pagina on-line dal 22/04/2012

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CHIAVE DELLA GRANDE OPERA
o lettere di Sancelrien Tourangeau a Madame L. D. L. B *** T. D. F. A. T.

Nella prima sarà insegnato dove trovare la materia dei Saggi. Nella seconda le virtù e le meraviglie dell’Elixir bianco e rosso sui tre Regni della Natura. Nella terza, indirizzata a mio fratello, sarà provata la realtà della grande Opera attraverso tutto quello che c’è di più positivo nella Storia sacra e profana, e che vi sia stato e sempre vi sarà il fondamento, così come il primo mobile di tutte le Religioni del mondo. E nelle seguenti, fino al numero di dieci, tutto ciò che sia permesso scrivere su questa Scienza, senza oltrepassare i limiti prescritti, per condurre gli eletti al fine desiderato.

In sale omnia, sine sale nihil.

A Corinto, e si trova a Parigi
Preso Cailleau, stampatore-libraio, rue Saint-Severin


1777
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Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati, riproduzione e diffusione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.
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Prima parte


Amico Lettore, se tu credi la trasmutazione dei metalli possibile e ti senti di spirito disinteressato, con una ferma risoluzione di non essere che il depositario passeggero dei tesori che Dio vorrà affidarti, per, ricevendoli con una mano, aiutare il tuo prossimo con l’altra il più segretamente che ti sia possibile, leggimi; è per te che scrivo. Ma se le tue intenzioni sono di ammassare tesori per il tuo uso esclusivo e soddisfare le tue passioni, credimi, non perdere il tuo tempo a sfogliarmi, perché io non scrivo per istruire gli avari, ma solo per gli Eletti.
Anche se sei avanzato nella lettura dei Filosofi e cominci a comprenderli, non hai bisogno di cercare altri libri all’infuori di quelli che io cito; il solo Triomphe Hermetique deve esserti sufficiente. È Nicolas Flamel che mi ha indicato la materia prima, ed il Triomphe Hermetique me l’ha fatta comprendere, di modo che, come vedrai in seguito, non vi è uno solo dei filosofi che io non possa spiegare alla lettera; mi stupisco anzi, da quando alla Divina Provvidenza è piaciuto aprirmi gli occhi, che io abbia potuto impiegare tanti anni nella lettura, e tanto tempo per comprendere una cosa così facile, non essendoci uno solo dei veri filosofi che non parli chiaramente, non insegni la materia prima e non la nomini a sufficienza per farla comprendere, gli uni in un modo, gli altri in un altro, a seconda delle differenti operazioni che essa subisce. Non credo che sia utile giustificare la scienza con argomenti, avendo letto che Arnaldo da Villanova, filosofo di prim’ordine, non poté mai provare a Raimondo Lullo che la trasmutazione dei metalli esisteva; Raimondo Lullo, con parola cui Arnaldo da Villanova non poté rispondere, lo convinse infatti che la trasmutazione metallica era impossibile secondo il corso ordinario della natura, il che Arnaldo ammise per il momento, domandando la rivincita per l’indomani ad un tempo fissato. Essendosi dunque accordati, all’arrivo di Raimondo Lullo Arnaldo gli disse: «ieri mi avete provato con argomenti invincibili che la trasmutazione metallica era impossibile, e non ho potuto con parole provarvi il contrario. Oggi, senza parlarvi, vi proverò con la pratica che essa è vera».
Di conseguenza, avendo effettuato davanti a Raimondo la trasmutazione dei metalli vili in oro ed argento, questi, convinto, confessò che questa scienza non poteva provarsi con argomentazioni; egli fece le sue scuse ad Arnaldo che, ispirato al suo riguardo, gli insegnò il segreto e l’iniziò quasi seduta stante a tutti i più segreti misteri, di modo che questi pervenne ad uno dei più alti gradi di conoscenza e non cessò mai, come San Paolo, di confessare la sua convinzione e la sua conversione. Così, se ci riesco, cosa che spero, stanco e disgustato di tutto ciò che ho inteso da più di venti anni durante i quali ho letto i filosofi, farò qualche trasmutazione pubblica davanti all’élite dei più importanti medici, e farò eseguire dei lavori per l’abbellimento di Parigi di tale entità, rendendo pubblica la provenienza del danaro, di modo che per l’avvenire, nessuno oserà sostenere l’impossibilità della trasmutazione metallica, cosa che è andare contro alla potenza di Dio. Infatti, nella creazione originaria, non ha forse Egli detto a tutte le creature, dopo averle benedette: andate, crescete e moltiplicatevi? Quale prerogativa superiore avrebbero dunque i vegetali nei confronti dei metalli perché Dio donando un seme ai primi, lo abbia rifiutto ai secondi? I metalli non godono forse, innanzi a Dio, della medesima grande autorità e considerazione degli alberi? Bisogna dunque convenire, dice il Cosmopolita (p. 30) che nulla nasce senza seme, perché dove non vi è seme la cosa, riguardo al suo composto, è morta. I metalli, dunque, o ne hanno ricevuto uno dalla natura, o sono stati prodotti senza seme; se sono senza seme, non possono essere perfetti, perché ogni cosa senza seme è imperfetta; il seme dei metalli sono il mercurio e lo zolfo, che, in alcuni corpi, ad esempio nei metalli volgari, non possono trovare nella terra un calore sufficiente per maturare e rigenerarsi da soli, e se non fosse così ne nascerebbe un grande inconveniente, infatti, tutta la terra in cui crescesse del metallo, non sarebbe che metallo, dove vi fossero pietre non avremmo che pietre, dove fossero minerali non avremmo che minerali e non vi sarebbe più altra cosa, né uomo, né bestia né vegetali; ed i viventi, tra metalli pietre e minerali non potrebbero crescere. Ecco perché Dio non ha permesso che si potessero rigenerare da se stessi nella terra, proprio a causa del grande inconveniente che ne sarebbe derivato; Dio tuttavia ha permesso che l’uomo potesse farlo, prendendoli nello stato in cui la Natura li ha lasciati, per riprodurli sulla superficie della terra. In tal modo, da metalli morti che erano, egli può farne metalli viventi; Dio ha donato questo segreto a qualcuno, secondo il suo buon piacere, e questi ci ha poi lasciato dei libri che non sono troppo facili da comprendere di primo acchito, ma di cui, a forza di leggere, rileggere e meditare con pazienza, si può talvolta comprendere il vero senso; non alla prima o ventesima lettura, ma talvolta alla millesima, come è capitato a me senza che mai mi fossi del tutto disgustato, come racconterò in seguito; perché è da molto tempo che potrei citare a memoria i principali passaggi che riporto in seguito, e se avrò la fortuna di riuscire come spero, racconterò i dettagli della mia vita e di ciò che ho sofferto, tra l’altro, negli ultimi venti anni. Non credo che vi sia mai stato qualcuno che fosse curioso della lettura dei filosofi, ma coloro che sono riusciti (Zachaire ed il buon Trevisano, tra gli altri) raccontano i loro lavori. Ciò mi ha incoraggiato, sempre convinto che, a forza di pazienza e di continue preghiere, io avrei potuto commuovere la misericordia di Dio, e che pensando all’impiego che, come i miei modelli, avrei fatto delle ricchezze, avrei ottenuto dalla Sua bontà la medesima grazia che auguro a te, amico lettore; perché, secondo il Cosmopolita, sarebbe utile che tutta la terra abitabile fosse riempita di Filosofi.
Leggimi con attenzione, senza chimere per la testa, senza altre occupazioni, senza manipolare prima di aver inteso i Filosofi, e comprenderai allora che non vi è bisogno di molte cose, soprattutto non impiegare oro, argento, mercurio, né altri minerali, sali, atramenti, boraci, vegetali di ogni specie e genere, animali, né tutto ciò che da essi può derivare, siano essi acquatici, bipedi, volatili, rampanti, nell’acqua, nella terra o sopra la terra; ricordati che ti occorre un solo metallo vivente, ridotto alla sua prima materia, che è lo zolfo ed il mercurio rebis dei Filosofi, e ricordati ancora che da un albero nasce un albero, da un uomo, un uomo, e da un metallo un metallo. E che ti occorre il solo seme, e non il corpo, del quale non puoi fartene nulla se non è ridotto nella sua prima materia, la quale è il suo sperma o seme, che, come ti dicono tutti i Filosofi, attira il suo mestruo secondo il peso della natura, che è il suo vaso ed il fuoco segreto dei saggi. Te lo giuro ancora una volta, nulla è più facile da eseguire, come ti dice Basilio Valentino (p. 82) porgendoti il suo addio alla fine delle sue Dodici Chiavi.
Colui che ha la materia troverà ben presto un forno, così come colui che ha della farina non tarda a trovare un forno e non ha difficoltà a farsi cuocere del pane.
Per facilitarti del tutto in questo inizio, e come per condurti per mano, leggi con attenzione i dieci paragrafi seguenti e mettine in pratica i precetti.


§. I

Sventura a colui che, per fare dell’oro o dell’argento filosofici, si servirà di altra materia che dello sperma o seme dell’oro e dell’argento, che estrarrà da un metallo vivente dopo averlo ridotto alla sua prima materia, senza impiegarvi alcun fuoco artificiale o elementare diverso da quello segreto di natura; egli lo piazzerà nel suo vaso, anch’esso segreto, per cominciare la sua opera laddove la natura ha finito la sua, senza potersi deviare dal regno metallico, né comporre alcuna mescolanza di qualunque modo e natura possa essa essere, non conoscendo affatto e perfino ignorando profondamente i pesi della natura.

§. II

Sventura a colui che impiegherà l’oro, l’argento ed il mercurio volgare prima di aver trovato il mestruo vivente, il loro dissolvente naturale nel quale essi si fondono, con l’aiuto del vaso segreto di natura, come ghiaccio in acqua calda, e che li riduce alla loro materia prima, li toglie alle braccia della morte e li rende viventi, senza che ne soffrano perdita e danno.


§. III

Sventura a colui che, per ingannare i suoi fratelli, si vanterà di saper fare la pietra e, non avendo del danaro per lavorarvi, domanderà in prestito dell’oro, dell’argento o qualcosa di valore, e folle chi gli presterà ascolto e gli darà fiducia.


§. IV

Sventura a colui che impiegherà per la confezione dell’opera altra materia che quella sopra designata per fare il primo magnete, il cui prezzo, a Parigi, non può eccedere le sei lire, ed in provincia dieci soldi, e che richiederà qualcosa per la seconda materia, che non costa che la pena di raccoglierla e si trova ovunque.


§. V

Sventura a colui che domanderà, per fare l’opera intera, tutto compreso, al di fuori del tempo e del nutrimento d’un sol uomo, più di ventiquattro lire, che comprenderanno l’oro e l’argento per la fermentazione, di cui un grosso di ciascuno è più che sufficiente, l’olio e tutti i vasi di vario tipo.


§. VI

Sventura a colui che, conoscendo o credendo di conoscere l’opera, confiderà il suo segreto senza conoscere a fondo il soggetto, o si offrirà di venderlo per oro ed argento ai grandi della terra, perché non vi riuscirà.


§. VII

Sventura eterna ai presuntuosi che, credendo di conoscere, attraverso le mie istruzioni, il segreto ed il modo di operare per portarlo a compimento, si forgeranno in testa idee chimeriche di ricchezza e possesso sulla terra, o che, avendo ottenuto da Dio qualche dono per guarire i fratelli, venderanno a caro prezzo ciò che si trova gratis; poiché costoro saranno travolti nelle loro idee e non si avvicineranno mai alla Tavola Sacra.

§. VIII

Sventura a voi, ricchi della terra che, non contenti della fortuna che Dio vi ha accordato, ne desiderate di più considerevoli, e, con la speranza di pervenirvi facilmente, prestate ascolto a quei soffiatori di carbone che fanno mestiere e mercato per ingannarvi, e con vane ed immaginarie promesse dissipano i vostri patrimoni concreti per correre appresso alle finzioni. Vi avverto caritatevolmente che voi sarete le loro vittime; essi non vi procureranno che perdite, danno ed angosce, e non conoscono se non l’arte di sorprendervi.


§. IX

Sebbene questi otto paragrafi dovrebbero essere sufficienti per far aprire gli occhi ai furbi ed alle loro vittime, bisogna che io gli chiuda interamente la bocca per l’avvenire con una verità alla quale essi non potranno mai controbattere. Spirito Santo, non abbandonarmi in questo passaggio difficile; come la colonna di fuoco rischiarò gli israeliti durante la notte e la nube oscura, nascondendoli durante il girono all’inseguimento delle armate del faraone, così come la verga di Aronne che disperse e inghiottì i serpenti che i falsi profeti di quei re fecero apparire, così pure, o mio Dio, accorda ai vostri Filosofi che ciò che rivelerò di più segreto, su cui nessuno ad oggi ha avuto mai il coraggio di scrivere, sia impenetrabile per coloro che voi non giudicherete degni; aprite gli occhi agli uni, e chiudeteli a quegli avari, come Eliseo chiuse quelli dei soldati del re della Siria, che egli condusse in Samaria senza fargli sapere dove essi andassero; che io conduca, allo stesso modo gli avari di precipizio in precipizio, e che essi, nella più forte luce, non vedano che oscurità. Al contrario rischiarate i vostri Eletti, come sempre avete fatto dall’inizio del mondo; che possano conservare il segreto che, di età in età gli avete confidato, senza che nulla mai pubblicamente abbia trapelato; che esso sia conservato fino alla fine del mondo secondo la vostra santa volontà, o, per punizione dei più grandi peccatori, che esso sia piuttosto rivelato al fine di sovvertire ogni ordine pubblico e di distruggere ogni subordinazione; ed allora, avendo tutti il medesimo rango di ricchezza, il disordine e la confusione si mescolerà tra essi come la confusione delle lingue della Torre di Babele; il che avete fatto annunciare dal vostro profeta Nostradamus, di cui oggi si disprezzano le Profezie e la persona, così come sempre è avvenuto per coloro di cui non si conosce la forza degli scritti. Alla fine di questa lettera io ne riporterò la profezia e la spiegherò alla lettera.

§. X

Ascoltate figli dei Saggi, la sentenza irrevocabile che vado a pronunciare in ultima istanza contro i sofisti, soffiatori e furbi; e voi, vittime, prestate attento orecchio.
La nostra prima materia, cominciamento dell’Opera, l’antimonio di Artefio, l’umido vischioso di Zachaire, il secco che attira naturalmente il suo umido; la massa confusa della luce che esce dalle tenebre, dove gli occhi del volgo non vedono che fecce ed abominio; questo resto del chaos della prima materia del mondo, questo dissolvente universale della natura, questo spirito cresciuto che deve estrarre uno spirito maturo dal corpo disciolto, per poi daccapo riunirlo con l’olio vitale per operare il miracolo di una sola cosa; questo mestruo vegetale unito al minerale che deve disciogliere un terzo mestruo essenziale, per comporre la folgore dei Filosofi; questo spirito di Filalete che rassomiglia a metallo fuso nel fuoco; questa miniera dell’acciaio del Cosmopolita; questa sorgente della Fontana del Trevisano; questa umidità del d’Espagnet con la quale la natura comincia tutte le sue generazioni; quest’opera della pietra che l’arte deve cominciare dove la natura ha finito; questa natura che gioisce di natura, che contiene la natura ed oltrepassa la natura; ed, infine, questo argento vivo di Geber, per la creazione del quale egli loda il Signore e lo benedice per avergli donato una sostanza e delle proprietà che non si incontrano in nessuna altra cosa di natura, ed in rifermento al quale Filalete aggiunge che senza di esso gli alchimisti avrebbero un bel vantarsi, che tutte le loro operazioni non servirebbero a niente, questo, io dico, non è che un sol ed unico soggetto visto in diverse operazioni. Esso deve cominciare a cuocersi in un vaso ed al fuoco segreto della natura, senza che si possa aiutare in nessuna maniera con alcun fuoco artificiale o elementare di qualunque specie possa essere, sia esso di acqua calda, di carbone, di torba, di lampada, bugia, letame, calce e tutti gli altri, senza eccezione alcuna. La più leggera luce, fosse anche di un sol filo d’oro, turberebbe la natura in questa prima operazione, in cui bisogna che essa rimanga sola e nascosta; ed aggiungerò ancor di più: e cioè che dieci soldi sono più che sufficienti per riconoscere se si è nella vera via per ottenere l’acqua secca che non bagna le mani. Ecco ciò che non è mai stato detto di più chiaro sulla prima materia, e di più istruttivo per coloro che desiderano averne le prime conoscenze, e giuro, su tutto ciò che vi è di più santo, che io so ciò che dico e che l’ho scritto alla lettera, benché ammetta di non aver ancora operato; ho come guida il Trevisano che, conoscendo come me la prima materia, ha molto sapientemente disputato contro i Filosofi che avevano fatto la pietra; il che puoi verificare (p. 385, L. 2). Posso, senza vantarmi, ma per mezzo della grazia di Dio, fare la medesima cosa.

ELEMENTI DELLA FILOSOFIA ERMETICA
PRIMA LETTERA.

Signora
Quale gioia per me il potervi persuadere, per iscritto, che sono infine pervenuto alla conoscenza della materia prima della Pietra dei Saggi, da dove la si estrae e come prepararla in Elixir.
Questo dono del Cielo, al quale io aspiro da tanto tempo, non mi è stato ispirato che lunedì primo gennaio, tra le quattro e le cinque della sera.
Ne sono tanto più soddisfatto, perché non ho alcun dubbio nel farvi occupare il settimo posto tra le donne Filosofe: Maria, sorella di Mosé, che di quest’arte ha scritto un piccolo trattato molto sapiente; Nicolas Flamel che ammette che Pernelle, sua moglie, era in grado di fare la pietra come lui stesso, avendolo aiutato in tutte le sue operazioni; Cleopatra, regina d’Egitto, che la possedette; Thapuntia, Medera e Euthica, che ne hanno parimenti conosciuto il segreto; così, signora, voi sarete la settima; numero misterioso dei Filosofi.
Sono più di venti anni che sono occupato nella lettura degli autori più accreditati. Ho lasciato tutto, sono espatriato, ho fatto voti al cielo, e mai mi sono stancato; ed a forza di perseverare, di bussare alla porta, mi è stato aperto. Vi farò un resoconto esatto dei passaggi dei Filosofi che mi hanno illuminato, per condurvi come per mano al fine desiderato. Io non mi riserverò che di dirvi all’orecchio una sola parola di sette lettere, che non si può scrivere, per timore che questa lettera cada in mani profane che abuserebbero di un tesoro così grande; poiché tutta la terra abitabile ne rimarrebbe sconvolta se gli avari come i saggi potessero fare a loro piacimento tutto l’oro e l’argento i diamanti e le perle fini. Ecco il solo motivo per il quale i saggi sono sempre stati riservati. Io non posso dispensarmi dal seguire il loro esempio; ma se io ho scoperto il segreto attraverso le mie letture, tracciandovi il mio cammino vi permetterò di raggiungermi presto; e lavorando insieme, aiutandomi con la vostra luce, favoriti dal cielo, e, senza che nulla vi si possa opporre, giunti allo scopo, non cesseremo di sollevare i nostri fratelli dalle loro infermità, di aiutarli nei loro bisogni e, lasciando questo mondo senza rimpianti, spereremo in una eterna beatitudine, per l’ottenimento della quale, voi come me, non cessate di pregare.
Domandate a mio fratello i quattro volumi della Bibliotheque des Philosophes ed il mio Cosmopolita; questi cinque volumi racchiudono tutte le mie citazioni. Leggete e rileggete questa lettera molte volte, e cercate anche di apprendere con il cuore; riempitevene lo spirito e non lasciatela che quando avrete cominciato a comprenderla; indicatemi le vostre difficoltà, ed io ve le appianerò; leggete soprattutto il Triomphe Hermetique, è il più intelligibile, ed al suo autore io devo la più grande riconoscenza, avendomi aperto la prima porta. Dedicatevi ancora al Trevisano; egli non ha scoperto il segreto che a sessantaquattro anni, dopo molte letture e lavori. Io ho la stessa età, ma non ho mai operato, volendo prima intendere e conciliare, nel mio spirito, tutti gli autori.
L’opera si comincia in marzo, ma le mie occupazioni a Parigi per il mio patrimonio, troppo considerevoli per essere abbandonate in questo periodo, mi tolgono ogni speranza per quest’anno e quello seguente. Fortunato se potrò operare tra due anni!
Vedrete che anche il Trevisano rimase due anni conoscendo l’opera senza poterla compiere. Io non so se mi illudo, ma credo che non avrò molte difficoltà nell’operazione, non essendovi un solo autore che io non intenda; in più, voi stessa di qui a poco tempo, potrete averla eseguita. Quale pena per la mia sposa che voleva consultare il suo confessore per avere la sua approvazione per leggere libri approvati. Quale crepacuore per mio fratello, a cui, per riconoscenza per tutte le obbligazioni che ho verso di lui, io debbo una preferenza, che ha trattato la scienza come pura invenzione e come falsa nei suoi principi, seguendo ciò che gli aveva attestato il suo medico. Qual dolore per quel medico moribondo e pronto a dipartire a metà della sua vita, per aver così grossolanamente errato sulla base del solo pregiudizio, affermando che la più grande nemica del corpo era la dottrina di Paracelso. Che sia fatta la volontà di Dio; ma se riesco, come spero, non sotterrerò il talento, e renderò le mie guarigioni talmente pubbliche che non sarà mai più possibile mettere in dubbio questa scienza; esse avranno la medesima notorietà pubblica, tramandata di età in età, che era posseduta a Tours da un signor de Beaune, a cui la città deve riconoscenza per le fontane pubbliche che costituiscono uno dei suoi principali ornamenti.
Per incoraggiarvi ancora, signora, vi invierò la descrizione di tutte le meraviglie che la nostra pietra opera sui tre regni della natura, opera che avevo abbozzato in precedenza e che ho messo alla luce del sole più che ho potuto. Non voglio nascondervi che non ho mai saputo a che Dio mi votassi, e che mai uomo fu più incostante di me. Sono passato per diversi stati senza potermici stabilire, sempre contento e senza mai nulla desiderare. Sembrava, dentro di me, che dovessi sempre occupare altro posto che quello in cui ero, pieno di desideri e seduta stante soddisfatto, già all’indomani io pensavo a cosa nuove. Da quando mi conosco, mai fui dominato dallo spirito di interesse. Ho sempre desiderato viaggiare, ed avevo un segreto presentimento che un giorno ciò avrebbe potuto succedere; perciò posso ringraziare il cielo di tutte le grazie che mi ha fatto, e posso ancora dire, in verità, che non ho mai desiderato nulla senza averlo infine ottenuto. Mi ricordo che nella più tenera giovinezza vostro marito, suo fratello ed io, vicini intimi e quasi allevati assieme, avevamo Alessio Piemontese (1) che parlava della pietra; io gli avevo comprato questo libro, che posseggo ancora a Tours e di cui ho molte volte letto gli articoli in cui parla della sublimazione del mercurio. Venni a Parigi nel 1755 per rimanervi, ed il primo libro che comprai furono le opere del Cosmopolita, autore di grande scienza e di primissima reputazione; egli mi ha occupato, da solo, fino al 1756, quando comprai i primi tre volumi della Bibliothèque des Philosophes. Navigai allora in mare aperto e mi formai molte idee che si distruggevano tanto velocemente quanto si erano formate; infatti io non sono mai stato testardo, e quando ciò che pensavo essere la prima materia si trovava confutata da un filosofo, all’istante mi sovvenivano altre idee; ma quale fu la mia sorpresa quando lessi un passo del Trevisano (p. 349) che diceva così:
«Lasciate gli allumi, i vetrioli, Sali e tutti gli atramenti, boraci, acque forti, gli animali, le bestie e tutto ciò che ne può venire (capelli, sangue, urina sperma, carni uova), le pietre e tutti i minerali. Lasciate perdere ogni metallo. Perché, sebbene essi siano la base e sebbene la nostra materia, secondo tutti i detti dei filosofi, deve essere composta di argento vivo, e sebbene l’argento vivo altro da altro non provenga che dai metalli, come appare da Geber che dice che i metalli non sono altra cosa che argento vivo congelato per via di gradi di decozione, tuttavia i metalli non sono la nostra pietra fino a quando rimangono nella forma metallica. Perché è impossibile che una materia possa avere due forme. Come dunque volete che i metalli possano essere la pietra, che è una degna forma a metà tra mercurio e metallo, se prima la forma originale non sia eliminata e corrotta?».
Questo passaggio mi costernò a tal punto che rimasi quasi tre giorni senza bere, mangiare o dormire, all’inizio non ne compresi tutta la portata, e diressi dunque i miei progetti sulla rugiada, la neve, sulla brina ed altre cose simili, come il flos coeli, il ferro di miniera etc.. Mi figuravo di dover trovare un sale che potesse decomporre i metalli; ripresi coraggio e la ricerca continuò fino a quando non caddi su di un passaggio del Triomphe Hermetique (p. 254) che dice: essa sposa se stessa, si ingravida da sola, e nasce da se stessa.
Nessuna difficoltà, mi dissi allora, sul fatto che non si possa nulla aggiungere al primo magnete dei Saggi che sia fuori dalla sua natura metallica, poiché esso contiene dentro di sé, o attira da sé dalle influenze celesti, ciò di cui ha bisogno. A eccomi ancora nel dolore e nell’amarezza di cuore, perché riguardai qualche pagina prima il medesimo autore (p. 250) e trovai:
«L’arte ed il mercurio, e tutte le altre sostanze particolari delle quali la natura compie le sue operazioni, sia che siano perfette, sia che siano assolutamente imperfette, sono completamente inutili o contrarie alla nostra arte».
Mi trovai allora in uno stato simile ad una persona in un bosco che ha smarrito il cammino e non sa da qual lato dirigere i suoi passi.
Presi allora il Cosmopolita, aprendolo inopinatamente, e ciò che lessi fu (p. 38):
«Che tutti i figli della scienza sappiano dunque che è invano che si cerca il seme in un albero tagliato; bisogna cercarlo solo in quelli che sono verdi ed interi».
Quest’ultimo passaggio mi prostrava senza scampo, ma sembrava nondimeno darmi una nuova speranza: nessun dubbio, dissi tra me e me medesimo, che i metalli che hanno sofferto il fuoco di fusione siano morti e senza azione; bisogna andare dunque nelle miniere, per prenderne prima che vengano fusi; di conseguenza avevo domandato in Inghilterra del minerale di piombo e stagno, ed avevo raccomandato di fare in modo che esso non bagnasse. Ma, qualche giorno dopo, leggendo La lumière sortant des tenebres, opera eccellentissima e superiormente scritta (p. 496), verso la fine della pagina, lessi:
«Da ciò discende che i metalli che hanno subito il fuoco di fusione rimangono come morti, perché sono privati del loro principio motore esterno».
Fui soddisfattissimo di questo passaggio, che confermava la mia idea, ed attendevo con impazienza i miei minerali dall’Inghilterra; tuttavia riprendendo qualche pagina prima il medesimo autore (p. 439, ultima riga) vi lessi:
«Ma qualche miserabile chimico concluderà forse da ciò che i metalli imperfetti, essendo ancora nelle loro miniere, potrebbero essere il soggetto su cui deve lavorare l’arte; quando anche gli si accordasse questa conclusione, tuttavia egli comincerebbe invano a lavorare su di essi, poiché abbiamo fatto vedere che i vapori mercuriali da cui questi metalli imperfetti sono stati formati, o i luoghi della loro nascita, erano impuri e contaminati; come dunque potrebbero dare la purezza necessaria all’elixir? Non appartiene che alla sola natura il purificarli fino al quel fortunato zolfo aurifico, val a dire alla pietra perfetta».
Addio dunque, miei poveri minerali; fortuna per me che la commissione non fosse eseguita.
Ce l’avevo con questo autore con assai poca ragione, perché il suo sentire mi fu confermato dal Cosmopolita (p. 58) che, spiegando la natura animale, vegetale e minerale, sosteneva, a giusta ragione, che nulla si produce in natura senza seme; che i metalli hanno in se stessi il proprio seme; che, come i due altri regni, possono essere moltiplicati nel loro stesso seme, con il quale bisogna operare; e che la natura non ha calore sufficiente nella terra.
Restai diversi anni a leggere, ma senza poter comprendere dove fosse la tana della lepre, ed il mio spirito era così abbattuto che, appena avevo preso un libro e letto qualche riga, lo lasciavo seduta stante; ciò nonostante, pieno delle mie letture e sapendo nel mio spirito ciò che mi abbisognava, senza poterlo trovare nei libri, lessi il Trevisano quando, parlando dell’opera in generale, dice (p. 330):
«Essa è tanto facile che se te la rivelassi e la mostrarsi attraverso i suoi effetti, appena potresti credere a quanto è semplice. Tuttavia comporta un po’ di fatica il comprendere le nostre parole e intenderne il vero significato».
Avevo in precedenza letto il Filalete, tomo IV (p. 93), dove, al riguardo del medesimo argomento, egli dice le seguenti parole: «Ti giuro sulla mia fede che se ti dicessi solo il regime e come si deve realizzare, non vi sarebbe nessuno, nemmeno i folli, che non si prenderebbero gioco della nostra arte». Il che è confermato da diversi altri autori.
Benché abbia desiderato che questi autori parlassero più chiaramente per intenderli con maggior facilità e pervenire al vero fine, mi prendevo gioco del Trevisano quando diceva che un giorno avrei trovato che si era espresso troppo chiaramente e che io stesso avrei preferito scrivere più oscuramente di lui. Lo consideravo come un ingannatore ed un intrattenitore dei lettori; ma nello stesso tempo lo giustificavo poiché, essendo questa scienza un dono di Dio, che egli distribuisce a chi vuole, non se ne può parlare più apertamente, per tema che non cada nelle mani di qualche malvagio che la divulghi come si diceva sopra, dal che discenderebbero tali inconvenienti che Dio stesso non permetterebbe che alla fine del mondo. Essa esiste, ne sono sicuro, dicevo a me stesso; essa nei libri è sufficientemente spiegata. Per comprenderla, se Dio lo permette, dobbiamo dunque ricorrere a lui, e cercare di piegare la sua misericordia. Ho continuato i miei voti, le mie preghiere all’Essere eterno, fino alla vigilia dello scorso Natale, in cui, ritornando dalla messa di mezzanotte io mi sentii portato a rileggere i miei autori e man mano ed a misura che li leggevo mi trovavo più istruito. Non ho più lasciato l’opera giorno e notte, poiché non mi concedevo più di tre ore di riposo. Queste tre chiavi della natura, una d’oro, una d’argento, e l’altra di ferro, mi colpivano continuamente. Buon Dio, mi dicevo, se solo potessi trovare una delle loro serrature, sicuramente poteri scoprire le altre; sono certamente il sale, lo zolfo ed il mercurio. Infine mi fabbricai in testa mille e mille idee differenti.
Non avevo mai potuto comprendere nulla nel passo di Flamel in cui l’ebreo Abramo insegnava la prima materia: vediamo dunque, mi dicevo, questo trattato, e come Flamel vi si spiega (p. 199); ecco ciò che dice:
«Perché ancorché fosse intelligibilmente illustrato e disegnato, tuttavia nessuno avrebbe saputo comprendere il quarto e quinto foglio del libro in questione, senza essere assai avanzato nella loro tarda cabala e senza aver studiato bene i libri dei Filosofi. ».
Ecco come l’ebreo Abramo si spiega in seguito (p. 200).
«Anzitutto, al quarto foglio, è dipinto un giovane uomo con delle ali ai talloni, che ha un caduceo in mano con due serpenti attorcigliati, con il quale colpisce un casco che gli copre la testa. Egli sembra, a mio avviso, il dio Mercurio dei pagani. Contro di lui vengono, correndo e volando ad ali spiegate, un gran Vegliardo che porta sulla testa un orologio, e nelle mani una falce come la Morte; con essa, terribile e furioso, egli vuole tranciare i piedi a Mercurio.
All’altro lato del quarto foglio è dipinta una bella pianta sulla sommità di una altissima montagna, sferzata assai rudemente dal vento aquilone. Esso ha lo stelo blu, i fiori bianchi e rossi, le foglie rilucenti come di oro fino; intorno ad essa i dragoni ed i grifoni aquiloniani fanno il loro nido ed eleggono la loro dimora.
Nel quinto foglio c’è, nel mezzo di un bel giardino, un bel rosaio fiorito appoggiato ad una quercia cava; ai piedi di esso gorgoglia una fontana di acqua bianchissima che precipita in un abisso; nondimeno prima passa per le mani di una infinita moltitudine che scava in terra, cercandola; ma poiché sono tutti ciechi, nessuno la vede, all’infuori di qualcuno che ne considera il peso.
All’altra pagina del quinto foglio c’è un re con un gran coltellaccio, che in sua presenza fa uccidere da soldati una grande moltitudine di bambini, le madri dei quali piangono ai piedi degli impietosi gendarmi; e tutto il sangue viene poi raccolto da altri soldati e messo in un grande vaso, nel quale il Sole e la Luna del Cielo si vengono a bagnare».
Questo passaggio mi ha sempre colpito, e da quando mi impegno nelle mie letture l’ho sempre letto con gusto, senza che mai mi sia venuto a noia, e ciascuna volta mi forniva idee nuove, senza che tuttavia ne comprendessi il senso reale; mi accade lo stesso con un altro passaggio del Petit Paysan (Tomo 4, p. 190 e seguenti).
«Saprai che nessuno arriva alla conoscenza di questi fiori se non ne sia chiamato da Dio, guidato dalla fede e per invocazione, attraversando nella sua ricerca grandi pene, guai ed afflizioni, e ciò affinché questa alta scienza, una volta posseduta, gli sia in gran venerazione, come tesoro acquisito a caro prezzo.
Ma poiché sei arrivato fin qui, vedi che Dio mi autorizza a dirti che da questi due fiori, dopo la loro congiunzione, e non prima, proviene la materia prima di tutti i metalli; il che ti è confermato dal Trevisano verso la fine della seconda parte, in cui nomina questi due fiori uomo rosso e femmina bianca; ma i filosofi, per diverse ragioni, hanno detto molte cose al riguardo di questa prima materia per coprire essa e la sua radice con un velo; essi si sono pure guardati dal rivelare la seconda materia, poiché bisogna che prima tu tratti questa seconda materia, che è cruda ed indigesta, e che tuttavia è il soggetto della pietra; occorre che tu la tragga come dall’uomo e dalla donna, e che dopo la congiunzione divenga la materia prima che qui ti dichiaro con verità».
Un terzo mio passaggio favorito è nel Trionfo Ermetico (p. 222), e dice:
«Io vi dichiaro che la vostra conseguenza è assai ben tratta, questo filosofo non è il solo che parli in tal modo; egli si accorda in ciò con il più gran numero di filosofi antichi e moderni. Geber che ha perfettamente conosciuto il magistero e che non ha fatto uso di alcuna allegoria, non tratta, in tutta la sua Summa, che di metalli e di minerali, di corpi e di spiriti, e della maniera di prepararli al meglio per farne l’opera; ma siccome la materia filosofale è in parte corpo ed in parte spirito, in un senso è terrestre mentre nell’altro è tutta celeste, certi autori la considerano in un senso e certi altri nell’altro. Ciò ha dato luogo all’errore di un gran numero di artisti, che sotto la definizione di universalità, rigettano qualunque materia che abbia ricevuto dalla natura una determinazione, poiché essi non sanno distruggere la materia particolare per separarne il seme ed il germe, che è la pura sostanza universale che la materia particolare racchiude nel suo seno, ed alla quale l’artista saggio ed illuminato sa rendere tutta l’universalità che gli è necessaria attraverso la congiunzione che egli compie di questo germe con la materia universalissima da cui esso trae la sua origine. Non spaventatevi per queste espressioni singolari, la nostra arte è cabalistica; comprenderete facilmente questi misteri prima che siate arrivati alla fine delle domande che avete in mente di farmi sull’autore che esaminate».
Riflettendo su questi tre passaggi, io chiusi distrattamente il mio terzo volume, e riaprendolo (p. 54) caddi su quel quarto passaggio delle Dodici chiavi di Basilio Valentino, che dice:
«Inoltre, ricorda che il vino ha uno spirito volatile, perché distillandolo, lo spirito esce per primo e la flemma per ultima; ma essendo per calore continuato girato in aceto, il suo spirito non è più così, volatile, perché nella distillazione dell’aceto la flemma acquosa monta per prima in alto nell’alambicco, e lo spirito per ultimo. Benché essi siano, l’uno e l’altro, d’una medesima materia, vi sono tuttavia nell’aceto qualità diverse da quelle del vino, perché l’aceto non è più vino, ma una putrefazione del vino che si è cambiato in aceto per il continuo calore; e tutto ciò che si è tratto dal vino o dal suo spirito e rettificato in un vaso circolatorio, conserva ben altre forze ed operazioni di ciò che è estratto dall’aceto, perché se si estrae il vetro d’antimonio dal vino o dal suo spirito, esso risulta troppo lassativo e purga con troppa veemenza dall’alto, tanto più che, non essendo ancora vinta ed estinta la sua virtù velenosa, esso è ancora saturo di veleno. Ma se lo si estrae con l’aceto distillato, ciò che se ne otterrà sarà di un bel colore, e poi, se estraendo l’aceto per bagno maria si lava la polvere gialla che rimane al fondo, versandovi sopra molte volte dell’acqua comune e ritirandola tante volte da togliere tutta la forza dell’aceto, allora si ottiene una polvere dolce che non purga le viscere come abbiamo detto sopra, ma che è un eccellente rimedio che guarisce molte malattie, ed è a buon diritto considerato tra le meraviglie della medicina.
Questa polvere, messa in un luogo umido, si scioglie in un liquore che, senza provocare alcun dolore, è rimedio sovrano per le malattie esterne: che ciò sia sufficiente. ».
Dopo la lettura di questo ultimo capitolo, mi sentii come tutto illuminato. Cominciai a comprendere la prima materia di cui Basilio Valentino finissimamente dava tutta la preparazione sotto l’apparenza dell’antimonio condannato da tutti i Filosofi, meditai per qualche tempo e finii la mia lettura con il seguente passaggio del Trevisano.
«Ma se tu ti opponessi alla nostra pietra dicendo che anch’essa non acquista nulla di nuovo, io ti dico che essa si perfeziona perché noi la riduciamo affinché si compia la congiunzione d’una nuova materia della medesima radice; senza questa riduzione non si può ottenere, tuttavia vi è un’addizione di materia. Così le due materie si aiutano l’un l’altra per perfezionare una materia più degna di quanto entrambe non fossero quando erano da sole. E così appare chiaramente che la nostra riduzione è richiesta, perché, attraverso di essa, le materie prendono nuova forma e virtù, e vi si aggiunge una nuova materia. Ma nelle riduzioni dei miei oppositori, in tutte le loro operazioni, non si aggiunge nessuna nuova materia, poiché essi non fanno altro che far circolare una materia nuda di forma, senza nulla esaltarvi ed innovarvi, né con acquisizione di materia né con acquisizione di forma. Appare così chiaramente che le loro riduzioni non sono che fantasie folli ed erronee».
Quest’ultimo passaggio, unito al precedente e naturalmente accordato, mi ha talmente aperto gli occhi che non mi è più restato alcun dubbio su dove trovare la prima materia; questa è lo sperma e semenza dei metalli che la natura ci presenta continuamente per unirlo col magnete disposto dall’arte a questo fine, affinché a cominciare da dove la natura aveva finito, questa possa riprendere le ultime operazioni col soccorso dell’arte e spingere la propria opera dalla perfezione fino al più che perfetto, cuocendo metalli perfetti e imperfetti, cosa che non avrebbe potuto fare nelle miniere per mancanza di sufficiente calore; allo stesso modo essa non potrebbe separare lo spirito di vino, a meno che l’arte, mettendo il vino in una caldaia con un certo grado di calore, non operi una nuova fermentazione che ecciti la natura a ricominciare le sue operazioni sul vino ed ad portare la materia a più alto grado di perfezione, nella misura desiderata dall’artista, separandone la flemma; ciò affinché, con questa più che perfezione, l’arte possa, mescolandone una certa porzione, bonificare dei vini deboli che non avrebbero potuto maturare in anni freddi e piovosi.
Se l’Artista desse alla natura il seme dell’uva ridotto in sale da lavorare, egli le farebbe operare come dei miracoli sui vini deboli e guasti: ma, Signora, la mia intenzione non essendo qui che di intrattenervi sulla prima materia, credo sia superfluo passare alle operazioni, tanto più che potrei sbagliarmi non avendo mai operato, benché in passato io abbia fornito molto carbone, olio ed argento a Fort-l’Evêque (2) ad un illustre prigioniero, uscito dopo poco tempo, che voleva estrarre dalla fuliggine dei caminetti l’antimonio, il che non avviene che nei gabinetti dorati di Hermes; ecco qui solo quel che credo si debba fare, senza che ve lo dia per regola certa. Il vostro vino si deve distillare tre volte, bisogna purificarlo per trenta giorni, ed estrarre dalla purificazione il vino bianco e rosso dei Filosofi che bisogna aver gran cura di conservare a parte. Esso, quando i vasi sono ben chiusi, non si guasta mai; dell’uno e dell’altro bisogna avere una buona provvista, affinché non ce ne venga a mancare come alle Vergini folli (3) una volta ottenute le aquile del Filalete (4).
Bisogna comporre il vostro uovo filosofico con una parte di rosso e tre parti di bianco, il che crea il rebis dei Filosofi, il loro mercurio vivente, la loro acqua che scioglie i metalli tanto facilmente quanto l’acqua calda scioglie il ghiaccio, il loro mercurio doppio animato; questo servitore rosso e la femmina bianca hanno bisogno di un calore di gallina nell’uovo, che è quello della natura (5); il bianco si fa al bagno maria, il rosso a fuoco di cenere una volta raggiunto il bianco, poi si imbeve fino a sette volte, e quando la pietra è in atomi brillanti come la luna, ci si arresta per prenderne una parte se si vuol trasmutare in argento; ma se vuoi spingerti al rosso comincia le imbibizioni col vino rosso; man mano che la pietra ha sete, gli si dà da bere con la precauzione, alla fine, del ricoprire sempre bene la materia, perché, se l’imbibizione fosse troppo debole, il fisso non si scioglierebbe affatto, e l’opera della natura nella trasmutazione del mercurio si arresterebbe seduta stante, il che è essenziale da ricordare tanto al bianco che al rosso. In seguito si fermenta la Pietra, sia con dell’argento, se è la bianca, sia con dell’oro, se è al rosso; ma per la medicina non c’è affatto bisogno di fermentazione, perché questa degraderebbe la bontà della Pietra per l’utilizzo nel corpo umano. Un sol grosso (6) d’oro o d’argento sono sufficienti. La proiezione sull’argento, per farne oro, è la più abbondane, non mancando all’argento, per essere eguale all’oro, che poca cottura. Non entro in più ampi dettagli riservandomi, non appena avrò avuto il tempo di operare, di dare un’idea precisa di tutta la manipolazione e di ciò che si vede nell’uovo, cosa che, se io la facessi qui, non costituirebbe che una ripetizione, considerato che, come ho già detto, potrei anche sbagliarmi.
Fate soprattutto attenzione, Signora, quando comincerete a comprendere da dove estrarre la prima materia, a leggere e rileggere, se bisogna anche cento volte, il Trionfo Ermetico, perché è a lui che porto le maggiori obbligazioni. Esso vi spiegherà, quasi alla lettera, come rendere viventi i metalli reputati morti, metalli che io paragono al nocciolo di pesca che resterebbe eternamente nella sua natura, se l’arte o il caso non lo mettessero nella terra abbastanza profondamente da trovarvi il mestruo naturale che, nella convenevole stagione, aiutato dalle influenze celesti, lo forza ad aprirsi per lasciar uscire dal suo seno il germe da un lato e la radice dall’altro, che a poco a poco, produrranno un albero vivente a partire da un nocciolo che sembrava morto. Lo stesso è per i metalli, che non sono quelli negletti dal Trevisano (7), il che è da considerarsi con cura; metteteli nella loro acconcia terra, la natura essendo una in ogni cosa, e da morti che vi sembrano essi saranno ben presto viventi per suggere dall’aria e dalla terra ciò di cui avranno bisogno per crescere, moltiplicarsi come il nocciolo, ed anche moltiplicare o piuttosto purificare con la loro superiore perfezione i metalli imperfetti.
Ma un grande errore che mi ha fatto arretrare forse per anni, è una cattiva traduzione che si è fatta della Tavola Smeraldina di Hermes, che sono ben felice di rilevare qui: io ne ho obbligazione al Trevisano, benché l’autore del Trionfo Ermetico l’avesse parimenti corretta; non vi avevo mai fatto attenzione, scorrendo tutti quegli articoli senza leggerli. Hermes dice, o piuttosto gli si fa dire: è vero, senza menzogna, sicuro e certissimo, ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli di una sola cosa. Il Trevisano dice: è sogno vero e certissimo che l’alto è della natura del basso, e ciò che sale della natura di ciò che scende, congiunti per un mezzo ed una disposizione.
Vedete dunque, signora, che secondo la prima tavola, non si deve prendere che una sola materia, mentre per il Trevisano bisogna congiungere l’alto col basso, ovvero il fisso col volatile, il paziente con l’agente, lo zolfo col mercurio, il maschio con la femmina, il padre con sua figlia, il fratello con la sorella, lo zio con la nipote e, per concludere, un maschio con una femmina; è vero che tale femmina, come Eva, deve essere uscita da Adamo; è su queste questioni che una sola parola che vi dirò all’orecchio vi renderà, seduta stante, edotta al pari di me; ma conoscendo il vostro spirito penetrante, credo di avervene detto abbastanza per eguagliarmi, e tanto da non aver bisogno del mio soccorso. Vi saranno tuttavia sicuramente altre persone tra le mani delle quali cadrà questa lettera, che saranno ben contrariate dal fatto che io non mi sia spiegato di più, e che desidereranno che io li faccia parte di quella parola all’orecchio che voglio dirvi, non avendo trovato le due precedenti tavole di Smeraldo soddisfacenti per un principiante. Mi sono così preso la libertà di comporne una terza, eccola:

Trai dal chaos i tuoi Sali, zolfo e mercurio, putrefai, fai le aquile del Filalete, forma il tuo uovo dal suo giallo e da un bianco; cuoci, imbibisci, fermenta, moltiplica e fai proiezione; così il mondo è stato creato e tratto di potenza in atto.

Voi già conoscete questa Tavola, e credo che ne possediate anche la spiegazione, per la quale vi prego di non avere alcun riguardo; allora io non conoscevo la prima materia, e dunque voi potreste arretrare invece che avanzare.
Tra breve riceverete le meraviglie della Pietra sui tre regni di cui vi ho parlato in precedenza; ciò sarà un possente sprone, non per voi, Signora, ma per coloro che non lavorano che per la ricompensa.
Non penso che voi troviate sbagliato che io renda pubblica questa opera. Voi sapete dal Cosmopolita che non sono mai troppe le persone oneste che conoscono la Grande Opera e che sarebbe anche utilissimo che tutti gli uomini virtuosi ne fossero istruiti, come lo erano un tempo tutti i re d’Egitto e della Persia; ma tutto ciò è affidato alla volontà del Dio supremo, che ne fa dono a chi gli sembra giusto; speriamo solo che faccia ad ognuno questa grazia, perché sebbene io sia avanzato ed anche istruito in questa scienza, conoscendo a fondo la materia prima e sapendo come estrarla dai limbi in cui essa giace dormiente, non mi vanterò di conoscerla se non dopo la reale trasmutazione e la guarigione di malattie disperate, temendo sempre di resistere ai reiterati consigli di mio fratello che, quasi in ognuna delle lettere che un tempo mi scriveva, mi diceva di abbandonare tutto; perché per avergliene inviate due io troppo precipitosamente, egli, a partire dalla sua ultima del 15 gennaio, mi ha corrisposto un silenzio eterno, dimostrandomi di essere stufo delle mie follie e della mia condotta.
Finisco facendo a Dio la stessa preghiera di Flamel (p. 260) e di Philippe Rouillac (p. 234), promettendogli, se egli mi accorda questa grazia, di usarne bene a favore della Fede, a profitto della mia anima, dei poveri in generale, delle giovani da maritare abbandonate e per l’accrescimento della gloria di questo Reame, alla testa del quale la Provvidenza ha piazzato un secondo Salomone, che si è scelto per consiglieri e ministri quanti erano tra i più saggi e grandi personaggi del suo popolo; essi, per eseguire alla lettera i suoi ordini e la sua volontà, non cercano che i mezzi più pronti, per, da un lato saldare i debiti dello stato, dall’altro diminuire gli oneri di un popolo giudicato troppo pressato, popolo che non cessa e non cesserà di alzare preghiere al cielo per il suo Re, per i suoi fratelli, tutta la famiglia reale ed un’assemblea così illustre la cui presente gloria sarà per sempre celebrata dalla storia come il regno di Nestore o quello del Secolo d’Oro. Piaccia al Cielo che io possa fornire mezzi a sufficienza per riparare alle sventure che sono appena arrivate all’antico domicilio dei re e per compiere più prontamente dei progetti così nobili, che ad ogni altra mano sembrerebbero impossibili; ciò affinché questo popolo riconoscente possa, seduta stante, gioire di un evento che non è differito che per mancanza di fondi.
Finisco così assicurandovi del profondo rispetto con il quale non cesserò di essere.
Signora,
Vostro umile ed obbedientissimo Servitore
Il Sancelrien Tourangeau.

Parigi, questo 23 gennaio 1776.

P. S. – Stavo per omettere ciò che avevo sopra promesso al riguardo delle profezie di Nostradamus; vado subito a soddisfarvi. È l’articolo trenta della quarta Centuria (p. 36).

Più undici volte Luna Sole non vorrà
Tutto aumentato ed abbassato di grado,
E così mal messo che poco oro si cucirà.
Che dopo fame, peste, si è scoperto il segreto.

Ed eccone la spiegazione letterale: al tempo di Nostradamus, l’oro aveva undici volte il valore dell’argento; più undici volte luna, sol non vorrà, dove volere sta per valere; tutto aumentato e abbassato di grado, vale a dire che l’argento sarà aumentato di valore e l’oro diminuito; e così mal messo che poco oro si cucirà, dove cucire sta per preoccuparsi, vale a dire che sarà reso così comune che non se ne vorrà più; che dopo fame, peste, si è scoperto il segreto, significa che il segreto della trasmutazione essendo reso pubblico e non essendovi più subordinazione, la fame e la peste, flagelli di Dio, svaniranno, il che succederà alla fine del mondo, come Nostradamus predice con largo anticipo; è questa la ragione per la quale tutti i Filosofi manterranno sempre un così profondo segreto, sino a che piaccia a Dio che non si compia più alcun lavoro manuale sulla terra; ciò avverrà non appena il povero, che è oggi occupato nel lavorare la terra, governare la vigna o altre opere faticose, sarà, in oro ed argento, uguale al ricco che oggi gli dà lavoro, in grado di pagargli una moneta fittizia per un vitto che egli non potrebbe più procurarsi, né per oro né per denaro. Cosa diverrebbero allora, fratello mio, tutti i vostri confratelli dignitari di questa nobile ed insigne Chiesa, i Canonici, Prevosti, Beneficiari, Vicari e i vostri piccoli Cappellani, quando queste granaglie di rendita, questo grasso pollame, questa fine cacciagione ed il pesce scelto che oggi gli arrivano nel sonno, gli saranno rifiutati in natura ed offerti in oro ed argento? Solve hoc vinculum mi frater.

NOTE del traduttore:


(1) I Secreti del reverendo donno Alessio Piemontese escono a Venezia nel 1555, per i tipi di Sigismondo Bordogna, e conoscono una immediata ed universale fortuna, che porta ad un rapido e parossistico moltiplicarsi delle edizioni italiane, latine, e delle traduzioni nelle principali lingue europee. Alessio Piemontese era lo pseudonimo del poligrafo Girolamo Ruscelli (Viterbo 1500 circa – Venezia 1566), L’identità dell’autore viene ufficialmente rivelata nel seguito dell’opera, I Secreti nuovi di maravigliosa virtù di Don Alessio Piemontese, che esce a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore. Le raccolte di Secreti firmate dal Ruscelli sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese sono, a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, probabilmente, le più diffuse in assoluto. Decine di edizioni in italiano, latino, tedesco, inglese e francese testimoniano il sicuro successo di quello che più di uno studioso ha identificato come vero e proprio prototipo di quei “libri secretorum” che tanta fortuna ebbero in questo periodo. Le edizioni francesi cominciano ad apparire già nel 1559 (Les Secrets Du S. Alexis Piemontois: Divisez En Six Livres: Ausquels auons adjoint Autres Secrets de Nouveav adjoutez par iceluy, qu’aucuns ont appellé, le Second Volume: & Les Receptes De Divers Autevrs toutes bien experimentées, & approuuées. Anvers, Christophe Plantin, 1559) e si susseguono ininterrottamente lungo XVI e XVII secolo.


(2) Una tristemente nota prigione parigina attiva tra il 1674 ed il 1780.


(3) Matteo, 25, 1-13.

(4) Il riferimento è al capitolo VII dell’Introitus apertus ad occlusum regis palatium di cui la versione francese è nel quarto volume della citata Bibliothèque des Philosophes chimiques. Il passo che ci interessa è a pagina 16 e sgg.

(5) «I Filosofi raccomandano di dare al vaso Ermetico un calore simile a quello di una gallina che cova… I filosofi in questo caso parlano del fuoco interno e della natura, comparato a ragione a quello della gallina che cova, perché sia l’uno che l’altro calore sono naturali, come quelli che la natura richiede per le sue generazioni. La gallina è la femmina o acqua mercuriale; il gallo è lo zolfo dei filosofi. Questa gallina dei saggi ha un calore naturale come le galline volgari; ma questo calore non è sufficiente per la generazione del pulcino, e non è adatto che alla cova; per la generazione e la fecondità bisogna aggiungervi il seme igneo e caldo del gallo. I due semi uniti formano il germe che si sviluppa e si perfeziona quando viene covato dalla gallina…» (Pernety, Dictionnaire Mytho-hérmetique, Paris 1758, pag. 397.

(6) Il gros era, in effetti, un’antica unità di misurazione del peso francese, equivalente a tre deniers, ossia all’incirca a 3,824 grammi.

(7) Il testo francese recita: «… il en est de même des metaux qui ne sont point les seulets du Trevisan…» (p. 41). La Philosophie naturelle des Metaux del Trevisano, infatti, in un passo che il nostro Sancelrien ha già citato per esteso (quello a pag 349 dell’edizione della Bibliothèque), recita: «… Laissez Alums, Vitriols, Sels et tous Atramens, Borax, Eaux fortes quelconques, Animaux, Bêtes et tout ce que d’eux peut sortir; (Cheveux, Sang, Urines, Spermes, Chairs, Oeufs) Pierres et tous Minéraux. Laissez tous Métaux seulets…». Ovvero: «Lasciate gli allumi, i vetrioli, Sali e tutti gli atramenti, boraci, acque forti, gli animali, le bestie e tutto ciò che ne può venire (capelli, sangue, urina sperma, carni uova), le pietre e tutti i minerali. Lasciate perdere ogni metallo». Les seulets du Trevisan sono dunque, evidentemente, un riferimento chiaro e sintetico al passo dell’opera di Bernardo.

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