Pagina on-Line dal 07/04/2012

 

NOTA INTRODUTTIVA.

 
La prima edizione di questa Practica Magistri Odomari ad discipulum, risale alla celebre raccolta di Guglielmo Gratarolo, Verae Alchemiae Artisque Metallicae (Basilea 1561, p. 249). Il testo venne poi incluso nel Theatrum Chemicum di Lazarus Zetner (Ursellis 1602) e, successivamente, nell’edizione del 1659  vol 3 p. 166.
Dell’autore si sa molto poco, e quel poco tramandatoci ha più il sapore dell’agiografia che della documentazione storica. Traduciamo quanto ne dice il Ferguson nella sua Bibliotheca Chemica vol. 2, p 152  ) :
«Ci sono due notizie su questo scrittore.
Una, la cui fonte più antica, per quanto ne so, è Lenglet Dufresnoy (Histoire de la philosophie Hermétique, 1742, I, p. 468, III, p. 36, 52) è che egli praticava l’Arte Ermetica nel 1330. Gmelin (Geschichte der Chemie, 1797, I, p. 59) lo chiama monaco, il che può essere giustificato dal fatto che egli si rivolgeva al suo discepolo come “frater Ludovicus”, dicendo, allo stesso tempo, di star violando tutte le regole dei Saggi nel rivelargli il segreto. Schmieder (Geschichte der Chemie, 1832, p. 185) decora queste spoglie asserzioni e dipinge il monaco nel suo convento a Parigi mentre lavora sodo all’alchimia a dispetto della bolla papale contro gli alchimisti. Egli lo descrive come un vero maestro che dichiara ciò che sa, ma che era più un lavorante che un autore, e cita la sua preparazione del sale comune.
Hoefer (Histoire de la chimie, 1842, I, p. 416; 1866, I, p. 441  ), seguendo la stessa linea, lo definisce un monaco che perseguiva l’alchimia a Parigi, all’incirca nella metà del 14° secolo, sotto il regno di Filippo di Valois. Egli cita i consigli che dà Odomarus di guardarsi dai fumi che sono soggetti a prodursi durante le operazioni alchemiche occludendo le narici con cotone bagnati in olio di violette, e riferisce il suo metodo di preparazione dell’acqua regia.
La seconda notizia viene data da Zedler (Universal-Lexicon, 1740, XXV, col. 507). Secondo questi Odomarus fu un “physicus” del XVII secolo che scrisse non solo la Practica, ma i sei o sette trattati seguenti nelle raccolte sopra citate….».
Ferguson continua notando che l’affermazione di Zedler pare eccessiva, e che il solo trattato che si può ragionevolmente attribuire al Magister Odomari, è proprio la Practica. Del resto, ci pare che l’inclusione del testo nella raccolta di Gratarolo smentisca in maniera rilevante le affermazioni dello Zedler, ed in particolar modo la sua collocazione dell’autore nel XVII secolo.
La seguente traduzione italiana, a firma C. P., della Practica Magistri Odomari, è apparsa sul n°8-9-10 del novembre-dicembre 1910 del Commentarium per le accademie ermetiche (S.P.H.C.I.) diretto da Giuliano Kremmerz. Abbiamo riportato anche le note del traduttore.

 

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PRACTICA MAGISTRI ODOMARI AD DISCIPULUM [1]

 

Tu penserai, o fratello Lodovico, che io mi schieri contro le tradizioni e i precetti di tutti i filosofi; ma poiché il mio cuore è acceso per te di santissimo amore, così io voglio affidare fedelmente a te, o carissimo fratello, il secreto che finora il padre nascose sempre al figlio.

Prendi un’oncia di purissima Luna purgata colla calcinazione da suo zolfo combustibile, e ponila in un recipiente di vetro con il doppio di aceto distillato mediante la distillazione dell’acqua-di-vita, e chiudi la bocca del recipiente affinché non emani esalazioni; poscia seppellisci il tutto in una stufa piena d’acqua e di strame in modo che l’acqua bolla per quasi un’ora.

Una volta che il contenuto sia sciolto, distillalo attraverso un filtro e dissecca il distillato; il disseccato calcinalo in un forno a riverbero, e, quando lo avrai calcinato discioglilo di nuovo nell’aceto ripetendo l’operazione di cui sopra per sei volte di seguito: finalmente calcina. Ciò che ottieni incorporalo per lungo tempo con due oncie di mercurio sublimato, facendo tutto con ogni precauzione. Dopo mettilo in un sistema d’aludelli [2] a fondo piano, a temperatura più alta di quella di fusione del rame, e lo vedrai tutto sublimare. Ripetuto ciò, macinalo finalmente, sublimalo sino a che si sia fissato e disciogli il fisso sei volte come prima. Infine calcina e sublima da capo con nuovo mercurio cristallino sublimato e altrettanto fissane; ripeti quindi questa serie di fissazioni e di volatilizzazioni per cinque volte, poiché oltre cinque volte non potrà calcinarsi bene né elevarsi; anzi rimarrà tutto in fondo in fermentazione e maturazione. Allora un’oncia di questa pietra cade sopra cento. Ma se ne disciogli un’oncia nello sterco di cavallo o a bagno maria, e la fai coagulare nella cenere tiepida, un’oncia ne cade sopra seimila. E se ripeterai di nuovo la dissoluzione e la coagulazione, una parte ne cadrà su d’un milione. Se allora dissolverai e coagulerai sino a tanto che la pietra non possa più venire coagulata con qualsiasi piccolo fuoco, non appena essa avrà sentito il sole o il fuoco – poiché il fuoco si è mutato in natura solare – una parte ne cadrà su infinite.

Se poi vuoi cambiare in rosso questa pietra, opera così: prendi del mercurio rubificato, fisso e in parte mutato in ispirito e aggiungilo all’elisir bianco: questo diventerà citrino e avrai la tua pietra rossa. In quanto al mercurio, egli si rubifica nell’acqua regia (lat. Acqua acuta) che si ricava da una libra di nitro, da una quarta parte di libbra di cinabro e da due oncie di allume iameno (lat. alumen iamenus); poi si fissi nella prima sublimazione di una grande ignizione, si sciolga quindi in acqua più rossa del sangue e lo si ponga per quaranta giorni nel fimo, a seccare nella ghiaia. Se si scalda un poco quest’acqua e se sopra cento libbre di essa vien gettata una libbra di elisir bianco, il tutto si cambierà in elisir rosso perfettissimo. Così avviene per il bianco se venga disciolto il bianco mercurio cristallino non fisso ecc.. Se questa pietra ha colore bianco produce Luna; se è rossa genera Sole, se verde, fa oro verde. E anche se la getterai sopra il vetro o il cristallo, ne renderai le nature secondo il suo colore. Presa in debito modo, espelle in breve tempo ogni infermità; cambia il vecchio in giovane gaudente; manda via i capelli canuti e li cangia in bellissima chioma.

Vi fu in Francia un cert’uomo che compose un olio rosso, in cui poneva delle sottili lamine di Luna che metteva per qualche ora a lento fuoco; poscia suggellava il vaso e vi poneva fuoco al di sopra: tutta quella luna con tutta la materia si tramutava in oro; ma non so da dove ricavasse quell’olio. È però da credersi che quella medicina fosse fatta con corpo, spiriti e anime fisse, rosse, e cambiate poi in olio per dissoluzione.

Abbi cura di turarti il naso con seta o garza trattata coll’olio di viole, per non essere danneggiato dai vapori alchimici velenosi.

E’ utile adoperare zedoaria [3], bacche d’alloro, pepe, aglio e vino contro le malattie prodotte dal vapore del mercurio o dagli altri spiriti alchimici.

Alberto, nel suo libro sui minerali, dice che gli operai che scavano i metalli, quando li bruciano, si turano la bocca e il naso con doppio e triplice filtro, per non essere danneggiati troppo dai vapori e per far si che questi vapori non possano nuocere allo stomaco.

 

C. P. trad.

 

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[1] Vari termini di antico latino non furono potuti tradurre per timore di travisamenti.

[2] L’Aludelli era un apparecchio che serviva per varie sublimazioni: si costruiva sovrapponendo l’un all’altro tre o quattro pezzi conici di argilla o tre o quattro vasi ordinari.

[3] La zedoaria è analoga alla curcuma: essa è costituita dal rizoma di certi zafferani. Questi rizomi hanno un sapore canforato e si usano nei catarri, nelle malattie della pelle; essi sono degli eccellenti stimolanti.