Pagina on-Line dal 07/04/2012
AL MOLTO REVERENDO
MESSERE PIERFRANCESCO RICCIO
Maiordomo E Secretario dello Illustrissimo Signore Il S. Duca di Firenze
Patrone Suo Osservandissimo
Marsilio Ficino, huomo per lettere divinissimo e santissimo per costumi, a nome già del gran Cosimo de Medici, in tra le altre infinite sue traduzzioni, fece parlare a’ Latini latinamente da Mercurio Trismegisto il suo celebre Pimandro. Né parendogli per questo haver satisfatto al debito della patria sua, oltre a che egli ne fu pregato da molti amici, persuase Tomaso Benci a fargli ancor dimostrare a tutta Italia i suoi santissimi misterij e divinissimi concetti in lingua Fiorentina. Quel Tommaso, dico, il quale per la integrità de’ costumi suoi e per la grave e Platonica litteratura, oltre a la nobiltà del sangue, la virtù de’ parenti, gli onori della famiglia et suoi, meritò nel Convito di Marsilio sopra l’Amor di Platone, rappresentare con i suoi costumi e con le lettere la persona di Socrate. Ora avendo io desiderato più tempo che questa preciosissima e singularissima gioia non stesse più con tanto danno dello universale nascosta in man di pochi, e giudicando appresso che tanta luce non dovesse apparire altronde che di Firenze, dove ell’era nata, non ho avuto occasione a modo mio di darla fuori in fino ad ora, che il vostro M. Lorenzo Torrentino, cercando dare qualche onorato e felice principio alla stampa delle cose toscane, credo io mosso da spirito divino, m’ha richiesto che io lo provvegga di qualche opera bella. Per il che io, come desideroso di aiutare chi s’affatica ad honore dello Illustrissimo Signor nostro, spinto dalla honestà della domanda et tratto dalla bellezza de’ caratteri suoi, oltre a’ mille debiti miei, non ci conoscendo augurio né maggiore né migliore di quel di Dio, l’ho compiaciuto de’l presente Pimandro. Ma conoscendola una delle reliquie debite alla Illustrissima Casa de Medici, a vostra Signoria come a vera creatura di quella et persona che per natura e per religione debitamente se le conviene, ho voluto indirizzarla. Et perché a nome vostro ancora la nobilissima et virtuosissima Accademia Fiorentina con tutti gli amatori di questa lingua et de gli ascosi misterij et profondissimi segreti di Dio, si godino una opera tanto antiqua, tanto bella e tanto santa quanto altra ne vegga il mondo, Vostra Signoria dunque lietamente l’accetti, e della bontà sua e del buono animo mio si satisfaccia.
Non le raccomando (come s’usa per i più) la protezzione di quella, perciò che, quanto a sé, ella è tale che dalle persone pie giuste e litterate è conosciuta tutta divina, et delli huomini invidiosi o maligni è disposta non tener conto, per esser privi di potere scorgere la vera intrinseca bellezza sua. Et quanto alla traduzzione (a mio giudizio) basterà solamente haver detto che Tommaso (come udirete da lui per non fraudare il suo Francesco di quello che e’ volse donargli) la tradusse per satisfare e ubbidire insieme al suo Marsilio.
Servite il signor nostro felicemente.
In Firenze a Di XXVIII di Gennaio. M.D.XLVII.
Di Vostra Signoria Reverendisima Servo
Carolo Lenzoni
___________
CALCIDIO NELLA ULTIMA PARTE DEL SUO SECONDO LIBRO DICE DI MERCURIO TRISMEGISTO COSI’:
Hermete Trismegisto, al quale la opinione volgare, per somma admirazione di virtù, consecrò onori di deità, appressandosi all’ultimo termine della vita, così parlò a’ suoi discepoli circonstanti: «In fino a qui, o figliuoli, sono vivuto peregrino e sbandito da la patria. Et quando di qui a poco, sciolto da le macule del corpo, da voi mi partirò, vedrete di non mi piangere come morto, imperò che io ritorno a quella ottima e beata città a la quale debbono venire tutti i cittadini per la corruzione della morte; imperò che quivi è sommo principe solo Dio, il quale i suoi cittadini di maravigliosa suavità riempie. Adunche questa, la quale molti chiamano Vita, più tosto si debbe dire Morte che Vita».