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Ultimo aggiornamento 30 /04/2012

Il frontespizio della prima edizione della Turba Gallica.

INTRODUZIONE ALLA TURBA DEI FILOSOFI O CODICE DELLA VERITA’ (Turba Gallica).

Com’è noto sono due i testi alchemici, tramandatici dalla tradizione, che recano il comune titolo di Turba Philosophorum. In quanto a genesi, epoca di composizione e provenienza si tratta di due testi diversi, che hanno, entrambi, conosciuto larga diffusione influenzando in notevole misura una consistente parte della letteratura alchemica successiva.
Il primo, più antico e pervenutoci in latino, è stato a più ripreso studiato da autori come Julius Ruska (1) – il primo ad identificare con certezza l’origine araba del testo – e Martin Plessner (2).

Per quanto riguarda la datazione del testo – che il Ruska aveva collocato in un ampio periodo tra il IX e l’XI secolo – si notò in seguito che passi evidentemente provenienti dalla Turba erano reperibili in un’opera dell’alchimista arabo Muhammad Ibn Umail, fiorito tra il 900 ed il 960. Dal momento che gli studi del Plessner avevano dimostrato l’unità compositiva del testo della Turba, che era dunque opera strutturata ed unitariamente concepita e composta, lo scritto arabo adava dunque ragionevolmente datato intorno al 900. In quel periodo fioriva nell’alto Egitto, ad Akhmin, l’antica Panopoli – città cristiana e di grande tradizione scientifica – lo scrittore Uthmàn ibn Suwaid, che sappiamo essere autore di un Libro delle dispute e delle riunioni dei filosofi che il Plessner ritiene non esser altro che l’archetipo della Turba.

La Turba Philosophorum latina è, in sostanza, l’esposizione delle dottrine presocratiche così come vennero recepite e rielaborate dalla cultura alchemica araba, e tradisce un autore colto e padrone della tradizione dossologica greca. La traduzione latina avvenne verosimilmente in ambiente toledano nel XIII secolo, e conobbe una larga tradizione manoscritta, probabilmente all’origine di alcune varianti che ritroviamo talvolta anche nelle versioni a stampa (alcune comprendenti 72 discorsi, altre 78). Per quanto concerne tali versioni a stampa, tralasciando l’elencazione delle diverse edizioni (la prima di cui abbiamo notizia è quella uscita sotto il titolo di Auriferae artis, quam chemiam vocant, antiquissimi authores, sive turba philosophorum, Basileae: apud Petrum Pernam, 1572) segnaliamo che il testo venne incluso in alcune tra le più note ed importanti raccolte di testi alchemici, dalle riedizioni in due volumi dell’Artis Auriferae quam chemiam vocant (1593 e 1610) al Theatrum Chemicum dello Zetner (tanto nell’edizione 1616-1622, che in quella 1659-1661 la Turba Philosophorum apre il quinto volume) fino alla Bibliotheca Chemica Curiosa del Manget (1702). Discreta diffusione ebbe pure l’edizione tedesca del testo, più volte ristampata nel corso del XVII e XVIII secolo (3).

Gli studiosi identificano, fondamentalmente, tre versioni a stampa:
Versione A – composta da 72 discorsi.
Versione C – composta da 78 discorsi, ma più sintetica della versione A.
Versione B – composta anch’essa da 78 discorsi, un po’ più breve della precedente, che coinvolge alcuni interventi dell’assemblea (la turba) non compresi nella altre due versioni.
Le tre versioni presentano precise differenze stilistiche e strutturali, su cui non è in questa sede il caso di soffermarsi.
Della versione A della Turba Philosophorum latina – dall’edizione del Theatrum Chemicum, confrontato col testo del Manget – esiste una traduzione italiana curata da Paolo Lucarelli (4).

Il frontespizio della editio princeps della Turba latina

Il secondo scritto che è per secoli circolato col titolo di Turba Philosophorum, quello di cui presentiamo in questa sede la prima traduzione italiana integrale, è un testo che ci è pervenuto in francese, ed è pertanto anche noto col nome di Turba Gallica (5); essendo deferentemente e ripetutamente citato in autori del calibro di Bernardo Trevisano, esso ha avuto una larghissima diffusione ed una altrettanto grande influenza. Evidentemente ispirato ed, in parte, derivato dalla Turba latina, il testo della Turba Gallica è stato in un primo momento oggetto dell’attenzione critica di Paulette Duval (6), che ne ha condotto una documentata edizione critica basandosi sul manoscritto 7147 della Bibliothèque Nationale, manoscritto di mano dello scienziato e cartografo Oronzio Fineo datato 1537: è questo l’unico esemplare del testo pervenutoci che sia antecedente alle due prime edizioni a stampa, rispettivamente datate 1618 (7) e 1672 (8). Successivamente il testo è stato analizzato, con strumenti critici e specialistici diversi, da Didier Kahn (9).

Per quanto riguarda la datazione, la Duval nota che tra i filosofi coinvolti nel dialogo figura Morieno, il protagonista del Testamentum Morieni, un testo che viene tradotto solo nel 1144 da Roberto di Chester e che segna in qualche modo la data di ingresso dell’alchimia araba nell’occidente latino. La prima redazione del testo, dunque, sarebbe, secondo la studiosa, abbastanza tarda, da collocarsi intorno alla seconda metà del XII secolo.
L’analisi linguistica della Duval approda alla conclusione di un’origine castigliana del testo, la cui genesi e composizione andrebbe quindi collocata in area spagnola. L’autore sarebbe un cristiano, essendovi più di una eco evangelica riconoscibile all’interno del testo; in particolar modo evidenti, tra gli altri, sono il riferimento escatologico dell’avvento di Dio alla fine dei tempi, della resurrezione dei morti e l’immagine della luna che diviene di sangue, tutti evidentemente mutuati dall’Apocalisse di Giovanni.
Per quanto riguarda l’origine geografica del testo, Duval propende per una provenienza toledana, basandosi su alcune considerazioni filologiche sul nome Beya (la figlia del Re che, nella Visione di Arisleo dovrà congiungersi col fratello Gabertin per rivivificarne le morte spoglie – Veya nella grafia adottata da Fineo) che, indipendentemente da ogni considerazione inerente la fondatezza di una tale ipotesi, ci pare qui opportuno riportare:

«… L’origine di Beya è araba e viene non da Baida, la Bianca, come vorrebbe Ruska, il che darebbe Beda o Beta, perché questa “d” preceduta da uno yod verrebbe pronunciata ts nel castellano del XII secolo, ma piuttosto da Badiya, al-Badiya, che diviene Baya o Beya e designa il deserto siriano; la parola Beya esiste tutt’oggi in castigliano a fianco del suo sinonimo el beduino, il beduino, l’uomo del deserto, mentre el Beya designa il deserto ad est del Nilo. Beya, dunque, non è la donna bianca, ma la sterile; è in virtù di un gioco di parole che ella è anche la bianca, ma in un contesto preciso: quello implicato dall’esistenza, a Toledo e nei paesi del nord della penisola sotto dominazione araba, dell’albaiat, che identificava un’imposta sulla terra bianca, quella messa a maggese che, seminata, produce per la prima volta. Nella visione di Arisleo c’è dunque un parallelo tra la terra del re del mare, che è sterile, e sua figlia, chiamata Beya, che va a partorire il suo proprio fratello, Gabertin…» (10).

La successiva e più severa analisi di Didier Kahn (che non esita a definire, nel citato saggio, foolish l’introduzione critica al testo prodotta dalla Duval) ignora completamente l’ipotesi dell’origine castigliana del testo, collocandone l’origine, sulla base della lingua francese utilizzata, nel XV secolo.

Senza entrare estesamente nei particolari della puntuale analisi comparativa del testo latino con quello francese operata da Kahn (per la Turba Gallica Kahn usa lo stesso manoscritto di Oronzio Fineo utilizzato dalla Duval, che costituisce probabilmente l’archetipo più corretto del testo), limitandoci sinteticamente ai risultati di questo attento studio, sappiamo oggi che la Turba Gallica, così come la conosciamo, è una derivazione diretta della Turba latina A, dalla quale prende direttamente poco meno del 50% del proprio contenuto. Circa un terzo del testo francese, invece, non sembra appartenere ad alcuna versione della Turba Philosophorum latina, mentre più o meno il 10% potrebbe o non potrebbe avere relazione con uno dei testi latini classificati. Al riguardo della Visio Arislei, l’analisi di Kahn identifica poi l’archetipo del testo (presente, con rilevanti differenze testuali, sia nella versione latina che in quella francese, ma, d’altro canto, spesso riscontrabile anche isolatamente nella tradizione manoscritta) con un breve testo allegorico latino, l’Epistola Rasis, che Kahn ipotizza di origine arabo-spagnola, da cui il redattore francese, date le evidenti e massicce differenze tra i due testi, non traduce fedelmente, ma il cui materiale usa piuttosto liberamente; a meno che, in alternativa, il testo francese non sia la traduzione da una versione latina assai corrotta che non conosciamo. Questo, del resto, nella Turba Gallica, apparirebbe essere il caso dell’intera parte derivata dal testo latino.

Kahn, dunque, in sintesi, ribadisce la diretta discendenza del testo francese da un archetipo latino, una versione probabilmente differente da quelle che conosciamo, spostandone in un’età decisamente più recente la data della prima redazione ed ignorando del tutto la possibilità di una sua origine castigliana.

Il cristiano responsabile dell’estensione della Turba gallica, nel portare in scena i filosofi greci come maestri e padri dell’Arte, esprime con chiarezza il suo punto di vista filosofico. Egli non esita infatti a dichiarare le sue inclinazioni neoplatoniche per bocca di Pitagora, il fondamento dei saggi maestri e capo dei profeti, il quale, nel testo, non si risparmia dal rimproverare il malcapitato Aristotele, che tratta come uno scolaretto:

«Come ardisci parlare, Aristotele? Tu non sei ancora progredito talmente da parlare con noi. Tu devi ascoltare. Nondimeno ciò che hai detto è vero. Ma taci ora, ascolta i maestri e Platone».

La Turba gallica ha già conosciuta una parziale traduzione italiana nel 1929, sulle pagine della rivista UR. Tale traduzione anonima è poi confluita nella nota Introduzione alla magia quale scienza dell’Io curata da Evola (11), che raccoglieva appunto il materiale uscito nella rivista. Si tratta di una traduzione in più di un punto inaffidabile ed approssimativa, basata sul testo della Turbe incluso nella ristampa della Bibliothèque des Philosophes Chimiques (1740-1754), che tralascia del tutto l’ultima parte dell’opera, l’Epistre de Arisleus, pure regolarmente riportata nell’edizione originale di riferimento. Talvolta, in nota, di questa traduzione abbiamo segnalato alcune delle più vistose inesattezze.

Per la presente edizione abbiamo usato come base il citato testo del Ms. 7147 edito da Paulette Duval, confrontandolo costantemente con la più tarda delle versioni a stampa, ovvero quella comparsa nel secondo volume della citata riedizione parigina del 1741 della Bibliothèque des Philosophes Chimiques. Per alcuni punti evidentemente difformi, siamo ricorsi all’ulteriore confronto con il testo della prima edizione a stampa del 1618. Laddove i diversi testi presi in considerazione presentano differenze rilevanti, in grado di modificarne sostanzialmente l’interpretazione, tali differenze sono state segnalate in nota. Abbiamo sciolto i simboli zodiacali, planetari ed alchemici usati nel 7147 nel loro relativo significato. Rarissimamente abbiamo aggiunto, tra parentesi quadra e in corsivo, delle brevissime interpolazioni necessarie alla comprensione di passaggi che nel testo originale risultano particolarmente involuti.


© Massimo Marra – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

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NOTE:


(1) Julius Ruska, Turba philosophorum: Ein Beitrag zur Geschichte der Alchemie, Berlin, J. Springer, 1931.

(2) M. Plessner, The Place of the Turba Philosophorum in the Development of AlchemyIsis, Vol. 45, No. 4 (Dec., 1954), pp. 331-338. M. Plessner, The Turba Philosophorum, a preliminary report on three Cambridge MSS, in Ambix vol. VII n°3, October 1959, pp. 159-163. M. Plessner, Vorsokratische Philosophie und griechische Alchemie in arabisch-lateinischer Uberlieferung: Studien zu Text und Inhalt der “Turba philosophorum”… ; nach dem Manuskript ediert von Felix Klein-Franke, Wiesbaden: F. Steiner, 1975, pubblicato postumo. I contributi di Ruska e di Plessner vengono efficacemente riassunti da John Holmyard, Alchemy (Penguin Books 1957, pp. 80 e segg., ed. italiana J. Holmyard, Storia dell’Alchimia¸ Sansoni, Firenze 1972, pp. 85-89).

(3) Una prima edizione di tale traduzione appare in Auriferæ artis; das ist, der Goldtkunst: die man Chemiam nennt. Uhrälteste Authores und Anfänger. Oder: Turba philosophorum. [Ex latino in germanicum idioma versum per M. Laurentium Ioha.] Zum andern, ein vortrefflicher Tractat… Rogeri Bachonis… von der warhafftigen Composition dess lapidis philosophorum theoricè et physicè gantz lustiglich beschrieben… 8° Franckfort am Mayn: durch Nicolaum Bassum 1597, poi Wolffgang Richtern 1608, collectanea attribuita abitualmente a Paulus Hildenbrandt von Hildenbrandseck (cfr. Ferguson, Bibliotheca Chemica vol. I, p. 405).

(4) Arisleo, La Turba dei filosofi seguita dal Discorso di un anonimo sulla Turba, introduzione, traduzione e commento di Paolo Lucarelli, Edizioni Mediterranee, Roma 1997.

(5) Il testo, sia nella tradizione a stampa che in gran parte di quella manoscritta, reca il titolo di Turba philosophorum ou code de verité en l’art, e viene spesso citato, negli scritti successivi, anche col solo titolo di Code de Verité.

(6) Paulette Duval, La Turba Philosophorum Gallica. Édition de la version française de la Turba Philosophorum, d’après le manuscrit de la Bibliothèque Nationale, avec un commentaire. In Les Cahier de Fontenay n°33, «Alchimie, mystique & traditions populaires», décembre 1983, pp. 9-67.

(7) Trois traitez de la philosophie naturelle, non encore imprimes; sçavoir, la Turbe des philosophes, qui est appelee Le code de verité en l’art autre que la latine, plus, La parole delaissee de Bernard Trevisan, et un petit traicté, tres-ancien, intitulé, Les douze porte d’alchymie, autres que celles de Ripla, Paris, par Iean Sara 1618.

(8) Divers traitez de la philosophie naturelle: Sçavoir, la Turbe des philosophes, ou le code de verité en l’art. La parole delaissée de Bernard Trevisan. Les deux traitez de Corneille Drebel flaman … Avec le tres-ancien duel des chevaliers, Paris: J. d’Houry, 1672.

(9) Didier Kahn, The Turba philosophorum and its French version (15 th C.), in Chymia: Science and Nature in Medieval and Early Modern Europe, edited by Miguel López Pérez. Didier Kahn and Mar Rey Bueno, Cambridge Sholars Publishing, 2010, pp. 70 – 114.

(10) Paulette Duval, La Turba Philosophorum cit. p. 13.

(11) Nell’edizione Bocca del 1955, poi ristampata nel 1987 per i Fratelli Melita, la traduzione si trova alle pp. 276-311 del secondo volume.

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La “turba dei filosofi” raffigurata in un’illustrazione dell’edizione della Turba latina del 1572, poi ripresa in edizioni successive.

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TURBA PHILOSOPHORUM
(Turba Gallica o Codice della Verità)

Traduzione e note di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.


Segue la Turba dei filosofi, i quali hanno composto questo libro presente chiamato il Codice della verità nell’arte dell’alchimia. Nel quale libro Pitagora ha riunito le parole dei suoi più saggi discepoli e di Arisleo.
Chiunque leggerà questo libro e ne trarrà qualche comprensione, o avrà precedentemente un po’ lavorato o studiato in quest’arte, sarà gran meraviglia se non perverrà a questo nobile fine. Il cominciamento dunque di questo codice è Arisleo Greco, discepolo di Pitagora, il quale era discepolo di Hermes.

ARISLEUS.
Io vi dico che il mio maestro Pitagora è il fondamento dei saggi maestri ed il capo dei profeti, e che egli ha avuto da Dio tanti doni, e tanta saggezza quanti a nessun altro (dopo Hermes) furono mai dati. Dunque i suoi discepoli, che vennero inviati per tutte le regioni ai principi, furono riuniti per trattare quest’arte preziosa, affinché le loro parole fossero radice e fondamento per tutti gli altri a venire. Ed il detto Pitagora comandò ad Ismindrius (che era di ottimo consiglio) che parlasse per primo. Ed egli disse:

ISMINDRIUS
Per tutte le cose vi è un inizio ed una natura: la quale è a sé stessa sufficiente (senza aiuto d’altro) per moltiplicarsi senza fine; diversamente tutto sarebbe corrotto e perduto.

TURBA
Maestro, se tu cominci, noi seguiremo le tue parole.

PITAGORA
Sappiate, voi che cercate quest’arte, che mai si farà tintura senza la nostra pietra rossa. Perché non distruggiate né le vostre anime, né i vostri beni, io vi affermo che ciò è vero. Ed apprendete questo da me come da maestro, che se non volgerete questa pietra rossa in bianco, e non la farete di nuovo rossa, facendo così tintura di tintura, voi non farete nulla. Cuocete dunque questa pietra, arrossatela, privatela della nerezza cuocendola e lavandola fino a che non sia bianca, e poi la rivolgerete o dirigerete come si deve.

ARISLEUS.
La chiave di quest’opera è l’arte di imbiancare. Prendete dunque il corpo che vi ho mostrato e che il nostro maestro vi ha detto, fatene piccole tavolette e mettetela nell’acqua del nostro bagno (1), la quale è acqua permanente dalla quale il nostro corpo è governato. Poi mettete tutto a fuoco leggero fino a che le tavolette siano rotte e siano fatte acqua. Mescolate e cuocete continuamente in fuoco leggero fino a che non se ne faccia una brodaglia putrefatta, e cuocetela e rivolgetela nella sua acqua fino a che sia congelata e sia varia agli occhi come fiori, i quali chiamiamo fiori del sole. Cuocetela fino a che non vi sia più niente di nero ed appaia la bianchezza. Poi la governerete e cuocerete con la gomma dell’oro e mescolerete tutto col fuoco senza toccarla fino a quando tutto sia divenuto rosso. Abbiate pazienza e non irritatevi. Abbeveratela della sua acqua, che da lei stessa è sortita ed è acqua permanente, fino a che non sia fatta rossa. Ciò che avrete è bronzo bruciato, che è lievito dell’oro, il quale digerirete nell’acqua permanente che è sempre con lui, e digeritelo finché non sia disseccato. Fate ciò continuamente fino a che non vi sia più acqua e tutto sia trasformato in sottilissima polvere.

PARMENIDE
Sappiate che gli invidiosi hanno parlato in molte maniere delle acque, delle brodaglie, delle pietre e dei metalli al fine di ingannare tutti voi che cercate questa scienza segreta. Lasciate tutto ciò e fate il bianco rosso, e dal rosso il bianco. Considerate anzitutto cosa siano il piombo e lo stagno, e che l’uno agisce sull’altro. E sappiate che se voi non prendete le nature e congiungete i consanguinei con i consanguinei, non farete nulla. Difatti le nature si incontrano e si inseguono le une con le altre, e si imputridiscono e si generano, poiché natura è governata da natura, che la rompe, la riduce in polvere, la fa diventare niente e poi la rinnova e la rigenera. Studiate molte volte i libri, affinché sappiate la verità: chi imputridisce, chi rigenera, quali cose siano, come si amino l’un l’altra, come, dopo l’amore, gli sovvengano inimicizia e corruzione, e come si abbraccino insieme fino a che non siano fatti uno. Dunque, conosciute queste cose, mettete mano a quest’arte. Diversamente, se ignorate queste cose non dovrete affatto avvicinarvi a quest’opera divina, perché tutto il resto non è che sfortuna, disperazione e tristezza.
Guardate dunque alle parole dei saggi, come essi in queste parole abbiano racchiuso tutta l’opera dicendo: natura gode di natura, natura domina natura e natura contiene natura. In queste parole si compie l’opera. Lasciate perciò tante cose superflue, prendete l’acqua viva e congelatela nel suo corpo e nel suo zolfo che non brucia. Fate bianca la natura, e così tutto diverrà bianco. E se cuocerete ancora di più, essa si farà rossa, in colore di sangue, e ciò è segno che Dio ha fatto tutto il suo tempo e viene per glorificare i buoni: è l’ultimo segno del suo avvento. Ma prima di quest’ora il sole perderà la sua luce e sarà oscuro. E la luna ricoprirà l’ufficio del sole, e poi verosimilmente la luna si oscurerà e si volgerà in sangue, e tutto il mare e tutta la terra si spaccheranno, e dai sepolcri si leveranno i corpi che erano morti e saranno glorificati, ed avranno un volto glorioso, mille volte più lucente del sole. E sarà il corpo, ed anche l’anima e lo spirito glorificati, a rendere grazie a Dio che, dopo tanti tormenti, essi siano pervenuti a tale bontà e perfezione da non poter mai più essere corrotti né separati.
Se non mi comprendete, non arriverete mai a studiare, perché siete fuori dal novero dei saggi. Io non saprei parlare più chiaramente. Se non mi intendete la prima volta, ristudiate la seconda, la terza e la quarta, o tante volte quante vi possano far intendere, poiché tutto, in questa allegoria, dall’inizio alla fine, è esposto al meglio che un uomo possa fare. Rompetevi dunque il capo ad intenderla.

LUCAS
Sappiate che il corpo e lo spirito si aiutano l’un l’altro. Dapprima lo spirito rompe il corpo, affinché possa poi aiutarlo, e, quando il corpo è morto, lo abbevera col suo stesso latte; notate che lo spirito non fugge e si tiene sempre stretto al suo corpo: se l’uno fugge il fuoco, l’altro lo sopporta bene, e quando sono congiunti insieme entrambi tollerano bene il fuoco. Sappiate che una parte di corpo sopravanza dieci di spirito e le conforta. E sappiate anche che il nostro zolfo brucia tutto, e lui stesso si genera da sé dall’inizio fino alla fine, aiutandosi secondo natura.

VICARIUS
Sappiate che nulla si genera senza fuoco. Mettete il vostro composto nel suo vaso e fate dappertutto fuoco temperato; e guardatevi dal forte fuoco, perché essi [lo spirito ed il corpo] non avrebbero alcun movimento l’uno rispetto all’altro. Fate che il fuoco sia lento, perché se lo farete più forte del dovuto, il composto sarà anzitempo rosso, e noi anzitutto vogliamo il nero, e dopo il bianco e poi il rosso. Natura non lavora che per gradi ed alterazioni. Se avete intendimento, io vi ho descritto l’arte a sufficienza, poiché non dovrete lavorare su cose diverse all’infuori di una, la quale si altera di grado in grado fino alla sua perfezione.

PITAGORA
Diremo ancora altre cose, che non sono diverse, anche se i nomi sono differenti. Sappiamo che la cosa che intendiamo e di cui parlano i filosofi in tante diverse maniere, segue il suo compagno senza fuoco, come la calamita attira il ferro. E quando questa cosa lo abbraccia fa apparire molti colori. Essa si trova dappertutto, ed è pietra e non pietra, cosa cara ed anche vile, chiara, preziosa, oscura, conosciuta da tutti, e non ha che un nome anche se ne ha molti. È lo sputo della luna (2).
Squartate dunque la gallina nera (3) ed abbeveratela di latte, dandogli gomma da mangiare affinché guarisca, mantenete il sangue dentro al suo ventre e nutritela di latte fino a che non perda e muti le piume nere, cadano le ali e non voli più. Allora la vedrete bella, ed avrà piume bianche rilucenti. Datele dunque da mangiare zafferano e ruggine di ferro, e poi datele a bere sangue. Nutritela così per lungo tempo, e poi lasciatela andare, poiché non vi è veleno che gli possa nuocere e che essa non vinca. Essa guarda il sole dritto negli occhi senza abbassare lo sguardo.

ACSUBOFFE
Maestro, tu hai detto senza invidia ciò che abbisognava. Dio voglia remunerarti.

PITAGORA
E Tu, Acsuboffe, dicci cosa te ne sembra.

ACSUBOFFE
Sappiate che lo zolfo contiene zolfo ed un’umidità contiene l’altra.

TURBA
Tutto qui? Non dici nulla di nuovo.

ACSUBOFFE
L’umidità è un veleno il quale, quando penetra i corpi, li colora di un colore invariabile. Quando l’uno fugge l’altro segue, ma quando l’uno attecchisce anche l’altro non fugge più, perché questa natura ha preso la sua pari come nemico, e si sono uccise l’un l’altra (4).
Vedrete qui come fare, ecco il regime: conservatela (5) in urina di fanciullo ed acqua di mare ed acqua pulita permanente prima che sia tinta: cuocetela a piccolo fuoco fino a che non appaia la nerezza, perché allora sarete certi che il corpo sia disciolto ed imputridito. Cuocetela poi col suo umore fino a che non abbia vestito una veste rossa, e cuocete sempre di più, fino a che non vi vedrete il colore serpentino che volete.

SICTIS
Sappiate tutti, o voi investigatori di quest’arte, che il suo fondamento, per il quale tutti naufragano, non è che una cosa, la quale è stimata presso i saggi come la più alta che vi sia in natura, ma che per i folli è la più vile di tutte le cose. Che dunque siate maledetti, voi che siete folli. Vi giuro che se i re la conoscessero, mai nessuno potrebbe più pervenirvi.

PITAGORA
Nominala.

SICTIS
È aceto acidissimo, il quale porta il corpo ad essere netto, bianco, rosso e di tutti i colori, e converte il corpo in spirito. Sappiate che se voi mettete il corpo sul fuoco senza aceto, esso si brucia e corrompe. Sappiate anche che la prima umidità è fredda; all’inizio custodite perciò il fuoco, che è nemico della freddezza. Se la cuocerete bene togliendogli la sua nerezza, essa diverrà pietra marmifera di meravigliosa bianchezza; perché tutto l’intento ed il cominciamento dell’opera consistono nella bianchezza, dopo la quale viene la rossezza che è la perfezione dell’opera.
Vi giuro per il mio Dio che ho lungamente investigato nei libri per pervenire a questa scienza, ed ho pregato Dio che me la insegnasse. E quando Dio mi ebbe udito, mi mostrò un’acqua netta che io riconobbi essere aceto; e dopo, quanto più leggevo i libri, tanto più li intendevo.

SOCRATE
Sappiate che la nostra opera è fatta di maschio e di femmina. Cuocetela fino al nero, poi fino al bianco. Cuocetela tutta per 150 giorni, e vi dico che il regime, posto che riconosciate le materie, non è altro che opera da vecchi e gioco da bambini. Ma i filosofi hanno descritto tanti regimi per farvi errare. Intendete dunque tutto secondo natura ed il suo regime, e credetemi senza tanto ricercare di cose: io non vi comando che di cuocere. Cuocete all’inizio, cuocete nel mezzo, cuocete alla fine, e non fate altra cosa, perché natura si porterà bene a compimento.

ZYMON
Sappiate che l’anno è diviso in quattro parti. L’inverno è di complessione fredda, piovosa ed acquatica. La primavera è un po’ calda. La terza parte è assai calda, ed è l’estate. La quarta, che si chiama autunno, è assai secca, e vi si colgono i frutti perché allora sono maturi. In questa maniera, e non in altra, governerete le vostre nature. Se farete il contrario non biasimate che voi stessi, non noi.

TURBA
Tu parli bene, dicci ancora qualcosa.

ZYMON
È stato detto abbastanza.

PLATONE
La nostra gomma coagula il nostro latte, ed il nostro latte discioglie la nostra gomma; essi crescono nella pietra di paradiso che è il legno di vita, nel quale vi sono insieme i due contrari, ossia il fuoco e l’acqua. Il primo vivifica la seconda, e questo e quella sono sempre congiunti insieme. Ne risulta rossezza orientale, e rossezza di sangue. Il nostro uomo è vecchio ed il nostro dragone è giovane, e mangia la testa con la sua coda, e testa e coda sono anima e spirito, ed anima e spirito sono fatti di luto; ed uno è da oriente, ovvero il bambino, ed il vecchio da occidente. I corvi volano per aria e, al tempo d’agosto, mutano le loro piume in un cavo di quercia, ed hanno piume nuove (6) che gli cadono quando mangiano serpenti, e la testa gli diviene rossa come papavero. È la fontana del torrente: essa scorre in due vene, il cui inizio è un solo canale; l’una vena è salata, l’altra è dolce. Il corvo si purga ed essa [fontana] lo pulisce. Ed esso dirà: «Ciò che mi ha pulito mi farà rosso, altrimenti lo ucciderò e me ne volerò via». Chi ha visto ciò ne può parlare, ma chi non l’ha visto non lo può credere.
Svegliate la bestia selvaggia, mettetegli vicino degli uccelli domestici che la prendano e le impediscano di volare. E quando essa è presa, si dia da mangiare agli uccelli, per la loro fatica, il fegato, e gli si dia da bere il sangue per presto ubriacarli (7). Ed al cavallo che cavalcate, fate una coperta bianca; ed il cavallo è un forte leone coperto d’una paglia (8) e sopra l’uno e l’altro c’è il nostro grifone (9). Questa cosa nella sua sostanza ha tre angoli, ne ha quattro nella sua virtù, due nella sua materia ed uno nella sua radice. Io sono passato per molte vie, sempre col mio cane al seguito. Un lupo viene da oriente, ed io e il mio cane da occidente; esso mi morse, e quello morse questo, e tutti e due divenuti rabbiosi si combatterono l’un l’altro fino a che di essi si fece un gran veleno, e poi una teriaca.
Questa è la pietra nascosta tanto agli uomini e alle donne che ai demoni. Io ho esposto tutto ciò che gli altri avevano nascosto, e ve l’ho detto.

TEOFILO.
Hai parlato assai oscuramente.

PLATONE.
Chiarisci quanto ho detto.

TEOFILO.
Sappiano tutti i figli della dottrina che il segreto di tutto è una copertura tenebrosa, della quale i filosofi hanno tante volte parlato. E questa veste e copertura si fa così: fate del vostro corpo tavolette sottili e cuocetele col loro veleno a sette ed a due, ed è tutto. Cuocetele in quest’acqua per 40 giorni e ritirate il vostro vaso. Troverete la veste che domandate. Lavatela cuocendo, fin quando non abbia più nerezze, e congelatela. Perché quando essa è congelata, è un gran segreto, e si fa pietra che è chiamata dozzina (10). Ma, anzi tutto, dopo che è putrefatta, gettatevi sopra un po’ di sale bianco, per seccarla e perché non puzzi, ed allora troverete ciò che vi ho detto. Cuocetela fino a che vedrete i diversi colori apparire (11).

LA TURBA.
Tu hai parlato benissimo.

NOCIUS.
Io volevo dire qualcosa. Nell’uomo vi sono due digestioni. La prima si compie nel suo stomaco, ed è bianca; la seconda si compie nel fegato, ed è rossa. Infatti quando mi levo al mattino e vedo la mia urina bianca, io mi rimetto a coricare ancora per tre o quattro ore, e quando riguardo la mia urina intorno a mezzogiorno, essa è rossa come sangue perché è assai cotta. La prima non era cotta che tre ore, e per questo era ancora bianca e cruda; ma quattro ore dopo essa è cotta molto bene e sanguigna. Vi ho detto ciò che ho fatto; chi ha orecchie ascolti e le apra, e chi ha bocca la tenga chiusa.

VELLEUS.
Hai parlato bene e senza invidia. Dio ti sia d’aiuto, e conceda grazia ai discepoli per udirti ed intenderti. Se mai un filosofo ne avesse parlato di più, la gente non avrebbe errato come invece fa. Perché non vi è altra cosa che li faccia errare quanto le tante parole ed i diversi nomi. Dico dunque che tutti i metalli sono imperfetti mentre sono nella nerezza. E perciò il piombo non è perfetto, perché è nero; ma ciò che gli toglie la nerezza lo porta dentro di sé, e perciò non ti occorrerà cercare oltre (12). Sbiancate il piombo, togliete la rossezza dal lattone ed arrossate la luna, ed è tutto. Ma con ciò intendete che il nostro piombo è un metallo non volgare, che viene anzi dalla nostra miniera, e così l’argento e tutto il nostro composto.

BOCOSTUS.
Tu hai ben parlato per coloro che verranno, ed io voglio aiutarti. Sappiate, voi che cercate quest’arte preziosa, che, se non togliete lo spirito dal corpo morto e lo nascondete in un altro spirito, e se di tutti e due non fate un’anima, non concluderete nulla. Uccidete dunque il corpo e putrefatelo, estraetene lo spirito bianco e l’anima lo glorificherà. E sappiate che lo spirito non viene dal corpo, ma viene dallo spirito, e l’acqua viene da entrambi. Il corpo è spirito, ma lo spirito non è corpo: l’uno ha l’altro, ma l’altro non lo tiene. E fate bene attenzione a ciò, perché altrimenti non concluderete nulla.

MELOTUS.
Bisogna putrefarlo tutto per XL giorni, e poi sublimarlo cinque volte nel suo vaso, e daccapo putrefarlo e conservare. Allora, sappiate che esso tinge tutto ciò in cui entra, ed infinitamente. Voi lo udirete dire spesso, ma nessuno lo crede se Dio non lo vuole. Ed è così per giusta ragione.

GREGORIUS.
La nostra pietra è chiamata effunderrmur [sic], e non è altro che uccidere il vivo e vivificare il morto; e vivificando il morto tu uccidi il vivo ed uccidendo il vivo tu vivifichi il morto. E sappiate che è un tutt’uno, e nulla vi è di estraneo, poiché lui stesso si uccide, e lui stesso si vivifica.

VICARIUS.
Tra voi parlate molto chiaramente.

VELLEUS.
Tu sei assai invidioso.

VICARIUS.
La prima volta che parlerò dirò peso, regime, colori e tempi, ed i luoghi del nostro veleno. Tra voi ciascuno ha parlato ha suo piacimento, ed io ho già detto la mia parte.

BONELLUS.
Prendete il carsuffle (13) regale che è rosso, e dategli dell’urina di vitello fino a che la sua natura ne sia convertita. Perché natura converte natura e la trasmuta. E la natura è nascosta nel ventre del carsuffle. Nutritelo fino a quando essa sia di età matura e possa andare da sola.

BRIEMBLIUS.
Prendete la materia che ciascuno conosce, e privatela della sua nerezza, poi, a suo tempo, ne farete uscire il suo fuoco (14), perché essa lo può già sopportare; verranno colori diversi. Il primo giorno zafferano, il secondo come ruggine, il terzo come semi di papavero (15), il quarto come sangue veementemente bruciato. Allora, quando è così, il corpo è spirituale, e tinge e purifica tutti gli imperfetti. Avete così tutto il segreto.

ARISLEUS.
La pietra è una madre che concepisce il figlio, che lo uccide e lo mette nel suo ventre. Allora egli è più perfetto di quanto non fosse in precedenza, e si nutre all’interno. In seguito uccide sua madre, la mette nel suo ventre e la nutre, ed il figlio diviene così il persecutore della propria madre; essi triboleranno molto tempo insieme, ed è uno dei più gran miracoli che si siano potuti udire, ed è vero. La madre genera il figlio ed il figlio genera la madre e la uccide.

TURBA.
La nostra pietra è fatta solamente da due cose. Gli invidiosi tuttavia dicono che non ve n’è che una solamente, perché la radice non è che una, a causa del fatto che è tutta una sola materia. Gli altri invidiosi dicono che vi sono quattro cose perché vi sono quattro qualità: freddo, calco, secco ed umido: ma esse si trovano in due cose, che si producono alla fine.

PITAGORA.
Voi, figli, parlate bene, e non siete per nulla invidiosi.

TURBA.
Noi parleremmo ben più chiaramente, ma voi avete comandato di non parlare troppo chiaro, perché altrimenti i folli conoscerebbero questa scienza bene quanto i saggi.

PITAGORA.
Se voi parlaste troppo chiaramente, non vorrei certo che le vostre parole fossero scritte in qualche libro. Ma vi comando anche di non essere troppo oscuri.

BALCUS.
Vi dico che la madre porta il lutto di suo figlio, ed il figlio porta la sanguigna veste di gioia per la morte di sua madre; e così essi si ricompensano l’un l’altra. La madre nondimeno è sempre più pietosa verso il figlio di quanto il figlio non lo sia verso la madre.

SISTICOS.
Se voi non togliete il fuoco rinserrato dentro il corpo e lo congiungete con l’acqua, non farete nulla. Perciò vi comando che voi laviate la vostra materia col fuoco e la cuociate con l’acqua, perché la nostra acqua la cuoce e la brucia, ed il nostro fuoco la lava e la spoglia. Intendete le mie parole e non abbiate in testa troppe fantasie, immaginando tante cose. Sappiate che dal nulla non si genera nulla, e che ciascuno produce il suo simile. E, per quanto facciate, non troverete ciò che cercate in nessuna cosa, se già non v’era precedentemente.

BONELLUS.
Sappiate che la nostra acqua non è acqua volgare ma un’acqua permanente la quale non cessa mai di cercare il suo compagno. E quando lo trova lo prende immediatamente, ed entrambi divengono una sola cosa. Lei perfeziona lui e lui perfeziona lei senza aggiunta di altro, e tutto diviene acqua, che in un primo momento è coperta di nerezza. Quando la vedete nera, sappiate che la nerezza non dura che XL giorni o XLII al massimo. Dopo la vedrete bianca e spessa, e ciò è segno che il fisso comincia ad avere il comando ed a dominare sull’umidità, che il secco beve il freddo ed il caldo lo congela da sé.

SISTICOS.
Voi che cercate quest’arte, ve ne prego, lasciate tanti nomi oscuri, poiché la nostra natura è una soltanto, ovvero l’acqua. Quando pure un cieco guidi l’altro, tutti e due cadranno nella fossa. Voi stessi potete far tutto, poiché è la natura a portare tutto a termine. Cuocete la pece, cuocete il latte, cuocete il fiore del sale, cuocete il marmo, cuocete lo stagno, cuocete l’argento, cuocete il bronzo, cuocete il ferro, cuocete il sole, ed allora avrete tutto. Vedete che non vi comando che di cuocere, poiché il fuoco lento è tutto.

EPHISTUS.
Sappiate che il fuoco leggero è causa di perfezione ed il contrario è sempre causa di corruzione. Cuocete dunque la materia, al principio, a fuoco lento, fino a che non possa tollerare un fuoco forte. Perché, se farete un fuoco forte, essa non si scioglierà e non si congelerà mai. Infatti il corpo non può cuocere l’acqua con tutte le sue parti, né il fuoco che è racchiuso dentro il corpo, se il corpo non è sciolto e lo spirito non è risvegliato.

MORIENUS.
L’acqua tiene l’acqua (16), ed un umore l’altro, ed uno zolfo l’altro. Ed il Bianco sbianchisce a poco a poco il rosso; così parimenti, poco a poco il rosso arrossa il bianco, l’uno fa voltile l’altro e poi l’altro lo fissa. Infine tutto si fissa in uno, in una sostanza intermedia più perfetta di quanto lo fossero separatamente sia l’una che l’altra. Intendetemi e lasciate queste erbe, pietre, metalli e queste specie estranee. Pregate Dio con tutto il tuo cuore che vi renda del novero dei nostri.

BASENUS.
Non potrete pervenire al vostro fine senza umiltà (17), senza pazienza e senza avere il cuore di attendere, perché chiunque non avrà pazienza non entrerà in quest’arte. Come credete di intendere la nostra materia la prima volta, la seconda o la terza? Leggete dunque tutto tante volte fin quando non avrete più alcun dubbio e fino a farvi un concetto della cosa. Ed abbiate questo libro come una lucerna innanzi agli occhi, e la pazienza di attendere. Ho visto ai miei tempi un grande filosofo che conosceva tutta l’arte altrettanto bene che me od ognuno di noi, ma per la sua impazienza e l’eccessiva frettolosità e cupidigia (o per la giustizia di Dio, come io credo), per colpa della forza del fuoco perse tutto e non poté giungere a ciò che desiderava.
Perciò il nostro maestro Pitagora dice che chiunque leggerà il nostro libro e vi presterà attenzione, non avrà mai vani pensieri per la testa e pregherà Dio, regnerà e comanderà su tutto il mondo. Perché mai, visto che cercate un tal grande segreto, non volete sopportarne le pene? Non vedete che un uomo uccide l’altro, e sovente sé stesso, per il denaro? Che dovreste dunque fare e qual pena dovreste soffrire per possedere questa scienza che è di tanto grande profitto? Quando piantate o seminate, non attendete forse i frutti fino al tempo in cui essi sono maturi? Come dunque potete pensare di avere il frutto di quest’arte in poco tempo? Io vi dico, affinché non abbiate a lagnarvi di noi, che ogni frettolosità viene dalla parte del diavolo, che tenta di sviare gli uomini dai loro buoni propositi. Siate costanti e credete ai vostri maestri così come noi crediamo al nostro. Per aver creduto e col sapere noi abbiamo ottenuto profitto; similmente, se ci crederete, anche voi ne trarrete profitto.

VELLEUS.
Avete ben parlato e consolato i discepoli. Ma io vi dico che Dio ha creato tutto il mondo di quattro elementi, ed il sole ne è maestro e signore. Ma non se ne vedono che due solamente, ossia la terra e l’acqua, e vi è un’aria racchiusa nell’acqua ed un’altra nell’altro elemento; il fuoco è racchiuso nell’acqua, l’acqua nella terra, e l’aria è estratta dal fuoco che tiene la terra nell’aria, e la terra tiene l’acqua ed il fuoco sopra l’aria. La terra e il fuoco sono amici, e pure l’acqua e l’aria. Il fuoco è amico dell’acqua per mezzo dell’aria; e l’aria è amica della terra per mezzo dell’acqua; e l’acqua tiene l’aria al di sopra ed al di sotto, la terra tiene l’aria e così l’aria tiene la terra. Il fuoco è trattenuto nella terra, l’aria lo apre e lo racchiude nell’acqua, e l’acqua lo apre per mezzo dell’aria e lo mette nell’aria che è racchiusa nella terra attraverso il fuoco, che vi è anch’esso racchiuso. Colui che intende le mie parole è benedetto, perché nessun uomo parla più chiaramente. Queste sono le parole del nostro maestro Pitagora.

AZARUS.
Quando Dio fece il mondo, lo fece tutto rotondo, perché contenesse di più. Ed il padre di tutto è figlio di suo zio, e suo zio è figlio di questo padre; il figlio è fratello dello zio, ed il padre è sua sorella; il figlio è padre dello zio, e lo zio è figlio del padre, ed il padre è figlio a suo zio che è suo figlio. Chi non l’intende non lo crede. Sua sorella è padre del figlio, ed il padre è prozio (18) della sorella che è padre del figlio. Il figlio è la madre del prozio della sorella, che è suo padre, suo figlio, suo zio, sua sorella, sua madre e sua figlia. Intendeteci, noi due che bene parliamo. Dio ha voluto che così parlassimo per la sua giustizia ed il suo giudizio.

VICARIUS.
Voi parlate assai oscuramente, e troppo. Ma io voglio chiarire tutta la materia senza fare uso di parole tanto oscure. Dunque, congelate l’argento vivo di molte cose. Fate del due tre, e del tre uno. Uno con tre è quattro, quattro, tre, due, uno. Da quattro a tre c’è uno, da tre a quattro c’è uno. Uno dunque ed uno, tre e quattro. Da tre ad uno c’è due, da due a tre uno, e da tre a due uno. Uno più uno, dunque due, e tre uno e uno due, e due e due a uno uno, da uno a due uno: uno dunque, due uno. Vi ho detto tutto.

SURUS.
Siete troppo invidiosi. Sappiate che il bambino è generato da uomo e da donna. E se i due spermi non sono congiunti insieme, voi non otterrete nulla. Ma quando lo sperma della donna viene alla portata della matrice e vede lo sperma dell’uomo, essi si congiungono insieme; e l’uno è caldo e secco, l’altro è freddo ed umido. Non appena essi sono entrati, subito si mescolano. Natura governa per la volontà di Dio, serra la porta della matrice ed entra all’interno di una pellicola che è all’interno della matrice, e che è una delle sue cellette. La porta della detta matrice e quella celletta si chiudono così fermamente, che la femmina non ha più suoi fiori (19), nulla ne fuoriesce, ed il calore naturale si tiene intorno a questa celletta nella matrice, digerendo insieme i due spermi. E lo sperma dell’uomo non fa altro che attirare e maturare o digerire tutto quello della femmina. Ed allora la sostanza dei fiori che le donne emettono aumenta poco a poco gli spermi, li nutre e li accresce, convertendosi per opera dello sperma dell’uomo e del calore naturale con l’aiuto del detto composto; si cuoce e si digerisce, si assottiglia e purifica fino a che lo spirito, nella composizione, non si muova. Nei primi quaranta giorni si muove, gli altri giorni si fa latte e poi si converte dapprima in sangue, poi nei membri principali e nella formazione del cuore, del fegato e degli altri organi. Ed allora i fiori delle donne, che solevano essere sporchi, neri, sanguigni e putrefatti, si sbiancano per decozione e sono portati sbiancati alle mammelle, da cui in seguito si nutre il bambino, allattando fino a che non sia grande. Allora gli si dà da bere e da mangiare ogni vivanda, ed egli cresce, fortifica le ossa ed i nervi, le vene ed il sangue.
Lo stesso avviene nel nostro lavoro, per chi bene lo intenda. Sappiate che per quanto noi diciamo in diversi luoghi: «mettete questo, mettete quello», tuttavia non intendiamo si faccia che per una sola volta, talché, quando tutto vi sia messo, non si debba che tener chiuso fino alla fine. Talvolta tuttavia noi diciamo: «aprite e mettete»; facciamo tutto ciò per indurre in errore. Ma i saggi che intendono le nostre parole conoscono bene la nostra intenzione, e come la natura si governi. Perché altro non facciamo all’infuori che amministrare secondo natura la materia di modo che essa possa operare da sola secondo la sua intenzione, come potete vedere in ogni generazione. Anzitutto, quando vogliamo fare un albero, noi seminiamo il suo seme perfetto, quello che proviene da lui o da suo simile; perché ciascun seme produce frutto simile a quello da cui è venuto ed stato prodotto. Poi, una volta seminato, lo lasciamo in terra, ed allora esso imputridisce germogliando un germe bianco che la terra nutre; ciò avviene grazie alla virtù attiva che è all’interno del seme imputridito. E tanto esso cresce ed aumenta che arriva a formare un albero tale quale quello da cui è uscito. Ed allora da quest’albero viene un altro seme, che daccapo ha il potere di moltiplicarsi infintamente. Così noi non facciamo che dare la materia, ed è la natura che la porta a compimento.
Item, se una donna va con più e diversi uomini, essa non concepisce mai. E se per avventura essa concepisse, darebbe un bambino imperfetto o morto, perché mescolando cose crude con cose cotte si avrebbe una cattiva digestione.
Perciò non vi ci vuol altro che i due spermi, che sono due acque con una radice. Cuoceteli, perché essi si alterano per decozione, provvisto che li aiutiate nel modo e nelle maniera in cui si deve fino alla fine. Fate dunque così, e lasciate stare tante parole; guardate come fa la natura, sforzatevi di seguirla nel suo regime, e non siate tanto vani da credere, con i vostri regimi, di poter fare più di quanto essa non faccia; perché ciò che essa non fa, voi non potrete realizzarlo per mezzo delle vostre capacità. Non si può estrarre nulla da una cosa, all’infuori di ciò che essa contiene.
Lasciate perciò tutte queste strane parole, e conformatevi alla natura, perché vi dico che non c’è altra cosa che vi faccia fallire, fuorché le parole strane, la diversità dei termini e dei regimi che vi hanno descritto. Ma notate che, in qualunque maniera i filosofi abbiano parlato, natura non è che un’unica cosa, e su questo tutti sono d’accordo e tutti la dicono una. I folli, tuttavia, prendono le nostre parole col rigore della lettera, senza intendere il come ed il perché le diciamo. Se esse fossero ragionevoli e naturali, i folli dovrebbero prenderle tali quali sono; ma laddove esse non sono affatto ragionevoli, allora dovrebbero prima comprenderle e collegarle al nostro intento, senza arrestarsi al rigore della lettera. Tuttavia tra noi siamo tutti d’accordo, qualunque cosa diciamo. Accordate dunque l’uno con l’altro, e studiateci tutti, perché l’uno chiarisce ciò che l’altro nasconde. E chiunque legga i nostri libri e li intenda, non dovrà andare a cercare in paesi o città straniere, né spendere follemente il suo denaro.

BASENUS.
Tu sei stato troppo chiaro. Il nostro maestro non voleva che si parlasse tanto chiaramente.

SURUS.
Io non voglio essere invidioso come voi. Sappiate dunque che alcuni filosofi, per nascondere questa scienza, hanno detto che bisogna osservare le ore e le costellazioni. Ma io ti dico che ciò non è affatto richiesto, e non aiuta né nuoce, perché la materia è sempre pronta a ricevere la virtù e la forma che essa deve ricevere. Ed il nostro maestro lo dice assai chiaramente così: la nostra medicina può esser fatta da chiunque, in tutti i luoghi, in ogni tempo ed a tutte le ore, si trova dappertutto e non vi è nulla da fare; quelli che dicono il contrario, lo fanno per nascondere la scienza; perché ti dico che tu stesso, quando la conoscerai, la celerai. Perciò non ti faccia meraviglia che essi la nascondano, perché questo è il volere di Dio.

LANUS.
La nostra opera è fatta di tre, di due e di uno; ed il fuoco è uno, ed è due, ed i colori tre, i giorni sette e tre e quattro e uno. Intendetemi, sappiate che l’aceto si volatilizza se fate troppo fuoco; troverete al di sopra della casa come piccole nuvole bianche, perché l’aceto è spirituale e s’invola. Perciò vi comando che lo governiate saggiamente ed a piccolo fuoco, perché il piccolo fuoco è sempre la sola causa che suscita il calore dello zolfo sciolto; diversamente non farete nulla.
Sappiate inoltre che Dio creò una massa, sette pianeti, quattro elementi, e due poli che tutto sostengono, nove ordini d’angeli e due principi, materia e forma. Intendete ciò che vi ho detto, perché vi ho rivelato meraviglie.

ACSUBOFFES.
Mettete l’uomo rosso e la sua donna bianca in una casa rotonda circondata da calore lento e continuo, e lasciateceli fino a quando tutto sia convertito in acqua, non volgare ma filosofale. Allora, se avrete ben governato, vedrete al disopra una nerezza che è segno di putrefazione e durerà XI o XIII giorni. Lasciateli lì tutti e due continuatamente, fino a che non vi sia più nerezza, e fate alla fine come all’inizio. E sappiate che la fine non è che l’inizio, che la morte è la causa della vita, e che l’inizio è la fine. Vedrete nero, vedrete bianco, vedrete rosso; è tutto, perché è morte e vita eterna dopo una morte gloriosa e perfetta.

TURBA.
Sappiate che avete udito la verità. Prendeteli da dove sono e separateli (20), come si separano le erbe buone dalle cattive. E notate che la nostra opera deve essere cotta per sette volte, e ciascuna delle sette deve dargli un colore, fino alla sua perfezione. Quando è perfetta, è una tintura viva, più eccellente di quanto mente d’uomo possa comprendere, e non è nulla, né la materia né il regime. E se si conoscesse il vero regime e lo si dicesse ai folli ignoranti, essi direbbero che non è possibile che attraverso un regime così breve si possa produrre cosa tanto preziosa. Lasciateli dunque alla loro ostinazione e non dategli credito, invece intendeteci ed apprendete le radici da cui tutto si moltiplica.

TEOFILO.
Tutta la Turba, a mio avviso, ha assai ben concluso.

PITAGORA.
Lasciatemi parlare e tacetevi. Voglio che ciascuno di voi cominci a parlare con più bello e facile linguaggio (21), perché gli invidiosi hanno tanto guastato quest’arte che oggi appena qualcuno gli vuol credere, e così un tal dono di Dio è reputato falso. Ma io vi dico che quel che so, quel che ho veduto e toccato, è ragionevole. E la ragione è ovunque, tanto negli angeli, negli uomini, alberi, erbe e frutti, quanto in ogni altra natura.

TEOFILO.
Maestro nostro, mi sembra che i serpenti portino un tale veleno nel loro ventre, che, se se ne mangiasse, si morrebbe; ma se si prendesse una pasta dopo il veleno, che è la teriaca, un veleno consumerebbe l’altro ed impedirebbe di morire.

SOCRATE.
I filosofi hanno chiamato la nostra acqua, acqua di vita, ed hanno detto bene, perché all’inizio essa uccide i corpi, poi li fa rivivere e li ringiovanisce.

SENERELEUS.
Tu sei invidioso.

SOCRATE.
Dite ciò che vi piace, ma sappiate che la nostra materia è un uovo, di cui il guscio è il vaso, ed ha all’interno il bianco e il rosso. Lasciatelo covare a sua madre per sette settimane o nove giorni, o tre giorni, o uno, o due volte, o sublimatelo (quel che vorrete) a piccolo bagno per 280 volte. Se ne produrrà un galletto con la cresta rossa, il piumaggio bianco ed i piedi neri. Ti ho detto ciò che i miei fratelli mi celarono. Dunque, intendimi bene.

ARISTOTELE.
Sappiate che molti parlano in diverse maniere, ma la verità non è che una, sta nel letame e da sé medesima si conosce.

PITAGORA.
Come ardisci parlare, Aristotele? Tu non sei ancora progredito talmente da parlare con noi. Tu devi ascoltare. Nondimeno ciò che hai detto è vero. Ma taci ora, ascolta i maestri e Platone.

LUCAS.
Mi sono assai meravigliato del sole perché, quando lo guardo in faccia [attraverso una] nube molto densa, esso appare giallo, verde e glauco, e questi sono gli ultimi colori che lo zolfo fa apparire [22].

NOSTIUS.
Prendete la pietra che si chiama bembel (23), perché tutta la sua acqua è color porpora e rugiada serpentina. Lavate dunque la sabbia del mare fino a che sia bianca, e lasciatela seccare al sole del mezzogiorno nel suo regno. Poi si leveranno i venti dall’oriente, ma la luna farà levare i venti d’occidente, e poi tutto si placherà.

ARCHIMIUS.
Sappiate che il Mercurio è nascosto sotto i raggi del sole, e la luna glieli fa perdere, lo prende e domina attraverso di lui (24); tuttavia il sole gli ha dato questo dominio per due rivoluzioni, dopo di che essa lo rende al sole, e declina. E Venere è messaggera del sole e gli fa riavere la sua signoria; Marte ne è l’annunciatore. Allora, quando il sole ha il suo regno, per la pena che i suoi sei compagni hanno provato, gli dona dei bellissimi vestiti dalla sua livrea. Sappiate così che il sole non è affatto ingrato con i suoi servi, come vi pare di vedere. Chi ha visto questo e ben lo intende ne parla con sicurezza.

PHILOSOPHUS.
La nostra materia è chiamata uovo, serpente, gomma, acqua di vita, maschio, femmina, bembel, carsufle, teriaca, uccelli, erbe, alberi, acque. Ma tutto ciò non è che una cosa sola, cioè l’acqua, e non è che un solo regime, ovvero il cuocere.

DANARIUS.
Gli invidiosi hanno detto che quest’opera si fa in tre giorni, gli altri in sette, gli altri in un giorno. Secondo la loro intenzione, essi dicono tutti il vero. Ma sappiate che ciascuno dei nostri mesi dura XIII giorni, con due giorni in più per l’ultimo, e ciascun mese ha sette giorni, e ciascun giorno ha XI ore. Perché sono il nostro tempo e le nostre ore. Quindi tutto avviene per tempo.

ESMINGANUS.
Bagnate, seccate annerite, imbiancate e polverizzate, arrossate ed avrete tutto il segreto di quest’arte in queste brevi parole. Il primo è nero, il secondo è bianco, il terzo è rosso, 80, 120, 180. Due li fanno, e sono fatti 120. Gomma, latte, marmo, luna 280. Bronzo, ferro, zafferano, sangue 80. Pece, pepe nero. Se mi intendete, sarete felici; altrimenti non cercate più nulla, perché tutto è nelle mie parole.

NOSTIUS.
Sappiate che uomo non porta o non genera che uomo, che volatile non genera che volatile, che bestia bruta non genera che bestia bruta. E sappiate che nessuna cosa si emenda se non nella sua e conveniente natura. E notate che, qualunque cosa noi diciamo, siamo tutti d’accordo. Ma gli ignoranti pensano che noi siamo differenti, e nondimeno tutto è uno.
Sappiate che un piccolissimo fuoco è necessario per sciogliere, perché la freddezza della nostra acqua sarebbe contraria e noi vogliamo che essa domini sul suo corpo; come dunque potrà la freddezza dominare se essa è consumata? Perciò ti abbiamo spesso parlato di un piccolo fuoco. Ed attraverso questo fuoco lento, la nerezza, che è lo spirito che altera l’altro spirito, appare. Dopo le tenebre viene la luce, e dopo la tristezza grande gioia, ed il fondamento su pietra marmorea è la nostra intenzione e parola continua.

ISMINDRIUS.
Del nostro elixir sappiate che il primo si altera, il secondo si mescola ed il terzo brucia. Mettete dunque anzitutto su 9 once di materia del nostro aceto forte per due volte. La prima volta quando si mette sul nostro fuoco; fate cuocere bembel, yeldir (25), zarmerch (26), zinco, orpimento bianco, zolfo rosso, il nostro e non il volgare. Bembel e yeldic sono neri e dominano in inverno durante le piogge, quando le notti sono lunghe; il sole in quei tempi discende da Vergine, Bilancia, Scorpione (che sono freddi e umidi) (27) di 80 o 82 gradi. E poi viene zarmech o zinco bianchissimo, ed orpimento, che è quando la luna ascende altri tre segni (di cui uno e mezzo sono freddi e umidi e gli altri uno e mezzo caldi ed umidi) e dura per ciascun segno 23 punti del loro numero. E il nostro solfo rosso si ha quando il calore del fuoco oltrepassa le nubi, si congiunge con i raggi del sole e della luna, e Venere ha già vinto Saturno e Giove per l’adeguatezza della sua complessione. Allora Mercurio, che non ha più aiuto (perché tutte le influenze celesti sono contro di lui), discende, ed il fuoco, e Venere e il sole bruciano i suoi raggi freddi ed umidi. Allora, per la grande contrarietà del caldo e del freddo, Mercurio scintilla e getta faville spirituali ed impalpabili. Ed in questo contrasto discende di tre segni caldi e secchi e rimane in ciascun segno XIIII ventiquattresimi di grado e 1/3.
Colui che non intenderà, rilegga, perché prendo Dio a testimone che questa è la parole più bella che io abbia mai udito per apprendere di questa scienza, ed io stesso l’ho così operata.

ESMINGANUS.
Tutta la nostra prima intenzione è la veste tenebrosa vera, perché senza nerezza non potete imbiancare. Prendete dunque la pietra rossa e imbiancatela di nerezza, ed arrossitela di bianchezza. Sappiate che la bianchezza è nascosta nel ventre della nerezza. Tiratela fuori come sapete, e poi estrarrete dal ventre di essa bianchezza la rossezza come vorrete. Perché tutto consiste in questi tre punti.

TURBA.
Maestro, tutto ciò che diciamo non è che per fare del fisso volatile e del volatile fisso, e poi, di tutto, un mezzo tra due che non sia né secco né umido, né freddo né caldo, né duro né molle, né fisso né troppo volatile, poiché tiene in sé insieme le due nature vive. E sappiate che questo si fa in sette giorni buoni, e non in un sol momento. Perché ogni alterazione si compie per azione e passione continue. E fate bene attenzione a ciò che dico, poiché è la conclusione della nostra scienza.

ARCHINIUS.
Prendete Alzem, sono vermi neri dallo sguardo orribile, e veleno di vecchie tegole rosse marine, e cuocetele a fuoco né troppo caldo né troppo freddo. Poiché se fosse troppo freddo, nulla si altererebbe, se troppo caldo non si avrebbe la loro congiunzione per vero amore. Continuate sempre il vostro fuoco come di uovo di gallina sotto la madre, come calore di febbre avvolgente, e conservateli bene nel loro guscio. Sappiate che [il composto] si comincia, si altera, si compie e si abbellisce da sé. E se opererete senza il giusto peso, vi sarà gran ritardo e gran pericolo di fuoco, e per questo crederete di aver fallito.
Ho visto ai miei tempi un uomo che sapeva ciò tanto bene quanto me o uno di noi, ma nel lavorare, per la sua grande fretta ed avarizia, non poté vedere la fine e credette di aver fallito, lasciando l’opera. Siate dunque costanti, e non siate leggeri di intendimento, restando sempre incerti (28). E prima di mettervi all’opera, considerate bene ciò che diciamo e ruminate accuratamente le nostre parole.

ISMINDRIUS.
Sappiate che lo spirito è tutto, e che se dentro questo spirito non ne è chiuso un altro simile, il tutto non approderà a nulla. Notate che quando la magnesia è bianca dopo la nerezza, essa è pronta, e ciò che la pulisce esce dal corpo; perciò voi siete liberi di cercarla, per poi governarla con moderazione. Infatti coloro che ignorano il regime sono come ciechi, e come asini che suonino l’arpa. Non curatevi dunque di tanti nomi e diversi regimi, perché la verità di natura è una, e nascosta nel suo ventre. Allora si compiranno le parole del nostro maestro, quando dice che natura gode di natura, natura domina natura e natura contiene natura.

PITAGORA.
Voi tutti avete parlato benissimo, ma gli uni più chiaramente degli altri. Sappiate che la nostra opera, all’inizio, ha bisogno di due nature, le quali non sono che una sostanza. L’una è cara, l’altra è vile; l’una dura, l’altra acquatica; l’una rossa, l’altra bianca; l’una fissa, l’altra volatile; l’una è corpo, l’altra spirito; l’una è fredda ed umida, l’altra calda e secca; l’una è l’uomo e l’altra è la femmina, pesante, di materia vivissima, e l’una estrae subito l’altra (29). Esse non sono altro che magnesia e zolfo.
E sappiate che all’inizio l’uno domina tre parti dell’altra, e l’altra, che è stata uccisa, ricomincia a dominare ed uccidere quattro parti della sua compagna. E dalle tre parti si levano khul (30) nero, latte bianco, sale fiorito, marmo bianco, stagno e luna. E dalle quattro parti si levano rame arrugginito, ferro, zafferano, oro, sangue e papavero, ed il serpente che ha divorato il suo compagno. Sappiate che l’uno ha bisogno dell’aiuto dell’altro, perché non potete rendere il corpo duro spirituale e penetrante senza spirito, né parimenti rendere lo spirito corporale, fisso e permanente senza il corpo. Il quale corpo è rosso e maturo, e lo spirito è freddissimo e crudo nella sua miniera. Sappiate ancora che, tra la nostra acqua viva e lo stagno bianco e netto, al di fuori di quella comune, non vi è alcuna prossimità ed alcuna conveniente natura. Perché l’acqua viva ha un suo certo corpo col quale si congiunge.
Dunque, colui il quale non comprende ciò che ho detto ora è un vero asino, e giammai dovrebbe mescolarsi con quest’arte, perché è destinato a non riuscire mai. Lasciate gli uomini e le materie umane, lasciate i volatili, le pietre marine, i carboni, le bestie brute ed altre simili cose, e prendete materie metalliche, e sappiate che, se ne avete 24 once, solo la terza parte, ossia 8 once, ci è necessaria, e non le altre.
Cuocetele in tre di bianco ed in sole, e si faranno nere per 40 giorni. Notate che la prima opera si compie più in fretta della seconda, e la seconda si compie dal decimo di settembre fino alle calende di febbraio, per l’eccessivo calore dell’estate; e passato l’inverno e la primavera, i frutti sono già maturi, e, dunque, si colgono dagli alberi. Nel nostro caso è lo stesso.

TURBA.
Maestro, sotto vostra correzione, ma ci sembra che abbiate parlato troppo chiaramente.

PITAGORA.
Così sembra a voi ma non agli ignoranti; e se gli si parlasse ancor più chiaramente, essi a malapena potrebbero intendere.

TURBA.
Bisogna celarlo ai folli e rivelarlo ai saggi, e non altrimenti, perché sarebbe un peccato.

FLORUS.
L’acqua di zolfo è frammista di due nature, e si congela e dissecca, si altera, si imbianchisce e si arrossa con l’aiuto del fuoco unicamente se questo è amministrato come si deve.

BRACHUS.
Prendete l’albero bianco di 100 anni, circondato da una casa rotonda dal calore umido, chiusa tutt’intorno alla pioggia, al freddo ed ai venti, e mettetevi il suo uomo che ha 100 anni. Se ve lo lascerete per 180 giorni, il vegliardo mangerà tutti i frutti di quest’albero fino a quando egli stesso non sia morto e trasformato in cenere. Dovrà rimanervi precisamente questo tempo.

ZENO.
L’albero bianco viene dalla miniera nera di 80 anni, ed i 10 anni successivi la fanno bianca e bella, e gli altri rossa a diversi gradi. Sappiate che se non tingete la luna che avete nel vostro vaso fino a che non sia splendente come il sole, non approderete a nulla. Mettete dunque da parte il piombo, che avrete rivestito e che ha già esaurito la sua forza, e prendete lo stagno che sapete, e poi la luna. Intendetemi bene o non approderete a nulla (31). Poiché vi dico che la luna è il mezzo della concordanza, e non il piombo né lo stagno.

LUCAS.
Il fuoco contiene nel suo ventre l’acqua, e quest’acqua si estrae con un fuoco adatto e per mezzo dell’acqua calda e tiepida, laddove il detto fuoco si bagni continuamente e la cameriera prenda la nerezza della notte e la metta fuori, e copra i camini affinché il fuoco sia chiaro e non troppo aspro (32). Io stesso, prima di arrivare a ciò, ho assai cercato, ma dopo grandi lavori sono (per grazia di Dio) pervenuto al mio fine. Chi non lavora non mangia, e nella sua vecchiezza non riposerà.

ISMINDRIUS.
Mescolate acqua con acqua, gomma con gomma, piombo con piombo marmo (33), il latte col latte, la luna con la luna, il ferro col ferro, il bronzo col bronzo o sole. Cuocete tutto 150 [giorni] e poi cuocete ancora a vostro gradimento come sapete, fin quando tutto sia impalpabile. Leggete i nostri libri e rileggeteli, affinché possiate apprendere la verità.
Perché la nostra scienza non è altro che mutare il duro in molle, il caldo in freddo ed il freddo in caldo, affinché dal tutto ne venga un mezzo né caldo né freddo, né duro né molle, ma temperato in ogni complessione. E sappiate che dopo i 280, 3 giorni gli saranno sufficienti.
Avvolgete l’avvolto dal dentro al fuori, contenendo il contenuto, e tutto sarà vinto: 1 nero, 1 bianco, 1 rosso. Fortificate i due e fate buono il primo, ed esso si moltiplicherà fino a sopportare 10 saggi, mentre l’altro non ne sopporta che uno. Rimescola e rimescolando, fai il perfetto imperfetto contenendo nel giusto modo il contenuto (34). E fate attenzione alla mia pratica del contenente, ruotando o circolando il contenuto. Io vi dico ciò di cui nessuno aveva ancora parlato, intendete le mie parole.

TURBA.
Più la nostra pietra è digerita, più il suo fuoco è attivo e purificato, caldo e secco, privo di altri elementi, e perciò più tinto. Chi intende le venerabili parole di Ismindrius comprende ad un grado maggiore degli altri, e due e tre e quattro fino all’infinito in virtù del fuoco aumentato.

PITAGORA.
Ismindrius ha parlato invero del punto speciale di cui nessuno di noi aveva ancora parlato. Prestate dunque attenzione alle sue ultime parole, riguardanti la gloriosa attività e trasmutazione improvvisa. Sappiate che il mondo visse all’inizio 280 anni, ma tempo arriva che il figlio di questo tempo non dura che tre anni, ed ha la sua fine, ed in tre anni è più cauto e più malizioso di dieci volte che il padre in 280, e fa in un anno quanto suo padre in 40 e 40, e così in tutto. E sappiate ancora che chi vuol curarsi bene, prende medicina lassativa per l’interno e confortativa per l’esterno, in tal modo che l’una non estingua l’altra. E prendete nota delle nostre parole.


SEGUE LA DISTINZIONE DELL’EPISTOLA DI ARISLEO CHE EGLI COMPOSE PER CONOSCERE QUEST’ARTE PREZIOSA, LA QUALE È TALMENTE ISTRUTTIVA DA ESSERE SUFFICIENTE AD OGNI UOMO DI INTELLETTO SENZA CHE ABBIA BISOGNO D’ALTRO AIUTO. (35)

PITAGORA.
Abbiamo già descritto come questo prezioso albero debba piantarsi affinché non muoia, e come dopo i fiori bianchi i frutti possano essere perfezionati e mangiati; abbiamo anche detto che chiunque né mangerà non avrà fame né tribolazione, ma sarà principe e nominato conte tra noi filosofi, avrà il dono che Dio dà solo ai suoi eletti e sarà remunerato del lavoro del suo spirito e della sua filosofia. Nondimeno, per quanto noi abbiamo tutti assai ben parlato, nessuno potrà mai pervenire a piantare quest’albero, se non ha la più gran certezza del suo intento.
Perciò, affinché nessuno possa biasimarci nel piantare quest’albero o essere frustrato nella sua intenzione se l’albero dovesse morire, voglio che tu, Arisleo, raccoglitore di tutti i detti miei e dei miei discepoli, ne parli ancor più chiaramente e senza invidia, per amore di coloro che verranno dopo di noi, affinché, nel piantare questo albero prezioso, nessuno possa errare.

ARISLEO.
Volentieri, ma datemi un termine.

TURBA.
Entro domani.

Ed il giorno seguente si riunirono i dieci discepoli con Arisleo.

PITAGORA.
Cosa hai visto?

ARISLEO.
Mi sono visto con dieci di noi, e mi sembrava che andassimo navigando tutto il mare. E vidi gli abitanti del mare maschi coricarsi gli uni con gli altri, e da essi non veniva alcun frutto. Se piantavano alberi essi non fruttificavano. Mi sembra che gli dissi: «Voi siete molti, ma non vi è nessuno tra voi che sia filosofo e possa istruire gli altri». Ed essi dissero: «di che profitto è tale filosofia? se non vi è profitto essa non ci interessa». Ed io gli risposi: «Se avrete in voi filosofia, o scienza e saggezza, i vostri figli saranno moltiplicati, i vostri alberi cresceranno e non morranno, i vostri beni saranno aumentati, sarete tutti re e dominerete i vostri nemici».
Queste genti marine se ne andarono e riportarono al gran signore e principe della terra tutto ciò che gli avevamo detto. Quando il loro re ebbe udito, ci mandò a chiamare e disse: «Chi vi ha mandato da noi?». E noi rispondemmo: «Il nostro maestro, il capo dei saggi e principale tra i nostri profeti. È Pitagora che ci ha inviati a te, ad offrirti un dono grandissimo». Ed il re disse: «Dov’è questo dono?». Ed io gli dissi: «L’offerta ed il dono sono nascosti, e non palesi». Ed egli ci disse: «datemelo subito, altrimenti vi ucciderò». Ed io risposi: «Il nostro maestro vi invia, per nostro mezzo, l’arte di generare e piantare un albero, del quale chi mangerà il frutto non patirà mai la fame». Ed il re disse: «Il vostro maestro mi invia un dono grandissimo, se è come mi dite». «Se non fosse così, il mio maestro non ve lo invierebbe, e noi non lo riveleremmo mai. In questo paese nessuno ha saputo né ha avuto alcuna notizia di quest’albero, altrimenti non ne avremmo fatta alcuna menzione. Affinché dunque la scienza non perisca, ed anzi sia conosciuta in tutte le regioni, il nostro maestro (al quale Dio ha dato più doni e grazie che a nessun uomo dopo Adamo) ci ha incaricato di comunicarla ognuno in un paese». Ed il re rispose: «Qual è questa cosa?». Ed io dissi:
«Signore, benché voi siate re, ed il vostro paese sia ben fertile, tuttavia usate dei cattivi regimi, poiché congiungete i maschi con i maschi, e voi sapete che i maschi tra loro non generano affatto – poiché ogni generazione si compie da maschio e femmina – e solo quando i maschi trattano con le femmine, natura gode della sua natura. Come dunque congiungendo indebitamente le nature con le nature estranee, in modo diverso da quanto spetti, sperate di ottenere alcun frutto?».
Ed il re disse: «Cos’è che si deve debitamente congiungere?» Ed io gli dissi: «Portatemi vostro figlio Gabertin», ed egli lo fece venire e mi disse: «Eccolo». Ed io gli dissi: Dov’è sua sorella Veya?». Ed il re disse: «come sai che il nome di sua sorella è Veya? Credo tu sia un mago». Ed io risposi: «La scienza e l’arte di generare ce lo ha insegnato. E benché sia femmina, ella lo emenda, perché è dentro di lui». Ed il re disse: «Perché la vuoi?». Ed io dissi: «Perché senza di lei non può essere fatta vera generazione, e non si può moltiplicare alcun albero». Egli fece allora venire la sorella, al quale era bianca, tenera e dolce. Ed allora dissi: «Io congiungerò Gabertin e Veya». Ed egli rispose: «Il fratello si congiunge con la sorella, e non il marito con la moglie?». Ed io dissi: «Così fecero Adamo ed Eva, dei quali noi siamo i molti figli. Perché Eva era della materia di cui era Adamo, e così Veya è della materia sostanziale di cui è fatto Gabertin, il bello risplendente. Ma egli è uomo perfetto mentre ella è femmina cruda, fredda ed imperfetta. E credetemi, re, che se vorrete obbedire ai miei comandamenti ed alle mie parole, sarete felice e fortunatissimo». Ed i miei compagni mi dicevano: «Compi l’incarico, e completa l’affare per il quale il nostro maestro ci ha inviato qui». Ed io risposi:
«Solo attraverso il matrimonio di Gabertin e di Veya noi saremo fuori da questa tristezza e da questo mare, perché non potremo pervenire a nulla fino a che essi non siano divenuti una sola natura». Ed il re disse: «Io ve li darò». E non appena Veya ebbe la compagnia del suo marito e fratello Gabertin, ed egli si fu coricato con lei, egli morì e perse tutto il suo colore, divenendo pallido del colore della sua donna. Ed il re, vedendo ciò, fu corrucciato e disse: «voi siete causa della morte di mio figlio, che era così bello, così lucente, ed aveva il viso come il sole. Ed a che cosa è ora ridotto? Io vi metterò tutti a morte. Avevo ben temuto le vostre arti magiche ed un cattivo intento. Dunque vi ucciderò». Egli allora ci prese tutti, col nostro maestro, e ci rinchiuse in prigione in una casa di vetro, sulla quale sorgeva un’altra casa, sulla quale, a sua volta, con maestria e saggezza, ne era edificata un’altra. In tal modo noi eravamo rinchiusi in tre case rotonde, ben chiuse e sigillate. Allora gli dissi: «Perché vi affrettate tanto a darci tanta pena? Dateci almeno vostra figlia, perché se per ventura Dio avrà pietà di noi, vostra figlia col nostro aiuto partorirà in breve tempo il vostro figlio che ella tiene morto nel suo ventre, e che ha tutto vivificato; ella lo renderà giovane, potente, assai bello, e moltiplicherà la sua stirpe più di quanto voi potreste mai fare». Ed il re disse: «Volete forse uccidere anche mia figlia?». Allora risposi: «O re, non pensate a tanto male, e non dateci pena. Soffrite un po’, e dateci di grazia vostra figlia». Ed il re ce la diede. Essa rimase con noi nella prigione della casa di vetro per 80 giorni, e tutti noi rimanemmo tra tenebre oscure ed onde di mare, in un grande e lento calore estivo, in un turbamento ed ingravidamento quale mai alcuno aveva visto simile.
Quando fummo liberi, vedemmo voi, Pitagora, in sogno, e vi pregammo che vi piacesse di nutrire il nostro figlio. Esso fu nutrito ed ebbe anima e coraggio, e vinse la sua donna che precedentemente lo aveva vinto; ed essi fecero una moltiplicazione simile al figlio. Allora ci rallegrammo e dicemmo al re che suo figlio era in condizione di essere visto.

PITAGORA.
La nostra composizione è fatta di due cose che sono fatte una, e, quando sono unite, si chiamano bronzo bianco; e poi, quando tutto è vinto, prendono il nome di argento vivo e non volgare, che è la tintura viva che i Filosofi hanno celato con tante parole. Vi dico che questa scienza non è che dono di Dio, laddove sia sua volontà, e che non consiste in altro che disciogliere ed uccidere il vivo, vivificare il morto, e di tutto fare un’unica vita inseparabile.

LA TURBA (36)
Sappiate che la nostra opera ha molti nomi, i quali qui vogliamo descrivere: Magnesia, Behul, Zolfo, Aceto, pietra citrina, Gomma, Latte, Marmo, Fiore di Sale, Zafferano, Ruggine, Sangue Papavero, Oro sublimato, vivificato e moltiplicato, Tintura viva, Elixir, Medicina, Bembel, kuhhul, piombo, Stagno, Veste tenebrosa, Verme bianco, Ferro, Bronzo, Oro, Argento, Porpora, Rosso sangue, Rosso assai altero, Mare, Rugiada, Acqua dolce, Acqua salata, Deuzamen, sostanza Una, Corvi, Cammelli, Alberi, Uccelli, Uomini, Nozze, Generazioni, Resurrezioni e Mortificazioni, Stelle, Pianeti ed altri infiniti nomi. Ma tutto ciò non è altro che i colori che appaiono nell’opera, e che sono stati così chiamati in ragione delle diverse similitudini di tutte queste cose con la nostra. Fate attenzione che tutti questi nomi non vi facciano errare, ed abbiate fermo ed immutabile il vostro cuore; siate certe che alcuna cosa tinge i metalli all’infuori del metallo stesso, nella sua stessa natura. E sappiate che nessuna natura è emendata se non nella sua propria natura, poiché in caso contrario non potrebbe emendarsi.
In seguito vi dirò del fuoco, affinché siate certi del tutto, e perché il nostro libro sia in tutto e per tutto completo. Esso contiene tutti i detti di Pitagora e di altri saggi filosofi, e riporta tutta l’arte, senza alcuna finzione: sia la materia che i nomi, i colori, il regime, la maniera ed i pesi, senza alcuna omissione.
Ora voglio dirvi quale deve essere il fuoco. Sappiate che ho visto fare il fuoco in molte maniere: l’uno lo fa di piccole stoppe, l’altro di piccoli carboni mescolati a ceneri a fuoco lento, altri di vapori caldi senza fiamma, gli altri di piccole e medie fiamme. Ma per arrivare alla perfezione di tutto ed al compimento della vostra opera, io non vi raccomando che il fuoco lento, continuo, caldo, digerente, che cuoce come richiesto dalla natura; e ciò vi sarà mostrato dall’esperienza, nella pratica. Sappiate che questa scienza è più facile di qualunque altra, ma è fatta oscura dai nomi ed i regimi, affinché gli ignoranti prendano i nostri nomi alla lettera, senza intenderne il senso. E chiunque possegga quest’arte, è libero da povertà, da miseria, tribolazione e malattia corporale. Non reputate che ciò sia menzogna. Questa è la fine sigillata della nostra preziosa arte. Nascondetela a chiunque ve la domandi, ed amate i nostri libri, i nostri colori, le nostre materie, i nostri tempi ed i nostri regimi, che non sono che un’unica cosa».


Finit Turba Philosophorum seu Codex Veritatis.

Orontio fideliter transcribente.
1.5.3.7.

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NOTE DEL TRADUTTORE:

(1) Il testo originale recita de nostre marine, nel senso di marinatura.

(2) La nota della Bibliothèque recita: «Influenze celesti che la Luna riceve per comunicarle ai corpi inferiori» (Bibliothèque cit, vol. II, p. 8).

(3) Fendez doncques la geline noire nel nostro testo, fendez donc la geline noire nella versione della Bibliothèque. Ignorando il francese arcaico geline per gallina, il traduttore di Ur traduce: “Fendete la Gelina nera…”. Non sembra metterlo in guardia nemmeno la nota dell’anonimo commentatore della Bibliothèque, che associa la geline ad un altro ben noto volatile, il corvo, protagonista del bestiario alchemico associato all’opera al nero: «Pitagora chiama qui gallina nera ciò che gli altri filosofi chiamano corvo, di cui bisogna tagliare la testa, ovvero imbiancare il composto dopo il regime di Saturno, durante il quale il corpo e lo spirito si uniscono insieme: dopo la loro unione essi sono divenuti neri e non sublimano più fino al regime di Giove. Vedi il Filalete al cap. XXV e XXVI» (Bibliothèque cit, vol. II, p. 8).

(4) Qui Paulette Duval legge et se sont entretenu, che, ovviamente, in questo contesto non ha alcun senso. Il testo a stampa recita invece et se sont entre-tués, lezione che abbiamo preferito nella nostra traduzione.

(5) confisez le en urine d’enfans: abbiamo interpretato confiser come apparentato a confire, col senso, appunto, di conservare. La versione di Ur preferisce tradurre con un generico “trattate con urina di fanciullo”.

(6) et a plume jeune. Differenza rilevante con la versione a stampa, che recita et il a la plume jaune, ovvero, ha il piumaggio giallo.

(7) pour les ennyver empres. Il testo a stampa recita invece, con senso assai diverso, pour les animer apres, “per dopo rianimarli”.

(8) couvert d’ung paille, mentre la stampa della Bibliothèque recita couvert d’un poil, “coperto di un pelo”.

(9) dessus l’ung et l’aultre est nostre grifon nel nostro testo, dessus l’un et l’autre est un grifon nelle edizioni a stampa. Inspiegabilmente la versione di Ur sostituisce evidentemente il dessus con un dessous e traduce “Sotto l’uno e l’altro c’è un grifone”.

(10) Il testo a stampa della Bibliothèque riporta, in luogo di douzaine, il lemma corsivo dasuma, con una problematica spiegazione in nota: c’est-à-dire graisse.

(11) Qui il testo della Bibliothèque si dilunga utilmente, ed il Cuysez la jusques a ce que vous voyez les coleurs apparoistre diverses della versione manoscritta diviene: Cuisez-la jusqu’à ce qu’elle soit comme une manne blanche et puis encore, recommencez jusqu’à ce que vous voyez apparaître diverses couleurs.

(12) Questo il testo del manoscritto: mais celluy qui luy oste sa noirceur est en luy mesmes, par quoy il ne te fault gueres chercher, che si discosta leggermente dalla versione a stampa: Mais celui qui lui ôte sa noirceur est en lui-même et le blanchira. Par quoi il ne te faut… Del tutto inaccettabile la traduzione proposta dalla versione di Ur, evidentemente figlia di una forzatura ermeneutica, che propone un: «Ma chi toglie la nerezza, sarà in se stesso, e lo renderà bianco…».

(13) Su questo lemma del lessico alchemico l’edizione della Bibliothèque annota: «Corpo che i filosofi chiamano rebis, perché è composto di due sostanze, lo zolfo ed il mercurio». Il Pernety, invece, non dissimilmente, allude al cinabro scrivendo nel suo dizionario: «Corsuflé o Carsuflé, zolfo dei filosofi fissato al rosso» (Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris, 1758 p. 92). L’edizione di Ur, che pure è condotta sulla Bibliothèque, muta inspiegabilmente il lemma in un inesistente Corsusto, su cui non si saprebbe trovare alcuna notizia.

(14) et puis luy sortissez son feu a son temps che nella versione della Bibliothèque diviene: et puis lui fortifiez son feu à son temps.

(15) pavot de graine che nella versione a stampa diviene pavot du désert.

(16) La distinzione tra “le due acque”, eco della distinzione delle acque superiori ed inferiori del Genesi, nel linguaggio alchemico della Turba diviene analoga a quella tra “i due zolfi”, i due umori etc.., ed è equivalente a quella tra fisso e volatile, maschile e femminile.

(17) sans inhumation, ovvero senza umiliazione, umiltà. Qui la versione a stampa recita Vous ne pouvez venir à votre fin sans illumination, illuminazione.

(18) oncle grand, ovvero l’equivalente del moderno grand-oncle. L’edizione di Ur traduce con un letterale quanto problematico “zio grande”.

(19) In luogo della delicata metafora dei fleurs la versione della Bibliothèque recita: la femme n’a point ses purgations.

(20) prenez les la ou ilz sont et les esliez, il verbo eslir, forma arcaica di elire (letteralmente travasare), nel testo della Bibliothèque è sostituito da trier, scegliere, selezionare. Abbiamo preferito questo significato. La traduzione di Ur preferisce al più letterale “prendetele da dove sono” un prendetele come sono.

(21) parler de plus belle et facile tradition, un invito a facilitare la comprensione, mentre il testo della Bibliothèque recita semplicemente recommenciez de nouveau à parler.

(22) Je me suis tant esmerveillé du soleil que, quant je regard vis a vis une nuee fort espeisse, il apparoit jaulne, vert et pers. Nel testo della Bibliothèque abbiamo: Je me suis tant émerveillé du soleil, de ce que, quand je regarde vis-à-vis d’une forte épaisse nuée, con una traduzione dunque differente. Nel testo della Bibliothèque sono le nubi ad essere di colore cangiante, e non il sole stesso.

(23) Il Dictionnaire Hermétique di Guillaume Salmon (D’Houry, Paris 1695) dice: «Bembel, è il Mercurio Filosofale e qualche volta l’opera della Pietra dei Saggi; essi sovente scambiano l’uno con l’altra». Non diversamente il Pernety, che riprende evidentemente la definizione del Salmon: «Bembel o Benibel, termine della scienza Ermetica. Mercurio Filosofale, o l’opera della pietra dei Saggi» (Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris, 1758, p. 57).

(24) .. et le prende et domine par luy. Diversamente la Bibliothèque sostituisce il par (attraverso, per mezzo di) con un sur (su, sopra di).

(25) Il testo della Bibliothèque riporta la variante yeldic. Il Salmon ne dice: «Yeldic: è il mercurio Filosofale, detto altrimenti la materia della Pietra Ermetica» (Dictionnaire cit. p. 215).

(26) Zarnech per la Bibliothèque. «Zarnech o Zenic, è il Mercurio Filosofale» (Salmon, Dictionnaire cit., p. 215).

(27) La Bibliothèque recita: Et le soleil en ce temps-là descend du signe de la Vierge dans celui des Balances et du Scorpion….

(28) Qui la versione della Bibliothèque recita: «Soyez fermes et non pas léger d’entendement, de croire tantôt l’un, tantôt l’autre, tantôt douter et tantôt croire…».

(29) La versione della Bibliothèque si discosta concettualmente, poiché invece del tire, letto dalla Duval, col senso di estrae, usa la voce verbale tue, uccide.

(30) Alla voce Kuhul (o Kukul) il Dictionnaire del Pernety annota: «piombo dei filosofi; lattone che bisogna imbiancare, o materia dell’opera in putrefazione, pervenuta al nero nerissimo». Non diversamente il Salmon alla voce Kukul, riporta: «ovvero l’Opera dei filosofi. Altrimenti, il nero nerissimo o il lattone».

(31) Mettez doncques le plomb a part, que vous avez abilleé et qui desjà a passé sa force; et preparez l’estain que vous savez, et puis la lune. Vous me entendez bien, aultrement vous ne faictez rien. L’intero brano manca nella versione della Bibliothèque, mentre è presente in quella del 1618.

(32) … et couvre les cheminees nelle versioni a stampa diviene «& contre la cheminee».

(33) Meslez l’eaue avec l’eaue, al gomme avec la gomme, le plomb avec le plomb marbre… etc. Le versioni a stampa recitano: … le plomb avec le plomb, le marbre avec le marbre. Qui abbiamo presumibilmente una svista del copista del manoscritto 7147.

(34) Passo di difficile interpretazione, di cui qui si propone una possibile e solo ipotetica traduzione, non priva di gravi incertezze. Il testo recita: … en contenant le contenu en ligne. Et note ma ligne du contenant, le roant ou circolant le contenu. La Turbe del 1618 sostituisce l’incomprensibile roant con una altrettanto problematico royant. L’edizione della Bibliothèque, quella seguita dalla traduzione di Ur, sostituisce il dubbio roant, senza dubbio inidentificabile già ai tempi, con un Voyant che stravolge completamente il significato della frase.

(35) In questa versione del ms. 7147, allo scritto mancano due interventi (del Filosofo e della Turba) che le versioni a stampa presentano prima dell’Epistola di Aristeo, e che invece qui risultano collocati alla fine dell’Epistola stessa, attribuiti a Pitagora ed alla Turba.
La versione italiana di Ur si ferma alla fine di questi due interventi, e, come già accennato, non riporta affatto l’Epistre di Arisleo, che pure, nel testo della Bibliothèque, segue regolarmente gli interventi del Filosofo e della Turba.

(36) La versione a stampa è un po’ più lunga, e differisce in più di un punto da quella del manoscritto 7147.
«… LA TURBA dice: sappiate che la nostra opera ha molti nomi, i quali qui vogliamo descrivere: Magnesia, Kulkul, Zolfo, Aceto, pietra citrina, Gomma, Latte, Marmo, Fiore di Sale, Zafferano, Ruggine, Sangue Papavero, Oro sublimato, vivificato e moltiplicato, Tintura viva, Elixir, Medicina, Benbel, Carsufle, piombo, Stagno, Veste tenebrosa, Verme bianco, Ferro Bronzo, Oro, Argento, Porpora, Rosso sangue, Rosso assai altero, Mare, Rugiada, Acqua dolce, Acqua salata, Duzama, sostanza Una, Corvi, Cammelli, Alberi, Uccelli, Uomini, Nozze, Generazioni, Resurrezioni e Mortificazioni, Stelle, Pianeti ed altri infiniti nomi. Sappiate tuttavia che il tutto non è altro che i colori che appaiono nell’opera, e che sono stati così chiamati in ragione delle diverse similitudini di tutte queste cose con la nostra. Fate attenzione che tutti questi nomi non vi facciano errare, ed abbiate fermo e non mutevole il vostro cuore; siate certi che nessuna cosa tinge i metalli all’infuori del metallo stesso, nella sua stessa natura. E sappiate che nessuna natura è emendata se non nella sua propria natura, poiché in caso contrario non potrebbe emendarsi. Dopo vi dirò del fuoco, affinché siate certi del tutto, e non abbiate causa di bestemmiare al nostro indirizzo [nous blasphemer], e perché il nostro libro sia in tutto e per tutto completo, senza alcuna mancanza. Perché chiunque avrà questo libro, avrà i detti di Pitagora, che è stato l’uomo più saggio che sia esistito, al quale ed ai cui discepoli fra noi Dio ha donato tutta la scienza. E sappiate che in questo libro vi è tutta l’arte, completa, senza alcuna invidia: sia la materia che i giorni, i colori, il regime, la maniera ed i pesi, senza alcuna omissione.
Ora voglio dirvi quale deve essere il fuoco. Sappiate che ho visto fare il fuoco in molte maniere: l’uno lo fa di piccole stoppe, l’altro di piccoli carboni mescolate a ceneri a fuoco lento, altri di ceneri calde; gli uni senza fiamma, di vapori caldi, gli altri di piccole e medie fiamme. Ma per arrivare alla perfezione di tutto ed al compimento della tua opera, io non vi raccomando che il fuoco lento, continuo, caldo, digerente, che cuoce come richiesto dalla natura; e ciò vi sarà mostrato dall’esperienza, nella pratica. Sappiate che questa scienza è più facile di qualunque altra, ma è fatta oscura dai nomi ed i regimi, perché gli ignoranti prendano i nostri nomi senza intenderli. Sappiate anche che chiunque possegga quest’arte, è libero da povertà, da miseria, tribolazione e malattia corporale. Non reputate menzogna la nostra arte; in questa nostra preziosa arte il fine è celato, e voi nascondetelo a colui che ve lo domanda. Discepoli, amate i nostri libri, i nostri colori, le nostre materie, i nostri regimi, che non sono che un’unica cosa».