispregia tuttavia tinte mistiche, sembra sposarsi a meraviglia con il fantastico contenitore di un paganesimo le cui oscure vestigia, reinterpretate in maniera funzionale, possono essere utili alla ripresa e riscoperta di una religiosità più antica del Cristianesimo obliata e sconfitta dalla violenza devastatrice del nuovo clero; i misteri dell’antichità fungono così da efficiente radice di una nuova religione cosmica, in cui i sensi ed il naturalismo trovino il posto loro reclamato dalla ragione. Il paganesimo misterico, di cui si sa ben poco, è un contenitore vuoto sufficientemente esotico, perfetto per essere riempito di una inedita religiosità naturalistica e razionale, rovesciando così il presunto primato sapienziale e morale cattolico.
Il colto libertino ed antiquario Pierre-François Hugues (1719-1805), sedicente barone d’Hancarville, che studia la collezione del suo patrono sir Wiliam Hamilton, associa senza alcun dubbio e senza bisogno di prove ulteriori le pitture dei vasi fittili sotto i suoi occhi con rappresentazioni degli antichi misteri orfici ed eleusini, la cui chiave occulta egli ritiene sia l’affermazione dell’unità di Dio, una verità arrivata alla Grecia attraverso l’Orfismo dai Fenici e dagli Etruschi. Analogamente, l’illuminista Nicolas Boulanger (1722-1759), ammirato da Diderot e filtrato dalla riscrittura dell’ateo collaboratore dell’Enciclopédie Paul Henry Thiry d’Holbach (1723-1789) interpreta gli antichi misteri orfici come metafora drammatica della sopravvivenza dell’anima, una credenza che egli vede poi trasposta e definitivamente affermata nel Cristianesimo. Nell’orfismo di Boulanger il mondo, come nelle dottrine braminiche, era sottoposto a cicliche distruzioni in cui gli stessi dèi perivano.
Insomma, il campo semisconosciuto dei misteri, per una breve stagione, diviene l’ambito entro cui si sostanziano i tentativi di proiettare radici e memorie immaginarie di una nuova religiosità che urgeva alle porte della cultura illuminista e borghese. Tuttavia le religioni pagane, pur se reinterpretate e rivalutate in termini sapienziali, conservavano pur sempre il sapore della sconfitta, il sentore di una memoria facilmente spazzata via dall’insopportabile portato etico e spirituale del Cristianesimo tradizionale.
Da questo punto di vista, dunque, molto meglio l’antico Egitto, la cui carica di mistero era ancora più intatta di quella, solo residuale, che era possibile rinvenire nelle vestigia dei misteri pagani. La potente maestosità della fascinazione egizia che, dalla pubblicazione degli Hieroglyphica di Orapollo, aveva attraversato tutto il Rinascimento per arrivare all’Egitto occulto e barocco di Kircher, offriva spunti più sicuri di esotismo immaginifico. La mitologia egizia, reinterpretata in senso compiutamente naturalistico, ed il mistero intatto dei geroglifici offrivano un’accoglienza più ricettiva e plastica ai contenuti proiettivi della nuova sensibilità.
Un ulteriore spostamento dell’orizzonte lo avremo un secolo dopo, nella seconda metà dell’800, quando l’Egitto, dopo la campagna napoleonica e, soprattutto, dopo le scoperte archeologiche e la decifrazione dei geroglifici di Champollion, diverrà troppo conosciuto e banale, troppo vicino, troppo precisamente definito da un’identità specifica e poco funzionale all’accoglimento di proiezioni immaginarie: sarà allora la volta della lontana India, il favoloso oriente teosofico.
Ritornando all’egittomania massonica settecentesca, nel 1731 esce il celebre Sethos, histoire ou vie tirée des monumens anectodes de l’ancienne Egypte dell’abate Terrasson (1670-1750), che introduceva e diffondeva la sua fantasiosa ricostruzione dei misteri Egizi che influenzerà notevolmente teatro e letteratura. Il romanzo del colto filologo e grecista, presentato al pubblico come traduzione di un antico testo greco, era stato recepito col valore di una testimonianza storica, e fornì materiale, successivamente, perfino per la costruzione di alcune rituarie di loggia. Dall’esotismo egizio di Sethos prenderà le mosse, tra le altre cose, anche l’ambientazione che fa da sfondo al Flauto magico del massone Mozart.
Dal punto di vista massonico, del resto, un chiaro aggancio era dato anche da uno dei più antichi documenti fondatori della Massoneria; si pensi ad esempio a quel prezioso manoscritto Cooke (XV sec.) che già George Payne (1685-1757), Gran Maestro nel 1718 e 1720, mostrava al suo successore duca di Montagu (1690-1749). L’importante documento non lasciava adito a dubbi:
«Nel tempo in cui i figli di Israele abitarono in Egitto impararono l’Arte della Massoneria. E in seguito, quando furono condotti fuori dall’Egitto, essi giunsero alla Terra di Behest, che ora è chiamata Gerusalemme. E il Re David iniziò la costruzione del Tempio di Salomone. Re David amava i massoni e diede loro diritti come ne hanno ora… E in altre cronache e in altri libri di Massoneria è detto che Salomone confermò gli incarichi che David, suo padre, aveva dato ai massoni. E Salomone stesso insegnò loro in modo poco diverso dai modi ora usati. E di là questa importante scienza fu portata in Francia e in altre Regioni…» (citiamo dall’edizione italiana on-line su www.zen-it.com).
L’Egitto era dunque la patria stessa della massoneria. Era del tutto naturale quindi che il conte di Cagliostro, nel 1784 a Parigi, all’Egitto ispirasse le rituarie del suo nuovo e controverso ordine massonico.
Il massone Court de Gebelin, dunque, aveva suggestioni sufficienti per essere guidato nella sua ermeneutica fisiocratica ed egittologica delle lame dei tarocchi. A lungo censore reale sebbene di religione protestante, amico di Diderot e D’Alambert e gradito al milieu culturale dell’Enciclopédie, inoltre, Court de Gebelin, dalle pagine della sua monumentale opera, aveva l’autorità pubblica per affermare la sua teoria lasciando poco o nessuno spazio al dubbio ed alla critica.
Ignorando in buona sostanza l’idea ermeneutica di matrice fisiocratica di Court de Gebelin, Alliette, dal canto suo, costruisce una tecnica divinatoria che non esita a presentare come scienza, respingendo, come vedremo meglio in seguito, ogni accusa di superstizione o ciurmeria.
All’Etteilla, ou maniere de se récréer avec un jeu de cartes, segue, due anni dopo, Le zodiaque misterieuxou les oracles d’Etteilla (Lesclapart, Amsterdam et Paris, 1772), una raccolta di previsioni oracolari che, come qualunque lettore abbia la minima dimestichezza con la scienza astrologica può facilmente notare, con l’astrologia ha ben poco a che fare. In apertura al libro vi è descritta una visio dai densi contenuti simbolici, che testimonia già una tensione verso un’idea più ampia delle hautes sciences, che, vedremo, si svilupperà ulteriormente una decina d’anni dopo. Una piccola brochure anonima, la Lettre sur l’oracle du jour, che si tende ad attribuire alla penna di Alliette, esce lo stesso anno sotto la firma di una Duchesse de ***. In questo periodo dobbiamo necessariamente pensare che le cose del nostro mago stessero volgendo al buono, poiché l’anno successivo Etteilla pubblica una ristampa rivista ed accresciuta del suo primo libro, indizio di un crescente successo pubblico: Etteilla, ou la seule manière de tirer les chartes; revue, corrigée et augmentée par l’auteur sur son premier manuscrit (Lesclapart, Paris et Amsterdam 1773).
Tuttavia, nonostante questi segni di successo, alla pubblicazione del 1773 seguono ben dieci anni di silenzio editoriale. Evidentemente le carte non sono ancora un business sufficiente a sfamare la famiglia, perché in questo periodo Jean-Baptiste mette su una nuova attività, quella di commerciante di stampe. Il nome di un Alliette commerciante in stampe antiche ricorre in diversi documenti d’epoca a Parigi, tra il 1768 ed il 1769 [4]. Verso il 1772 egli esercita a Strasburgo (abbiamo la sua stampa di un Lotto des indiens… Extrait des récréations algébriques d’Etteilla recante la data 1772 e l’indirizzo dello Stampatore «chez Alliette, bourgeois et marchand d’estampes à Strasbourg»). Nel 1777 nei registri cittadini è rimasta traccia del suo pagamento di 103 fiorini e 5 scellini per l’acquisto della cittadinanza, e negli archivi il suo nome è presente in un registro della corporazione dei commercianti di stampe datato 1779. Nell’edizione del 1781 del medesimo registro di corporazione, egli risulta come “membro non più residente”.
Dunque, prima del 1781 egli abbandona la città per ristabilirsi a Parigi. Del resto, se c’è un anno che segna in maniera rilevante una svolta nella biografia di Jean-Baptiste, è proprio il 1781, ovvero l’anno in cui esce il fatidico ottavo tomo di Le Monde Primitif. Il contatto con i saggi di Gebelin e di de Mollet è, per il cartomante Etteilla, folgorante. L’anno dopo iniziano ad uscire due volantini che fanno entrambi riferimento alle previsioni di un inedito Lotto indiano. Nel 1783 si stampa la terza edizione del suo primo libro, col titolo di Etteilla, ou instructions sur l’art de tirer les chartes. Nel periodo tra il 1783 e la morte, che è anche il periodo di suo massimo successo come cartomante, si concentra la parte più feconda dell’attività letteraria del mago. Tra il 1783 ed il 1785, divisa in diverse uscite e supplementi, esce la sua opera principale: Manière de se récréer avec le jeu de cartes nommées tarots. Non ci occuperemo in questa sede di un’ennesima enumerazione del gran numero di opere e pamphlet (spesso di pochissime pagine) che compaiono a firma di Etteilla in questi anni. Si tratta evidentemente, per la maggior parte, di pura letteratura propagandistica di un abile mago che, primo fra tutti, ebbe ben chiaro il ruolo fondamentale della pubblicità in ogni sorta di attività pubblica e, in primo luogo, in quelle che si basano sull’altrui credulità e fiducia. Il lettore potrà trovare efficienti sommari bibliografici altrove (ad esempio qui http://fr.wikipedia.org/wiki/Etteilla ).
In questo periodo, ormai, Etteilla non si limita solo a dispensare, dietro adeguato pagamento, i suoi oracoli illuminati, ma include nel listino dei servizi offerti anche lezioni della sua cartomanzia e, più in generale, di hautes sciences; e non c’è alcun motivo di credere che la sua platea di allievi fosse assai ristretta. I documenti, oggi dispersi, su cui si basa Millet-Saint-Pierre per il suo classico studio su Alliette, sono appunto tratti dagli archivi lasciati in eredità ad un discendente da un anonimo allievo diretto di Etteilla.
Gli oracoli del mago, che mescolano predizioni cartomantiche con considerazioni numerologiche e la conoscenza derivante dai 72 Geni cabalistici positivi (con i loro corrispondenti malvagi, di pari numero) sono ormai famosi e richiamano uomini e donne di tutte le età e classi.
Etteilla, più ancora che come mago, presenta spesso se stesso come consigliere spirituale; la sua cartomanzia è ormai oggetto di discussione e critica [5], mentre il suo personaggio penetra nell’immaginario popolare, comparendo anche in canzoni [6]. Il mago ha perfino da lamentarsi che alcuni personaggi, evidentemente di buon nome, ricorrano ai suoi servigi solo in segreto.
Tuttavia, l’interesse per l’Etteilla cartomante è da considerarsi, in questa sede, incidentale. Ciò che ci interessa piuttosto notare è come nel periodo successivo all’uscita della Manière (e specie tra il 1785 ed il 1787) escano una serie di opere che testimoniano il chiaro tentativo di accreditarsi come indiscussa autorità non solo su quella cartonomancie [7], di cui Etteilla è ormai considerato inventore e maestro indiscusso, ma, più in generale, nei vari domini dell’occulto, in quelle haute sciences (dalla fisiognomica, alla metoscopia, dalla chiromanzia all’alchimia, tenendo presente che già più di dieci anni, prima il nostro aveva dato alle stampe un saggio della sua personalissima idea di astrologia) che costituiscono le varie branche dell’occultismo settecentesco. Nel 1785 esce la Philosophie des hautes sciences: ou la clef donnée aux enfans de l’art, de la science & de la sagesse che, sebbene impostato principalmente sui tarocchi, testimonia l’attenzione per una impostazione teoretica più generale. Ancor più chiaro il medesimo intento emerge, nello stesso anno, nel Fragment sur les hautes sciences suivi d’une note sur les trois sortes de Médecines données aux hommesDont une mal-à-propos délaissée. Del 1786 è invece l’opera di cui presentiamo in questa sede la prima traduzione italiana, Les sept nuances de l’oeuvre philosophique-hermétique, suivies d’un traité sur la perfection des métaux mis sous l’avant-titre L.D.D.P. s.l. [Paris], s.d. [1786], l’unico trattato testimonianza dell’attività alchimistica che in quegli anni teneva impegnato monsieur Etteilla, il quale non si faceva pregare, come si vedrà in seguito, né per mostrare i suoi sette vasi, testimonianza dei compiuti progressi manipolatori, né per cederne uno o diversi dietro adeguato compenso. Dell’anno dopo sono invece due altre pubblicazioni, di tono più commerciale e di argomento più popolare (metoscopico e chiromantico), rispettivamente intitolate L’Art de connoitre les hommes par l’inspection du front, ou élémens de métoposcopie suivant les anciens e L’Art de lire dans les lignes et caractères qui sont dans les mains: ou élémens de chiromance.
Cartomante, astrologo, cabalista, alchimista, chiromante e metoscopista, Alliette si presenta al lettore suo contemporaneo come mago eclettico e polivalente, esperto delle diverse branche di quelle misteriose hautes sciences che, derise ed osteggiate dai nouveaux philosophes, stavano invece risorgendo con forza maggiore, proprio in quel periodo, negli ambienti colti ed esclusivi delle logge parigine, in cui Swedemborg era più letto degli intellettuali della Enciclopédie.
Dobbiamo pensare che in larga parte questo tentativo di accreditamento come mago a tutto tondo dovette sortire i suoi frutti, se, l’8 marzo 1787, troviamo Alliette tra i conferenzieri del secondo convento – così era definita la riunione generale solenne – dei Filaleti, un esclusivo ordine massonico di indirizzo esoterico-occultistico fondato tra il 1773 ed il 1775 da Savalette de Langes (1745-1797) a partire proprio da quella loggia Les amis réunis cui era appartenuto Court de Gébelin e che vedeva nelle sue fila anche il celebre Mesmer. Etteilla era stato invitato «attendu sa réputation d’instruction dans les sciences secrètes», reputazione che opere come Les sept nuances dovevano aver notevolmente accresciuto [8].
Le opere successive ritornano nuovamente sulla cartomanzia, e sono testimonianza in un’attività indefessa e sempre maggiormente seguita. Nel 1783 era nata la Societé des Interprètes du Livre de Thot, diretta dallo stesso Etteilla col titolo di Corrispondente Generale, che raccoglieva allievi ed ammiratori del geniale cartomante ed appassionati della sua scienza divinatoria; di tale società ci è rimasta, come unica rilevante testimonianza, qualche circolare pubblicata. La Societé era animata da personaggi di cultura ed indubbiamente coinvolti nei movimenti e nelle fraternità esoteriche paramassoniche del periodo; intorno al 1790 sappiamo che un allievo della prima ora, il massone Charles de Bonrecueille (nato nel 1753, di lui si hanno notizie fino al 1817) aveva creato a Lione un Temple du Soleil, cui aderiva anche un altro autorevole occultista ed allievo di Etteilla, Pierre-Jean Joubert de la Salette (1762-1832), colui che, nel 1791, poco prima della morte del maestro, aveva redatto il Dictionnaire Synonimique du livre de Thot, précédé d’un discours préliminaire par un membre de la société des Interprètes de cet ouvrage (Parigi e Lione, 1791).
La rivoluzione divampa, la Bastiglia cade il 14 luglio 1789, ma Alliette non sembra a disagio nei nuovi tempi che si appressano. Se l’anno della caduta della Bastiglia sembra segnare un arresto nella sua produzione, è solo perché questa doveva trovare nuovo impulso l’anno dopo. Nel 1790, che ancor più di ogni altro doveva essere un anno carico di interrogativi ed aspettative per il futuro, esce infatti L’oracle pour et contre mil sept cent quatre-vingt-onze; nello stesso periodo si stampa il Cours théorique et pratique du livre de Thot, pour entendre avec justesse, l’art, la science et la sagesse de rendre les oracles, ma, soprattutto, nasce ufficialmente una vera e propria scuola di magia gratuita ed aperta al pubblico, una istituzione di cui la Societé des Interprètes du Livre de Thot non era stata che l’anticipazione su scala minore. La nuova scuola è annunciata dall’ennesima pubblicazione: Aperçus sur la nouvelle Ecole de magie établie à Paris, le 1er juillet de la seconde année de la liberté française et second discours tenu dans cette école publique et gratuite le 19 juillet 1790, pubblicazione stavolta distribuita dallo stesso figlio di Alliette. Il progetto è ambizioso: si tratta di sancire nella nuova società post-rivoluzionaria un nuovo ruolo ed una diversa portata culturale per quelle hautes sciences di cui Etteilla era ormai lo stimato professore. E, qualche malpensante potrebbe pensare, si tratta anche di creare un vivaio di nuovi potenziali clienti che, avendo già compiuto un primo passo nello studio delle hautes sciences, decidano di buon grado, a misura delle proprie possibilità, di avanzare verso conoscenze ulteriori, stavolta magari a pagamento.
Il citoyen Alliette, forte della sicura rinomanza del suo nome, è del resto autorità intellettuale riconosciuta in diversi ambienti, e risulta in prima persona impegnato nel nuovo fermento politico. Nel 1791, infatti vengono pubblicati ben 13 projets politici di mano di Alliette, una serie di proposte che vanno da una scontata proposta di abolizione delle tasse sulle tariffe delle predizioni, all’approvazione di una pensione borghese nazionale, dalla creazione di pubblicazioni di pubblica utilità, fino alla riforma delle istituzioni per l’ordine pubblico e la polizia e varie altre cose ancora; tutte idee partorite dal vulcanico mago nell’inedita veste di riformatore sociale [9].
Il 12 dicembre 1791, tuttavia, non sappiamo come, a soli 53 anni, il grande mago Etteilla, al secolo Jean-Baptiste Alliette, muore a Parigi, e la sua morte porta con sé la dissoluzione dei nuovi grandi progetti. Nessuno dei suoi allievi, e tantomeno suo figlio, avranno la forza e l’autorità di portare avanti né la nuova scuola di magia, né tanto meno la più ristretta Societé des Interprètes du Livre de Thot [10].
Il nome del mago Etteilla, tuttavia, era destinato a sopravvivere ai tumulti del XVIII secolo ed a consegnarsi, con tutto il suo fascino truffaldino, al secolo successivo. Non solo gli scrittori di cartomanzia, ma anche gli imbonitori di piazza e la cultura popolare avevano ormai consacrato Etteilla tra i grandi maghi: Millet-Saint-Pierre, in apertura del suo studio più volte citato, racconta di come un indovino ambulante dei suoi tempi citasse il nome di Etteilla accanto a quello di Trismegisto e di Alberto Magno per raccogliere intorno a sé la folla. Non fu di meno la letteratura, e così il mago Etteilla finì anche tra i protagonisti di un romanzo di Alexandre Dumas [11].
Quale fu la magia di Alliette? In che modo il cartomante ebbe ragione dei nouveaux philosophes alla moda che predicavano quella ragione che sarebbe poi stata deificata nei sovvertimenti rivoluzionari? Come poteva essere guardata dagli spiriti colti del tempo quella risorgenza della arti divinatorie mentre, con il Dictionnaire philosophique di Voltaire nel cuore, i parigini si preparavano alla presa della Bastiglia?
L’Encyclopédie era stata chiara nel liquidare e ridefinire maghi e magia. Il mago era «nei secoli di barbarie o d’ignoranza un mestiere abbastanza buono, ma la Filosofia, e soprattutto la Filosofia sperimentale, più coltivata e meglio conosciuta, hanno fatto perdere a quest’arte meravigliosa il suo credito e l’hanno fatta passare di moda…» [12]. La magia dell’Encyclopédie si divideva in tre specie: la magia divina, che non era altro «che la conoscenza particolare dei piani, delle vedute della sovrana saggezza, che Dio nella sua grazia rivela ai santi uomini animati del suo spirito»; la seconda era invece la lodevole magia naturale, lo «studio un po’ approfondito della natura», ovvero l’antenata della filosofia naturale tanto cara ai filosofi illuminati nella quale i redattori facevano ricadere anche la psicologia, ovvero la conoscenza «dello spirito umano, in particolare delle molle che lo scuotono…»: la terza magia è infine quella propriamente detta, la soprannaturale, prodotto dell’ignoranza e della superstizione, nel cui dominio ricadono l’astrologia, la cabala, la divinazione di ogni sorta, la magia nera, le evocazioni etc. [13].
Etteilla, in effetti, è, da questo punto di vista, assai abile nel presentare le sue hautes sciences epurate da ogni sospetto di superstizione. Lungi dall’essere l’ultimo dei maghi rinascimentali e barocchi, Alliette, da questo punto di vista, si qualifica come il primo antesignano di quella idea illuminista – e, più tardi, nella renaissance occultiste ottocentesca, positivista – della magia presentata come scienza positiva e sperimentale. Alliette riprende una definizione di Gilbert Charles Legendre (1688-1746) nel Traité de l’Opinion secondo cui la magia «non consiste che in conoscenze numeriche, matematiche, astrologiche, fisiche, naturali e filosofiche».
Egli, in maniera assai chiara, scrive:
«Cosa sono le scienze occulte: una fisica tanto più nobile in quanto la Natura si compiace di sottrarne la conoscenza agli orgogliosi sofisti ed ai fannulloni; è una fisica al di sopra di se stessa; in una parola, è una scienza che non permette agli uomini di abbandonare le cause che non si offrono immediatamente ai loro sensi, che dopo aver esaminato se esse sono fuori dalla portata umana; io dico fuori dalla portata umana, ma un tal sentimento è contrario alla saggia Cabala che non permette di pensare che nel nostro Universo vi sia nulla di impossibile ed impenetrabile all’uomo saggio e sapiente.
La causa prima, il motore di ogni cosa, non può, è vero, essere perfettamente conosciuta; questo primo principio non è limitato al nostro solo universo; ma con questa sola eccezione, coloro tra gli uomini che si sono elevato al disopra della Natura Fisica, nulla ignorano di ciò che è donato a tutti gli uomini dal Motore Divino. La Fisica Occulta è puramente uno studio profondo della Natura intera, e con questo studio una conoscenza di causa in causa, di effetto in effetto, risalendo e discendendo fino al primo principio da cui tutto viene ed in cui tutto ritorna; a differenza della Fisica volgare, che non cerca di penetrare più lontano della materia; a differenza della Metafisica, che non opera affatto manualmente; si tratta dunque, come si sente, di una fisica che, operando, protende tutto il suo sguardo verso le cause, così come la fisica volgare lo protende verso gli effetti e la Metafisica sulle grandi verità che essa confonde» [14].
Ricondotta nell’alveo di una conoscenza di tipo naturale e depotenziata di ogni tensione metafisicizzante e superstiziosa, la magia di Alliette tende si a legittimarsi quale scientia scientarum, ma perfettamente integrata nell’ambito di un’idea di conoscenza di stampo illuministico. Un secolo dopo, come si è già accennato, l’idea di magia della renaissance occultiste di Papus e Barlet non sarà diversa. Il mago Etteilla non ha nulla del libertino, né tantomeno si mostra in qualche modo irreligioso; in più punti tiene a mostrarsi, anzi, pio e rispettoso della religione. Tuttavia la magia non ha nulla a che fare, in sé, col divino, se non per il fatto che la natura stessa è prodotto della divina grazia. L’occulto è la fisica sottile delle cause naturali, nulla del suo complesso dominio è impenetrabile all’iniziato sufficientemente sapiente. Saggia filosofia fisica, dunque, alla portata del potere umano di conoscenza dei rapporti di causa ed effetto, prodotto di una sottile gerarchia che regola fattori efficienti che possono essere visibili ed invisibili, ma che rimangono naturali. Il vecchio armamentario rituale delle evocazioni e delle invocazioni, almeno al livello teorico, viene relegato tra le superstizioni sciocche ed inaccettabili. Talismani e divinazioni sono effetti naturalmente prodotti, numerologicamente determinabili, nulla a che vedere con complesse dottrine angeliche ed infernali, nulla di peccaminoso o di virtuoso se non l’uso consapevole della saggezza e della conoscenza naturale.
Alliette, nel proporci uno scorcio delle proprie memorie che ha più il sapore dell’agiografia e del racconto didattico che della verosimiglianza autobiografica, ci racconta il suo viaggio verso l’acquisizione della vera scienza in questo modo:
«Ero appena arrivato al momento di uscire dall’età dorata, che una voce si fece intendere per trascinarmi al suo lato; ma troppo giovane per riconoscere la Saggezza che mi chiamava, presi per illusione questa prima virtù divina ed umana, e corsi a sprofondarmi in tutti i precipizi dell’ignoranza.
Tralasciando i particolari, feci dei voti indiscreti perdendo del tempo prezioso; infine il digiuno, la preghiera e l’elemosina furono la base su cui mi appoggiai per divenire un essere favorito, come Adamo, Mosé, Salomone, o, per rimanere tra i profani, Pitagora, Democrito, Apollonio di Tiana ed altri saggi maghi.
Volevo donare tutto ciò che possedevo, ma tuttavia con la riserva, almeno mentale, che io fossi un giorno dotato di un’intelligenza del tutto celeste.
La verità mi abbandonò nelle mie false virtù; allora, al colmo delle mie follie, abbandonai gli estatici per entrare tra i demonomaniaci. Feci dei cerchi, impiegavo dei ceri, profumi, acqua ed altri oggetti, tutti benedetti; in una parola io spinsi la mia stravaganza, come tutti gli insensati, fino al punto da fare degli scongiuri e delle invocazioni ai Principi dell’oriente, del Mezzogiorno, dell’Occidente e del Settentrione, che questi esseri del resto chimerici non potevano intendere; di questi scongiuri io stesso non comprendevo che dei suoni barbari, delle lingue orientali corrotte, qualche grande nome ebreo e del cattivo latino, il tutto confezionato in secoli in cui gli uomini erano immersi nella più crassa ignoranza.
Dovevo io rimanere per sempre nell’errore? No. A diciassette anni la Verità mi chiamò di nuovo, e la Scienza che intravidi mi ci condusse; indirizzai le mie preghiere alla prima e supplicai la seconda di non lasciarmi più. Seguii i loro consigli parola per parola, senza alcun riguardo per i discorsi dei ciarlatani e per quelli degli pseudo-sapienti. Lessi, con altrettanto amore che coraggio, i Filosofi Cabalisti e coloro che non sono semplicemente che maghi; gli uni e gli altri mi indicarono uniformemente i primi sentieri della natura, e ciò, unitamente alla mia costanza, mi condusse nelle sue ricche campagne, in cui gustai una parte dei frutti che la saggezza vi aveva messo per ricompensare i deboli umani dei lavori e delle amarezze di questa vita.
Oh uomini miei simili! Taccerete voi di mancanza di luce la ragione che mi ha rischiarato, ed infine la scienza semplice, naturale che mi ha fatto uscire dal pantano in cui affondate quando volete ottenere effetti meravigliosi, fissandovi su quello che definite Teurgia e Goezia, laddove la Natura non vi indica che una saggia Filosofia, quella propria a tutti gli uomini?…» [15].
L’idea di natura che fa da sottofondo a questa idea è quella illuminista che costituisce la base del giusnaturalismo. Ciò che è natura, in contrapposizione con quanto è mera costruzione culturale, è comune a all’umanità intera, ed è quindi razionale. Perciò la razionalità porta verso la conoscenza naturale. Vi è più Diderot che Agrippa, in queste righe. Nessuna superstizione, dunque, nei geni cabalistici e nella numerologia di Etteilla; la conoscenza sepolta in queste pratiche, sebbene antichissima, non ha nulla a che fare con demoni, cerchi magici, invocazioni rituali e suffumigazioni di incenso. Del resto Voltaire era stato chiaro:
«Il superstizioso sta al furfante come lo schiavo sta al tiranno. C’è di più: il superstizioso è governato dal fanatico, e finisce per diventarlo…» [16].
Ed il popolare Etteilla, amico della sapienza, non voleva certo passare per fanatico.
Come abbiamo accennato la magia interamente illuminata dalla ragione di Etteilla è assai simile a quella dei maghi parigini di un secolo dopo, i protagonisti di quella renaissance occultiste che, insieme all’orientalismo teosofico, fornirono le basi della gran parte dell’esoterismo contemporaneo. Tuttavia la fortuna di Etteilla presso questi autori e tutt’altro che buona. La scarsa attenzione per l’opera del cartomante e studioso delle hautes sciences è dovuta, fuor di dubbio, al giudizio particolarmente severo che è possibile rinvenire negli scritti di uno dei padri fondatori dell’esoterismo ottocentesco, il mago Eliphas Levi, al secolo il colto ex-abate Alphonse Louis Constant (1810-1875), figura che, per vicende personali, carattere e formazione culturale, possiamo senz’altro considerare agli antipodi di Alliette. Secondo Eliphas la conoscenza di Etteilla era parziale e spesso sbagliata, e nel secondo tomo del suo famosissimo Dogme et rituel de la haute magie il grande mago ottocentesco non perde occasione di bacchettare il povero Etteilla sottolineando alcuni suoi errori ermeneutici ed alcune arbitrarietà dei suoi tarocchi. Tuttavia a marcare il giudizio definitivo e più influente sulla figura del cartomante è senz’altro un passo che ritroviamo alle pp. 338-340 dell’edizione parigina di Bailliére del 1861:
«Etteilla o Alliette, preoccupato unicamente del suo sistema di divinazione e del profitto materiale che poteva trarne. Alliette, ex parrucchiere, non avendo mai appreso né il francese né l’ortografia, pretendeva riformare il libro di Thot, appropriandosene. Sul tarocco che fece stampare, e che è divenuto assai raro, si legge alla carta ventottesima (l’otto di bastoni) questa ingenua réclame: “Etteilla, professore d’algebra, rinnovatore della cartomanzia e redattore (sic) delle moderne incorrezioni di questo antico libro di Thot, abita in rue de l’Oseille 48 a Parigi”. Etteilla avrebbe certamente fatto meglio a non redigere quelle incorrezioni di cui parla: i suoi lavori hanno fatto ricadere nel dominio della magia volgare e delle cartomanti l’antico libro scoperto da Court de Gébelin. Chi troppo vuol provare non prova niente, dice un assioma di logica; Etteilla ne fornisce un esempio ulteriore, e ciò nonostante i suoi sforzi lo avevano portato ad una certa conoscenza della cabala, come si può vedere in qualche raro passaggio delle sue illeggibili opere”
I veri iniziati, diciamo noi, che consideravano il segreto dei tarocchi tra i loro più grandi misteri, si guardarono bene dal protestare contro gli errori di Etteilla, lasciandolo non rivelare, ma ri-velare l’arcano delle vere clavicole di Salomone…» [17].
È chiaro che con una recensione tanto autorevole quanto severa il futuro appeal delle opere di Etteilla non poteva essere roseo. Sicuramente il tormentato e colto ex-abate, attraversato da tentazioni socialiste, sorretto da un più intransigente idealismo, non doveva guardare con simpatia l’attitudine mercantile dell’incolto Etteilla, che inframmezzava con naturalezza i suoi scritti cartomantici e magici con i listini delle sue consultazioni.
Meno aggressivo, seppure ugualmente negativo, è il parere di uno dei leader indiscussi dei maghi parigini fin de siècle, Papus, al secolo Gerard Encausse (1865-1916), il quale dedica nel 1889 una delle sue opere proprio al simbolismo dei Tarocchi: Clef absolue de la science occulte: Le Tarot des bohémiens, le plus ancien livre du monde, á l’usage exclusif des initiés (Flammarion, Paris 1889). Egli conserva un giudizio negativo sui tarocchi di Etteilla, che non posseggono alcun valore simbolico e sono una mauvase mutilation (op. cit. p. 94) del vero tarocco. Tuttavia il giudizio generale sul personaggio sfuma lievemente in una considerazione più empatica. Nel XX cap., Le Tarot divinatoire en sept leçons, Papus dedica la sesta lezione al metodo di Etteilla, e, esponendo di dati di una biografia del mago Etteilla del tutto immaginari, scrive:
«Etteilla il cui vero nome era Alliette, era un garzone di parrucchiere che viveva all’epoca della Rivoluzione. Essendo capitato per caso su di un mazzo di Tarocchi, fu affascinato dalla sua bizzarria e si mise a studiarlo. Il suo studio durò trent’anni, alla fine dei quali egli credette di aver ritrovato il segreto di questo libro egizio. Etteilla non possedeva sfortunatamente alcuna conoscenza sintetica, il che lo condusse a scrivere delle pietose fantasticherie accanto a risultati di intuizione veramente meravigliosi. Si ha eccessiva tendenza a calunniare questo ardente lavoratore, bisogna riconoscere la parte reale di verità contenuta nelle sue opere, senza curarsi troppo delle sciocchezze che le rovinano.
Comunque sia Etteilla applica tutte le sue conoscenze a predire la fortuna e, se dobbiamo credere a suoi contemporanei, egli assolse egregiamente al suo compito. Divenne così il Dio dei cartomanti successivi, che non giurano che su di lui…» [18].
Unica voce fuori dal coro appare essere, nel 1914, Pierre Dujols de Valois (1862-1926), alias Magophon, il proprietario della celebre Librairie du Merveilleux vero e proprio punto di ritrovo degli ambienti occultisti parigini del tempo, il quale, nella Hypotypose di premessa alla riedizione del Mutus Liber [19], cita, nel commento alla quarta tavola, il nostro Etteilla in maniera tutto sommato lusinghiera, concedendo, se non altro, il beneficio del dubbio. Nel commento alla quarta tavola, nel trattare la raccolta del flos coeli, Dujols afferma:
«Nelle Sept nuances de l’Oeuvre Hermetique, Etteilla, che valeva forse più della sua reputazione, sembra aver ottenuto qualche risultato soddisfacente da una muffa analoga; ma bisogna leggere il suo opuscolo con buone lenti… ».
Etteilla e Les sept nuances compaiono citati un paio di volte in Le Mystère des Chatedrales di Fulcanelli [20]. Tuttavia per una “riabilitazione” di maggior impatto dovremo attendere Eugène Canseliet (1889-1982), il custode stesso della leggenda di Fulcanelli, forse uno degli alchimisti più noti del ‘900, a sua volta, in gioventù, in relazione con Pierre Dujols, che fisserà la propria attenzione sull’Etteilla alchimista e nel suo Alchimie: Etudes diverses de Symbolisme hermétique et de pratique Philosophale (Pauvert, Paris 1964) addirittura rivaluta in chiave iniziatica proprio quegli aspetti mercantili e ciarlataneschi di Etteilla stigmatizzati da Levi. Dopo aver citato un passo di Les sept nuances Canseliet specifica:
«… Certo non avremmo citato il celebre cartomante se non avessimo modificato, nei suoi riguardi, il nostro giudizio relativamente poco favorevole malgrado la nota di Magophon (Pierre Dujols de Valois) che nella sua brillante Ipotiposi al Mutus Liber edito nuovamente nel 1914, già riabilitava, senza darne il motivo, l’alchimista indovino, apparentemente interessato come il più avido ciarlatano.
In effetti, qualche anno dopo la lunga esperienza che conducemmo a nostra volta, ci è venuta l’idea del doppio motivo che spingeva l’astuto Etteilla a mantenere pazientemente la stessa cottura nel suo retrobottega.
Là, in cambio di un biglietto d’ingresso offriva lo spettacolo veramente meraviglioso, sia per le forme che per i colori, dell’amalgama comune – pieno di seduzione per la via lunga – sottomesso nel pallone all’azione del fuoco di lampada, dolce, invariabile e continuo! Evidentemente l’invito che rileviamo nel nostro piccolo volume non appare molto in accordo con la tradizionale e rigorosa consegna del segreto assoluto, riaffermata senza posa da scritti ed immagini:
“I veri curiosi della Grande Opera, così come vengono da me per seguire le variazioni della mia, invece di dare giornalmente 3 lire, preferiscono avere lo stato di miei Pensionati, 30 lire al mese; il che permette loro di condurre sia un Erudito che un Amatore”.
Cosicché pensiamo che innanzitutto Etteilla, acquisendo un’immagine da ciarlatano sprovvisto di reale sapere, si metteva al sicuro da qualunque pericolo avrebbe potuto derivargli da una solida reputazione di alchimista; inoltre, raccoglieva il denaro che gli mancava e che gli era necessario per proseguire nell’ombra sforzi più seri, reclamati da quella via secca che era il soggetto infinitamente discreto dei suoi libretti, velato sotto l’illuminismo del secolo al suo termine…» [21].
Si vede dunque qui una riabilitazione tardiva ma completa, che inquadra ogni sospetto di interessato mercantilismo nell’astuzia dissimulatrice dell’adepto.
Tralasciando le alterne fortune dell’immagine Etteilla negli ambienti dell’occultismo contemporaneo, rimane da fissare brevemente l’attenzione proprio sull’Etteilla alchimista citato da Canseliet e Dujols. Cosa spinge Jean-Baptiste sui territori dell’alchimia? come sorge l’idea di presentare al pubblico i suoi vasi? Qual era l’audience che le sue “visite guidate” a biglietto fisso speravano di stimolare, quale il pubblico potenziale delle sue Sept Nuances? Chi poteva essere interessato, insomma, a valutare la sua proposta di abbonamento a 30 lire mensili per ricevere la sua guida ed accedere ai suoi insegnamenti?
Effettivamente, avendo cura di analizzare le uscite editoriali francofone di alchimia che, a partire dalla metà del settecento, si susseguono senza sosta, dobbiamo supporre una certa vitalità della materia ed un certo interesse diffuso per l’arte di Hermes. Nel 1742 erano usciti a Parigi, per i tipi di Coustellier, i tre volumi della Histoire de la Philosophie Hermetique di Nicolas Lenglet-Dufresnoy (1674-1755); nel 1758 erano usciti rispettivamente sia Les Fables égyptiennes et grecques che il Dictionnaire Mytho-Hermetique del benedettino Antoine-Joseph Pernety (1716-1796); nel 1750, a Leida, senza indicazione di editore era uscito l’Eclaircissement sur la Philosophie Hermetique a firma di un non meglio identificato Lotteringus; nel frattempo, tra il 1740 ed il 1753 l’editore parigino Cailleau pubblicava la riedizione della Bibliothèque des philosophes chymiques aggiungendovi un quarto volume con opere del Filalete e diversi altri trattati; nel 1751 un misterioso habitant du nord aveva pubblicato ad Amsterdam, per i tipi di Pierre Mortier, una Clavicule de la science Hermetique; due anni dopo, nel 1753, un altro anonimo che amava firmarsi Cosmocole Philovite, per i tipi di Drieu le Jeune al n° 7 di Rue du Coq St- Honoré, aveva pubblicato a Parigi La Verité sortant du puits hermetique ou la vraye quintessence solaire et lunaire; nello stesso anno il docteur en medicine T. F. Geron pubblica la sua Clavicule de la Philosophie Hermetique; nel 1772 esce presso l’editore Edme a Parigi la versione francese dell’Aurea Cathena Homeri (l’originale tedesco era uscito nel 1723), col titolo di La Nature devoilée ou théorie de la Nature; nel 1765 senza indicazione di editore e luogo di edizione (En France, recita semplicemente il frontespizio) era uscito L’existence de la Pierre merveilleuse des Philosophes; nel 1775 un oscuro pamphlettista, il signor Coutan, che si autodefiniva maître-boutonnier, mastro bottonaio, pubblicava un Le Grand Oeuvre dévoilé en faveur des enfans de la lumière, unico gioiello ermetico in una produzione letteraria per il resto interamente dedicata all’apologetica dei regnanti di turno o a speculazioni filosofiche di dubbio valore e di opinabile profondità; nel 1781 la misteriosa Sabine Stuart de Chevalier pubblicava a Parigi, presso Quillau, il suo Discours Philosophique Sur Les Trois Principes, Animal, Végétal Et Minéral Ou La Clef Du Sanctuaire Philosophique; nel 1781 l’alchimista Onésime-Henri de Loos, firmandosi come Phylantropos, citoyen du monde, pubblicava a Parigi Le Diadème des Sages ou démonstration de la nature inférieure; senza continuare una elencazione che a questo punto rischierebbe di essere oziosa, è evidente da questa breve rassegna che la Parigi in cui Alliette pubblicava il Fragment e Les Sept Nuances era assai sensibile all’arte alchemica. Un pubblico consistente ed abbastanza trasversale (che andava dagli adepti del mesmerismo fino alla vasta congerie di organizzazioni ed ordini massonici e paramassonici, spesso intrisi di un swedemborghismo che, vedremo più innanzi, Alliette non manca di criticare) doveva dedicare viva attenzione alla scientia scientiarum.
Che l’interesse di Alliette fosse genuino, secondo quanto sembra assumere Canseliet, o che la sua alchimia fosse la trovata commerciale del momento, il nostro, pur nello stile grossolano e scorretto che lo caratterizza, presenta, come già doveva aver intuito Dujols una dottrina ermetica solida. Alleitte, con ogni evidenza, ha letto di alchimia e utilizza il codice del linguaggio alchemico con naturalezza ed originalità (la sua materia prima, la mousse, il muschio, si raccoglie gratuitamente sui tetti delle case abbandonate e sulle pietre). Le operazioni, il loro linguaggio ed il quadro teorico che fa da sfondo, molto più della semplice enumerazione di qualche auctoritas citata nel testo, sono testimonianza di una materia posseduta con un grado sufficiente di approfondimento.
Così, ignorando l’irritante presenza dei listini prezzi e degli spot pubblicitari, in fondo, il trattatello di Etteilla è un trattato solido come molti altri, che a buona ragione gli alchimisti novecenteschi hanno riaccolto nella loro biblioteca.
La seconda parte delle Sept Nuances contiene un trattatello dal titolo L. D. D. P. Ou la perfection des metaux che Alliette afferma non essere suo. La sigla è sciolta dallo stesso Alliette con Le denier du Pauvre (l’obolo del povero) ed il trattato, fino ad allora inedito, è anonimo. È legittimo dubitare che tale trattato sia in realtà semplicemente frutto della penna dello stesso Etteilla. Di questo testo non sono noti manoscritti anteriori alla pubblicazione delle Sept Nuances, e lo stile della scrittura non sembra assai dissimile da quello del nostro cartomante.

Prosatore disordinato e confusionario quant’altri mai, Alliette infarcisce i suoi scritti, redatti in una lingua faticosa e talvolta scorretta – al punto da spacciare ogni eventuale pretesa di letteralità della traduzione – di un quantitativo ipertrofico di rimandi e note, che, lungi dal presentare brevi riflessioni a latere o semplici rimandi bibliografici, costituiscono una vera e propria opera nell’opera, sviluppando linee di pensiero e di esposizione complementari ma del tutto indipendenti. Così il lettore dovrà rassegnarsi a seguire le note al testo di Alliette avendo riguardo al fatto che alcune di esse possono essere considerate dei veri e propri testi a sé. Ed accettando, d’altra parte, l’eventualità di trovarsi di fronte a note a corredo delle note, che si strutturano in una sorta di scatole cinesi talvolta snervanti. Numerando le note ed attribuendo un asterisco alle note delle note, coscienti dei limiti fisiologicamente connessi ad una edizione on-line di opere confuse come quelle di Alliette, abbiamo cercato di organizzare al meglio la fruizione del testo, che consigliamo comunque di stampare utilizzando l’apposito link presente alla fine della pagina. Le poche indispensabili note del curatore sono invece contraddistinte alla parentesi quadra, e sono raccolte in coda allo scritto.

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.

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Un Talismano di Etteilla (tratto da Fragment sur les Hautes Sciences, 1785)

NOTE:


[1] Tutte le informazioni biografiche che riportiamo, e che aggiornano e correggono alcuni errori del primo biografo di Alliette, Millet-Saint-Pierre, sono tratte dall’eccellente studio di Ronald Decker, Thierry Depaulis e Michael Dummet, A wicked pack of cards: the origin of occult tarot, Duckworth, London 1996. Per ulteriori particolari, nonché per tutti i riferimenti bibliografici e le testimonianze sulla biografia di Alliette, rimandiamo a quest’opera di esemplare rigore documentale. Il bel testo in questione costituisce anche una notevole trattazione storica sullo sviluppo dell’idea dell’ermeneutica occultista dei tarocchi nella modernità.
Lo studio di Millet-Saint-Pierre, Recherches sur le dernier sorcier et la dernière école de Magie, estratto dalle Publications de la Societé d’Etudes Diverses, 1857-1858, è oggi disponibile in prima traduzione italiana su questo stesso sito.


[2] La fisiocrazia era la dottrina economica, affermatasi principalmente negli anni ’70 del XVIII secolo, basata sulle teorie del medico e scrittore François de Quesnay (1694-1774). Questi pubblicò nel 1759 il Tableau Economique, base della dottrina fisiocratica, che vedeva nell’agricoltura l’elemento centrale dell’intera attività economica del genere umano, e dunque la base della civiltà stessa, in opposizione al mercantilismo, che invece affermava la centralità dello scambio e che basava la ricchezza di una nazione sulla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni. Nel modello fisiocratico del Tablaeu la società era divisa in tre classi: i proprietari terrieri (identificabili nel XVIII secolo con l’aristocrazia), i lavoratori sterili (ovvero i mercanti e gli artigiani), ed i lavoratori produttivi (i contadini). Court de Gébelin fu un partigiano della scuola fisiocratica particolarmente stimato dallo stesso Quesnay.


[3] Ce ne siamo occupati in forma sintetica nel nostro Un Altrove come specchio: orientalismo occultista e de-costruzione della memoria in Atrium – Centro studi metafisici e tradizionali, Anno IX n°3, pp. 93 e sgg.. Le riflessioni qui riportate in forma sintetica a proposito dell’egittomania esoterizzante sono in larga parte attinte a questo nostro lavoro.


[4] In questo periodo Alliette rimane coinvolto in un caso giudiziario. Tre giovani ladri avevano, nel 1768, rubato alcuni libri e stampe dalla biblioteca del Re. Gli ispettori che ispezionavano i commercianti della città alla ricerca della refurtiva, l’anno seguente, trovarono alcune delle stampe rubate nel magazzino di Alliette. Questi riuscì però a dimostrare la sua buona fede e venne così assolto da ogni accusa, dimostrando di aver acquistato la merce da un giovane che si era presentato con una lettera di presentazione di un nobile signore, che, nel corso delle indagini, risultò poi essere un semplice fabbro (Decker, Depaulis, Dummet, op. cit. p. 80).


[5] Più innanzi, nel testo delle Sept Nuances, Alliette alluderà a se stesso come “avvocato e consigliere nella catena della vita” ed il suo listino prezzi prevedeva una ragguardevole tariffa mensile di 30 lire per essere in pianta stabile il “medico dello spirito”, ovvero “l’indovino perpetuo” del consultante. Per quanto concerne le critiche alla cartomanzia di Etteilla, nel 1785 esce un Apperçu d’un Rigoriste sur la cartonomancie et sur son auteur che, pur esprimendo una garbata critica alla divinazione cartomantica, non è scevra di elogi e panegirici per il nostro mago. Sfruttando il noto principio pubblicitario del “non importa perché se ne parli purché se ne parli”, Alliette fece anche ristampare lo scritto a sue spese.


[6] Millet-Saint-Pierre nell’opera citata riporta alcuni versi tratti da una romanza col testo di un tal Mésageot de Villenaux e la musica di una Madame Leblanc, maestra di clavicembalo.
La prima strofa esordisce così:

J’ai perdu le plus tendre amant,
l’ingrat a-t-il une autre amie!
(Ho perso il più tenero amante, l’ingrato ha un’altra amica)
E termina con :
Mais pour s’instruire on va,
On va
Chez le fameux Etteilla
(ma per istruirsi si va, si va dal famoso Etteilla).
La quinta ed ultima strofa finisce con queste parole:
Quoi? Jeune Lise, on a,
On a,
Son Bonheur par Etteilla ?
(Cosa? Giovane Lisa, si riacquista la propria felicità con Etteilla?)


[7] Così Alliette avrebbe amato definire la sua tecnica per distinguerla da quella della comune cartomanzia. Ci è rimasta registrata la testimonianza del titolo di un libro del 1782 che venne respinto dalla censura col titolo di Cartonomancie Egiptienne, ou interprétation des 78 hyerogliphes qui sont sur les chartes nommées Tarots.


[8] Cfr. René Le Forestier, La franc-maçonnerie templière et occultiste aux XVIII etm XIX siècles, Arché. Milano 2003, pp. 790.


[9] Millet-Saint-Pierre ci dà una descrizione sommaria del citoyen Alliette che emerge dai projets: «Tra i suoi Projets che distribuiva in piccoli fogli numerati, con ciascuno il suo titolo, egli ritorna sovente sulla sua vera pensione borghese nazionale, che doveva soppiantare gli ospedali e dare a tutti i cittadini alloggio, vestiario e nutrimento alla fine delle rispettive carriere lavorative; si trattava senza dubbio di una rendita vitalizia, ma i suoi sviluppi teorici dovevano essere lunghi ed egli domandava che una sottoscrizione pubblica o il Governo ne sostenesse le spese di stampa. In questi stessi progetti si legge il piano di un giornale da creare per ospitare domande di interesse pubblico e privato con le relative risposte… sempre ammesso che ve ne fossero. Non si sarà stupiti che egli abbia parlato contro l’imposta sulle carte da gioco, almeno per quel che riguardava le carte del suo Libro di Thot… Egli propone di sopprimere la polizia e rimpiazzarla con un magistrato minore per ciascun caseggiato di Parigi, il quale sarebbe il Giudice di pace della casa. Questo funzionario renderebbe conto ad un Gran Magistrato che sarebbe nel contempo anche ufficiale della guardia borghese, e nominato con una giurisdizione da sette a dieci caseggiati. Vi sarebbe un posto di guardia poco numeroso per ciascuno di questi gruppi da sette a dieci case, e poi, alla sezione, un corpo di guardia più imponente, etc. etc.. Si troveranno invenzioni di tal fatta innocenti e giovanilistiche per un professore più che settuagenario. È vero che, in generale, i metodi di riforma sociale proposti a quest’epoca, avevano uno stile di semplicità e bonarietà da cui ci siamo in seguito considerevolmente affrancati.». Alliette, in realtà, non era affatto “più che settuagenario” ai tempi dei projets. Aveva 52 anni.


[10] Si consulti a questo proposito il capitolo 5 (Etteilla’s Disciples and Posterity) del citato A wicked pack of cards, pp. 100 e sgg.


[11] Les mille et un fantômes, Paris 1848. Qui il nome del battesimo del mago è però Jean-Louis, e l’età del personaggio è quella venerabile di settantacinque anni, mai raggiunta dall’Alliette storico. Invitato in presenza del commissario di polizia a declinare le sue generalità, Jean-Louis, al momento di rivelare la sua età, dà luogo ad un gustoso dialogo, chiedendo al perplesso poliziotto se si riferisse all’età che gli si attribuiva o quella strettamente anagrafica, dal momento che alcuni, come Cagliostro, Saint-German o l’Ebreo errante, hanno un’età indefinibile pur essendo anagraficamente vecchi di secoli… Ma vediamo la caratterizzazione, in verità poco lusinghiera, che Dumas, per bocca di uno dei suoi personaggi, Monsieur Ledru, fa del nostro cartomante:
« – Ah! Ditemi per prima cosa chi è questo signor Alliette , detto Etteilla per anagramma, che domandava se si voleva sapere la sua vera età o solo quella che sembrava avere; sembra che egli dimostri a meraviglia i settantacinque anni che gli avete attribuito.
– Giustamente, mi rispose Landru – Io contavo di cominciare da lui. Avete letto Hoffmann?
– Si… Perché?
– Bene. È un personaggio di Hoffmann. Per tutta la vita egli ha cercato di utilizzare le carte ed i numeri per la divinazione dell’avvenire: tutto ciò che possiede lo passa alla lotteria, nella quale cominciò col guadagnare un terno, e dalla quale mai più ha guadagnato nulla da allora. Ha conosciuto Cagliostro ed il conte di Saint-Germain, pretende di essere della loro famiglia di aver come loro conosciuto il segreto dell’elixir di lunga vita. La sua vera età, se gliela domandate, è di duecentosettantacinque anni; egli ha anzitutto vissuto cento anni senza infermità, dal regno di Enrico II a quello di Luigi XIV; poi, grazie al suo segreto, ma morendo agli occhi del volgo, ha compiuto tre altre rivoluzioni di cinquanta anni ciascuna. In questo momento egli comincia la quarta, e di conseguenza non ha che venticinque anni. I duecentocinquanta precedenti non contano ormai che come memoria. Egli vivrà così, e lo dice chiaramente, fino al giudizio universale. Al quindicesimo secolo si sarebbe bruciato, oggi ci si contenta di compiangerlo, e si ha torto ancora. Alliette è l’uomo più felice della terra; egli non parla che di tarocchi, sortilegi, carte, scienza egizia di Thot, misteri isiaci. Pubblica su tutte queste materie dei piccoli libri che nessuno legge, e che ciò nonostante un libraio, folle quanto lui, edita sotto lo pseudonimo, o piuttosto l’anagramma, di Etteilla; ha sempre il suo cappello pieno di brochures. Guardatelo; egli le tiene sotto il braccio, tanto ha paura che gli si prendano i suoi preziosi libri. Guardate l’uomo, guardate il viso, l’abito, ed osservate come la natura è sempre armonica, e quanto esattamente il cappello calzi sulla testa, l’uomo si adatti all’abito, il corsetto alla tonaca, come dite voi altri romantici.
Effettivamente nulla di più vero. Esaminai Alliette; era vestito di un abito grasso polveroso, liso, macchiato; il suo cappello, dai bordi lucenti come di cuoio verniciato, si allungava a dismisura verso l’alto… Quanto al fisico era un grosso piccolo uomo, tarchiato, figura da sfinge, rauco, bocca larga priva di denti atteggiata ad un ghigno profondo, con capelli radi, lunghi e gialli, che volteggiavano come un’aureola intorno alla sua testa…». Dumas, op. cit. pp. 121-126.

[12] Cfr. la voce magicien in Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers, Neufchastel, 1765 tome neuvième, p. 850.

[13] Ivi, voce magie, pp. 852-853.

[14] Alliette, Manière de se récréer avec le jeu de chartes nommées tarots par Etteilla, pour servir de premier cahier à cet ouvrage. A Amsterdam et se trouve à Paris, 1783, pp, 101-103.

[15] Alliette, Fragment sur les Hautes Sciences suivi d’une note sur les trois sortes de médecines données aux Hommes, dont une mal-à-propos délaissée, par Etteilla, Amsterdam 1785, pp. 4-7.

[16] Voltaire, Dizionario filosofico, cito dalla trad. di Maurizio Grasso, Newton Compton, Roma 2010, p. 284.

[17] Eliphas Levi, Dogme et rituel de l’haute magie, tome 2, pp. 338-340, Germer Baillière, Paris 1856.

[18] Papus, op. cit. pp. 334-335. Papus, pur respingendo, come abbiamo visto, i tarocchi di Etteilla come privi di valore simbolico, non ha tuttavia difficoltà ad ammettere, poco più innanzi, che il metodo divinatorio di Etteilla attribuiva diversi gruppi di carte rispettivamente al corpo, allo spirito o all’anima del consultante sulla base di «sottili considerazioni sulla creazione del mondo, la kabbala e la pietra filosofale…» (p. 337).

[19] Le livre d’images sans paroles (Mutus Liber), Librairie Emile-Nourry, Paris 1914.

[20] Cfr. le pp. 75 e 91 dell’ediz. it. Il Mistero delle cattedrali, trad. di Ferruccio Ledvinka, Mediterranee, Roma 1972.

[21] Citiamo dall’edizione italiana tradotta da Paolo Lucarelli: L’Alchimia: simbolismo ermetico e pratica filosofale, Mediterranee, Roma, vol. 2, pp. 80-81.

Un altro ritratto di Etteilla al suo tavolo di lavoro, opera molto più rozza, che costituisce probabilmente l’archetipo del ritratto del 1790. Tratto da Etteilla, ou la seule manière de tirer le cartes revue corrigée et augmentée par l’auteur sur son premier manuscrit, Amsterdam 1773.