Pagina on-line dal 27/04/2012
IL SALTERIO DI ERMOFILO INVIATO A FILALETE.
Traduzione e note di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati, riproduzione e diffusione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.
____________________
1 – Tutti i filosofi sono d’accordo che l’opera dei saggi, che è la composizione della pietra, può essere comparata alla creazione dell’universo. In effetti quest’opera dello spirito e della saggezza umana rappresenta assai bene l’opera dello spirito e della saggezza divina che ha creato il mondo. Ma c’è questa differenza: che Dio crea ogni cosa senza aver bisogno d’alcun soggetto che serva da materia o strumento alla sua operazione, mentre invece il filosofo ha bisogno d’una materia sulla quale lavorare e del fuoco come strumento e guida della sua opera.
2 – L’arte, che è la scimmia della natura come la natura è scimmia del Creatore, lavora su un certo chaos o corpo tenebroso e separa anzitutto la luce dalle tenebre. E poiché non può creare questa materia, la riceve dalla mani della natura e del suo autore, e, da questa sola materia, compone la sua grande opera. All’inizio il saggio artista non ha altra cura che di preparare con industria, separare il sottile dal denso ed il fuoco dalla terra ed estrarre, da questo chaos, una certa umidità mercuriale, brillante e luminosa, che contiene tutto ciò che egli cerca.
3 – Gli elementi della pietra, che sono l’acqua ed il fuoco, sono contenuti in questo chaos. Il fuoco e quest’acqua sono lo zolfo ed il mercurio, che sono i due componenti e materiali necessari alla composizione della pietra fisica. Queste due materie sono in ogni cosa, ovunque ed in ogni tempo. Ma non bisogna cercarle indifferentemente dappertutto, in ogni sorta di soggetti, poiché la natura le ha meravigliosamente avviluppate. Il che ha obbligato tutti i filosofi a dire ed insegnare che bisogna tralasciare ogni sorta di natura estranea e prendere la natura metallica minerale, e ciò per il maschio e per la femmina.
4 – Questo maschio e questa femmina sono lo zolfo ed il mercurio, l’agente ed il paziente, il sole e la luna, il fisso ed il volatile, la terra e l’acqua o il cielo e la terra contenuti nel chaos dei saggi, che è il loro soggetto primitivo nel quale essi sono congiunti insieme naturalmente, prima che l’artista vi abbia messo le mani. Ma, se egli ne vuol fare qualcosa, è necessario che li separi, li purifichi e che in seguito li riunisca con un legame più forte di quello che la natura gli ha dato. E così da uno egli fa due, e da due uno, ed in questo modo egli compone un chaos artificiale da cui escono di seguito i miracoli del mondo o dell’arte.
5 – Del primo chaos o soggetto primitivo, creato dalle mani della natura, l’arte separa e purifica la natura e toglie, in questo modo, tutte le impurità che sono gli ostacoli tenebrosi opposti alle operazioni luminose della natura, e così genera e fa uscire da questo chaos Diana ed Pollo, ossia la luna ed il sole, che nascono a Delos, vale a dire nella manifestazione delle cose nascoste (1). È la prima operazione, in cui l’artista compone l’oro vivo o lo zolfo dei saggi, ed il suo mercurio ed argento vivo. Ed avendoli uniti tutti e due, egli ne fa il mercurio dei saggi, di cui il padre e la madre sono il sole e la luna.
6 – Il mercurio dei filosofi è il figlio dello zolfo e dell’argento vivo, secondo la dottrina del Cosmopolita e di tutti i saggi. È questo mercurio o argento vivo dei filosofi che, con il fuoco, basta all’artista. E da questo solo mercurio si può fare un oro autentico e buono ad ogni prova. Da quest’oro tutto di fuoco e pieno di vita, facendolo rientrare per mezzo di una nuova soluzione nel suo chaos e facendolo uscire daccapo, si compone un agente che trionfa di ogni impurità metallica. E, dicono i saggi, che si può moltiplicare all’infinito.
7 – I filosofi parlano sovente del loro chaos, al quale danno diversi nomi, secondo il loro intento, che è di nascondere i loro grandi misteri a coloro che ne sono indegni. Si chiama questo chaos, dice Filalete, nostro arsenico, nostra aria, nostra luna, nostro magnete, nostro acciaio, a partire da diverse considerazioni. Si dice anche che è uno spirito tutto volatile ed un corpo mirabile, formato dal sangue del dragone igneo e dal succo della saturnia vegetabile, e questo chaos è come la madre dei metalli, un principio fecondo da cui si può estrarre tutto ciò che i saggi cercano, anche il sole e la luna, senza elixir.
8 – Il chaos è il composto dei saggi. Filalete lo chiama acqua, aria, fuoco e terra minerale, poiché contiene in sé tutti gli elementi, che nel loro ordine devono uscirne, benché, dice il Cosmopolita, ne siano visibili solo due, ossia la terra e l’acqua, e tutti, alla fine, debbano divenire terra, dice Hermes. È questo il composto mirabile di cui parla Arnaldo da Villanova nella sua lettera al re di Napoli e che egli chiama fuoco ed aria dei filosofi, o, piuttosto, della pietra, che è la materia prossima di quest’aria e di questo fuoco e che contiene un’umidità che corre nel fuoco e che è pietra e non pietra.
9 – Questo composto, secondo Artefio ed in verità, è corporale e spirituale, poiché partecipa del corpo e dello spirito, vale a dire che è la porzione più sottile e più molle del corpo e dello spirito o dell’acqua. Questo autore, e Flamel dopo di lui, chiamano questo composto corsuffle, cambar, duenech. Ma Artefio aggiunge che il suo proprio nome è acqua permanente, poiché essa non fugge nel fuoco né si separa dai corpi che abbraccia, rimanendo inseparabilmente con essi; e questi corpi, egli dice, sono il sole e la luna, che sono cambiati in quintessenza spirituale.
10 – I filosofi parlano diversamente di questo composto; gli uni dicono che è fatto di due cose, come Basilio Valentino; gli altri vogliono che sia fatto di tre, come Filalete, che insegna che è un insieme di tre nature differenti ma di medesima origine; altri ancora scrivono che il chaos di cui parliamo è simile al chaos antico, che è composto di quattro elementi che cominciano, dice Flamel, ad abbandonare l’inimicizia dell’antico chaos per fare pace e riconciliarsi tra loro; è il pensiero di Artefio, e tutti, su questo argomento, hanno detto la verità.
11 – Il termine chaos è assai equivoco, o, almeno, si può prendere in sensi diversi. Infatti, vi è un chaos generale, creato da Dio e da cui egli ha tratto tutte le creature, vale a dire i tre regni della natura, l’animale, il vegetale ed il minerale. E ciascun regno ha il suo chaos particolare e naturale, che è lo sperma di ogni cosa. Così noi abbiamo un chaos minerale, prodotto dalle mani della natura, che contiene i due spermi, maschile e femminile, zolfo e mercurio, i quali, uniti naturalmente in un medesimo soggetto, sono la prima materia sulla quale l’artista deve lavorare.
12 – I saggi hanno un altro chaos, dicono tutti i filosofi dopo Morieno, che estraggono dall’inizio e che compongono dal soggetto che la natura gli presenta, non potendo, come dice Basilio Valentino, nulla di più all’inizio del magistero. Essi hanno chiamato questa sostanza sensibile, mercuriale, solforosa e salina, fatta da tre principi proporzionalmente uniti tra loro, dissolvendo e coagulando secondo le divere operazioni della natura che l’arte deve imitare e secondo la disposizione del seme ordinata da Dio.
13 – Paracelso si accorda con tutti i filosofi su questo soggetto che è la materia dell’arte ed il loro famoso chaos, quando dice che la materia della tintura fisica è una certa cosa che si compone di tre sostanze con il ministero di Vulcano; ed egli aggiunge a ciò, assai a proposito, che questo composto può essere trasmutato in aquila bianca col soccorso della natura e l’aiuto dell’arte. Raimondo Lullo parla in questo senso quando dice che l’erba bianca riunisce due fumi e vi cresce in mezzo.
14 – L’abate Sinesio, il Cosmopolita ed il Filalete si accordano con tutti gli altri al riguardo di questa materia, quando la pongono al centro del metallo e del mercurio. Poiché essa non è, in effetti, né l’uno né l’altro, ma partecipa di entrambi. È un chaos ed un composto fisso e volatile al tempo stesso. È ciò che i filosofi hanno chiamato hyle o prima acqua, prima umidità radicale, che essi traggono e compongono dal primo hyle naturale e minerale, che la natura aveva composto dagli elementi.
15 – Un anonimo, seguendo questo pensiero, che è quello di tutti i filosofi, dice assai a proposito che questo composto mirabile si fa attraverso la distruzione dei corpi, il che Artefio aveva detto molto tempo prima; e l’anonimo, assai addentro alla dottrina di questo antico filosofo, rimarca che, siccome questo composto si fa attraverso la distruzione dei corpi, lo stesso l’acqua, che è l’anima, lo spirito e l’essenza del composto, non si può fare che attraverso la distruzione del composto, nel quale, dice Artefio, le anime del corpo sono legate.
16 – Noi non abbiamo bisogno, dice Artefio, che di quest’anima o sostanza intermedia dei corpi dissolti, che è sottile e delicata e che è il principio, il mezzo ed il fine dell’opera, dalla quale il nostro oro e la sua femmina sono prodotti; è uno spirito penetrante e sottile, un’anima delicata, netta e pura, un sale e balsamo tenue degli astri, dice Basilio Valentino; è, dice ancora lo stesso, una sostanza metallica e minerale proveniente dal sale e dallo zolfo e due volte nata dal mercurio; è l’alto ed il basso che non sono che una medesima cosa, come insegna Hermes; è il tutto in ogni cosa, dice Basilio Valentino; è, infine, l’aria dell’aria di Aristeo.
17 – Il nostro chaos, dopo Artefio, è ancora chiamato magnesia dal Cosmopolita, ed è composto, dicono i filosofi, di corpo, anima e spirito. Il suo corpo è una terra fissa e sottilissima, la sua anima è la tintura del sole e della luna, e lo spirito è la virtù minerale di questi due corpi; questo spirito mercuriale è il legame dell’anima solare, ed il corpo solare è ciò che dà la fissità, che con la luna trattiene l’anima e lo spirito. E da questi tre, ben uniti, ossia dal sole, dalla luna e dal mercurio, si fa la nostra pietra. Ma prima questo composto deve essere purificato nella nostra acqua.
18 – La purificazione di questo chaos è assai necessaria, dice Artefio; essa si deve ottenere nel nostro fuoco umido, per mezzo del quale si aprono le porte di giustizia e si estrae il mercurio dei filosofi dalle sue caverne vitrioliche, come dice Artefio; ovvero se ne trae quel vapore mercuriale sottilissimo e spiritualissimo che si riveste della forma d’acqua per penetrare i corpi terrestri ed impedirne la combustione. È il dissolvente della natura che risveglia questo fuoco interno assopito, mestruo acidissimo, assai adatto a dissolvere il corpo da cui esso stesso è stato tratto, secondo la dottrina di tutti i saggi.
19 – Tutti i filosofi dicono che il loro mercurio è racchiuso ed imprigionato nel chaos del primo chaos minerale che la natura presenta loro, e che ne è estratto e messo in libertà col soccorso dell’arte che viene ad aiutare la natura e che comincia laddove essa ha terminato. Essa stessa gli dà la mano e l’accompagna ovunque, a misura che gli spiriti si liberano dalla schiavitù del corpo e si separano dalle parti più grossolane della materia che rimane al fondo del vaso, come dice Artefio, e che è incapace di sciogliersi e del tutto inutile, dice questo stesso filosofo.
20 – Questo mercurio, così liberoto dai legami della sua prima coagulazione, contiene in sé una doppia natura, ossia una ignea e fissa, e l’altra umida e volatile. La prima, che gli è interna, è il cuore fisso di ogni cosa, permanente al fuoco e purissimo figlio del sole, esso stesso fuoco essenziale, fuoco di natura, vero veicolo della luce e vero zolfo dei filosofi. La seconda natura, che gli è anteriore, è la più pura e la più sottile di tutti gli spiriti, la quintessenza di tutti gli elementi, la prima materia di ogni cosa metallica e vero mercurio dei saggi.
21 – Si possono distinguere quattro differenti mercuri, contenuti nel nostro chaos. Il primo può essere chiamato mercurio dei corpi, ed è il più nobile ed attivo di tutti, il seme prezioso da cui si fa la tintura dei filosofi e, senza questo mercurio creato da Dio, la nostra scienza ed ogni filosofia, secondo il Cosmopolita, sono vane. La seconda è il bagno e mercurio della natura, il vaso dei filosofi, l’acqua filosofica, lo sperma dei metalli nel quale risiede il punto seminale. Il terzo è il mercurio dei filosofi che si fa dai due precedenti, ed è Diana e sale dei metalli. Il quarto è il mercurio comune, non-volgare, l’aria di Aristeo, questo fuoco segreto, sostanza intermedia dell’acqua comune a tutte le miniere.
22 – Nel nostro chaos, tratto dalla natura e composto dalle cose naturali, questo filosofo rimarca un punto fisso dal quale, per dilatazione, si fanno tutte le cose e poi, per concentrazione, tutte queste linee sono riportate al loro centro, in cui tutto trova il suo riposo ed una permanente fissità. È ciò che è avvenuto al primo chaos del mondo, per il quale il Verbo di Dio è stato la base ed il punto fisso ed indivisibile da cui tutte le creature sono sortite ed in cui debbono ritornare come al loro centro. Anche nel chaos minerale creato dalla natura ed in quel che l’arte compone vi è un punto fisso.
23 – È da questo punto fisso che sono usciti tutti i metalli, il loro splendore è un’emanazione o flusso visibile di questa luce che rimane nascosta sotto la scorza del loro corpo terrestre che fa ombra alla natura, dice il Cosmopolita. Questo punto fisso resta sempre nel centro del loro seme, che è lo stesso in tutti, come insegna, dopo il Cosmopolita, Filalete; tuttavia esso è invisibile perché è un puro spirito rinchiuso nell’oscura prigione dei metalli, ed anche perché, in un corpo metallico congelato, gli spiriti non appaiono e non operano affatto fino a che il corpo non sia aperto.
24 – I semi di ogni cosa erano contenuti nell’antico chaos che Dio ha creato, ma essi erano in confusione, in riposo e privi di movimento, e benché i contrari fossero insieme, essi non si facevano guerra tra loro. I semi metallici che sono nel nostro chaos vi sono, in verità, confusi, ma sono in pace nell’attesa di ricevere gli ordini di un abile artista che dica fiat lux e che, separando la luce dalle tenebre, faccia apparire la profondità nascosta e, sviluppando il punto fisso seminale, riduca i semi metallici di potenza in atto e renda l’invisibile visibile, come dice Valentino.
25 – L’antico chaos era ogni cosa e non era nulla in particolare. Il chaos metallico, prodotto dalle mani della natura, contiene in sé tutti i metalli e non è affatto metallo. Esso contiene l’oro, l’argento ed il mercurio, e ciò nonostante non è né oro, né argento né mercurio. La natura ha cominciato in esso le sue operazioni col fine di farne un metallo, ma è stata impedita nel suo corso, poiché talvolta essa si arresta nel suo cammino quando, cercando di fare un metallo perfetto, ne produce uno imperfetto. Così, sovente, essa non ne produce affatto e si contenta di darci un chaos.
26 – In questo chaos metallico naturale sono contenuti il cielo e la terra dei filosofi, ma non sono affatto distinti né separati. L’alto vi è come il basso, ed il basso come l’alto, affinché l’artista vi faccia i miracoli d’una cosa unica, dice Hermes. Gli elementi vi si trovano tutti seppelliti e confusi, senza distinzione, senza azione né ordine, e tutto è in un profondo silenzio ed in certe tenebre che regnano nel limbo dei saggi e che formano un’autentica immagine della morte, senza alcun segno di vita e di fecondità; il che non impedisce che questa terra cattolica non sia animata e che non abbia una vita nascosta, dice Basilio Valentino.
27 – Il chaos generale della natura era un corpo umido, oscuro e tenebroso. Il chaos minerale che contiene i semi metallici è un corpo opaco, terrestre e tenebroso, pieno di fuoco, dal quale il filosofo, attraverso la dovuta separazione e purificazione, estrae i materiali da cui compone un chaos artificiale, dal quale trae ogni cosa ed anche la luce e i luminari metallici; da questi, disciolti nel loro proprio mestruo, egli fa un altro composto, separando sempre la luce delle tenebre attraverso lo spirito dissolto del cielo, dice Basilio Valentino; egli compie la creazione filosofica del mercurio e della pietra dei saggi, dice Filalete.
28 – Avendo il filosofo aperto il chaos minerale, ed avendone separato gli elementi, avendoli purificati ed in seguito riuniti in forma di un’acqua viscosa che è il chaos o composto filosofico, egli ha la fortuna di veder nascere il sole dal seno di Thetis, di toccarlo di lavarlo, nutrirlo e portarlo ad età matura. Il saggio vede delle tenebre prima della luce, ne vede dopo la luce e ne scopre ancora altre che sono con la luce. Filalete dice che egli, durante questa operazione, sposa il cielo e la terra ed unisce le acque superiori a quelle inferiori.
29 – Da questo chaos, che è la nostra materia prima, il saggio sa estrarre uno spirito visibile che è tuttavia, come dice Basilio Valentino, incomprensibile. Questo spirito è la radice di vita dei nostri corpi ed il mercurio dei filosofi, dal quale, industriosamente, si prepara attraverso la nostra arte il liquore che si deve nuovamente rendere materiale e condurre, con certi mezzi, da un grado bassissimo ad un grado di sovrana e perfetta medicina. Perché, dice questo autore, da un corpo in principio ben solido e legato si fa uno spirito fuggente e, da questo spirito fuggente, infine, una medicina fissa.
30 – Il corpo di cui parliamo e da cui si estrae questo spirito, che Basilio Valentino chiama un’acqua d’oro senza corrosione, è così informe da somigliare ad un vero chaos, un aborto ed opera del caso. In esso è innestata ed incisa l’essenza dello spirito di cui stiamo parlando, benché i tratti ne siano spregevoli, il che fa si che questa materia cattolica sia disprezzata e pagata a prezzo vile da coloro che non ne conoscono il valore. Ma, se gli ignoranti la guardano con disprezzo, i saggi ed i sapienti la stimano unica, e la considerano come la culla e la tomba del loro re, come dice Filalete.
31 – Lo spirito o mercurio dei filosofi, che si estrae dal corpo di cui si tratta, si trova nel mercurio volgare ed in tutti gli altri metalli. Tuttavia cercarvelo significa smarrirsi, poiché esso è più facile e vicino nel nostro soggetto, in cui il mercurio e lo zolfo si trovano con il loro fuoco ed il loro peso, e nel quale i due serpenti non si abbracciano che molto debolmente. Ma nulla si potrà ottenere senza un agente capace di sciogliere e vivificare il corpo, manifestare le profondità nascoste, districare il primo caos e fare uscire la luce.
32 – Questa luce esce dal chaos col fuoco di cui è rivestita. Tale fuoco estremamente sottile si attacca all’aria di cui si nutre, quest’aria abbraccia l’acqua, l’acqua si unisce alla terra e tutto ciò dà luogo ad un nuovo composto. Quando questo viene nuovamente corrotto nella seconda operazione, l’acqua esce dalla terra, l’aria esce dall’acqua ed il fuoco o zolfo dei filosofi esce dall’aria; e questo fuoco fisso, che appare in forma di terra, una volta purificato sette volte, diviene un essere che ha più forza di quanta non ne abbia la stessa natura.
33 – Queste quattro nature elementari non sono che una medesima cosa tratta dal primo composto in cui esse giacevano in confusione. Dopo questa estrazione, esse non sono che un essere estratto dai raggi del sole e della luna; è questo il secondo composto, la cui fecondità dipende dai due principi attivi, ossia il caldo e l’umido. Esso è chiamato aria, poiché è del tutto volatile, ed è il vero mercurio dei saggi; è un fuoco divorante ed è il più attivo di tutti gli agenti; è un’aria spessa, da cui non solo tutti i metalli, ma tutti i mercuri dei metalli sono generati.
34 – Questo essere unico composto di quattro sostanze, di tre o di due, delle quali la terza è nascosta, dice Basilio Valentino, è il vaso di Hermes del Cosmopolita o le colombe di Diana di Filalete; è l’aria che bisogna scovare, secondo Aristeo, e che in seguito bisogna cuocere, dice il Cosmopolita; è una sola essenza che compie da se stessa la grande opera con l’aiuto di un fuoco graduato che è il suo nutrimento, un composto che occupa una posizione intermedia tra il metallo ed il mercurio, dice Filalete; è il bambino filosofico, nato dall’accoppiamento del maschio vivo e della femmina viva, che deve essere nutrito con il latte appropriato.
35 – Questo bambino dei filosofi è, all’inizio, pieno di flemma, dalla quale egli deve essere purificato, come, dopo la Turba, afferma Flamel; esso deve essere riportato sette diverse volte a sua madre, che è la luna bianca, dice Hermes, deve essere lavato, nutrito ed allattato dal latte delle sue mammelle, ricevere la sua crescita e la sua forza attraverso le imbibizioni, dice ancora Flamel, ed essere perfezionato dalle aquile volanti di Filalete; tali aquile, come afferma questo filosofo, si ottengono per sublimazione ed addizione dell’autentico zolfo, che affina questo bambino o mercurio di un grado di virtù a ciascuna sublimazione.
36 – Questa sublimazione filosofica racchiude tutte le operazioni dei saggi e, nell’intenzione di Geber, Artefio, Flamel e Filalete, non è altro che l’esaltazione o dignificazione di una sostanza che si compie quando, da uno stato vile ed abbietto, essa è elevata allo stato di una più alta perfezione; il che non impedisce che non si riconosca, nel nostro mercurio, un movimento di ascensione e discesa nella prima operazione, che è la preparazione del mercurio, nella quale risiede tutta la difficoltà. Il resto è gioco da bambini e lavoro da donne.
37 – La sublimazione è, secondo Geber, l’elevazione d’una cosa secca, con aderenza al vaso, per mezzo di un fuoco. Pochi hanno compreso questa definizione, poiché bisogna conoscere la cosa secca, il vaso ed il fuoco. L’autore del commentario dei versi italiani di Fra Marc-Antonio Chinese sembra imbarazzato a questo riguardo. Ecco qual è il vero parere di tutti i filosofi: la cosa secca è il nostro magnete, che attira naturalmente il suo vaso, che è l’umido, dal momento che il secco attira l’umido e l’umido tempera il secco unendosi ad esso per mezzo del fuoco, il quale partecipa della natura dell’uno e dell’altro.
38 – Il vaso e la cosa secca si abbracciano con aderenza, perché natura abbraccia natura, come è detto nella Turba e in Artefio, e perché il vaso ha il ruolo di femmina e la cosa secca ruolo di maschio. L’uno è il sole e l’altro la luna, l’uno è oro vivo dei saggi e l’altro è l’argento vivo dei saggi, e sono uniti per mezzo del fuoco che gli è appropriato, che è della loro natura e che d’altronde non è tratto che dalla nostra materia. Questo fuoco, questo vaso e questa cosa secca sono tre e non sono che uno; essi sono tre, mercurio, zolfo e sale, e tutti e tre in un medesimo soggetto metallico.
39 – Questo sale, questo zolfo e questo mercurio, che sono il corpo, l’anima e lo spirito, escono tutti e tre dal chaos, in cui essi erano in confusione, o piuttosto dal mare dei filosofi. Lì c’è il tridente di Nettuno, che ciò nonostante non uscirebbe dai suoi profondi abissi, se Eolo non eccitasse, per mezzo dei suoi venti, la tempesta sul mare. È grazie a questi venti mercuriali, solforosi e salini che il mare dei filosofi si muove fino al suo centro e che infine, dopo che le parti sono in accordo, Eolo sposa la bella Deiopea.
40 – Nettuno, non appena è uscito dal centro del mare, placa tutti i venti e fa una calma generale col suo tridente per poi rientrare nei suoi umidi abissi. È ciò che Flamel ha voluto dire nella sua sesta figura, in cui dice che, in questa occasione, la nostra pietra è così trionfante in siccità che, non appena che Mercurio la tocca, natura gode della sua natura, si congiunge ad essa ed attira il suo umido per unirla a sé per mezzo dell’apposizione del latte virginale, di cui egli parla nella quarta figura.
41 – Questo tridente di Nettuno non sarebbe mai uscito dal mare filosofico, se un tridente ventoso e vaporoso non avesse penetrato il mare per trarne questo re dalla triplice corona, galleggiante sulle acque. È in questa occasione, in cui il filosofo affina ed eccita il passivo con l’attivo, che, per mezzo dei principi viventi, egli resuscita i morti, come dice Filalete, ed un principio allora dà la mano all’altro, come dice il Cosmopolita, dopo che i principi uniti in matrimonio ed elevati sono nutriti della loro carne e del proprio sangue.
42 – Il secco che abbraccia il vaso che lo contiene, una volta salito al cielo per sublimazione filosofica ed essendo il sale il sale terreste divenuto celeste, il celeste discende in terra per andare a suggere il latte dalle mammelle di sua madre, che è la terra, o della sua nutrice, che è una terra che si prende cura di nutrire il bambino filosofico; questi, avendo preso il suo nutrimento ed ingrassato da quel latte succulento, risale al cielo ed in questo modo, risalendo a più riprese e discendendo, egli acquisisce la virtù delle cose superiori ed inferiori.
43 – È il cielo terrestre di Lavinio, che si perfeziona attraverso le sue ascensioni e discensioni; è il matrimonio del cielo e della terra sul letto di amicizia, secondo Filalete; è questo il palazzo reale che si costruisce e si arricchisce col flusso e riflusso del mare di vetro, per alloggiare il re, come dice Basilio Valentino; sono le imbibizioni di Flamel, il sigillo del bambino nel ventre di sua madre e della madre nel ventre del suo bambino, secondo Demagoras, Senior ed Haly. La madre nutre il suo bambino e il bambino nutre sua madre; in questo modo essi si aiutano l’un l’altra, si accrescono e moltiplicano, come dice Parmenide.
44 – Questa madre è la luna, il bambino è il mercurio dei saggi, che nella turba si chiama sputo della luna. È questa luna che bisogna far discendere dal cielo in terra, come dice Paracelso. Questa luna, essendo piena, rassomiglia al sole, e porta il sole nel suo seno. Questo mercurio si incarica di portare la tintura di suo padre e di sua madre e, perdute tutte le sue piume, cade nel mare; poi, ritirandosi le acque, dice Basilio Valentino, esso si cambia in terra, dove la sua forza è intera, dice Hermes; il che, nella prima e seconda opera di ogni magistero, comprende tre giri di ruota di Ripley ed i giri di mano di Basilio Valentino.
45 – Questo mercurio filosofico non è altro che i denti del serpente che il valente Teseo (2), dice Flamel, seminerà nella stessa terra da cui nasceranno dei soldati che alla fine si distruggeranno. Essi stessi, facendosi per apposizione sciogliere nella medesima terra, permetteranno di strappare le meritate conquiste. Questa apposizione racchiude tutte le operazioni che i filosofi definiscono in tanti modi; e si vede, in quest’occasione, la verità di ciò che insegna Flamel, è cioè che la nostra pietra si scioglie, si congela, si nutre, imbianca, si uccide e vivifica da sé. È il sangue del leone ed il glutine dell’aquila di Paracelso.
46 – Questo sangue del leone si trova, con il glutine dell’aquila, profondamente nascosto nel nostro soggetto, che è l’isola di Colchos (3). Essi vi giacciono naturalmente come nel loro proprio sale, che gli serve di matrice e miniera, come dice il Cosmopolita. Sono il vero vello d’oro guardato dai tori che gettano fuoco e fiamme dalle narici, sui quali la bella Medea deve versare il suo liquore prezioso, che li abbevera ed addormenta (4); e con questo prezioso liquore, i tori sono assopiti, ed il vello rapito da Giasone; o, piuttosto, attraverso questo mestruo filosofico, il corpo è disciolto e l’anima è liberata dai legami del corpo e cambiata in quintessenza.
47 – Questo vello è il seme metallico che Dio ha creato e che l’uomo non deve presumere di fare, ma che deve estrarre dal soggetto in cui si trova. Basilio Valentino lo descrive in questi termini: anzitutto, egli dice, l’influenza celeste, per volontà e comando di Dio, discende dall’alto e si mescola con le virtù e proprietà degli astri; da questo miscuglio, si forma come un terzo termine, tra il terrestre ed il celeste, e così è fatto il principio del nostro seme; da questi tre si fanno l’acqua, l’aria, la terra, i quali, per mezzo del fuoco ben applicato generano un’anima di natura intermedia, uno spirito incomprensibile ed un corpo visibile, dice Basilio Valentino.
48 Questo seme metallico è il granello che ci è necessario e che bisogna cercare in un soggetto assai vicino a noi, in cui la natura l’ha messo. Questo soggetto, a parere di tutti i filosofi, è il nostro bronzo, il nostro oro, la nostra pietra, di cui parlano Sendivogio, Filalete, Pitagora. E noi, dice Basilio Valentino, otterremo questo prezioso seme se rettificheremo talmente il mercurio, lo zolfo ed il sale, che l’anima, spirito e corpo ne siano inseparabilmente uniti; e tutto ciò non è altro che la chiave della vera filosofia, e l’acqua secca congiunta con una sostanza terrestre, fatta di tre, di due, e d’uno.
49 – Questo seme o granello non si estrae da alcun altro soggetto diverso da quello che noi abbiamo denominato, senza iperbole, nostro oro. E da questo stesso soggetto non se ne può estrarre che per dissoluzione; e questa dissoluzione si fa da sé o per mezzo del soggetto che gli è simile o più prossimo. La natura gli ha così provvisto un aiuto che è della sua carne e del suo sangue, così che noi insegniamo che lo sperma maschile, messo nella sua matrice, vi trova un dissolvente della sua natura che, come un magnete, attira il seme dello sperma che è della sua natura ed essenza.
50 – La dissoluzione che ci è necessaria per avere questo buon grano o seme, è molto difficile da fare. Perché essa non si può portare a termine che per mezzo di un prezioso liquore, che è un’acqua d’oro ed un mestruo filosofico; e questo liquore non è facile da trovare o da estrarre dal soggetto in cui si trova. Occorre un magnete filosofico che sia della natura del seme che si vuol estrarre dal nostro soggetto con questo dissolvente, e della stessa natura del dissolvente che si desidera e che si vuole acquisire per estrarre questo seme; in ciò si può vedere come la nostra arte segua ed imiti la natura.
51 – Si può notare come, nella nostra opera, non entri nulla di estraneo, perché questo grano o seme metallico è della natura del dissolvente, che un anonimo chiama essenziale, e questo dissolvente essenziale è della natura di quel magnete metallico che un anonimo chiama mestruo minerale unito al vegetabile ed attirato da esso, come Ganimede da Giove; e questi due, uniti a quello che si chiama essenziale, servono per disciogliere radicalmente un corpo che è l’oro, senza ambiguità; e da questo disciolto, sembra che si tragga uno spirito maturo per mezzo di uno crudo.
52 – Questo soggetto, in cui noi cerchiamo il seme, è un oro filosofico e non volgare, e ciò per due ragioni. La prima è che l’oro volgare non ha affatto immondizie che sia necessario togliere per trovare quel grano, o seme metallico, poiché è tutto puro e senza alcuna mescolanza di impurità. La seconda ragione è che l’oro volgare è tutto seme e, se ci si servisse di esso, non vi sarebbe che da incrudirlo nuovamente, volatilizzarlo e spiritualizzarlo, in modo che possa penetrare i corpi e congiungersi ad essi per le sue parti più piccole; se l’oro potesse farlo, sarebbe la pietra.
53 – Coloro che hanno detto che bisogna cercare il seme metallico o il grano fisso nell’oro volgare ciò nonostante non sono lontani dalla verità, posto che li si intenda cum grano salis; infatti esso è lì effettivamente, e ve lo si può trovare per mezzo di un’acqua filosofica nella quale il seme si fonde come ghiaccio in acqua calda, e nella quale esso perde la sua forma naturale per prenderne una nuova, più nobile ed eccellente; ed è allora che il tesoro nascosto è ritrovato, e il centro rivelato.
54 – Il seme metallico che noi cerchiamo nell’oro dei saggi è uno spirito sottile e penetrante, un’anima pura, netta e delicata, ridotta in acqua, ed un sale e balsamo degli astri, i quali, una volta uniti, non formano che un’acqua mercuriale. Ora, quest’acqua deve essere portata al dio Mercurio, che è suo padre, per essere esaminata; ed allora il padre sposa la figlia e, con questo matrimonio, essi non sono più due, ma una sola cosa che si chiama olio vitale o incombustibile; ed alla fine Mercurio spiega le ali d’aquila e dichiara guerra al dio Marte.
55 – Il mercurio, che è il padre di quest’acqua che gli si porta per essere sua sposa, l’abbraccia in questa qualità, poiché anche quest’acqua è un mercurio, ed in questa maniera, sembra che si porti Mercurio a Mercurio, con questa differenza: che il mercurio che è portato in sposa è il mercurio dei saggi, che è la madre di tutto il thelesma, e quello a cui esso si porta è il mercurio dei corpi, padre di tutto il thelesma, padre, bambino, fratello, sposo del mercurio dei saggi. Così le nature si rincorrono ed i parenti si sposano a vicenda.
56 – In questo matrimonio filosofico, si congiunge Mercurio a Mercurio, e si porta anche fuoco al fuoco come Mercurio a Mercurio. Si sposa il fuoco al fuoco perché il mercurio dei saggi porta questo fuoco, o lo zolfo, nel suo seno, ed il mercurio dei corpi è ancora tutto pieno di questo fuoco solforoso che brucia nell’acqua. Ed in questo incontro una natura apprende all’altra a non temere il fuoco ed a familiarizzarsi con esso. Così, l’acqua che teme il fuoco apprende a restare con lui, ed il mercurio che lo fuggiva, diviene suo amico.
57 – L’acqua di cui noi parliamo qui è l’azoth, che serve a lavare il lattone, ed il lattone che dobbiamo lavare è il nostro soggetto o nostro bronzo o oro rosso, che bisogna imbiancare rompendo i libri. Quest’acqua celeste è estratta dalle montagne del mercurio e di Venere, per aderenza del secco all’umido mediante il calore; questo unitamente all’umido fa scorrere un ruscello d’acqua calda, secca ed umida, e quest’acqua è la grande operaia nella nostra arte; essa scioglie i corpi duri, assottiglia il denso e purifica gli impuri, come la terra.
58 – Ho detto lattone, o ottone, perché i filosofi hanno la loro Latona così come il loro lattone. L’uno dice che bisogna imbiancare il lattone che è immondo, l’altro dice che bisogna lavare Latona che è oscura, e coloro che hanno confuso queste due cose, contenute nel rebis, non hanno errato meno di quelli che han creduto che fossero due cose di natura differente. Perché, benché esse si trovino nel soggetto, che è il chaos dell’arte, e siano come maschio e femmina, e sebbene dal loro seme, attraverso la loro perfetta unione, debba uscire il figlio del sole e della luna, esse non sono, in essenza, che uno.
59 – Questo rebis o chaos dell’arte o cielo terreo non può servire a nulla senza il soccorso del fuoco e dell’azoth. Ma questi due, che compongono il liquore della nostra arte e che fanno l’olio vitale, sono sufficienti tanto per lavarlo che per renderlo fecondo mediante la separazione dei due sessi e la loro intera riunione. Dopo aver tolto le immondizie, ne esce un bambino assai bello, e tale bambino deve essere nutrito del sangue di suo padre e del latte di sua madre; ed allora questo sangue e questo latte mescolati insieme prenderanno il colore di una quintessenza dorata.
60 – In questo lattone abbiamo, dice un filosofo, due nature maritate tra loro, di cui l’una ha concepita l’altra; e, attraverso questa concezione, l’una si converte in corpo di maschio mentre l’altra in corpo di femmina, di modo che non si saprebbe distinguere l’una dall’altra per mezzo della loro veste esteriore; per riconoscerle bisogna dunque separarle per poi riunirle in un uno inseparabile dopo averle spogliate di ogni veste ed averle ridotte alla nudità naturale. Erano, in precedenza, due corpi in uno o l’androgino dei saggi, mentre dopo sono la Diana tutta nuda.
61 – Quando Diana è tutta nuda, e pure Apollo, li si distingue facilmente e nulla impedisce la loro legittima congiunzione per la procreazione del sole, che è loro figlio. Ma per risvegliare la loro fecondità e renderli atti alla generazione, è stato necessario vivificarli, purificandoli con l’olio vitale che è l’acqua della pietra, dice un filosofo. È stato necessario dividere il corpo coagulato in due parti per estrarne quel olio vitale o quel latte destinato al nutrimento del bambino neonato che contiene in sé i due sessi e li assembla in unità di natura e d’essenza.
62 – Il nostro lattone è rosso all’inizio, ma ci è inutile se la rossezza non si muta lasciando posto al biancore. Una volta imbiancato, insegna Dastin, esso è assai prezioso. Come dice questo filosofo, con tutti gli altri, il primo colore che appare nella corruzione del nostro soggetto è la nerezza, dopo la quale viene il biancore ed in seguito si mostra il rossore chiaro e brillante, ed attraverso questi colori, dice la sapiente Maria, essendosi ritirata la sua oscurità, questo lattone si cambia in puro oro, e ciò che gli procura questa bianchezza e splendore è il nostro azoth.
63 – L’azoth, che è stato formato dal limo restato dopo la ritirata delle acque del diluvio, come il serpente Pitone, è vinto dalle frecce d’Apollo, che sono i raggi del nostro sole, o dalla forza del nostro bronzo che, infine, diviene il padrone e, facendosi giustizia, lo rende secco, dell’originario colore arancio-rosso. Esso toglie anche la veste bianca all’azoth, che ne diviene così mutato da prendere il colore e la natura del nostro bronzo, e tutto si fa rosso, dice il dotto Parmenide; e ciò è segno che il Signore ha compiuto il suo tempo e che dopo il tempo segue l’eternità fissa ed incorruttibile.
64 – Apprendiamo qui da Morieno che bisogna lavare bene questo corpo immondo, che è il lattone, il quale deve essere disseccato ed imbiancato perfettamente, e gli si deve infondere un’anima e togliergli tutte le sue impurità affinché, dopo la purificazione, la tintura bianca possa entrarvi. Essendo questo corpo ben purificato, l’anima entra in primo luogo in questo corpo e non si unisce mai ad un corpo estraneo, neanche al suo proprio, se non è puro e netto; perché le superfluità che si trovano nei nostri corpi, benché non siano in grande quantità, impediscono la loro unione perfetta.
65 – Non si lava il lattone che per renderlo adatto ad abbracciare la sua Latona ed unirsi con essa in un’unione indissolubile. Ma, siccome l’uno porta il fuoco e l’altro contiene l’acqua, si deve purificare bene l’uno e l’altro dalle loro immondizie naturali. È vero che essi si trovano tutti nel nostro androgino, ma, siccome questo è un chaos in cui gli elementi sono piuttosto confusi che uniti, non si potrebbero unire fortemente senza purificarli, né purificarli senza separarli, né tantomeno separarli senza distruggere il composto. Bisogna così dividerli in parti e separarne gli elementi.
66 – Siccome la nostra pietra deve nascere da questo chaos o massa confusa, nella quale tutti gli elementi sono mescolati, è necessario separare la terra dal fuoco ed il sottile dal denso, come dice il nostro padre Hermes. Il sottile sale in alto con l’aria, ed il denso rimane in fondo col sole. Ma la terra contiene il fuoco con il sale di gloria, e l’aria si trova con l’acqua. Non si vedono, quindi, che terra ed acqua. Togliete dunque la flemma dell’acqua e la pesantezza della terra; gli elementi saranno così puri e ben uniti.
67 – Questa unione o congiunzione degli elementi purificati è la seconda operazione della pietra, che si trova dopo la purificazione; la pietra sarà perfetta se l’anima è fissata nel corpo. Ma, siccome questo non è che il termine della prima opera, si avranno l’oro vivo e lo zolfo incombustibile e la materia sarà perfetta; tuttavia essa non è tingente, e si dovrà girare la ruota per la seconda e terza volta col medesimo zolfo, che serve da fermento. Dunque, finita la prima opera, comincia la seconda, in cui la sublimazione filosofica è necessaria affinché il fisso si faccia volatile ed il corpo spirito.
68 – Nella prima opera, che comprende diverse operazioni, non si lavora che a volatilizzare il fisso ed a fissare il volatile, resuscitare il morto ed uccidere il vivo. Il suo termine è quando il tutto è ridotto in polvere fissa, che è oro puro migliore di quello delle miniere. Senza di esso non si potrebbe avere la pietra. Benché non sia la pietra, ciò nonostante la pietra giace dentro di lui come nella sua culla. Non è l’oro volgare, perché è più puro e non è che un puro fuoco in mercurio. Nondimeno lo si può fondere e lo si potrebbe spacciare per oro volgare, perché esso è oro che resiste ad ogni prova.
69 – Nella seconda opera, che è la moltiplicazione di quest’oro, l’oro è aumentato in quantità per addizione di nuova materia. Esso serve da lievito alla sua propria moltiplicazione; attraverso una semplice digestione di questo lievito con la farina e l’acqua metallica, si fa dell’oro, ed il lievito serve sempre da miniera. I filosofi procedono ancora in un altro modo; essi elevano il loro oro o lievito per gradi e lo moltiplicano tanto in qualità che esso sorpassa l’oro e diviene tingente e fondente; è ciò che si chiama pietra, e che si moltiplica all’infinito.
70 – L’acqua metallica, che rivivifica l’oro fissato alla fine della prima opera, è quell’olio vitale di cui parla un anonimo, che è unito all’essenziale, al minerale ed al vegetabile, per essere ciò che è, ovvero il dissolvente radicale dell’oro. È di quest’olio che i filosofi fanno buona provvista, affinché non ne manchi al momento del bisogno, come avvenne alle vergini folli (5). Quest’olio è l’acqua della pietra, estratta da essa nella prima operazione, dice il saggio giardiniere. Senza quest’acqua, nella seconda opera, non si fa nulla, e la prima non si porta a compimento. Quest’acqua è un fuoco, perché lo reca dentro di sé, e su di essa è portato lo spirito del Signore.
71 – In quest’acqua consiste il più grande segreto dei saggi. Abbiamo detto che si tratta dell’acqua della pietra, benché, in un certo senso, sia vero che essa non è l’acqua della pietra. È un’acqua mercuriale, ma non è il mercurio dei filosofi. È piuttosto il mercurio del mercurio della natura, il bagnomaria dei saggi, il fuoco umido e segreto di Artefio, il vaso dei filosofi cui, durante la sublimazione, aderisce la cosa secca, lo sperma dei metalli, l’umido radicale, l’acqua filosofica di Hermes che, con un’altra sola cosa, è sufficiente. Quest’acqua lava il lattone e dissolve perfettamente l’oro.
72 – La cosa unica che, con la nostra acqua ermetica, basta all’opera, è la terra vergine che contiene i quattro elementi. È la nostra prima materia, ossia un corpo solido, ed è il cominciamento dell’opera, come dice Basilio Valentino. È unicamente da questa cosa, così preziosa e nascosta, che si fa tutta l’opera, la quale si perfeziona da sé, non avendo bisogno che della dissoluzione, senza addizione di alcuna cosa estranea. Questa cosa è la nostra pietra, che non ha bisogno che del soccorso dell’artista. È quel bronzo che Dio ci ha creato, che si può soccorrere distruggendone il corpo crudo ed estraendone il nocciolo buono.
73 – Se la dissoluzione del nostro corpo, che è il suddetto bronzo, è necessaria, la congelazione dell’acqua mercuriale, rinserrata nei legacci della pietra saturnina, non lo è di meno, e per tutte le differenti operazioni la putrefazione è assolutamente necessaria. Questa putrefazione si compie per mezzo di un piccolo calore, affinché la pietra si putrefaccia in se stessa e si risolva nella sua prima umidità, in modo che il suo spirito tingente ed invisibile, o puro fuoco dell’oro, racchiuso nelle profondità di un sale congelato, sia portato al di fuori ed il suo corpo grossolano, assottigliato, sia indissolubilmente unito al suo spirito.
74 – Non vi è alcuna altra acqua sotto il cielo che sia capace di sciogliere il nostro bronzo, eccetto un’acqua purissima e chiarissima, la quale scioglie senza corrosione. Quest’acqua si scalda da sé quando incontra il fuoco, che gli è omogeneo. È l’acqua dissolutiva e permanente e la fontana della roccia, di cui i filosofi hanno diversamente parlato. Non ci si deve stupire che quest’acqua sciolga il bronzo, poiché questo è della sua stessa natura. Infatti il bronzo è oro senza ambiguità, e quest’acqua è un’acqua d’oro, la quale trasmuta il corpo nella sua stessa natura in modo che tutto divenga acqua, e dopo, trasmutata in corpo, è corpo.
75 – Esce un’acqua dal nostro bronzo, che Arisleo chiama acqua permanente. È questa che governa il corpo, e ciò nonostante, è da esso governata. Perché essa lo rompe, lo spezza, mentre il corpo la uccide e la fa morire. Essa lo riduce in acqua e quello la riduce in terra. ma bisogna che essi siano mescolati insieme per mezzo del fuoco d’amicizia. Occorre continuare questo processo fino a che tutto sia rosso. È questo il bronzo bruciato ed il fiore, o bronzo dell’oro; con uno stupefacente prodigio, questo bronzo è bruciato con l’acqua e lavato col fuoco. E si vede, in tutto ciò, l’accordo degli elementi e l’accordo di tutti i filosofi.
NOTE AL TESTO:
(1) Latona (in greco Λητώ, Leto, probabilmente dalla stessa radice del verbo λανθάνω, col significato di sto nascosto, mi celo, anche in relazione con λήθη, oblio, dimenticanza), che Ermofilo citerà anche più oltre, era la titana figlia di Febe e Ceo, che, che, ingravidata da Giove, generò Apollo ed Artemide. Costretta dalla vendetta di Era, che aveva mandato il serpente Pitone a perseguitarla, a rifugiarsi nell’isola di Ortigia (da ortyx, quaglia, “isola delle quaglie”), nascosta dai flutti. In una versione del mito, l’isola era costituita dal corpo di Asteria, tramutatasi prima in quaglia e dopo in pietra e precipatatasi nei flutti per sfuggire alle avances di Zeus. Nascosta sull’isola, dunque, Leto avrebbe dato alla luce Apollo ed Artemide, e da quel momento l’isola sarebbe stata conosciuta come Δῆλος, Delos, ovvero visibile, chiaro, manifesto. È a questo che fa riferimento Ermofilo. Vediamo come Pernety, qualche decennio dopo Ermofilo, nel secondo tomo delle sue Fables Égyptiennes et Grecques dévoilées (tome II, Paris 1786, p. 160) commenta il mito di Leto e Delos :
«Diana non poteva che nascere a Delos, dove Latona si era rifugiata per sottrarsi alle minacce del serpente Pitone. La sola etimologia dei nomi ci spiega la cosa. Latona significa oblio, oscurità. Vi è nulla di più oscuro e più nero del nero medesimo, per servirci dell’espressione dei Filosofi? Questo nero è il lattone, o la Latona della favola. Diana è il colore bianco, chiaro e brillante; e Delos viene da Δῆλος, chiaro, apparente, manifesto. Si può dunque dire che il colore bianco nasce allora dal nero, poiché esso vi si trovava nascosto e sembra poi uscirne. La favola ha pure cura di far osservare che l’isola di Delos era errante e sommersa prima del parto di Latona, e che essa fu allora portata allo scoperto e resa fissa per comando di Nettuno. In effetti, prima di questo parto, la Delos ermetica era sommersa, poiché secondo Ripley “quando la terra si turberà e si oscurerà, le montagne saranno trasportate e sommerse nel fondo del mare”. La fissazione che si fa della materia volatile nel tempo della bianchezza, indica la fissazione dell’isola di Delos…».
(2) Il riferimento è al Livre des figures Hierogliphiques di Flamel, cap. V, nel commento alla terza figura, in cui l’autore cita l’episodio. Si tratta tuttavia di una citazione scorretta ed acriticamente ripresa da Ermofilo, dal momento che non abbiamo rinvenuto versioni del mito della semina dei denti del serpente in cui il protagonista sia Teseo. L’episodio originale si riferisce invece all’impresa di Cadmo relativa alla fondazione di Tebe. Giunto in Beozia seguendo, secondo le istruzioni dell’oracolo di Delfi, una vacca segnata dall’emblema della luna, Cadmo, decide infatti di sacrificare l’animale sacro proprio sul luogo su cui si edificherà la città. Tuttavia, mentre sta per compiere il sacrificio, i suoi compagni, intenti ad attingere l’acqua, vengono attaccati dal drago che custodisce la fonte. Cadmo uccide la bestia (con una pietra, anche se in molte rappresentazioni fittili l’eroe è raffigurato con la tradizionale lancia) ma non prima che questa abbia assassinato tutti i suoi compagni. Rimasto solo, vuole compiere comunque il sacrificio, ed è la benevolente Athena che, apparsa sul luogo, gli consiglia di seminare i denti del drago nel terreno. Da questa semina, per ogni dente, nasce un guerriero (gli sparti). Cadmo allora lancia tra loro delle pietre, provocandone la reciproca collera e facendoli scagliare l’un contro l’altro. Alla fine ne rimangono cinque, che si uniscono a Cadmo e lo aiutano a fondare la rocca della nuova città. Il coro del primo stasimo delle Fenicie di Euripide riprende e riassume l’intero mito, per il quale vedi pure Apollodoro, Biblioteca, III, 4, 22-25.
Il motivo della semina dei denti di drago viene ripreso nelle Argonautiche, in cui è Giasone, il capo degli argonauti, che deve subire le condizioni di Eete (Apollonio Rodio, Argonautiche, libro III, v. 407-422, ma anche Apollodoro, Biblioteca I, 9, 23), il re di Colchis. Questi gli chiede, in cambio del Vello d’oro, sia di aggiogare i due temibili tori dagli zoccoli di bronzo e dall’alito di fiamma dono di Efesto, sia di seminare l’altra metà dei denti del drago di Cadmio, che Eete aveva ricevuto in dono da Athena. Con l’aiuto delle istruzioni e di un filtro fornitole da Medea, Giasone, reso magicamente invulnerabile, sconfigge i tori ed uccide i guerrieri nati dai denti del drago con lo stesso stratagemma già usato da Cadmio. Ermofilo, che poco dopo si intratterrà sul Vello d’Oro, probabilmente ha in mente questa versione del mito legata all’impresa di Giasone e degli Argonauti.
In entrambe le versioni l’arma dell’eroe è la pietra. Leggiamo ora quanto del mito di Cadmo e dei denti di drago dice il Pernety nelle sue Fables Égyptiennes et Grecques dévoilées:
«Non appena i denti del Dragone sono nella terra, ne escono degli uomini armati che si uccidono tra loro. Vale a dire che al tempo stesso che la semenza aurifica è messa nella terra, le nature fissa e volatile agiscono l’una sull’altra; si ha una fermentazione provocata dalla materia fissata in pietra; i vapori salgono e discendono fino a che tutto non si precipita e ne risulta una sostanza fissa e permanente, il cui possesso procura quello del Toson d’Oro» (Fables, tome I, pp. 476 e 477).
Pernety sembra, poco più oltre, senza peraltro rilevarlo apertamente, giustificare pienamente l’errore della citazione di Flamel e di Ermofilo:
«È a proposito il far rimarcare, con Apollonio, come Medea ed Arianna, l’una e l’altra nipoti del Sole, forniscano a Teseo ed a Giasone i mezzi di vincere i mostri contro i quali vogliono combattere. La somiglianza che si trova tra le spedizioni di questi due principi prova che questi due racconti furono immaginati in vista di un unico oggetto. Essi si imbarcano entrambi con qualche compagno; Teseo all’arrivo trova un mostro da combattere, il Minotauro, mentre Giasone ha dei Tori da vincere. Teseo per arrivare al Minotauro è obbligato ad oltrepassare tutte le svolte di un labirinto, sempre in pericolo di perire; Giasone deve precorrere una strada non meno difficile, attraverso scogli e nemici. Arianna si innamora di Teseo, e, contro gli interessi del proprio padre, fornisce al suo amante i mezzi per uscire vittorioso dai pericoli cui deve esporsi; Medea si trova nella medesima situazione, ed in una circostanza simile fornisce a Giasone tutto ciò che gli abbisogna per vincere…
È in conclusione, visibile che queste due storie non sono che una medesima cosa spiegata per allegorie, di cui si sono volute variare le circostanze per farne due storie differenti» (Fables, tome I, pp. 477 e 478).
La lettura del capitolo delle Fables di Pernety dedicato alla spedizione degli argonauti (tome I, Paris 1758, pp. 437 e sgg.), suggerirà spunti interpretativi interessanti in merito ai riferimenti mitologici contenuti in questa parte del Salterio di Ermofilo.
(3) κολχίς, l’isola di Colchis, in cui è custodito il vello d’oro.
(4) È l’altra grande prova, quella dell’aggiogamento dei tori di Efesto, richiesta da Eete a Giasone per l’ottenimento del Vello d’oro (vedi nota 2).
(5) Il riferimento è al celebre passo di Matteo 25, 1-12.