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Henri Carrington Bolton

Questo saggio di Henri Carrington Bolton costituisce il testo di una conferenza letta innanzi alla New York Numismatic and Archeological Society, il 5 dicembre 1889, che venne pubblicato per la prima volta nel Journal of numismatics and bulletin of American numismatic and archaeological societies, vol. 24 (July 1889 – July 1890), n° 4 (April 1890, pp. 73-83), e vol. XXV (July 1890, pp. 1-16). Il testo venne poi ristampato poi nello stesso anno separatamente a cura dell’autore (e da tale edizione noi abbiamo tradotto).

Carrington Bolton si era occupato già in precedenza, dalle pagine della stessa rivista, dell’argomento (Alchemy and Numismatics in American Journal of Numismatics XXI, p. 73), e, nel presente articolo, estende e completa le ricerche già avviate, accogliendo anche le annotazioni al suo primo articolo – pubblicate all’inizio del vol XXIV, pp. 5-7 – di uno dei vicepresidenti della American Numismatic and Archeological Society, David L. Walter.

Le ricerche del Bolton, nella loro veste definitiva, seguono di 13 anni quelle, del resto molto meno complete, di Pierre Rose Martin-Rey (1813-1874), pubblicate nella Revue Numismatique nouvelle série, Tome douzième, 1867 (pp. 255-274), ed oggi reperibili in prima traduzione italiana su questo stesso sito.

Ripetutamente attratto, nei suoi lavori, dall’alchimia antica così come da quella che si andava riaffermando nelle scuole occultistiche contemporanee, Henri Carrington Bolton, con questo lavoro a metà tra la numismatica e la storia della scienza, fornisce un’esplorazione del tema che rimane a tutt’oggi fondamentale per completezza e rigore delle fonti.

Inscindibilmente legate alla storia delle tante trasmutazioni, avvenute principalmente nel XVII secolo, ma non solo, le monete e medaglie ermetiche rappresentano una testimonianza preziosa dell’ambiguità dei rapporti tra alchimia e potere. Gli abili truffatori che abbindolavano principi in altri campi avveduti e furbi, spesso si procuravano per periodi apprezzabili denaro, titoli e fama. La fine di queste avventurose parabole di successo e notorietà, nella maggior parte dei casi, era però l’ombra ignominiosa della forca. Il potere, quando si accorge di essere stato menato per il naso, raramente si mostra clemente.

Alcuni esempi di come queste trasmutazioni fossero portate a termine, il lettore potrà trovarli nell’allocuzione del 1772 dell’accademico Étienne-François Geoffroy (1685-1731) sulle truffe legate alla pietra filosofale, che si può trovare in prima traduzione italiana su questo stesso sito.

Henri Carrington Bolton nacque a New York il 28 gennaio 1843, figlio del medico Jackson Bolton e di Ann Hinman North. Formatosi nella città natale al Columbia college, da cui esce diplomato a diciannove anni, egli manifesta giovanissimo una forte inclinazione per la chimica che spinge suo padre ad attrezzargli un laboratorio domestico. Continua la sua formazione dapprima a Parigi, dove rimane per un anno, poi ad Heidelberg dove studia col celebre Robert Wilhelm Bunsen (1811-1899) ed infine all’università Georgia Augusta a Goettingen, dove riceve il suo diploma di Dottore in filosofia nel 1866. Dal 1872 al 1877 è assistente in chimica analitica e capo del laboratorio di analisi quantitativa alla Columbia University School of Mines e, nello stesso periodo, è professore al Woman’s medical college di New York. Nel 1877 viene nominato professore di chimica e scienze naturali al Trinity college di Hartford, nel Connecticut, dove diviene celebre la collezione mineralogica che egli raccoglie. Nel 1885, grazie alla sua riconosciuta competenza scientifica e mineralogica, viene nominato dal presidente degli Stati Uniti membro della prestigiosa Assay commission, l’antica istituzione responsabile del saggio e delle prove di conformità delle monete americane. Appassionato viaggiatore fin dalla giovinezza, nel 1887, alla morte di sua madre, ritorna tuttavia a vivere a New York, e, nel 1892, viene nominato non-resident professor di Storia della Chimica alla Columbian University di Washington. L’anno dopo, nel 1893, sposa miss Henrietta Irving di New Brighton. In questo periodo Bolton è un’autorità riconosciuta di livello internazionale, membro delle più prestigiose istituzioni accademiche, scrittore – non solo di chimica e storia delle scienze, ma anche di antropologia, viaggi, numismatica, letteratura etc. – autorevole, apprezzato e ricercato conferenziere. Delle sue circa 300 monografie pubblicate (alcune anche tradotte in altre lingue, specie tedesco) quasi i due terzi riguardano la storia della chimica. Muore il 19 novembre 1903 a New York. Intitolata al nome del grande studioso, è oggi attiva una Bolton society, che promuove ed incoraggia la raccolta e conservazione di ogni tipo di materiale a stampa riguardante la chimica.

Il lavoro di Bolton, in tempi più recenti, è stato riedito da Vladimir Karpenko, arricchito di note che emendano alcune imprecisioni del testo ed impreziosito da un’estensione delle ricerche dello stesso Karpenko, nonché da un ricco apparato iconografico. http://www.alchemywebsite.com/bookshop/herm_studies2.html

Nella presente edizione italiana poche note del traduttore, necessarie per chiarire alcuni punti problematici del testo di Bolton, sono segnalate da asterischi tra parentesi quadre.

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi scopo.

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Henry Carrington Bolton

CONTRIBUTI DELL’ALCHIMIA ALLA NUMISMATICA.


New York, 1890
Letto innanzi alla New York Numismatic and Archeological Society, il 5 dicembre 1889.


Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi scopo.

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PRELUDIO

Il piombo vale circa cinque centesimi la libbra e l’oro circa trecento dollari la libbra, ovvero circa seimila volte di più. Anche se il processo fosse costoso, la conversione del metallo base renderebbe comunque un favoloso profitto. Questa trasformazione è stata compiuta dai pochi che hanno scoperto o ereditato il prezioso segreto; per ottenerlo l’unico requisito sono operosità e compassione, perciò noi dedicheremo le nostre vite all’impresa.
Questo fu il credo ed il fine degli alchimisti per più di cinque secoli. Sarebbe possibile immaginare una fede più attraente, una occupazione più seducente?

CONTRIBUTI DELL’ALCHIMIA ALLA NUMISMATICA.

La dottrina della trasmutazione dei metalli prevalse in molte nazioni in un remoto periodo del loro sviluppo intellettuale. Essa sembra essere stata una conseguenza di primitive nozioni concernenti la costituzione della materia, in cui un elemento o principio era considerato fondamentale ed in grado di dare vita agli altri. Acqua aria, fuoco e terra erano rispettivamente visti come principi primi di ogni cosa dai filosofi greci, e gli stessi quattro furono adottati da Aristotele. Egli credeva, inoltre, che questi elementi fossero mutamente convertibili, avendo ognuno due qualità, una delle quali era comune a qualche altro elemento. Perciò egli scrisse:

Fuoco è caldo e secco.
Aria è calda ed umida.
Acqua è fredda e umida.
Terra è fredda e secca.

In ciascun elemento era dominante una qualità, e cambiando le proporzioni delle qualità un elemento poteva dunque essere cambiato nell’altro. Questa dottrina venne in seguito estesa ai corpi metallici, ed una pletora di alchimisti iniziò ad investigarla sperimentalmente. Non leggiamo di tentativi di cambiare l’oro in argento né uno di questi metalli in piombo, poiché è l’avarizia che ha agito come un potente stimolo nel portare avanti la ricerca, e una falsa filosofia l’ha sostenuta lungo molte centinaia di anni.

Nel XVI e XVII secolo la fede nella possibilità di convertire piombo in oro ed argento era quasi universale, e la ricerca alchemica coinvolgeva persone di ogni stato sociale; medici che vanamente speravano di scoprire l’elixir di lunga vita, mercanti ed artigiani che cercavano una via breve alla ricchezza, contadini e nobili, mendicanti e principi la cui avarizia era motivo comune, tutti corteggiavano la stravagante follia.

La credenza non era confinata agli ignoranti ed incolti, ma era sostenuta dagli uomini di scienza, dai teologi, dai guerrieri e dagli uomini di stato di quel periodo. Alcuni che professavano di aver compiuto la “grande opera”, come veniva chiamata la trasmutazione, erano certamente illusi per il verificarsi di certi fenomeni che i moderni chimici non hanno difficoltà a spiegare, ma che agli sperimentatori del Medio Evo sembravano prove conclusive della meravigliosa trasformazione. D’altro canto c’erano molti amorali impostori che guadagnavano un precario sostentamento fingendo una conoscenza dell’arte ermetica, che praticavano la loro professione agli ordini ed a spese di ricchi e creduli devoti di Mammona. Questi lavoranti alchimisti assunti, ansiosi di mantenere la loro reputazione e di compiacere i loro padroni, incoraggiavano questa fede con molti trucchi e furbe imposture. Il colto ed abile Dr. John Dee, che godeva del patrocinio sia di Rodolfo II, imperatore della Germania, che della regina Elisabetta di Inghilterra, quando doveva cercare favori a quest’ultima, le inviava un piccolo disco d’oro che egli diceva di aver fabbricato con l’arte ermetica da uno scaldaletto di rame; e poco dopo Dee spedì alla regina, come irrefutabile prova, lo scaldaletto stesso, con un buco nel fondo di rame dell’esatta misura del pezzo d’oro.

Leonhard Thurneysser, un noto medico ed alchimista tedesco, il 20 novembre 1586, in Roma, compì un miracolo con un comune chiodo di ferro; il chiodo venne immerso nella pietra filosofale fusa ed il ferro, appena immerso, venne trasmutato in oro. E tutto ciò venne solennemente testimoniato da un cardinale della Chiesa; d’altronde, non era il chiodo stesso, mezzo di ferro e mezzo d’oro, una tangibile testimonianza in grado di convincere i più scettici?

I credenti nella trasmutazione dei metalli avevano comunque da additare con sicurezza prove ancor più autorevoli e soddisfacenti di questi opinabili esempi. Si trattava di medaglie e monete di argento ed oro debitamente coniate con i riferimenti delle trasmutazioni avvenute, che commemoravano il potere degli adepti ed onoravano i loro nobili patroni. Il numero di queste numismatiche rarità ermetiche è sorprendentemente grande; catalogarle tutte è compito non facile; in questa sede descriveremo quarantatré esempi menzionati in letteratura o conservati all’estero.

La fonte principale di informazione per quanto concerne la numismatica ermetica è un raro in-quarto pubblicato a Kiel nel 1692 da Samuel Reyher ed intitolato De nummis quibsdam ex chymico metallo factis. È una dissertazione presentata alla facoltà di Giurisprudenza dell’università. Nelle sue 144 pagine essa sviluppa 37 capitoli: i titoli dei primi cinque sono i seguenti: cap. I De Nummis aureis; II De nummis Argenteis; III, De Aenigmatibus nonnullis Chymicis; IV De Auro ex Auripigmento; C De Aegyptorum Chrysopoeia et de Aureo Vellere.

Come si può inferire da queste allusioni agli Enigmi della Chimica, l’autore era imbevuto dello spirito credulo che pervadeva ogni branca della filosofia e della scienza di quel periodo. Egli scriveva come storico, ma non è accurato, poiché egli manca di enumerare alcuni esemplari esistenti antecedentemente ai suoi tempi.

Nei primi due capitoli, rispettivamente dedicati alle monete d’oro e d’argento, egli dà la rappresentazione di cinque monete d’oro e quattro d’argento, nominandone inoltre alcune altre. Esse sono descritte in ordine cronologico. Ci può essere perdonata l’osservazione che Reyher aveva vissuto e scritto un secolo troppo presto; infatti dopo il suo periodo un ben più largo numero di queste testimonianze di trasmutazione ed umana credulità, avrebbero potuto accrescere grandemente la mole e l’interesse del suo saggio.

Informazioni addizionali si trovano nei lavori di J. David Köhler (Historisher Mübelustigungen, Nürnberg 1729-1750, 24 voll.), David Samuel Madai (Vollstaendiges Thaler-Cabinet, Königsberg, 1765), Shulthess-Rechberg (Thaler-Cabinet, Wien 1840, 3 voll.) ed altri trattati numismatici; le nostre fonti principali, tuttavia, sono lavori che appartengono più ad una biblioteca alchemica che ad una numismatica; le menzioniamo di passata (1).

I. – (XIII sec.) – Tra le monete più antiche la cui esistenza indiscussa fu vista come visibile prova di lavori ermetici, c’erano le cosiddette Rose nobili coniate dall’oro artificiale fatto da Raimondo Lullo. Questo celebre alchimista (1235-1315) fu invitato da Eduardo II re d’Inghilterra, all’incirca nell’anno 1312, a visitare il suo regno. Al suo arrivo fu fornito di appartamenti nella torre di Londra, dove egli trasmutò i metalli vili in oro; questo fu poi coniato alla zecca in sei milioni di nobili, ognuno dei quali valeva più di tre libbre di sterline. Queste rose, o Nobili di Raimondo, così come vennero anche chiamati, erano ben conosciuti agli antiquari del XV secolo, ed erano reputati come composti di oro più fino di quello di ogni altra moneta d’oro del tempo. Sul recto di queste monete è rappresentato in modo molto rozzo una barca che galleggia sul mare, decorata con un’insegna regale, che trasporta il re che porta nella mano destra una spada sguainata e sul braccio sinistro uno scudo. Attorno a questo disegno, c’è l’iscrizione: EDWARD D[E]I GRA[TIA] REX ANGL[IAE] Z FRANC[IAE] D[OMI]N[U]S IB[ERNIAE]. (Edoardo, per grazia di Dio Re d’Inghilterra e Francia, Signore di Irlanda).

Sul verso una rosa stilizzata circondata da quattro leoni ed una corona ducale, intercalati da quattro gigli. L’iscrizione sul circolo esterno dice: JHS. AUT[EM] TRANSIENS PER MEDIUM ILLOR[UM] IBAT. (Ma Gesù, passando in mezzo a loro andò per la sua strada; Luca IV, 30 (Wiegleb, Untersuch Alchemie, 1777, p. 217).

Rose nobili sono raffigurate da Lenglet du Fresnouy nella sua Histoire de la Philosophie Hermétique (Paris 1741, Vol II p. 8), che annota: «Sono meno rare nel nord dell’Inghilterra che nella capitale; uno dei miei amici ne ha diverse, alcune delle quali pesano dieci ducati» (2). Si dice che queste monete siano state indossate come amuleti per preservare dai pericoli in battaglia, o siano state usate come pietre da tocco in connessione col potere curativo del tocco del re (Pettigrew, Superstition in Medicine and Surgery, London 1844, p. 129).

Lo stesso Lullo, nel suo Ultimo Testamento dichiara che, mentre era a Londra, egli convertì il peso di due tonnellate di mercurio, piombo e stagno, in oro. Questo racconto è certificato da Cremer, abbate di Westminster (M. Maier, Tripus Aureus, Francofurti 1618, p. 183) ed i nobili di Raimondo sono descritti da Wiliam Camden, l’antiquario inglese (Britannica sive regnorum Angliae descriptio, 1586) e da John Selden (Mare Clausum, 1635). Robert Constantine nella sua History of Medicine (1545) afferma di aver trovato documenti pubblici che confermano la notizia che Lullo produsse oro nella Torre di Londra per ordine del re, ed il dr. Edmund Dickenson racconta che gli uomini che traslocarono il chiostro che Lullo occupava a Westminster trovarono un po’ della polvere, con la quale si arricchirono. Gli storici che non credono nella trasmutazione, fanno notare discrepanze cronologiche che gettano dubbi sulle pretese di Raimondo Lullo (vedi Wiegleb, op. cit.).

Gli alchimisti rivestivano i loro scritti con un linguaggio mistico ed enigmatico, e li illustravano con simboli straordinari e geroglifici, dei quali solo una parte sono decifrabili; se gli altri avessero o meno un reale significato razionale è dubbio. Questi simboli includono quelli comunemente usati per designare i sette pianeti conosciuti ed i sette metalli conosciuti, un’associazione che data dai primi secoli dell’era cristiana che fu di uso comune nei manoscritti alchemici e nei libri a stampa per molti secoli, e che dunque, naturalmente, si trova anche sulle monete e medaglie la cui storia è connessa con le trasmutazioni (3).

Gli alchimisti tentavano di spiegare i fatti chimici loro conosciuti, e specialmente la costituzione dei corpi attraverso questa teoria: tutti i corpi, essi dicevano, sono costituiti da tre principi elementari chiamati e simbolizzati in questo modo:  sulphur, volatile; , Sale, fisso;  mercurio, metallico. Questo mercurio era distinto dall’omonimo metallo perché essi lo chiamavano “Mercurio Filosofico”. tutti i corpi erano formati da questi principi immaginari combinati in vario modo, e la predominanza dell’0uno o dell’altro determinava il grado di volatilità, la fissità al fuoco la qualità metallica. Così l’oro, essi dicevano, ha poco zolfo e molto sale e mercurio, mentre il piombo ha molto zolfo, non ha sale, ed una grande parte di mercurio. Essi credevano inoltre che cambiando la proporzione di questi principi un metallo potesse essere trasmutato in un altro; perciò, per convertire il piombo in oro, era necessario rimuovere il suo zolfo, incrementare la componente metallica, aggiungere il sale e cambiare il suo colore. Inoltre la letteratura alchemica abbondava in curiosi segni; ogni sostanza, ogni apparato ed ogni operazione (come fusione, distillazione e filtrazione) aveva il suo proprio segno. Qualcuno era figurativo ed abbreviativo, qualcuno simbolico, ma la maggioranza erano arbitrari (Bolton, Trans. N. Y. Acad. Sciences, Dec. 1882 and March 1883). Una mera catalogazione di essi riempirebbe un libro di molte pagine: l’Alchemistisches Oraculum (Ulm 1772) contiene oltre 2000 di questi simboli.

Nei loro scritti, inoltre, gli alchimisti usavano metafore per designare materie ed operazioni. Perciò il nitro (salnitro) era un ”verme velenoso”, uno “scorpione” ed un “dragone”; l’antimonio era un “lupo” (lupus metallorum); il sale ammoniaco un’“aquila”; e rappresentazioni illustrate di queste materie erano impiegate per definire le relative operazioni chimiche. Perciò il piombo, essendo Saturno, era rappresentato da questo dio della mitologia, generalmente come il greco Cronos, o padre tempo, con la sua gamba di legno, la falce e la clessidra.

Questo enigmatico modo di esprimersi è abbastanza comune in libri e manoscritti di certi autori. I lavori di Michael Maier (4), medico di Rodolfo II di Germania, e quelli di Basilio Valentino, un oscuro (forse mitico) monaco del XV secolo, ne forniscono straordinari esempi.

Questi simboli, metafore figurative e geroglifici venivano utilizzati nelle incisioni dei pezzi d’oro ed argento coniati per commemorare la “grande opera”, e davano ad essi un carattere al contempo significativo e facilmente riconoscibile.

Anche i talismani metallici contenevano frequentemente i simboli dei sette metalli, segni dello zodiaco e caratteri magici, ma questi erano privi di veri collegamenti alchemici, e non sono oggetto del nostro studio. Il curioso può consultare le tavole del terzo volume di Appel, Repertorium sur Münzkunde des Mittelalters (Wien 1824), ed anche il saggio sulle medaglie amuleto ed i talismani di David L. Walter, in Proceedings Am. Numismatic and Archaeological Society of New York, per il 1886 (p. 38).

II. – (1604) – Un buon esempio della rappresentazione fantastica menzionata, è la moneta data 1604 raffigurata nel citato lavoro di Reyher (p. 15).

Recto: Rozza figura dei quattro animali della profezia, il leone, il vitello, l’uomo e l’aquila (Apocalisse. IV, 7) che mantengono nel loro mezzo un vello maculato. Sopra di questi vi sono tre corone; sulla prima c’è un giovane uomo che tiene una spada in una mano ed una croce nell’altra; sulla seconda c’è un vecchio barbuto che indossa un elmetto a punta e porta il Reichsapfel o Globo Imperiale; sulla terza corona c’è una colomba. Attorno a queste figure simboliche delle tre persone della Trinità ci sono le parole:

Tria mirabil[ia]
Deus et homo
Trin[us] et un[us]
Mater et virgo

Ovvero: Tre meraviglie, Dio e l’uomo, Trino ed uno, madre e vergine.

Questa iscrizione si trova anche su altre monete di provenienza ermetica.

Sul verso, al centro un simbolo convenzionale del mercurio modificato che fa da base ad un pellicano che nutre il suo piccolo; all’interno del cerchio del simbolo più in basso c’è un’aquila. La parte bassa del simbolo è formata da  (rame), il centro da  (antimonio) e la cima dal caduceo di Mercurio, intrecciato. Sulla destra c’è un uomo che tiene in mano il simbolo  (zolfo), e nell’altra un oggetto indescrivibile; sulla sinistra c’è un giovane che tiene  (Mercurio) in una mano ed una cornucopia nell’altra. L’iscrizione, sopra le figure, dice: ESSENTIA UNA (una essenza); al di sotto: RITR. G. I. W. E più sotto SIC VOLVERE FATA (così il fato ha deciso). Sotto c’è la data, 1604. Intorno ad un circolo più esterno: NATUR[A] UN[ITA] USU R[E]NATA MODO TOT[A]  FUERAM, NUNC  CLAR[ISSIMUM EXTO. (Originariamente uno nella mia natura, ora interamente rigenerato, io ero piombo, contemplami come brillantissimo oro). Argento, ovale.

III. – 1617 – Samuel Reyher, nel lavoro descritto, dice di possedere, per la liberalità del Dr. Johan Ludolph Ringelmann, un esemplare d’oro che egli mostra in un’incisione senza spiegarne la storia. La sua descrizione è la seguente:

Recto – Figure di un uomo ed una donna, apparentemente allo stato selvaggio, su ciascun lato di uno scudo ornamentale; l’iscrizione intorno al cerchio esterno recita: MON[ETA] NO[VA] ARGENTEA CVIVITATIS EREFORD (Nuova moneta d’argento della città di Erfurt).

Verso – uno scudo diviso in quattro parti, a mo’ di stemma, sormontata da una testa di cherubino tra nuvole, con al data 1617 ed il segno  (zolfo degli alchimisti), e  (mercurio). Vicino al bordo l’iscrizione: DATE CAESARIS CAESARI ET QUAE DEI DEO (Matteo XXII, 21: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio) (Kohler [J. D.] op. cit. Vol, 21, p. 65, Madai, No. 2219).

Due esemplari di questi talleri di Erfurt del 1617 sono conservati nel Gabinetto Reale delle monete Bavarese, come vengo a sapere dal dr. Hans, Riggauer.

IV. – Un’altra moneta, con la stessa datazione, è brevemente menzionata dal Tenzel. Essa riporta incisa una fenice, e sotto quest’uccello favoloso le parole IN TERRIS RARISSIMA SED TAMEN (rarissima in terra, ciò nonostante esisto). L’origine di questa moneta gli è tuttavia sconosciuta (per Tenzel, vedi la moneta del 1687 descritta di sotto).

V. – (1622) – Dr. George Wolfgang Wedel, professore di medicina all’università di Jena nel 1673, membro di dotte società e medico di corte, fu un assiduo contributore della letteratura alchemica. Di carattere impeccabile, le sue asserzioni avevano gran peso presso i suoi pari. Wedel (anche chiamato Wedelius) descrive un esemplare d’argento battuto dalla città di Erfurt, con la data 1622, e caratterizzato dai segni  (zolfo) e  (mercurio). La descrizione completa è la seguente:

Recto – MON[ETA] NO[VA] ARG[ENTEA] CVIVIT[ATIS] ERFFORD 1622 (nuova moneta d’argento della città di Erfurt, 1622) scritta che circonda una ruota con dei cartigli, ed i segni  e  (zolfo e mercurio).

Verso – Le armi della città di Erfurt e l’iscrizione: NACH DEM ALTEN SCHROT UND KORN (di regolare peso e purezza).

Wedel comunque, annota che nel 1622 c’erano due maestri della zecca in Erfurt, chiamati Ziegler e Weismantel, ed il secondo, per distinguere il suo conio d a quello del primo, impiegava i conosciutissimi segni citati, senza alcuna intenzione di riferirsi ad un significato ermetico (Reyher, p. 6; Buddeus, § 21). A questa categoria appartiene ovviamente la moneta tedesca del quarto secolo menzionata da Reyher. Hans Riggauer mi informa che tre esemplari delle moneta di Weismantel sono conservate nel Gabinetto Reale delle monete bavarese.

VI. (IV secolo) – Citando il Münz-Spiegel di Tilemann (I. 3.. c. 4, p. 91) Reyher dice: Al tempo avveniva che la gente avesse sì monete, ma la maggior parte di queste erano sottili e bucate, per convenienza della gente comune. In seguito i Re ed i Principi [in Germania] batterono monete d’argento ed oro ma di piccolo valore, da 20 a 25 Eschen, come i romani semis e tremis. L’oro impiegato, comunque, era talvolta di ineguale titolo, specie il più antico, talvolta di 22 carati, talvolta di 18 o altro titolo, fino al più recente da 12 carati. Queste recano in genere il busto di vari monarchi su di un lato, e sull’altro la figura di Mercurio, il messaggero degli dèi, che tiene il simbolo  in mano, vale a dire che la parte superiore del segno era, capovolta, nella sua mano destra, e la croce + nella sinistra; da ciò appare che le monete vennero coniate dai governanti Svevi, poiché Tacito annotava che Mercurio era particolarmente venerato dai Svevi. Fin qui Tilemann.

Una rozza e piccola incisione, nel lavoro di Reyher, mostra le monete sopra descritte, ed una quasi indecifrabile iscrizione.

Gli alchimisti cercavano la pietra filosofale nei tre regni della natura; animale, vegetale e minerale. Ma il principale oggetto dei loro sforzi era il metallo liquido, il mercurio, che aveva gran peso e la paradossale proprietà della fluidità; essi discutevano se potesse assumere un colore giallo e “fissato”, ovvero se potesse essere privato della fluidità, diventando oro. Il mercurio, perciò, è costantemente simbolizzato sulle monete ermetiche, ma pretendere che ogni moneta su cui sia impresso  possa essere prova di una trasmutazione, ovviamente sarebbe assurdo.

Josef Neumann (Beschreibung der bekanntesten Kupfermünzen, Praga 1858) nomina diverse monete che recano il simbolo del rame  ad indicare il metallo da cui erano coniate. I numeri 2649 e 2650 datano 1767, e furono coniate da Stanislao, re di Polona. Una terza moneta di rame citata da Neumann (1203 a) reca i simboli , su uno dei tre scudi. È una moneta austriaca del 1652. Annotiamo di passata questi esemplari, come pezzi addizionali a prova del fatto che i simboli planetari furono usati dai maestri di zecca senza alcuna intenzione di riferire ad essi un significato alchemico.

VII. (1630) – Un tallero d’argento di squisita fattura, coniato in Mainz, è catalogato dal Madai come alchemico, probabilmente perché reca il simbolo .

Recto: un ritratto a mezzo busto di Anselm Casimir (elettore ed arcivescovo di Mainz) che indossa un collare, con le parole: ANSELMI CASIMIRI D.[EI] G.[RATIA] ARCHIEP[ISCOPI] MOG[UNTINENSIS] S.[ACRI] ROMA[ANI] IM[PERI] PER GERM[ANIAM] ARCH[I]CAN[CELLARII] P[RINCIPIS] E[LECTORIS]. (Anselm Casimir, per grazia di Dio Arcivescovo di Mainz, Arcicancelliere, Principe ed Elettore del Sacro Romano Impero).

Verso: le armi del principe con tre elmetti ed il pastorale arcivescovile con una spada. Iscrizione: MONETA NOVA ARGENTEA MOGUNTINA, 1630 D. . (Nuova moneta d’argento di Mainz, 1630. Il segno D  si ritiene sia stato il sigillo del maestro di zecca. Il pezzo ricorre in due stili, rotondo ed ottagonale (Madai, n° 402).

VIII. (1634) – Diverse monete d’oro e d’argento coniate con l’effige di Gustavo Adolfo, re di Svezia, o con le sue armi regali, sono considerate dagli alchimisti come prove di trasmutazioni. Essi basano la loro pretesa sul fatto che le monete recano i venerati segni del mercurio  e dello zolfo . John f. Dubbeus ed altri storici non considerano valida questa pretesa, ed attribuiscono questi segni all’estro dei maestri della zecca reale (Historisch und politische Untersuchung von der Alchimie, in Roth-Scoltz, Deutsches Theatrum Chemicum, Erster Theil, Nurnberg 1728).

Reyher, citando il viaggiatore Monconys (Itin., parte II, p. 381), riferisce il seguente episodio:

«Il farmacista Strobelperger mi disse che un certo mercante di Lubecca, di non molto successo negli affari, era tuttavia conosciuto per aver “fissato” il piombo ed averlo convertito in oro. Egli aveva presentato al re di Svezia, che in quel tempo passava per la Pomerania, una massa d’oro che pesava cento libbre, preparata da lui per mezzo dell’arte ermetica. Gustavo Adolfo fece di quest’oro dei ducati che portavano su di un lato il suo ritratto, sull’altro le armi reali col simbolo del mercurio e dello zolfo. Egli mi diede – continua Monconys – uno di questi ducati e disse che dopo la morte del mercante, che non sembrava molto benestante ed aveva da molto interrotto gli affari, si trovarono nella sua cassa un milione e settecentomila corone» (Reyher, cap. I, p. 4). Le monete di cui si riferisce sono raffigurate da Reyher e Buddeus:

Recto: Busto di Gustavo Adolfo, testa coronata di profilo con una ghirlanda; intorno al bordo l’iscrizione: GUSTAV[US] ADOLPH[US] D[EI] G[RATIA] SUEC[ORUM] GOTH[ORUM] VAND[ALORUM] R[EX] (Gustavo Adolfo per grazia di Dio re degli Svedesi, Goti e Vandali).

Verso: Le armi regali di Svezia con  e , con la data 1634. Su bordo l’iscrizione: PR[INCEPS] FINL[ANDIAE] DUX ETHON[IAE] ET CAREL[IAE] DOM[INUS] INGER[MANNIAE] (principe di Finlandia, duca di Estonia e di Carelia, Signore di Ingria). La misura della moneta era data da Reyher come un circolo di 22 millimetri di diametro.

IX. (1632) – I seguaci di Hermes rivendicano anche un doppio ducato di Gustavo Adolfo, con la data 1632. Questa moneta d’oro ha sul recto un teschio umano su di un osso, fuori dal teschio escono dei serpenti insieme ad una vite, sui cui tralci sono appesi innumerevoli grappoli d’uva. Attorno quest’emblema l’iscrizione: EZECH.[IEL] AM. XXXVII CAP.[ITEL] UND AM VI NOVEMBER 1632. (Ezechiele capitolo 37, e 6 novembre 1632). In un altro cerchio le parole: GUSTAVUS ADOLPHUS D. G. SUEC. GOTH. VAND. RE * (Gustavo Adolfo, per grazia di Dio re degli Svedesi, Goti e Vandali).

Verso: Le armi reali di Svezia con l’anno 1633 ed il segno dello zolfo  e del mercurio  ai due lati. Attorno a ciò: DV MEN[S]CH[EN] KIND MEINST AUCH DASS DI[E]SE BEINE WID[ER]LEBEN WERD[EN] (O figlio dell’uomo, credi che queste ossa vivranno ancora). In un circolo più all’esterno: PR[INCEPS] FINL[ANDIAE] DUX ETHON[IAE] ET CAREL[IAE] DOM[INUS] INGER[MANNIAE] (principe di Finlandia, duca di Estonia e di Carelia, Signore di Ingria). Il riferimento ad Ezechiele, capitolo 37, si riferisce alla visione delle ossa secche, alle quali gli alchimisti davano una misteriosa interpretazione ermetica (Joh. Heinr. Scheler, Beschreibung derer su Ehren des Koenigs in Schweden, Gujstavi Adolphi, mite dem signo Sulphuris et Mercurii 1632 su numismatica, Norimb. 1760, Reyher op. cit. p. 9, Madai n° 218).

X. (1631) – Un terza moneta d’argento di Gustavo Adolfo reca sul recto il Tetragrammaton , ovvero il sacro nome di Jeovah in caratteri ebraici, con raggi di gloria, e sotto queste parole: A DOMNINO FACTUM EST ISTUD (dal Signore ciò è stato fatto).

Verso: questa iscrizione in undici righe: DEO TER OPTIMO | MAXIMO GLORIA ET LAUS | QUI GUSTAVO ADOLPHO | SUECORUM GOTHORUM | VAND[ALORUM] QUE REGI CONTRA | CAESAREANUM AC | LIGISTICUM EXERCITUM | VICTORIAM TRIBUIT | AD LIPSIAM DIE | VII SEPT. ANNO M. D. C. XXXI (Sia gloria e lode a Dio, tre volte ottimo, che diede la vittoria a Gustavo Adolfo, re degli Svedesi, dei goti e dei Vandali, contro l’armata imperiale e l’esercito dei Ligistiani, a Lipsia, nel settimo giorno di settembre 1631). Sotto quest’iscrizione il carattere  (mercurio) ma Reyher, che fornisce una rappresentazione di questa moneta, nota che questo segno probabilmente denota il giorno della settimana (mercoledì) e non il metallo che formava la base delle operazioni ermetiche. Il Gabinetto Reale delle monete di Bavaria, a Monaco, possiede diversi esemplari di queste monete di Gustavo Adolfo, vale a dire: del ducato del 1634 sei esemplari; del doppio ducato del 1633 in argento, un pezzo; del tallero del 1631, un esemplare; inoltre due della stessa data senza il simbolo ed un esemplare d’oro dello stesso conio. Il dr. Hans Riggauer, direttore del gabinetto, col quale siamo grandemente indebitati per la lista dei tesori alchemici conservati in Monaco, menziona anche un doppio tallero di Erfurt, datato 1631:

Recto: Il segno  e  in uno stemma decorato, e Gustavo Adolfo che ascende alle stelle in un carro a due cavalli.

Verso: Gustavo Adolfo su di un letto a baldacchino (vedi Schulthness, 2048).

XI. (1647) – La ricerca alchemica non sembra essere stata perseguita in Danimarca tanto precocemente quanto altrove. Cristiano IV, asceso al trono nel 1588 (morto nel 1648) aveva al suo servizio un alchimista dal nome di Caspar Harach, che aveva l’utilissima abilità di trasmutare i prodotti delle miniere norvegesi in oro; vennero mostrati ducati danesi del 1644 e del 1646, che egli diceva essere stati fabbricati con oro artificiale. Alcuni comunque erano increduli, e per sostenere l’onore del suo alchimista privato, re Cristiano ordinò che fossero coniati nuovi ducati. Questi ultimi portano sul recto la figura intera del re in armatura, sormontata dalle parole: CRISTIANUS D[EI] G.[RATIA] DAN.[IAE] R.[EX] (Cristiano, per grazia di Dio re di Danimarca). Il verso ha un paio di occhiali piuttosto grandi e la legenda: VIDE MIRA DOMI[NI]. 1647 (Vedi la mirabile opera del Signore). (Raffigurato in Köhler, Münzbelustigungen, Theil, XII, p. 145, 1740).

XII. (1647) – Nello stesso anno un adepto chiamato J. P. Hoffmann compì una trasmutazione in presenza dell’imperatore Ferdinando III, in Norimberga. Da questo oro ermetico l’imperatore produsse una medaglia il cui conio è di rara bellezza. Essa è raffigurata nel lavoro di un anonimo autore intitolato Nützliche Versuche und Bermerkungen aus dem Reiche der Natur, pubblicato da Georg Bauer in Norimberga nel 1760. Questo esemplare eccezionalmente raro porta sul recto due scudi in uno dei quali ci sono otto gigli ed un leone coronato fortemente stilizzato. In un circolo esterno ci sono le parole: LILIA CUM NIVEO COPULANTUR FULVA LEONE, ed in un circolo interno: SIC LEO MANSUESCET, SIC LILIA FULVA VIRESCENT. 1647 (I gigli gialli giacciono col leone bianco neve come il leone sarà domato, così i gigli gialli fioriranno). I due scudi sono collegati, nella parte superiore da una corona, sulla quale ci sono le lettere I. P. H. V. N. F. che significano: JOHANNES PETRUS HOFMANN VASALUS NORIBERGENSIS FECIT; ed a destra delle lettere T.G.V.L., ovvero TINCTURA GUTTAE V LIBRAM che fa riferimento al fatto (?) che cinque gocce della tintura trasmutano un’intera libbra del metallo base. Questo potere delle tintura è anche indicato dalle lettere V. G. (quinque guttae) che compaiono tra i due scudi sotto.

Sul rovescio, al centro c’è un cerchio contenente la figura del guerriero Marte che tiene in una mano il simbolo  e nell’altra una spada, circondato dall’iscrizione: ARMA FURENS CAPIAM RURSUQUE IN PRAELIA SURGAM (Adirato io prenderò la mia arma ed ancora mi avventerò in battaglia). Ciò fa riferimento al fatto che, in questo caso, l’agente attivo della trasmutazione era costituito da ferro. Intorno a questo cerchio centrale ve ne sono sei più piccoli; il primo contiene il simbolo del piombo con le parole A MARTE LIGOR (da Marte sono legato). Il secondo col segno del piombo  con le parole A MARTE DEFENDOR (Per mezzo di Marte sono difeso). Il terzo col segno di rame  e le parole A MARTE GONJUNGOR (a Marte sono unito). Il quarto col segno del mercurio  e le parole MARTIS HORRORE DEFICIO (vengo meno per la paura di Marte). Il sesto cerchio contiene il simbolo dell’oro  con le parole A MARTE OBSCUROR (sono oscurato da Marte). Il significato ermetico di Marte è il ferro, come già accennato. George Bauer, descrivendo questa medaglia coniata a mano nel 1760, disse che era conservata nel Gabinetto delle Monete di sua Maestà Imperiale.

XIII. (1648) – La Guerra dei Trent’anni fu portata felicemente a termine dall’imperatore Ferdinando III col trattato di Westphalia, il 24 ottobre 1648. Nel gennaio dello stesso anno l’imperatore trovò tempo, a dispetto delle cure di stato, di sperimentare con la affascinante arte di Hermes. Un certo Richthausen, che affermava di aver ricevuto la polvere di proiezione da un adepto ormai morto, eseguì la trasmutazione alla presenza dell’imperatore e del conte di Rutz, direttore delle miniere. Tutte le precauzioni suggerite dall’esperienza con impostori furono osservate, e con un grano di polvere fornito da Richthausen furono cambiati in oro due libbre e mezzo di mercurio. Per commemorare questo evento l’imperatore fece coniare una medaglia del valore di 300 ducati con appropriate iscrizioni. Il recto conteneva una rappresentazione a tutta figura di Apollo con la testa raggiante; in una mano egli teneva la lira, e nell’altra il caduceo; i suoi piedi erano coperti con sandali alati, e perciò personificava la trasmutazione del mercurio in oro. Sopra e sotto la figura vi erano le parole: DIVINA METAMORPHOSIS EXHIBITA PRAGAE XV JAN. AO. MDCXLVIII IN PRAESENTIA SAC. CAES. MAJEST. FERDIANNDI TERTII (la divina metamorfosi esibita a Praga, il 15 gennaio 1648 alla presenza di sua maestà imperiale Ferdinando Terzo).

Sul verso non c’erano ornamenti, con le parole. RARIS HAEC UT HOMINIBUS EST ARS ITA RARO IN LUCEM PRODIT. LAUDETUR DEUS IN AETERNUM QUI PARTEM SUAE INFINITAE POTENTIAE NOBIS SUIS ABIECTISSIMIS CREATURIS COMMUNICAT (così come rari uomini posseggono quest’arte, così essa raramente viene alla luce. Sia lodato Dio in eterno, che comunica una parte della sua infinita potenza a noi, sue abiettissime creature). Le dimensioni di questa medaglia descritte erano di 2 e ¾ di pollici di Würtemberg in diametro, e 3/8 in spessore. Essa era ancora presente a Vienna, al Tesoro, nel 1797, ed è stata raffigurata in diverse opere, tra le quali possiamo ricordare J. J. Becher, Oedipus Chimicus (Amstelodami 1664), la Mantissa Spagirica di Zwelffer (1652) e il Philosophical Epitaph di W. Cooper (London 1673).

La numero XIII così come è raffigurata da J. J. Becher, Oedipus Chimicus.

XIV. (1650) – Due anni dopo questo riuscito esperimento l’imperatore fece un’altra proiezione a Praga, operando su piombo con un po’ di polvere ricevuta da Richthausen. Coll’oro così ottenuto Ferdinando fece coniare una seconda medaglia con l’iscrizione AUREA PROGENIES PLUMBO PROGNATA PARENTE (Aurea progenie nata da plumbeo genitore). Questa medaglia fu vista dal viaggiatore Keyssler nello scorso secolo, nel castello imperiale di Ambras nel Tirolo. Richtausen, che aveva fornito all’imperatore i mezzi per queste trasmutazioni, venne fatto nobile col titolo di “Signore del Chaos” (J. G. Keyssler, Neueste Reisen durch Deutschland, 2 Abth. Hannover).

XV. (1658) – L’abile Richthausen, ora signor de Chaos, diede ulteriori prove delle sue competenze (in prestidigitazione o chimica?) nell’anno 1658. L’elettore Giorgio Filippo di Mainz, un caldo sostenitore di alchimisti, avendo ricevuto un po’ di polvere di proiezione da Richthausen, prese straordinarie precauzioni contro la possibilità di frode, convertì egli stesso quattro once di mercurio in oro. Il metallo era finissimo, e fu necessaria una addizione di argento per portarlo al grado ordinario di purezza del conio. Pezzi di quest’oro erano in possesso del prof. G. W. Wedel dell’università di Jena, ed anche i ducati di Mainz furono coniati da una porzione di questo abbondante metallo. Sul recto essi recavano le armi dell’Elettorato di Mainz con le parole GEORG.[IUS] FRID.[ERICUS] D.[EI] G.[RATIA] ARCHIEPI.][ISCOPUS] P.[RINCEPS] E.[LECTOR] EP[ISCOPUS] WORM.[ATLAE] (Giorgio Federico, per grazia di dio Arcivescovo, Principe Elettore e Vescovo di Worms).

Sul verso le parole: DUCATUS NOV[US] AUR.[EUS] ELECTOR.[ATUS] MOGUNT.[AIE] (nuovo ducato d’oro, coniato per l’Elettorato di Mainz) e sotto queste parole la ruota di Mainz. Essi furono stampati col segno  che denotava che l’oro era stato fatto dal mercurio per arte ermetica. (Moncony, Voyages, II 379).

XVI. (1652) – Un pezzo d’argento originario dei Paesi Bassi è riportato da Reyher. Sul recto ci sono questi curiosi emblemi: una torre con fiamme che fuoriescono dall’arco, una lumaca che porta un anello in bocca su di uno sfondo di colline sulle quali volano degli uccelli. Intorno queste parole:

† Van’t geen dat Elck Wersmeet;
Ben ick in t’ wesen bracht
Dieck’ eer maer Vullis was
Bral nu met a’ hoochst pracht.

(Nessuno ha trovato ciò che ognuno disprezza.
Io fui portato all’essere;
Sebbene io fossi meno di immondizia,
Ora brillo con la più grande luce).

Sul verso vi sono tre minatori al lavoro con picconi e pale in una cava o miniera; attorno queste parole:

† Langst geweest, eerst gevonden;
Door Goots gaeft te deser stonden.
T’ koompt van Godt
Dit Edel Lot A. 1652.

(da lungo tempo esistente, sono stato appena scoperto
Per dono di Dio in questo tempo
Questo nobile lot viene da Dio, Anno 1652) [*].

Reyher dice che questa moneta era conservata nel tesoro dell’illustre Conte di Schwartzburg, residente ad Arnstadt in Turingia.

XVII. (1675) – Un monaco Agostiniano chiamato Wenzel Seyler, nativo della Boemia, visitò Vienna nel 1675 e, garantendosi un colloquio coll’imperatore regnante Leopoldo I, figlio di Ferdinando III, compì in sua presenza una proiezione coronata da successo. Egli convertì in oro un vaso di rame che gli era stato portato. Trasmutò anche piombo in oro, e dal metallo prezioso l’imperatore fece coniare ducati stampati solo da un lato; essi recavano sul recto il busto dell’Imperatore con le parole: LEOPOLDUS D.[EI] G.[RATIA] R.[OMANORUM] I.[MPERATOR] S.[EMPER] A.[UGUSTUS] G.[ERMANIAE] H.[UNGARIAE] E.[T] B.[OHEMIAE] R.[EX] (Leopoldo, per grazia di Dio sempre augusto imperatore del Romano Impero, Re di Germania, Ungheria e Boemia). Sul verso l’anno 1675 ed il distico:

Aus Wenzel Seyler’s Pulver Macht
Bin ich von Zinn zu Gold Gemacht.

Che può essere parafrasato in questo modo:

Con l’aiuto di Wenzel Seyler, Leopoldo
Mi trasmutò di piombo in oro.
(Gottfr. Heinr. Burghad, Destillirkunst, Brieg 1748).

XVIII. (1677) – Wenzel Seyler fu ricompensato con la nobiltà, col patronimico Von Reinburg, ma trovato colpevole di pratiche ingannevoli fu spedito indietro al suo monastero senza ulteriori punizioni. Due anni dopo questo abile monaco riuscì a persuadere nuovamente l’imperatore dei suoi poteri, ed una grande medaglione elegantemente ornato, ancora conservato nel Gabinetto delle monete a Vienna, commemora l’evento. Questo medaglione è di forma ovale, misura 40 per 37 centimetri ed ha un peso di 7200 grammi. Sul recto è inciso un ritratto di Leopoldo I circondato da non meno di 41 ritratti dei suoi predecessori sul trono tedesco. Sul verso c’è una lunga iscrizione in latino, che mette in evidenza le virtù dell’imperatore ed i poteri di Johan Wenzel von Reinburg, nell’anno 1677. Questo medaglione è raffigurato nei Monumenta Augustae Domus Austriacae di Herrgott (1760) e in Chemie und Alchymie in Oesterreich (Wien 1883) del prof. A. Bauer.

Nell’agosto 1888 ho esaminato di persona il medaglione nel Gabinetto delle monete di Vienna. Esso è di elaborata esecuzione ma è decisamente di color ottone, ed è stato riconosciuto avere un peso specifico di soli 12,67, invece di quello dell’oro che è di 19,3. Due piccole tacche, una sul lato superiore ed una in basso, mostrano che è stato intaccato per l’esame.

XIX. (1677) – Il Barone Krohneman, uno dei più sfacciati impostori del diciassettesimo secolo, impersonò la parte di adepto alla corte del Margravio George William di Baireuth [**], con mutevoli successi dal 1677 al 1686. Egli fingeva di essere in grado di “fissare” il mercurio, ovvero di convertirlo in solido, e di cambiare il suo colore in giallo; in breve di convertirlo in oro. Vivendo a spese del margravio e consumando grandi somme di denaro in infruttuosi esperimenti, egli cercò di recuperare la sua indebolita reputazione con un colpo coraggioso: in presenza del principe egli scaldò il mercurio con sale, aceto e verderame in un piatto di ferro, ed alla fine dell’operazione ne rimase dell’oro. Probabilmente l’imbroglione mescolò oro in polvere col verderame. L’argento fu prodotto in maniera simile, e da questo metallo fu coniata una medaglia, incisa con figure simboliche e dedicata al margravio.

Il recto ha una figura del dio Mercurio alato su di un piedistallo; nella mano destra regge un caduceo con il sole alla sua testa, e la mano sinistra è piazzata di traverso sul torace, una catena connette le sue due braccia alle caviglie, e vicino a queste pende un lucchetto. Sopra la figura c’è l’iscrizione ARTE ET INDUSTRIA, e, sotto, EXHIBITUM SERENISSIMO PRI[NCIPI] DNO [DOMINO] CHRISTIA[NO] ERNESTO D[EI] GRATIA MARCHIONI BRANDERB[URGIAE] DUC[I] BORUIS[IAE] DIE VI NOV[EMBRIS]ANNO MDCLXXVII (Offerto al serenissimo principe Cristiano Ernesto, per grazia di Dio margravio di Brandeburgo, Signore di Prussia il sesto girono di novembre nell’anno 1677).

Il verso contiene le parole: SOLIUS QUOD MULTIS CREDITUM ESSE NATURAE OPUS NON MINOS ARTIS ESSE IGNORET NEMO. PRODIERE OLIM PRODEUNT ET NUNC IPSIUS TESTIMONIA REI, DEO HONORI, PROXIMO SALUTI, TOTI MUNDO ADMIRATIONI. (Che nessuno ignori il fatto che ciò che molti hanno creduto di essere l’opera della natura da sola non è meno opera dell’arte. Precedentemente prodotte, sono ora prodotte come mostrato dalla cosa stessa. A gloria di Dio, salvazione del prossimo ed ammirazione del mondo intero).

Krohneman aveva giustamente contato sull’effetto di questo gioco di prestigio, ed il principe gli diede il titolo di barone insieme a molti altri favori. Egli continuò le sue astuzie ingannando numerose persone di potere, depredando il generale Kaspar von Lilien della somma di 10.000 fiorini, e vivendo con stile stravagante sui suoi guadagni illeciti. In tempi differenti durante i dieci anni in cui fiorì, sette altre monete e medaglie vennero coniate a memoria delle operazioni condotte da Krohneman o imposte ai suoi mecenati. Quattro di queste portano la data 1679, una 1678, una 1681 ed una non ha data.

La medaglia del 1678 è moto simile a quella coniata il 6 novembre 1677; riporta sul recto la figura di Mercurio che regge il caduceo in verticale, e sul verso vi si trova la medesima iscrizione. La data sul verso, comunque, è 8 gennaio 1678, sul piedistallo di Mercurio ci sono le iniziali di Krohneman: C.[HRISTIANUS] W.[HILELMUS] B.[ARO] D.[E] K.[ROHNEMAN], insieme ad una sola parola, POSTERITATI (alla posterità). Di questa medaglia furono fatte molte impressioni, alcune delle quali al posto delle parole ARTE ET INDUSTRIA riportavano la legenda PIETATE ED JUSTITIA (pietà e gisutizia). Esse pesavano 4 lot e due quinti, essendo più piccole della moneta del 1677.

XXI. (1679) – Le quattro monete del 1679 hanno i seguenti caratteri:

1 – Tanto in argento che in oro, quest’ultima con valore di 8 ducati e mezzo, e dedicata alla margravina per il suo compleanno, il 18 febbraio.

Recto: una colonna dorica coronata e circondata da un tralcio con grappoli; su di un lato Cupido lancia una freccia, sull’altro un girasole con il fiore girato verso il sole, che è sopra, a lato della colonna centrale. Di sotto a questa un paio di colombe, sullo sfondo BAYREUTH. Inscrizioni: AUF LIBES GLUTH (nell’ardore dell’amore) DER DURCHL [AUCHTIGSTEN] UND UNVERGLEICHLICHTEN PRINZESSIN, ZI EHREN F.[RAUEN] (in onore della nobilissima ed incomparabile signora principessa).

Sul verso: un albero di palma con frutti, e, sopra, i raggi del sole; su ciascun lato un cuore connesso da una catena all’albero e sormontato da una corona. Iscrizioni (continuano dal recto): SOPHIA LOUYSA MARG.[RAEVIN] ZU BR.[ANDEBURG] G.[EBHOREN] H.[ERZOGIN] Z[U] W.[URTEMBERG] U.[ND] T.[ECK] AUFGERICHTET V.[ON] C.[HRISTIAN] W.[HILELM] B.[ARON] V.[ON] K.[ROHNEMAN] (coniato in onore di Sofia Luisa Margravina di Brandeburgo, per nascita duchessa di Wurtemburg e Teck, da Christian Wilhelm Barone Krohneman). In un semicerchio all’interno di quello più esterno: FOLGT SEEGENS GUTH; sopra un cuore DIE STARCKT; e sopra l’altro DER MUTH. Su di un cuore le lettere C.[HRISTIAN] E.[RNST]; sull’altro S.[OPHIA] L.[LOUYSA] (le benedizioni del cielo seguono forza e coraggio) (Kohler, vol. IX, p. 417).

XXII. 2 – Anch’esso in argento ed oro, l’ultimo dei quattro ducati fu coniato nel giorno del battesimo del principe, il 14 maggio 1679.

Sul recto un uccello bicefalo, in parte aquila, sormontato da una corona su cui si leggono le parole: PRAESIDIA PRINCIPIS (protezione del principe). Sul cerchio esterno le parole: IN HONOREM SER.[ENISSIMI] PRINC.[IPIS] D.[OMINI] D.[UCIS] CHRIST.[IANI] ERNEST.[I] MARCH.[IONIS] che hanno continuazione sul verso.
Sul verso si vede uno scudo ovale su un braccio nudo, la mano che stringe un ramo di alloro, il braccio che esce da nuvole. Sopra, le parole PRO PATRIA su di un rotolo di pergamena, ed attorno al bordo: BRAND.[EMBURGIAE] BORUSS.[IAE] DUC.[I]: OFFERT. C.[HRISTIANUS] W.[HILELMUS] B.[ARO] D.[E] K.[ROHEMAN] M.DCLXXIX (in onore di sua altezza serenissima principe, signore e duca Christian Ernest, margravio di Brandeburgo e duca di Prussia; offerto da Christian Wilhelm Barone Khroneman).

XXIII. 3 – Questo pezzo è d’argento ed è comunemente definito un gulden.

Recto: Il busto ritratto del margravio Christian Ernest e le parole: CRISTIAN.[US] ERN.[ESTUS] G.[RATIA] MAR.[CHIO] BR.[ANDEBURGIAE] E.[T] M.[AGDEBURGI] P.[RUSSIAE] D.[UX] B.[URGRAVIUS] N.[ORIMBERGAE] (Christian Ernest, per grazia di Dio margravio di Brandeburgo e Magdeburgo, Duca di Prussia e burgravio di Nuremburg).

Verso: senza ornamenti e con l’iscrizione: IN NATALEM SERENITATIS SUAE SEXT.[UM] ET TRIGES.[IMUM] DEXCENTI CULTU MACTANDUM NUMISMA HOC FIERI CURAVIT C.[HRISTIANUS] W.[ILHELMUS] B.[ARO] K.[ROHNEMAN] 1679. (Christian Wilhelm, barone Krohneman, ha coniato questa moneta per celebrare appropriatamente il trentaseiesimo compleanno di sua altezza serenissima).

XXIV. 4 – Un tallero d’argento coniato per il compleanno del principe della corona George Wilhelm il 16 novembre 1679.

Recto: una mano armata si appoggia su parte di un globo reggendo uno scettro in verticale. Il braccio esce da nuvole e supporta un ramo di alloro. Sopra lo scettro il sole con lunghi raggi, sormontato dalle parole: A DEO ET PARENTE (Da Dio e da suo padre). Sul bordo esterno l’iscrizione: IN HONOREM ET DIEM NATAL.[EM] 16 NOV.[EMBRIS] 1679. SER.[ENISSIMI] PRINC.[CIPIS] D.[UCIS] D.[OMINI] GEORG.[II] W.[ILHELMI] (In onore e per il compleanno dell’illustrissimo principe, duca e signore Georg Wilhelm, 16 novembre 1679).

Verso: Una tavola quadrata su cui poggia un cuscino con sopra una spada ed uno scettro incrociati che passano attraverso una corona; sopra di ciò un occhio tra nuvole da cui si proiettano raggi. Su di un rotolo di pergamena o un nastro le parole: OPTIMA SPES PATRIAE (La migliore speranza della nazione). Intorno i bordi l’iscrizione: MARCH.[IONIS] BRAND.[ENBURGIAE] BOR[USSIAE] DUC.[IS] OFFERT C.[HRISTIANUS] W.[ILHELMUS] B.[ARO] D.[E] K.[ROHNEMAN] (Margravio di Brandeburgo, duca di Prussia, offerto da Christian Wilhelm barone Krohneman, 1679). Questa è palesemente la continuazione della legenda del recto. (Kohler, vol. VII, p. 265. Madai, Nos. 1053, 1054, 1055).

XXV. (1681) – Krohneman viveva agiatamente lusingando il suo principesco protettore, e nel 1681 fece coniare un’altra moneta d’argento per il compleanno della Margravina (18 febbraio), che è notevole per l’iscrizione in versi. Con l’eccezione di qualche stella nella parte superiore ed in quella inferiore, su entrambi i lati, questa moneta è completamente priva di ornamenti e simboli. Il recto riporta questi versi:

Hoc-Grossus Fursten Bild,
Ihr Jahr-Tag heut auffgeht,
Hier steht Er auf dem Schild,
Wie Ihr mit Augen seth;
Gott wolle SIE beglucken
Und IHR viel Heil zu shicken
Auch aller orth und enden
Den Reichen Segen senden.

(O alta e potente principessa-immagine, oggi ricorre il tuo compleanno, Eccolo testimoniato su questo scudo, come puoi agevolmente vedere; Dio ti garantisca i Suoi favori e molta felicità, e su ogni regione e luogo mandi la sua ricca benedizione).

Intorno al circolo più esterno le parole DER DURCHIL.[AUCHTIGSTEN] U-[ND] UVERGLEICHLICHSTEN PRINCESSIN FRAUEN FRAUEN, SOPHIEN LOUYSEN, MARGRAFFIN ZU BRAND.[ENBURG]. (altissima ed incomparabile signora principessa Sofia Luisa, margravina di Brandeburgo). Questa iscrizione, vedremo, si continua sul verso.

Ivi si trovano anzitutto questi versi:

SIE grune ewig fort
Und lebe wohl vergnugt,
Die Hochste sey IHR Hort
Bis SIE dei Welt obsiegt
Und segne alle Thaten
Der Himmel woll IHR rathen
Dass SIE leb lang in Freuden,
Befreid von allen Leyden.

(possa tu sempre rimanere giovane e vivere in grande felicità, possa l’Altissimo essere tuo protettore fino a quando tu reggi il mondo, e benedire ogni tuo atto. Possa il cielo essere il tuo consigliere affinché viva a lungo in pace, libera da ogni disgrazia).

Intorno a questi versi la continuazione della sentenza del recto, vale a dire: GEB.[OREN] HERTZOG[IN] W.[URTEMBERG] U.[ND] T.[ECK] ZU EHREN AUFGERICHTET AN IHREN HOCHGEBURTHE TAGE V.[ON] C.[HRISTIAN] W.[HILHELM] B.[ARO] V.[ON] C.[ROHNEMAN] EN 18TEM FEBR.[UAR] 1681 (nata duchessa di Wurtemberg e di Teck, presentata in onore del suo compleanno da Christian Whilhelm barone di Krohneman, 18 febbraio 1681).

Questa si dice essere la sola occasione in cui il nome di Krohneman è scritto con la C invece della K.

XXVI. – Il generale Kaspar von Lilien, uno dei gonzi di Krohneman, già citato, ottenne alcune once di oro da un esperimento condotto con un po’ di sale bianco della preparazione di Korohneman, eseguendo l’operazione nella sua stessa casa. Per commemorare questo evento fu coniata una medaglia senza data, con le seguenti caratteristiche:
Recto: una pianta di giglio in fiore, sulla quale i raggi del sole escono da una semisfera contenente le lettere ebree ; sotto il giglio queste lettere: C.[ASPAR] V.[ON L.[ILIEN]; sopra queste le parole: DURCH DIESES LIECHT (attraverso queste, luce – dieses forse allude al tetragrammaton e la legenda dunque significherebbe: “Attraverso l’aiuto di queste – ovvero di Dio – la mente è stata illuminata”).

Verso: due braccia che escono da nuvole dalla destra e dalla sinistra, e che si tendono l’un l’altra verso il centro, una mano regge un supporto da cui pende una piccola chiave, su cui vi sono le lettere:

G E I
H I N
E M S

Geheimnis (segreto), dove lo spazio tra le lettere è pieno di ornamenti. Sopra di ciò le parole: MIT VORBEICHT (con preparazione).
Con questa si chiude la nostra rassegna delle medaglie associate al nome di Krohneman; alcune di esse si dice fossero fatte da metallo preparato artificialmente, altre sarebbero invece solo commemorative di qualche mistero ermetico. La fine di questo arci-impostore fu tragica così come la sua vita fu viziosa; venne scoperto nelle sue truffe ed appeso alla forca per ordine del margravio. Coloro che desiderassero seguire in dettaglio la sua straordinaria carriera o volessero esaminare le incisioni delle monete descritte, possono consultare il testo di Fikensher, Geschichte Baron Von Krohneman, Nürberg 1800, 8vo.

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NOTE.

(1) Dal mio primo lavoro Alchemy and Numismatics (American Journal of Numismatics XXI, p. 73), David L Walter, uno dei vicepresidenti della American Numismatic and Archeological Society, ha contribuito con qualche nota sull’argomento, includendo una breve lista di riferimenti bibliografici. A questa lista sono debitore in alcuni punti.
Nella preparazione di questo articolo, il sig. Lyman H. Low di New York, mi ha ammesso all’uso della sua biblioteca, e mi ha fornito diversi suggerimenti bibliografici; voglio qui manifestare la mia riconoscenza per la sua gentilezza e cortesia.
Altrove mostro riconoscenza per la preziosa comunicazione del dr. Hans Riggauer.

(2) I numismatici classificano le Rose Nobili in vecchie e nuove; le prime sono quelle coniate prima del 1500. Alcune di esse portano l’immagine di una rosa che somiglia ad una stella con lunghe punte e coronata, oltre all’immagine di una nave, come sopra descritta; le nuove sono anche conosciute come barche nobili (Köhler, vol. VI, 327; Kenyon, Gold Coins of England, p. 17; ed anche Ruding, Annals of the coinage of Great Britain, London 1840, che riporta la leggenda alchemica di Lullo).

(3) I moderni numismatici, mi sono informato, usano le seguenti abbreviazioni per i metalli indicati:

A per oro, AR per l’argento, Ld per il piombo WM o wm per i metalli bianchi; B. ottone, T per stagno, N per Nichel. Van Mieris, nella sua ben fatta opera sulle monete olandesi, (Histori der Nederlandische Vorsten, 1735, Gravenhage, 3 voll. In folio) usa i primi cinque simboli della tavola che abbiamo riportato, per i rispettivi metalli, in connessione con le incisioni. Anche Schultess ed altri.

(4) Atalanta Fugiens, Oppenheim 1618; Symbola aureae mensae duodecim, Francofurti 1617: vedi anche Viridarium Chymicum di Stolcius de Stolcemberg, Francofurti 1624, 12° lungo.

NOTE DEL TRADUTTORE:

[*] Il lot era un antica unità di misura tedesca usata sia come unità di massa che per il titolo dei metalli preziosi.

[**] Qui Carrington Bolton fa palesemente un po’ di confusione. La vicenda del Krohneman si svolgerà in un arco temporale (1677-1686) che corrisponde al regno di Christian Ernst (1644-1712) e non a quello di Georg Wilhelm (1678-1726), il quale regnerà solo a partire dalla morte del padre, e duqneu a partire dal 1712. Del resto, l’iscrizione sul verso della XIX, non a caso, si riferisce proprio a Christian Ernst. Nella moneta XXIV del 1681 si vedrà chiaramente come il Krohneman, nel dedicarla al principe Georg Wilhelm, lo definisca optima spes patriae (ottima speranza della nazione).