Pagina on-Line dal 07/04/2012

 

AL NOBILE ET PRECLARO
Huomo Francesco di Nerone, Tommaso Benci, salute, sanità e buona fortuna.

 

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Avendo il nostro Marsilio Platonico, in questo anno, a nome del magnificentissimo Cosimo de Medici, di greco in latino tradotta un’operetta di Mercurio Trismegisto, nuovamente de le parti di Grecia in Firenze da certi religiosi huomini portata, la materia de la quale sendo dignissima, perché tratta de la potenzia e sapienzia di Dio, fu pregato da certi suoi amici non dotti della latina lingua di dovere quella ancora a loro nella nostra comunicare. Ma esso, da magiori studii occupato, e nondimeno sanza invidia desideroso di compiacere a quelli, m’impose non come a più dotto, ma come a persona a cui elli per sua benignità forse maggiore affezzione portava, che io dovessi farla vulgare. Et ben che a me paressi, per esser poco a tali cose usato, essendo eziandio occupato dal mio essercizio molto alli studii contrario, non esser a tale opera sufficiente, non dimeno da lui confortato mi disposi a pigliare tale fatica, si per ubbidire a lui e si per fare cosa grata a gli amici. Nel numero de’ quali reputandovi, anzi, per prudenzia, stato e nobiltà di quelli il principale, m’è paruta, avendo quella già al fine ridotta, cosa debita e conveniente, essercitandomi ancora ne’ traffichi mercantili, a voi principalmente addirizzarla che di quelli il sommo grado avete, acciò che, se per farla volgare perdessi di riputazione, la racquisti per la dignità di colui a cui ella è addiritta.  
Che conciò sia cosa che ciascuna lingua abbia vocaboli, proverbij e modi di parlare, la proprietà de’ quali non bene né intieramente si possa nelle traduzzioni osservare; per tanto è necessario che abbia luogo la sentenzia di Mercurio in questo libro scritta, ch’e’ bisogna che lo uditore intenda e accordisi con colui che dice et che egli abbia più acuto l’udire che non la voce di colui che parla. Imperò che, essendo il parlare di cose eminenti e non comuni, come queste di Mercurio, le quali mostra essere a lui da Dio rivelate, non è così a ognuno intelligibile senza qualche sottile speculazione, sì che i Dio creatore del tutto, essendo intera honistà e pura e semplice verità e volendo dare di sé o de le sue secrete cose notizia alli huomini, o e’ bisogna che egli condescenda alla facultà umana, o veramente che egli sollievi l’huomo da la comune natura de gli altri a grado tale che ne possa essere capace. Et che i Dio per sua benignità e grazia condescenda, non bisogna assegnarne ragione, però che tutte le cose create lo manifestano. Et che lo huomo sia sollevato a maggior grado, è ancora motivo per li essempli delli Profeti e Apostoli della nostra sacra religione. Ma quando l’huomo, dopo tale eccesso di mente, si riduce a la comune natura de gli altri huomini, perché sempre in tal grado non può stare, e vuole a quelli manifestare quello che gli è stato rivelato, non truova né il parlare né la scrittura atta a potere dimostrare il concetto che di quella ha fatto, il quale ancora, per la infirmità della nostra natura, è difettivo, perché i Dio è più atto a dare che noi a ricevere, et di molto eccede ogni nostra possanza. Onde accade che, traducendo d’una lingua nell’altra l’opere che di tale materie trattano, pare che sempre diventino meno intelliggibili. Né però dubito io per questo, conoscendo la vostra discrezione, ingegno e prudenzia nelle cose che si devono fare molte li altri avanzare, che in questo ancora non avanzi, si che molto più intenderete che il parlare non esprime. Et se leggendola voi troverrete in essa alcuna cosa che vi dia piacere o consolazione all’anima, laudatene i Dio, che non sarà senza frutto. Et se pure trovassi cosa alcuna che così acconciamente o ben detta non vi paressi, stimerete proceda dal sopraddetto difetto, il quale seguita o da imperfezzione d’arte o di natura. Non ostante che avendo io letta e più volte trascorsa questa opera di Mercurio, benché egli fusse del popolo gentile, mi pare che nel suo scrivere si manifesti molto de la magnificenzia di Dio, il quale è largo donatore di sua grazia a chiunque è atto a riceverla. La quale attitudine ancora viene da lui quando ci rendiamo disposti, secondo la nostra prima facultà, a potere conseguitarla. Della qual cosa bisogna eziandio pregarlo, però che egli è autore del tutto e salvatore di qualunque alla sua volontà si conforma. Et pertanto io giudico essere assai di nostra edificazione, leggendo questa opera e ogni altra che di Dio parla pietosamente e fedelmente, a buono et diritto fine interpretarla, et che dove manca la umana ragione supplisca la pietosa fede. Ma perché questo modo di dire richiede brevità, e ancora nel seguente argumento chiaramente si manifesta tutto quello che alla introduzzione di tale opera si richiede, porrò fine, pregando i Dio che doni grazia alla mente di chi ha tradotto e di chi leggerà, che di tale opera acquisti buon frutto.

Vivete felice.  

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TESTIMONIANZA DI RAZIEL SOPRA MERCURIO TRISMEGISTO.

Trismegisto, lucidissima stella di potestà, di Sapienzia e di sacerdozio appresso a gli Egyzzii, che dissipò e scacciò le nebbie delle loro eresie, ebbe in sé la immagine del Padre, lo abisso della sapienzia del Figliuolo, e il dono dello Spirito della profezia. Per lui così ammaestrò il Signore gli Egizzii, come per Mosé e Aroon gli Ebrei. Egli fa testimonanza del Padre, testimonanza del Figliuolo, testimonanza de lo Spirito Santo. Visse pia e religiosamente, e piissima e religiosissimamente morì, et unito al Padre, abisso della pietà e della misericordia, felicissimamente vede e contempla la unità nella trinitade, e nella unitade la trinità.

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