pagina on-line dal 22/04/2012

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Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati, riproduzione e diffusione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.
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SECONDA LETTERA, Contenente le meraviglie e virtù dell’Elixir bianco e rosso dei Saggi, sui tre regni della Natura.

Mantengo la parola, Signora, e siccome il contenuto di questa lettera non è che puramente speculativo, voi non dovete farne se non una pura lettura di curiosità, che non vi distoglierà lungo tempo da quella della mia prima lettera, sulla quale attendo una vostra risposta, unitamente ai vostri sentimenti sulla presente.
Osservate che, una volta istruita sulla prima materia, l’opera, per i Filosofi, non è più altro che divertimento di dame e gioco da bambini.
Non sarete affatto sorpresi di ciò che la nostra pietra può operare, avendone già, credo, letto nell’opera che vi ho lasciato; benché tutte queste meraviglie possano sembrarvi contro natura, ciò nonostante i filosofi assicurano che la pietra opera ancora delle cose più sorprendenti, il che spero di verificare con voi. Coraggio, Signora, io reggo la misteriosa scala di Giacobbe e vi porgerò una mano così sicura, che non avrete nulla da temere per salirvi.
Non posso, al presente, darvi alcuna istruzione, ma sugli ostacoli che incontrerete nelle vostre letture, vi soddisferò seduta stante. Prendetevi il vostro tempo, e, dopo aver terminato la lettura della mia prima lettera, leggete con attenzione ciò che segue, che sarà la ricompensa comune.


Delle meraviglie e virtù del nostro Elixir bianco e rosso sui tre regni della natura.

La nostra medicina ci preserva da tutte le indisposizioni che ci possono arrivare, perché, sorpassando in virtù tutti gli altri rimedi, essa non solo può guarire le malattie che si credono ordinariamente incurabili, ma ancora comunica alla persona una buonissima disposizione che dura fino ad un certo numero dei suoi discendenti, prolungandogli il corso ordinario della vita fino al termine prescritto da Dio, che è la morte naturale e non accidentale.
Su questo, non posso darvi una comparazione più giudiziosa che quella di una candela perfetta o viziata.
Se noi proveniamo da padre e madre sani, forti e robusti, la candela sarà perfetta, sia per quanto riguarda la cera che per la miccia. Se nostro padre e nostra madre sono di cattiva costituzione, o entrambi o uno dei due, la candela ne risentirà, sia per la cera che per la miccia.
Accesa la candela, la morte naturale è la sua completa consumazione; ma se la miccia è mal costituita, o la cera piena di bolle, qualunque cosa cada sulla miccia essa si spegnerà, talvolta all’inizio, talvolta a metà, ai due terzi o ai tre quarti della candela; ecco la morte accidentale, che ci viene dalla cattiva costituzione di nostro padre e nostra madre, o di uno di essi, ci dà, oppure che noi stessi ci procuriamo per le nostre dissolutezze, passioni o intemperanze; noi moriamo di sovente all’inizio, ai due terzi o ai tre quarti della nostra vita, di una morte forzata che io chiamo morte accidentale, causata dai nostri propri errori. La nostra medicina può riparare questi errori e condurci fino alla morte naturale, ma non oltrepassarne il termine.
Dio ha confidato a coloro che posseggono questo prezioso dono, la libertà d’essere maestri della vita e della morte, di legare e slegare, e li ha fatti, per così dire, dei semidei, in rapporto alla loro umanità, che possono vivere più di cento anni, poiché vi sono stati Filosofi che hanno raggiunto i quattrocento anni ed anche i mille; ma non tutti lo vogliono, e così coloro che non vogliono prolungare la loro vita, adducono il motivo che, continuando a vivere in questo mondo di miseria, essi si privano di un più gradevole soggiorno; infatti è sicuro che questa scienza rappresenta così vivamente la gloria eterna, che, dopo aver abbandonato le vanità del secolo, non si desidera che di adorare Dio, e, dopo questa vita, vedere faccia a faccia, in Paradiso, il Creatore.
Un’altra ragione decisiva ci suggerisce che, benché i Filosofi possano conservare il loro vigore come nella loro tenera giovinezza, e nello stesso tempo ritardare la vecchiezza, nondimeno, poiché il tempo della loro vita è prescritto dall’Onnipotente, essi non sono in grado, quando l’ora è venuta, di prolungare i loro giorni e rendersi immortali.
Vi sono molti Filosofi che sono stati creduti morti e che ciò nonostante sono stati visti in vita molto tempo dopo la loro presunta morte; essi stessi hanno messo in giro la voce della loro morte, essendo tutti i giorni in pericolo di essere tormentati o messi in prigione per la loro reputazione di possessori della Pietra Filosofale; essi hanno cambiato nome e paese, hanno viaggiato ed ancor viaggiano e viaggeranno in incognito, fino all’ultima ora della loro vita, come io stesso sarei obbligato a fare se fossi troppo tormentato dopo aver ottenuto il possesso di questo segreto.
La lebbra, la gotta, la paralisi, il male della pietra, il mal caduco, l’idropisia, il mal veneziano, la piccola verola, e tutti gli accidenti che li accompagnano non potrebbero resistere alla virtù di questa medicina.
Bisogna solo notare che le malattie semplici sono guarite più facilmente delle composte; ad esempio, se la malattia è vecchia di cento anni, essa sarà interamente guarita in un mese; se essa è vecchia di cinquanta anni o all’incirca, se ne verrà a capo in quindici giorni; di sette anni, in due giorni; ed infine se la malattia fosse di un anno, in un giorno se ne vedrebbe la guarigione.
Questa medicina fa sentire i sordi, vedere i ciechi, parlare i muti, camminare gli zoppi; essa può rinnovare l’intero uomo, facendogli cambiare pelle, cadere i denti vecchi, le unghie ed i capelli bianchi, ed al posto di questi farne crescere di nuovi, del colore che si desidera.
Sebbene questo elixir guarisca in pochissimi giorni le infermità più ribelli, esso può anche dare la morte, ridurre in cenere una persona che ne prendesse troppo, come sfortunatamente hanno sperimentato alcuni Filosofi; perché allora, per l’uso eccessivo che ne avevano fatto, si è verificato che il calore del rimedio fosse maggiore di quello del loro stomaco. Ma ecco come bisogna usarne con precauzione. Si mettono uno o due grani del nostro elixir in un vaso, con del buon vino bianco, che immediatamente diviene giallo; se ne beve, dosando la quantità a seconda delle forze e temperamento del malato, poiché, se la Pietra è stata moltiplicata una volta, bisogna mescolare ogni grano con altri mille, se due volte, con diecimila grani, e così via, con questa proporzione.
La si prepara ancor più facilmente nel modo seguente: si fa ingoiare un grano di questo elixir, in qualche liquore, ad una pecora, o un quarto di grano ad una gallina; quattro o cinque ore dopo si uccide l’animale che ha subìto l’azione della medicina, ed in seguito se ne fa cuocere la carne che si può mangiare in tutta sicurezza, e di cui si può prendere il brodo senza temere alcun pericolo.
Se si mescola questo elixir con gli impiastri ordinari per la malattie esterne, come ulcere, fistole, cancri, scrofole, cisti, bubboni e, in generale, ogni sorta di scabbia, esso procura, in brevissimo tempo una perfetta guarigione, e produce inoltre un effetto assai particolare; infatti, dopo che la piaga è guarita, non se ne percepisce affatto la cicatrice e la pelle diviene più bianca della neve.
Per l’abbellimento del viso, e per farne sparire tutte le cicatrici provocate dalla piccola verola o da un altro accidente, è il vero olio di Talco degli antichi; esso ringiovanisce e restituisce la tinta vermiglia; se se ne spalmano una goccia o due, si stende in su tutto il viso in modo da donargli una straordinaria bianchezza; esso mantiene anche il viso così fresco che, dopo la morte la persona non sembra che assai poco cambiata, perché non penetra solo la pelle ma anche il cranio e tutte le ossa.
Sarebbe desiderabile che le Dame facessero uso di questo tesoro, ma bisognerebbe che non cadesse nelle mani di certe persone che ne potrebbero abusare; perché se esso è utile in molte occasioni, in altre può pervertire tutta la natura. In effetti, ci si potrebbe immaginare che una donna, non avendo che annusato questo elixir, possa essere subito liberata dal travaglio della gravidanza con una tal facilità da sembrare miracolosa; esso fa pure uscire il frutto, anche con qualche mese di nanticipo sul suo termine, qualora lo si applichi con un qualche impiastro sul luogo acconcio.
Una sola goccia, sempre messa luogo appropriato, scalda talmente una donna sterile, che essa diviene indubitabilmente gravida, per quanto scarsa sia la virtù dell’uomo; anche questi, all’occasione, può servirsene come la donna e, per quanto vecchio e impotente possa essere, senza alterare affatto la natura, egli sarebbe sicuro di generare; ancora, una goccia di questo elixir messo alla tempia di una damigella o al mento di un giovane uomo, spande un odore così soave che, quando essi passano in una strada o entrano in una casa, vi si sente quest’odore persistere quasi quindici giorni.
Questa medicina ha altre virtù ancora più incredibili. Quando essa è allo stadio di elixir bianco, ha tanta simpatia con le dame che essa può rinnovarle e rendere il loro corpo così robusto e vigoroso quale era nella loro giovinezza, di modo che esse non sembrino avere più di diciannove anni.
Per questo effetto, si prepara anzitutto un bagno con diverse erbe odorifere, di cui si devono ben strofinare per sgrassarsi; in seguito devono entrare in un secondo bagno, senza erbe, ma nel quale si sono disciolti tre grani di elixir al bianco precedentemente soluti in una bottiglia di alcol che, in seguito, deve essere versata nell’acqua; le dame devono restare per un quarto d’ora in questo bagno, dopo di che, senza che si asciughino, bisogna preparare un gran fuoco per far seccare questo prezioso liquore; si sentiranno allora così forti in se stesse, ed il loro corpo sarà reso così bianco, che, senza averlo sperimentato, non potrebbero neanche immaginarselo.
Il nostro buon padre Hermes, è in accordo con questa operazione; tuttavia egli va oltre questi bagni, che vanno presi alla stessa ora per sette giorni consecutivi; in questo elixir, egli aggiunge, se una dama fa la medesima cosa tutti gli anni, vivrà esente da tutte le malattie alle quali sono soggette la altre dame, senza risentire di alcun disturbo né di impedimenti al concepimento, e ciò solo usando del nostro elixir nel modo sopra descritto.
Se se ne dà ad un giovane di 6 o 7 anni, dell’uno o dell’altro sesso, se ne aumenterà la crescita in tal modo che a 8 anni essi saranno, in entrambi i casi, formati come un ragazzo di quindici; il giovinetto in grado di procreare, e la ragazza di concepire. Non si finirebbe mai l’argomento del regno animale se si volessero riportare tutte le meraviglie che in questo campo opera l’elixir. Esso è il prezioso preservativo dalla peste, dall’aria cattiva e, di conseguenza, da quelle spesse nebbie che distruggono interamente il petto; esso impedisce all’uomo di ubriacarsi, eccita la passione di Venere, conserva il vino nella sua bontà, gli serve da medicina quando si è guastato, scaccia ogni sorte di veleno e, cosa ancor più ammirevole, fa cantare in inverno il fanello, il canarino, l’usignolo, l’allodola, la cicala ed ogni sorta di uccello, come se fossero nella loro propria stagione.
Per conservarsi in perfetta sanità se ne può prendere in tutti i tempi, ma è meglio usarne ai due equinozi, perché allora l’uomo si rinnova con tutta la natura: per ciò che concerne le altre operazioni, non vi sono stagioni determinate, e non si tratta che di avere della polvere perfetta; per riconoscerne la bontà, bisogna mescolarne poco a poco nell’alcool, ed allora devono uscirne delle scintille ardenti dorate, ed apparire nel vaso un’infinità di colori.
Non si deve essere sorpresi di tante rare virtù, se si considera il punto di vista del nostro elixir, che è quello di una perfezione anche maggiore di quella della natura; esso conserva i quattro elementi ed i tre principi nel dovuto equilibrio, fino a che Dio non permette la loro distruzione secondo la sua santa volontà ed i suoi disegni sull’uomo.
La morte, in effetti, non è altra cosa che la distruzione e separazione degli elementi che compongono il corpo di natura; non vi è dubbio che, se si potesse sempre mantenere una giusta temperatura senza che un principio domini sull’altro, il corpo non morrebbe mai; è ciò che viene favorito dalla fissità e sottigliezza della sostanza di questa medicina, che a causa dell’abbondanza di umido radicale, principio di tutte le cose, può mettere in azione continua il calore dei misti e particolarmente quello degli animali; il che fa dire con ragione che essa è un soggetto degno di ammirazione, che compie un’infinità di miracoli che altro non sono che fenomeni naturali, ma che gli ignoranti credono prodotto di magia, non riflettendo sul fatto che è sacrilegio ed empietà attribuire al Demonio ciò che è dovuto all’Autore della Natura; tanto più che lo spirito maligno non opera nulla di sovrannaturale, e non fa che applicare le cose attive alle passive; egli non conosce neanche l’avvenire, il che denota la sua autentica ignoranza.
Con la nostra medicina si possono far fiorire delle rose quattro volte l’anno e moltiplicare a tal punto la virtù del roseto, che esso produrrà foglie e fiori per la metà più che l’ordinario.
Non solo si potrà aumentare la virtù dei fiori, degli alberi e dei legumi, per fargli portare frutto quattro volte l’anno; essi potranno produrne anche tutti i mesi, ed invece di averne le forze diminuite essi le avranno aumentate di cento volte, e ciò per mezzo della nostra medicina, che è un sole terrestre che spande senza cessa i suoi fertili raggi dal centro alla circonferenza, fortificando a tal punto la natura dei misti che essi sorpassano in ogni produzione la forza del loro stato ordinario.
Le piante più delicate, che faticano a spuntare nei climi di temperatura differente da quella che gli è naturale, essendo innaffiate dal nostro elisir, diventano virtuose come se fossero nel loro terreno congeniale.
Questa medicina rende tutti i tipi di erbe atte a generare e crescere nel bel mezzo dell’inverno; le stesse piante velenose ne sono tanto purificate che si possono utilizzare per la cura dei medesimi mali che esse avrebbero provocato prima di essere corrette, e guariscono le persone immediatamente; il ranuncolo delle nostre parti, chiamato dagli erboristi apium risus, fa morire ridendo quando se ne mangia (8); il napello (9) è tanto velenoso, ed il suo veleno così violento, che non vi è quasi controveleno che sia capace di rimediarvi, al punto che perfino se si dormisse alla sua ombra si sarebbe così assopiti da non poter più rinvenire, come hanno sperimentato due pastori delle campagne tiburtine.
In una parola l’aconito, la morella (10), e la manga brava (11) delle Indie sono così potenti che non appena se ne prende si diviene folli e rabbiosi; ma se queste parti antipatiche alla natura degli animali sono corrette e temperate dalla superiore forza della nostra medicina, esse divengono allora specifici migliori di quelli che potrebbero essere estratti dai minerali, che dovrebbero essere tanto più abbondanti in un sale adatto per servire da antidoto, e che sono estratti dall’arsenico, dalla sandracca e dall’orpimento.
Per correggere queste piante, si estrae una pinta del succo di quella che si vuol far fruttificare, e se ne sciolgono dentro più o meno due grani del nostro elixir; con questa si innaffia in seguito la radice della pianta, e, poiché questo succo è assai simile alla pianta stessa, è facile a credersi che il calore della medicina, unendosi intimamente con quello dei semplici, li renda contrari alla loro precedente natura maligna, facendo produrre ad un albero frutti migliori di tutti gli altri della sua specie e, nel caso di una pianta, fiori più belli, dal profumo e dai colori più gradevoli di quelli che avrebbe naturalmente prodotto; e conservabili inoltre più a lungo, essendo meno corruttibili degli altri.
Ad alcuni filosofi è solo piaciuto far produrre alla vite l’uva tutti i mesi; essi hanno messo un grano della polvere fisica, disciolto con del vino, nel centro della radice d’una vite, e questa ha prodotto foglie ed uva segnate da molte piccole chiazze d’oro bellissime a vedersi, ed i semi stessi ne erano tanto pieni quanto lo sarebbero stati se li si fossero dorati apposta.
Si può ancora distruggere completamente un seme del suo germe, per ridonargli in seguito più grande qualità e quantità: si prende per esempio una libbra di fave, la si fa bollire dopo di che la si fa seccare; è sicuro che, grazie al grado di fuoco che le fave avranno patito, il germe ne sarà completamente distrutto; di conseguenza esse saranno incapaci di produrre alcunché. Ma, se si vuole farle rivivere e fruttificare, si disciolgano nella medesima acqua della bollitura due grani della medicina e vi si immergano le stesse fave; esse non mancheranno di impregnarsi della virtù vegetativa di cui le si era private. Che si seminino tre specie di fave nello stesso tempo e della stessa qualità iniziale, ossia di quelle che saranno state bollite – che non cresceranno e marciranno in poco tempo nella terra; che se ne piantino di quelle che non sono state affatto bollite, che cresceranno e spunteranno a seconda del calore e del tempo favorevole; e che infine se ne seminino di quelle a cui si è ridata la vita perduta; queste ultime impiegheranno per crescere la metà del tempo di quelle ordinarie, e produrranno il centuplo; lo stesso avverrà, se lo si vuole, per ogni specie di seme.
Un’altra esperienza singolare. Prendete una pianta intera, assai secca, e polverizzatela con le dita, come fosse del tabacco; tenete in immersione la radice in un liquore preparato con del nostro elixir, ed in quattro ore di tempo la pianta comincerà a rinverdire come se la si fosse appena sradicata dalla terra, in seguito essa produrrà gli stessi fiori e gli stessi semi che avrebbe prodotto in precedenza, che giungeranno fino alla più perfetta maturità (12).


Palingenesi.

Si prenda della nostra medicina, la si sciolga con alcol puro mescolato in parti uguali con l’acqua distillata da una pianta della medesima specie di quella che vogliamo riprodurre; vi si aggiunga tre grossi del suo proprio sale, e si metta il tutto in un vaso che non deve essere riempito che fino al collo; lo si metta da parte, senza rimestare, e tre giorni dopo si vedrà crescervi una pianta pari a quella da cui abbiamo distillato l’acqua ed estratto il sale; la pianta rimane sempre in questo stato, ma se si rimuove il vaso la forma della pianta si distrugge; ritorna tuttavia alla sua originale figura se la si lascia riposare per tre giorni: ecco uno dei modi per fare la palingenesi; nondimeno è certo che, se si avessero i tre principi di una pianta di rose assai astralizzati e separati dalle loro parti eterogenee, unendo per un mezzo il sale, lo zolfo ed il mercurio, se ne farebbe un sale che si fonderebbe al minimo calore; e, realmente, mettendo questo sale in un vaso, si vedrebbe al suo interno l’intera rappresentazione della rosa.
Tommaso d’Aquino, nel libro intitolato Lettera sugli Esseri, dice che si può, per artificio, accompagnati dalla natura e nello spazio di un’ora, estrarre dal seme di un cetriolo le foglie, i fiori e i frutti; per provarlo ulteriormente egli aggiunge queste proprie parole: «poiché ho visto, mentre eravamo a tavola per cominciare a mangiare, seminare del seme di cetriolo in una terra preparata ed innaffiata da una certa acqua appositamente fatta, e subito il seme si vide germogliare, produrre foglie e fiori, ed in seguito un frutto che ci fu servito a tavola prima che fossimo alla metà del pranzo» (pranzo alla S. Tommaso, tre ore a tavola).
Raimondo Lullo racconta che se si prende l’equivalente di un grano di miglio di questa medicina e la si fa sciogliere in acqua, la si mette in seguito nel cuore di una vite fin nella profondità o concavità di una nocciola, ne nasceranno artificialmente dei fiori e dei rami, il che egli afferma di aver fatto con le proprie mani nel mese di maggio.
Questa terra e quest’acqua preparate non sono altra cosa che il primo ed il secondo Cielo Magico, l’oro superiore ed inferiore che, essendo uniti insieme come principio di tutti i misti, sono la prima essenza dell’oro volgare, nella quale si trova anche la prima essenza del cetriolo e della vite, ciò che dona loro una così pronta virtù; perché allora i loro tre principi, attivi e costitutivi, essendo aumentati al supremo grado attraverso la natura della nostra medicina e non agendo più sulle parti terrestri del cetriolo e della vite, questi non hanno più difficoltà a germogliare in pochissimo tempo, dal momento che hanno tutto il calore che gli occorre. Infatti essi attendono due o tre mesi solo per attendere le influenze del sole elementare; la stessa cosa si potrebbe fare con tutti i vegetali, poiché con lo stesso metodo con cui facciamo crescere il cetriolo, potremmo avere anche, in ogni tempo, uva, mele, pere, fragole, lamponi, meloni di piccolo peso, ed altri legumi e granaglie di tutte le specie, così come ananas ed altri frutti stranieri tutti nel più perfetto stato di maturazione e bontà.


Virtù del nostro Elixir sulle Pietre.

Esso cambia le pietre, tanto naturali che artificiali, in pietre preziose; gli toglie le imperfezioni, e, quando è al bianco, fissa tutte le pietre che hanno colore bianco, come i diamanti, gli zaffiri, gli smeraldi e le margherite; se la pietra è al verde, essa produce degli smeraldi del suo colore; se ha i colori dell’arcobaleno, essa produce degli opali; con la polvere gialla, ovvero prima che divenga rossa, se ne fanno pietre gialle come i giacinti, diamanti gialli e i topazi; infine con il rosso, si fanno dei carbonchi, rubini e granati che sorpassano in virtù e bellezza le pietre orientali, ed arrivano ad un grado così alto di perfezione da far vergognare i loro simili; se ne vede l’esperienza in quel cristallo che questa medicina riduce in diamante così fine, così brillante, splendente, pesante e fisso che esso è più diamante del diamante stesso; ciò nonostante bisogna, in questa operazione, fare attenzione al grado di calore, poiché con un fuoco violento il cristallo si calcinerebbe, il che però non succede quando esso sia internamente penetrato dalla medicina.
Ci si può ancora meglio servire di un cristallo prodotto con la pietra al bianco, versandone tre grani su di un bicchiere di acqua di fontana, che diviene sul momento dura e trasparente come il vero cristallo.
Se si vogliono fare delle perle della specie di quelle orientali, o delle conchiglie, si prenda della loro semenza e la si faccia sciogliere nella nostra medicina, che la ridurrà facilmente in una gelatina densa su di un fuoco dolce; questa gelatina si può modellare con le mani per dargli la forma e la grandezza che si vuole, fosse anche come la perla che si mostra nella galleria del gran Duca di Firenze; queste perle sono ordinariamente rotonde, e per farle si prende uno stampo d’argento (13), dorato all’interno, ben pulito e separato in due parti come quello dei fabbricanti di stagni. Si forma poi la perla e si ha cura di praticare un piccolo foro, affinché un sottile filo d’oro, grande come un capello, vi possa passare; si riempiono in seguito le due metà dello stampo della suddetta pasta con una spatola d’oro, si piazza nel mezzo il filo d’oro, si chiude lo stampo e si passa e ripassa il filo per fare delle perle forate; dopo di che si apre lo stampo, si mette la perla in un piatto d’oro e la si copre senza toccarla con le mani; la si lascia poi seccare all’ombra senza che venga sfiorata da alcun raggio di sole. Quando saranno fatte tutte, e divenute ben secche, le si passa nel filo d’oro senza toccarle e le si immerge in alcol nel quale si sarà disciolto dell’elixir; si ritirano poi le perle e le si fa seccare una seconda volta, ed allora saranno pronte per l’uso.
La nostra pietra ha ancora due virtù assi sorprendenti: la prima riguarda il vetro, cui essa dona internamente ogni sorta di colori, come ai vetri della Sainte Chapelle a Parigi, o a quelli delle chiese di Saint Gatien e di Saint Martin nella città di Tours; essa rende inoltre il vetro malleabile, simile a quello della tazza che fu presentata all’imperatore Tiberio (14); non si tratta che di insinuarvi una certa oleoginosità fissa, che gli manca per l’estensione, ed unirlo perfettamente bene in tutte le sue parti, in modo che si possa battere questo vetro sull’incudine come si fa per tutti metalli da cui esso trae origine. Un tale vetro sarebbe comparabile all’oro ed alla sua bellezza, e se ne potrebbero costruire case che non si rovinerebbero pressoché mai, attraverso le quali si potrebbe vedere tutto ciò che avviene al di fuori; senza dover però essere veduti all’interno, in virtù del modo in cui esse verrebbero costruite.
La seconda qualità singolare della nostra pietra o elixir, è che se vi si immerge un panno o altra materia combustibile, questa non potrà più essere consumata né insidiata dal fuoco, anche se la si imbeve con l’ordinario olio da lampada incorporato con la cera per farne fiaccole o bugie; le materie bruceranno continuatamente senza consumare, particolarmente se si fa la miccia con amianto, allume di piume o filo d’oro senza seta.
La nostra pietra è un’acqua secca che non bagna le mani, un fuoco umido che non brucia; per mezzo di questo piccolo mondo si può vedere tutto ciò che è nel grande, si scaldano le cose fredde e si raffreddano le calde, si umettano le secche e si seccano le umide, si fondono le congelate, si congelano le fuse, si maturano le crude e si reincrudiscono le cotte, si addolciscono le acide e si inacidiscono le dolci, si nettano le sporche, si sporcano le pulite, si dà la vita ai morti e si toglie la vita ai viventi, si aumentano le piccole e si diminuiscono le grandi, si rende denso il sottile e si assottiglia il denso, si rendono le cose dolci salate e le amare dolci, infine, si rende fisso il volatile e volatile il fisso attraverso operazioni meravigliose.
Con questa pietra i filosofi vedono, come in uno specchio, tutte le cose future; ed è attraverso questa scienza divina che Mosé ha scritto, che Nostradamus ha composto le sue centurie, che il Saggio ammira in segreto ed i folli disprezzano pubblicamente perché non ne comprendono il senso misterioso e nascosto.
È attraverso questa scienza, e soprattutto attraverso l’elixir al rosso, che i Filosofi si sono elevati al di sopra degli uomini comuni, predicendo l’avvenire; essi non si sono solo contentati di parlare di cose generali, essi hanno chiarito il particolare. Hanno compreso e predetto che sarebbe un giorno arrivato il Giudizio universale, che avrebbe preceduto la consumazione dei secoli, che tutti i morti sarebbero resuscitati nei loro corpi, che all’epoca di questa resurrezione le anime vi si sarebbero unite per non più separarsene, e che i corpi glorificati sarebbero stati di una chiarità e sottigliezza incredibile, che avrebbero penetrato ogni cosa; e che invece i reprobi sarebbero rimasti sempre nelle tenebre e nell’oscurità, dove avrebbero sofferto ogni sorta di martirio per il solo pensiero della fortuna degli eletti, e che la loro privazione della vista di Dio sarebbe stata eterna.
Essi hanno visto ciò che è accaduto al tempo della creazione del mondo e ciò che dovrà avvenire al tempo della sua fine per l’estinzione del fuoco centrale, o per la rottura del vaso che lo conserva nella sua interezza; vaso che questo grande Dio sembra tenere nelle sue mani sotto forma di un globo, secondo la rappresentazione che ci è stata anticamente trasmessa. Essi hanno ancora affermato che la sua bontà infinita, che non tende mai se non al meglio e che fino alla consumazione dei secoli non fa rientrare nel nulla ciò che ne è sortito, esalterà la sua santissima Maestà, eleverà il fuoco purissimo che è nel firmamento al di sopra delle acque celesti e darà un grado dei più forti al fuoco centrale, di modo che tutte le acque si risolveranno in aria e la terra, grazie alla violenza di questo fuoco, ne rimarrà calcinata; questo fuoco, dopo aver calcinato tutto ciò che è impuro, assottiglierà le acque che avrà circolato in aria e le renderà, purificate, alla terra; in questo modo Dio farà un mondo più nobile di quello attuale, in cui abiteranno tutti gli eletti come Adamo, nostro primo padre, abitava nel paradiso terrestre.
Hermes, primo padre dei Filosofi, molto prima del divino Mosé, non ci ha forse detto: Per quel che mi riguarda, se non temessi il giorno del Giudizio e l’essere dannato per aver nascosto questa scienza, non ne avrei detto nulla e non scriverei affatto per insegnarla a coloro che verranno dopo di me.
Virgilio, nella sua quarta Ecloga, interpretando la Sibilla di Cuma, non ha forse profetizzato la venuta di Gesù Cristo con queste parole: Ultima cumaei venit etc..
Platone non ha forse scritto nelle sue opere tutto il Vangelo di San Giovanni in Principio erat Verbum, fino alle parole fuit homo missus à Deo, come è riportato da Sant’Agostino nelle sue Confessioni, benché San Giovanni non abbia scritto il suo Vangelo che molto tempo dopo la morte di Platone?
I Filosofi, per mezzo del loro elixir, possono fare differenti specchi, miracolosi, nei quali si può vedere ciò che gli uomini scrivono e decidono lontano da noi, a pro o contro i nostri interessi; il che è chiaramente testimoniato nell’Antico Testamento, nel quarto libro dei Re, cap. 6, in cui Eliseo, Profeta, Filosofo e possessore di uno di questi specchi, rivelò al Re di Israele le imprese a lui avverse del Re di Siria, quelle stesse che detto re non aveva comunicato ad alcuno dei suoi sudditi; che si legga per intero questo capitolo, e si vedrà se ciò che scrivo delle meraviglie del nostro elixir è degno o meno della più grande attenzione e della fede più ferma; in tali specchi si vedono apparire gli oggetti terrestri e compatti, i diafani e gli aerei come gli spiriti elementari invisibili agli uomini comuni, con le loro operazioni e costellazioni, il che è ancora una volta testimoniato in ciò che riporta Eliseo, nel capitolo citato.
Il nostro specchio può inoltre rappresentare un uomo assente come se fosse presente; quando anche vi fossero tra due persone diverse centinaia di leghe di distanza, esse si parleranno e riceveranno risposta intellegibilmente come se non fossero distanti che qualche passo; esse potranno scriversi, come potrete comprendere, in un paese tutto ciò che avviene in un altro, senza inviarsi né lettere né corrieri.
Essi potranno vedere apertamente e senza pena ciò che neanche il cielo e la terra saprebbero concepire, e, per loro mezzo, trovare la pietra dei Filosofi e vederla tanto chiaramente che se la tenessero tra le mani, distinguendone perfino il colore, che è di zaffiro mescolato a bianco.
I Filosofi potranno allo stesso modo, per mezzo dei loro specchi, vedere il loro zolfo che è di color celidonia, ricco tesoro della natura vegetativa, trovarne e raccoglierne quanto ne vorranno senza mai rischiare di trovarlo finito; e da queste due materie potranno comporre un nuovo specchio che sembrerà semplicemente rosso, ma sarà tanto pieno di fuoco che, laddove fosse leggermente mosso o agitato, subito brucerebbe e consumerebbe tutto ciò che si trovasse ad una certa distanza; e ciò tanto velocemente quanto il fuoco del fulmine, nel medesimo modo con cui Elia bruciò i soldati di Acab; vedete il primo capitolo del quarto Libro dei Re, dove vi è la prova di ciò che affermo.
Essi potranno costruirne ancora un altro che, se fatto sotto la giusta costellazione, rappresenta tutti ciò che è nell’aria, mobile ed immobile. Vi si vedono degli effetti sorprendenti, ma naturali per coloro a cui Dio ha fatto la grazia di conoscerne la virtù. E vi è infine un ultimo specchio ardente, ugualmente utile sia per la sua parte concava che per quella convessa; questo specchio può rendere i raggi del sole tanto moltiplicati da poter da grande distanza bruciare e distruggere delle città intere, consumare le armate di mare e di terra, come è del resto riportato fece Archimede con i vascelli di Metello (15) che attaccavano Siracusa e Procolle, oppure i Turchi quando volevano prendere per la prima volta Costantinopoli, impresa in cui non sarebbero riusciti se la città non fosse caduta prima dell’ultimo assedio, a meno che l’attacco non fosse stato portato di notte e senza chiaro di luna.
La manipolazione di questi specchi è molto facile, se si sanno comporre le acqua che separano le oscurità dei metalli ed in seguito formare i metalli dei quali sono costituiti, la cui superficie deve conservare un colore rosso come il sangue. Si fa fondere la materia, la si lascia raffreddare fino a che se ne forma uno specchio, che si pulisce accuratamente.
Dopo di ciò si formano gli specchi fisici, e gli si dà le regole della diottrica; bisogna che tutte queste operazioni siano compiute in poco tempo, affinché la materia risplendente che serve a far comparire le nostre meraviglie rimanga nella sua più grande forza, e che quando proviamo gli specchi al sole o alla luna essi riflettano una luce bellissima.
È questa luce che illumina l’uomo in un istante, gli fa comprendere tutte le lingue, gli fa penetrare il fondo del mare, le viscere della terra, la creazione del mondo e parte dei miracoli di Dio nell’ordine che regna; vi si vede come nella pagina di un libro, tutto ciò che la terra contiene sulla sua superficie, alla distanza dell’orizzonte; in una parola, coloro che sono così fortunati da saper costruire simili specchi, per quanto mediocri fossero in precedenza, qualunque falsa religione avessero professato, fossero essi stati i più grandi atei che mai siano esistiti, sono improvvisamente cambiati nei loro costumi, divengono improvvisamente gente per bene e della più alta virtù.
Oltre agli specchi che si possono fare con questo metallo composto, se ne fanno ancora autentici talismani, anelli, sigilli, immagini e figure magiche come quelle dei nostri antenati, e, a seconda delle influenze planetarie che sono servite alla loro composizione, essi operano diverse meraviglie; poiché allora queste materie, contenenti in potenza ed atto le virtù del Cielo e della Terra, attraverso il matrimonio, per così dire, che si compie tra le figure celesti ed i corpi metallici, operano una infinità di miracoli che non saranno creduti che dopo averne fatto esperienza.
Inoltre si può ancora, su questo metallo arrossito al fuoco più grande, marciare arditamente senza bruciarsi, se ne possono fare palle e piccoli calibri per la caccia che uccideranno in un sol colpo due o tre dozzine di pernici, se le si sorprende in stormo o a poca distanza, senza che se ne salvi nessuna; se ne possono fabbricare spade, sciabole, pugnali, picche e coltelli dotati di una forza penetrativa così gande da bucare i corpi più duri: un uomo, non indossando che un casco di questo metallo, sarebbe invulnerabile, di modo che le palle di moschetti, i bossoli dei cannoni, le bombe, granate, carcasse e le altre armi mortali non potrebbero recare il minimo nocumento alla sua persona; al contrario, esse si romperebbero piuttosto in mille pezzi, e le esplosioni, rispedite all’esercito nemico tornerebbero anche più lontano del punto da cui sono venute.
Lo stesso è per gli ornamenti dei cavalli: infatti, se si fabbricano con questi metalli dei morsi, delle redini e dei ferri, gli animali potranno cavalcare innanzi ad una batteria di cannoni senza timore d’essere danneggiati né feriti in alcun modo.
Di questo medesimo metallo si fondono dei vasi da cucina, sia per il bere che per il mangiare; se vi si mette del veleno, di qualunque qualità esso sia, subito il vaso essuda e ed emette al di fuori molte grosse macchie, che si riconoscono facilmente essere la malignità di una cosa velenosa; ragion per cui non si saprebbe far uso di un miglior controveleno che la stessa materia che sarà restata nel vaso.
Per mezzo di questo metallo si possono causare tempeste sul mare, calmarle, far persistere la calma, far regnare i venti dell’est, ovest, nord-est, far generare nuvole, dissiparle, far apparire il sole, far piovere, tuonare, nevicare e grandinare in ogni tempo.
Tale metallo è anche capace di impedire che nessuno possa dire né pensare male di colui che ne porta; esso rischiara gli animi e rende contenti gli spiriti più bizzarri; gli permette di spiegare e risolvere gli argomenti più equivoci e gli enigmi più difficili, come Salomone mostrava alla Regina di Saba, Daniele al re Nabuccodonosor e Giuseppe al Faraone.
Guardate la storia del profeta Daniele, cap. 2 e 4; e per Giuseppe il libro della Genesi, cap. 40 e 41. Se si riempie una botte di acqua piovana che si lascia marcire, ed in seguito si separano le acque chiare ed azzurre dalle loro impurità, che si espongono al sole gettandovi dentro una goccia del nostro olio incombustibile, si vedono subito le tenebre dissiparsi, come al tempo della creazione dell’universo, il che ha giustamente fatto dire ad Hermes, nella Tavola di Smeraldo: «così il mondo è stato creato».
Se, in seguito, se ne mettono due gocce, la luce si separa dalle tenebre; ed infine, se se ne mettono consecutivamente tre, quattro, cinque e sei gocce, vi si vede chiaramente tutto ciò che è accaduto nei sei giorni della creazione che Mosé ci ha sapientemente descritto col permesso di Dio.
Ciò sembra così ammirevole ed incomprensibile che è impossibile potere, per iscritto, darne in dettaglio le circostanze; si avrebbe anche difficoltà a credere, se io lo affermassi, che si vedono passare come in processione tutti gli uomini rinomati che hanno posseduto il segreto dai tempi di Adamo fino all’ultimo oggi deceduto, e che li si discerne e li si riconosce assai distintamente.
Si vede qual corpo Adamo ed Eva abbiano avuto prima della caduta, quale sia stato il Serpente, l’albero ed il frutto proibito; cos’è il paradiso terrestre, dove è situato; si vede in qual corpo i giusti risorgeranno, e quello che abbiamo ricevuto da Adamo; quali siano questa carne e questo sangue nati e generati in noi dall’acqua e dallo Spirito Santo, poiché noi non resusciteremo nel corpo che Adamo ci ha lasciato in eredità, ma in carne ed in sangue rigenerati dallo Spirito Santo e dall’acqua; ed è in un corpo simile che Gesù Cristo nostro Salvatore è salito al Cielo.
Se si prendono i sette metalli secondo il loro pianeti, di cui nell’ora appropriata si imprime la figura, e si mettono tutti questi metalli in un crogiolo secondo l’ordine che questi pianeti hanno in quel momento nel cielo a cominciare da Saturno, e si chiudono poi le finestre della camera in cui si compie l’operazione, il tutto sarà presto circondato da una fiamma tutta celeste, che sarà stata provocata da sette gocce di elixir che saranno state versate nel crogiolo per far fondere i metalli. Tutto ciò che allora si trova nella camera, sembrerà splendente come il sole: si vedrà sulla propria testa tutto il firmamento, così come è rappresentato dal cielo stellato; si vedranno il sole, la luna ed i pianeti, con i movimenti che compiono per tutto l’anno; ma infine tutto sparisce nel volgere di un quarto d’ora.
Se si prende ancora un po’ della nostra pietra con dell’acqua piovana e si mette il tutto in un vaso tappato la cui terza parte rimanga vuota, mettendo poi questo in un luogo in cui non possa essere, in un modo qualunque, agitato, si vedrà in luna piena l’acqua aumentare talmente che il vaso ne sarà completamente pieno; nel decorso della luna l’acqua diminuirà proporzionalmente così come era aumentata, e, ciò nonostante, essa avrà sempre mantenuto lo stesso peso e la medesima qualità.
Se ad ogni luna piena, quando essa si trova sul nostro orizzonte, ci si ritira in privato in un giardino e si getta della nostra polvere in acqua piovana, poco a poco ne saliranno con grande forza delle esalazioni che arriveranno fin nella concavità della luna, e, se si continua ogni mese questa operazione, non vi sarà alcun Filosofo che abbia la conoscenza della Pietra di cui non si sappia il nome e la dimora; si noterà che questa operazione non può essere portata a termine che da un vero Filosofo che abbia la medesima scienza; questi, nello stesso tempo di luna piena, con simili operazioni, potrà rispondere al primo Filosofo con cui, con questo mezzo, sarà entrato in contatto, e in questo modo si conosceranno anche tutti gli altri che vivono sotto il medesimo orizzonte. A questo fine, la notte stessa che si sarà ricevuto il contatto attraverso una simile fiamma, bisognerà ungersi le tempie col nostro elixir bianco, pregare devotamente Dio che ci faccia la grazia di conoscere colui che ci avrà contattato, e, fissando fortemente la propria immaginazione in questo solo desiderio, ci si addormenterà; quando ci si sarà svegliati si potrà richiamare nella propria memoria ciò che si sarà visto durante la notte e, nel medesimo tempo, tutti i nomi e le dimore di tutti i filosofi vicini e sotto l’orizzonte; se non li si potesse rintracciare tutti insieme, saranno essi stessi i primi a muoversi ed a venire, immaginando che il nuovo Filosofo che li contatta non possegga ancora l’intera rivelazione di tutto il segreto.
I filosofi si fanno amare da quelli che vogliono, si fanno rispettare ovunque, si appropriano della scienza degli altri, e possono inventare macchine con le quali un solo uomo, in un mestiere, in un giorno di lavoro guadagnerà più di altri cinquanta che seguono, nello stesso lavoro, le vie ordinarie; essi hanno arditezza in tutto ciò che intraprendono, e nelle battaglie essi conquistano sempre la vittoria, posto ovviamente che portino su di sé la Pietra, che allo stesso tempo li protegge dall’essere colpiti dal fulmine; infine, questo elixir rende coloro che ne fanno uso di una saggezza così angelica che non si trova nulla nell’universo che essi non conoscano, dal cedro del Libano fino all’Issopo che cresce sui muri; essi conoscono le virtù e proprietà di tutto ciò che c’è sulla terra, e ne sanno estrarre i veleni più grandi e le medicine più salutari.
Colui che usa del nostro elixir per nove mattine, e se ne strofina le tempie, è reso così leggero che gli sembra d’essere tutto d’aria, capace di volare come gli uccelli e di rendersi come invisibile grazie alla sua grande agilità. Non dirò più nulla, essendo giusto conservare qualcosa per una terza lettera; risponderò qui solo a ciò che oppongono i Sofisti contro le miracolose guarigioni che facciamo.


PRIMO ARGOMENTO dei Sofisti contro la medicina universale.

È impossibile, obiettano essi, che tre soggetti diversi possano essere guariti dal medesimo rimedio, se essi differiscono in essere, costituzione, alimentazione e medicamenti; le creature dei tre regni di natura differiscono in essere, costituzione, alimenti e medicamenti, e non possono essere dunque guariti da uno stesso rimedio.

RISPOSTA.

Ammetto che la forma delle creature è differente, ma non lo è la materia, dal momento che questi soggetti sono tratti dagli elementi e, dovendo senza dubbio ritornarvi, è evidente che gli stessi elementi e medicamenti serviranno a tutti e tre allo stesso modo.


SECONDO ARGOMENTO.

Gli animali si nutrono in parte con vegetali e, allo stesso modo, i vegetali traggono il loro nutrimento dagli animali; invece, qual rapporto avrebbe il regno minerale con l’animale e il vegetale?

RISPOSTA.

Ci è impossibile di ammettere il sale che si estrae dai minerali come base e fondamento di questo universo.
Il sale è la parte della terra più purificata, l’acqua ed il mercurio ne sono le più spirituali e lo zolfo è la materia bituminosa che dà il movimento ed il grado di perfezione ai due altri principi; tutti e tre riuniti essi compongono i metalli ed i minerali; la loro natura è la stessa delle piante e degli animali e tutti non differiscono che nella specie che il Sovrano Creatore, nella creazione del mondo, ha infuso con la sua santa parola a ciascuna creatura particolare affinché si moltiplicasse nel suo solo genere e specie.
I metalli hanno più sale che zolfo e mercurio, ed è ciò che fa sì che essi abbiano le loro radice molto più profondamente nella terra che i vegetali, i quali abbondano invece più in mercurio che in sale e zolfo, poiché essi spingono il loro rami, le loro foglie, fiori e frutti nell’aria, e lasciano le loro radici nella terra, che è la parte più grossolana.
Infine gli animali, che abbondano più in zolfo che in sale e mercurio, partecipano di un corpo mobile, volatile terrestre ed acquatico, poiché hanno un’anima sensitiva che, dopo la morte, ritorna nella sua sfera.
I corpi più duri partecipano dunque degli elementi materiali, al contrario dei corpi delicati, i quali ritengono più dell’essenza spirituale di questi stessi elementi.
Ciò deve far comprendere che gli elementi sottili devono agire sui più densi come le creature più pure dominano su quelle che lo sono meno, pressappoco così come i minerali sono assoggettati ai vegetali e questi agli animali in un rapporto reciproco appropriato, di modo che il più puro dei tre, quello che ha più sale, possa servire da medicina per i due altri regni.
Ogni uomo sensato converrà su questi principi; in caso contrario, se contro i suoi propri lumi egli dovesse persistere nel suo errore, per tutta risposta gli riporterò il seguente passaggio del Filalete, pag. 11: «essi hanno la testa tanto dura che qualunque segno e miracolo possano vedere, mai abbandoneranno le loro sofisticazioni, e mai rientreranno nel retto cammino».
Mi arresto qui per dare al pubblico due opere sulla materia prima che meritano tutta l’attenzione possibile, e di cui penso mi si sarà grato, anche per le annotazioni che ho apposto all’ultima.
La prima serve da chiusura alle Dodici Chiavi di Basilio Valentino, pag. 70.


DELLA PRIMA MATERIA della Pietra dei Filosofi.

Una pietra si vede che a vil prezzo si vende
Da essa un fuoco fuggitivo sua origine trae.
La nostra pietra da esso è fatta e composta,
E di bianco colore e di rosso addobbata.
Essa è Pietra e non Pietra, e solo in essa la Natura,
Può dimostrare la sua incomparabile virtù,
Poiché vi fa sortire un ruscello corrente e chiaro,
Nel quale si soffocherà suo Padre,
E dopo che sarà morto, apparirà dominato,
Fino a quando l’anima non rinascerà nel suo corpo,
E sua Madre, che è di natura volatile,
È in lei in potenza, ed in tutto gli è somigliante,
Ed in verità suo padre rinasce,
A ben maggior virtù di quella precedente.
La Madre del Sole ne supera gli anni
In età, aiutata da te, o Vulcano
Suo Padre però precede in origine,
Per il suo Essere spirituale ed la sua Essenza divina.
Nei due sono contenuti Spirito, Anima e Corpo.
Il Magistero viene da uno, che essendo uno e solo,
Può assemblare insieme il Fisso e il Fuggitivo.
Essa è uno, essa è tre e tuttavia non è che una.
Se tu sei saggio, in ciò non ascolterai cosa alcuna.
Fai lavare in un bagno Adamo, il primo Padre,
Dove si bagna Venere, di voluttà la Madre,
Questo bagno si prepara da un orribile Dragone,
Quando perde tutte le sue virtù e le forze;
E come dice assai bene il Genio della Natura,
Non si può chiamarlo che duplice Mercurio.
Io mi taccio, ho finito, ho nominato la Materia,
Felice, tre volte felice, chi comprende questo mistero.
Che l’angustiato tedio non ti sorprenda mai.
Il fine ti farà raggiungere questo tanto desiderato risultato.

Il secondo testo, nel Theatrum Chemicum, vol I, pag. 18. Ho aggiunto la mia traduzione di seguito al latino.

CLAVIS
Testamenti Arnaldi de Villanova & operum omnium Sapientium.

Lapis Philosophorum de terra scaturiens in igne perficitur seu exaltatur; limpidissime aquae potu satiatus ad minus horis duodecim undique visibiliter tumens. Deinde in stupha positus aeris sicci & mediocrite calidi vapore depurans extraneo soliditatem suarum partium adipiscitur, & ab humore extenuatus superfluo, fit aptus contritioni. Quibus peractis ex purioribus ejus partibus virgineum lacexprimitur, quod consestim in Ovum Philosophorum positum tamdiù pullifica concoctione foveri non definit, donec colorum varietate denudatus cum compare suo in niveo colore laetificat, & ex tunc fine metu periculi, sustine poenas ignis crecentis, donec colore tinctus purpureo, egrediatur ex monumento cum regia potestate.

Traduzione:

CHIAVE
Dal testamento di Arnaldo da Villanova e dalle opere di tutti i Saggi.

Dopo aver purificato ed esaltato con il fuoco la Pietra dei filosofi scaturente dalla terra, e dopo che essa sia riempita di un’acqua limpidissima che accresce visibilmente in meno di dodici ore, mettetela in una stufa in cui l’aria sia secca ed in cui sarà depurata dal vapore di un fuoco temperato per estrarne le parti eterogenee; non appena che essa si è purgata delle sue fecce, diviene adatta all’opera; essendo così preparata e pronta all’impiego se ne estrae un sale vergine dalle sue parti più pure che immediatamente si racchiude nell’uovo filosofico; si abbia gran cura nel conservare il calore più uniforme nella cottura della materia, che passerà allora per più colorazioni con la sua compagna, fino a che non pervenga al colore bianco, che rallegrerà l’Artista annunciandogli che è nel giusto cammino, e che per il seguito può, senza temere alcun pericolo, aumentare il grado di fuoco fino a che la materia non prenda il colore rosso e si fissi; il che è la fine dei lavori ed il trionfo dell’opera.



SPIEGAZIONE dei luoghi che mi sono sembrati più difficili da comprendere.

Lapis Philosophorum, la Pietra dei Filosofi: questa prima materia, così come la sua preparazione ed il fuoco di cui ci si deve servire, sono le tre cose sulle quali i Saggi sono stati più riservati, convenendo che tutto il resto non è che opera da donna e gioco di bambino. Basilio Valentino nei versi precedenti, descrive la prima materia e la sua preparazione tanto quanto gli è possibile; se si presta una seria attenzione a ciò che ne dice, egli non è il solo che la qualifica come Pietra. il Trionfo Ermetico, a pag. 210, conviene che la prima materia che bisogna prendere è realmente Pietra nello stato della sua prima preparazione, poiché essa è solida, dura, pesante, frangibile e friabile.
Non è il solo che la chiami Pietra. Calid, nel suo Segreto d’Alchimia, pag. 93, ne parla in questo modo: È una pietra vile, nera e fetida che non costa quasi niente, essa è un po’ pesante, ed aggiunge infine, questa è la rivelazione e l’illuminazione di colui che la cerca.
Il sottile Cosmopolita, nel suo Trattato del Sale, pag. 254, si esprime così: «È pietra e non pietra; è chiamata Pietra per la sua somiglianza con la pietra; per prima cosa, perché la sua miniera è veramente Pietra quando la si estrae all’inizio fuori dalle caverne della terra; è un materia dura e secca che si può ridurre in piccole parti e frantumare al modo di una Pietra; per seconda cosa, perché dopo la distruzione della sua forma che non è che quella di uno zolfo puzzolente, forza che bisogna precedentemente togliergli, e dopo la distruzione delle sue parti che erano state composte ed unite insieme dalla natura, è necessario ridurla in un’essenza unica, digerendola dolcemente secondo natura in una Pietra incombustibile, resistente al fuoco e fondibile come cera». Il che non si può fare che facendoli riprendere la sua universalità, come ha osservato Il Trionfo Ermetico nella citazione della mia prima lettera, a pag. 34. (pag. 86).
È senza dubbio di questa prima materia, di questa pietra divina e soprannaturale, che è detto in Mosé eduxit aquam de petra (16) & oleum de saxo durissimo (17).
Prima di lasciare questa Pietra, non devo omettere qui una annotazione della più grande importanza per i principianti, a proposito di una cosa che li ostacola tutti, come è successo anche a me. I Filosofi, col fine di imbrogliare, chiamano sovente questa Pietra nostra materia, come io stesso ho fatto a loro imitazione, a pag. 17 della mia prima lettera; quando io ho usato la parola nostra, non intendevo quella materia che si estrae dalla terra, e così tutti i Saggi e, tra gli altri, Il Trionfo Ermetico a pag. 210: ma piuttosto quella stessa materia allorquando essa è perfettamente purificata e ridotta in pura sostanza mercuriale; allora solo essa è la nostra materia, secondo quando dicono la Cassetta del Contadinello, il buon Trevisano, Zachaire e la totalità di tutti i filosofi. In igne perficitur seu exaltatur.
Bisogna qui fare la medesima distinzione che abbiamo fatto per la prima materia anche per il fuoco. Il fuoco segreto, quello che i Filosofi chiamano nostro fuoco, non è quello che comincia la prima opera; e su questo punto vi sono grandissime distinzioni da fare, sulle quali vado a seguire il buon Trevisano, pag. 377, quando parla delle opere dell’Artista e delle cose in cui questi può aiutare la natura: vi si trova che il solo fuoco è tutta l’arte di cui si aiuta la natura, poiché non potremmo fare altra cosa; dopo aver parlato dell’estrazione del nostro mercurio o materia prima, pag. 379, vi si legge: «ma di ciò non ho voluto dir nulla, perché è il fuoco che li perfeziona o che li distrugge»; e come dicono Aros e Calid, in tutta la nostra opera, il nostro mercurio ed il fuoco bastano nel mezzo e alla fine, ma all’inizio non vi è che il nostro mercurio che occorra intendere.
Sarebbe superfluo riportare altra autorità per giustificare gli appellativi di nostra materia e nostro fuoco; ciò che ho detto sarà sufficiente a chi ne intenderà il senso naturale.
Devo ancora di passata osservare che vi sono tre specie d’oro, l’astrale, l’elementare ed il metallico, e che il mercurio dei Filosofi le contiene tutte e tre in potenza, senza che gli sia possibile farle passare dalla potenza all’atto; allo stesso modo bisogna fare attenzione al fatto che il mercurio dei Saggi, allorché viene chiamato dai Filosofi nostro mercurio, contiene e racchiude in sé il suo zolfo ed il suo sale, di cui l’uno coagula e l’altro fa passare l’elisir al bianco o al rosso, a seconda delle imbibizioni; che questo mercurio animato è la prima materia dei metalli di cui la natura usa nelle miniere, e che l’artista saggio ed illuminato lo usa come terra per farne, con l’aiuto del fuoco segreto, metalli viventi che l’Arte gli fa portare ad un grado di perfezione al di sopra di quello dei metalli che si estraggono dalla terra; con quell’altro grado di perfezione egli vivifica e perfeziona sopra la terra ciò che la natura, per mancanza di calore, non ha potuto fare nella terra. Limpidissimae aquae potu satiatus ad minus horis duodecim visibiliter tumens (18).
La nostra prima operazione deve mettere la nostra Pietra in condizione di ingravidarsi da sé in meno di dodici ore di tempo, senza che vi sia bisogno di aggiungervi, in un modo qualunque, nulla, sotto pena di perdere tutto; la sola attenzione dell’Artista deve essere quella di metterla in un luogo adatto in cui possa riempire le sue mammelle vergini di un latte virginale che bisogna estrarre con prudenza e precauzione fino a quando essa vorrà donarne, senza forzarla in alcun modo, e fare di questo latte una buona provista per non trovarsene sprovvisti al bisogno, tanto per l’opera che per le imbibizioni. Deinde in Stupha positus etc. (19).
Non trovo ancora che due difficoltà meritevoli di attenzione, eccole: quod consestim è la prima, cum compare suo è la seconda; quod consestim si riferisce ai due mercuri che bisogna mettere nell’uovo per farne il mercurio animato dei Filosofi, i quali raccomandano di non disperdere il calore che la materia avrà acquisito nel corso di tutta l’operazione, e per questo essi vogliono che, nell’istante stesso in cui si tira il latte dalle mammelle di sua madre, lo si racchiuda. E Zachaire, pag. 503, prescrive appositamente che la congiunzione di questi due mercuri, che è il matrimonio del cielo e della terra, si faccia all’istante, senza alcun ritardo, e pretende che, compreso il significato di questa congiunzione, il resto non sia che gioco da bambino e lavoro da donna, non essendovi più bisogno che di cuocere le due materie già assemblate; il che mi pare chiaro.
Al riguardo delle parole con la sua compagna, Arnaldo da Villanova intende con ciò parlare dei due mercuri che Zachaire, pag. 504, chiama Le due materie già assemblate.
Se si riflette su queste due materie che devono comporre il mercurio animato (di cui si deve conservare per ciascuna buona provvista per fare le imbibizioni) e sul fatto che i Filosofi hanno tanto raccomandato di fare le bianche col mercurio bianco e le rosse con il mercurio rosso e citrino, e se si prega il Cielo, in questa fase, di essere favorevole, non si troveranno difficoltà sulla maniera di operare con questi due mercuri, né sul loro peso per l’uovo.
Flamel, pag. 246, avverte caritatevolmente il lettore di prestare a questi due mercuri la più seria attenzione, poiché su ciò egli stesso avrebbe sbagliato senza il libro di Abramo l’Ebreo; egli dice che il latte della Luna non è come il latte virginale del Sole, che le imbibizioni della bianchezza richiedono un latte più bianco di quelle per l’arrossamento in color d’oro; ma egli si arresta qui, senza insegnare nulla.
Il Trionfo Ermetico, pag. 310, dopo aver detto che «del nostro liquore o latte virginale che si estrae dalla pietra, si fanno due mercuri, l’uno bianco e l’altro rosso, e che bisogna guardarsi dall’errare nelle imbibizioni; poiché la lunare è il mercurio bianco, e l’aceto acidissimo il mercurio rosso», a pag. 312, parlando delle coobazioni del mercurio su suo padre, pone fine alla discussione dicendo: si undecies coit aurum, & cumn eo emittis suum semen & debililitatur sere ad mortem usque concipit chalybs et generat filium patre clariorem; il che è il segreto dei due mercuri che bisogna conservare separatamente senza confonderne le specie, come ho già osservato, fino alle imbibizioni.
È di questi due mercuri, l’uno maschio e l’altro femmina, che si compone l’uovo filosofico che, quando si mescola, diviene il mercurio animato dei Filosofi, al quale essi hanno dato più di mille nomi differenti; il loro peso rispettivo è di una parte del maschile e due del femminile.
A mio avviso non resta più alcuna difficoltà da appianare; e tutto è perfettamente intelligibile nel resto del Testamento di Arnaldo da Villanova.
Ecco, Signora, adempiuto a ciò che vi avevo promesso nella mia prima lettera, l’esaudimento di quanto mi avete prescritto con la vostra del 30 Agosto scorso; non avete bisogno più d’altri libri, poiché posso assicurarvi di aver riunito in poche parole tutto ciò che è stato scritto di più chiaro ed intelligibile sulla prima materia dei Saggi, sui loro differenti fuochi, i mezzi per preparare questa materia tanto per piazzarla nell’uovo che per farne le imbibizioni, sia al bianco che al rosso.
Trovandosi la fermentazione descritta in Filalete ed in numerosi altri Filosofi, non ho creduto opportuno allungare ulteriormente questa lettera per offrirvi degli estratti che voi, come me, potete trovare negli stessi originali.
Spero, grazie al Cielo, di portare a termine tutti i miei affari quest’anno, ed eseguire ciò che mi sono ripromesso per l’anno prossimo. Tutto è nelle mani di Dio.
Non posso meglio impiegare il mio tempo, nei momenti liberi, che lavorando alla mia terza lettera, in cui, come annuncio nel frontespizio della prima, proverò la realtà della nostra Pietra attraverso tutto ciò che la storia sacra e profana ci ha più precisamente tramandato. Io non ho potuto far meglio che indirizzarla a mio fratello che ne nega la possibilità poiché non ne ha veduti gli effetti; è per me un piacere giustificargliene l’esistenza attraverso l’analisi naturale che darò del senso misterioso della prima Settimana di Mosé; non bisogna infatti prendere alla lettera tutto ciò che vi si legge, e spero che sarete soddisfatta della spiegazione che ne darò, che fino ad oggi nessuno ha pensato. Benché molti altri Filosofi, soprattutto Filalete, ne facciano rimarcare il senso duplice senza spiegarlo che solo in rapporto alla grande opera, La Luce che Esce dalle Tenebre, il cui autore rimane sconosciuto, non arriva al fine desiderato.
Siccome a questo riguardo la mia intenzione non è che la gloria di Dio, non intendo in alcun modo nuocere al suo culto, ma anzi accrescerlo per tutto ciò che sarà in mio potere, mi prenderò la libertà se voi, Signora, me lo permetterete, di sottometterla alla vostra correzione prima di farla passare sotto gli occhi del mio censore.
Sono, col più profondo rispetto, Signora, il Vostro umilissimo ed obbedientissimo servitore.
Il Sancelrien Tourangeau.
A Parigi, questo 29 marzo 1777.

P. S. – Ho terminato la mia precedente con una centuria di Nostradamus, la cui spiegazione, benché naturale, non sarebbe chiara di primo acchito. Nel timore che si possa rimproverare a Nostradamus ed al sottoscritto che la centuria che ho già riportato sia la sola, nelle opere di questo filosofo, concernente la Filosofia ermetica, ne darò qui una seconda, che è la sessantasettesima della terza Centuria, pag. 30.

Una nuova setta di Filosofi
Disprezzando la morte, o gli onori e le ricchezze,
Dei monti tedeschi ne saranno vicini,
Ed al loro seguito avranno appoggio e folle.

Essa non può concernere i fratelli della Rosa-Croce, nati in Germania, dove ancora oggi fanno dimora, ma piuttosto i Filosofi ermetici, che sono quelli di cui parla qui Nostradamus, che possono essere vicini, o prossimi alla Germania, che è designata da questo profeta coi monti tedeschi; non vi è che la sola setta dei filosofi ermetici che disprezzi la morte, l’oro, gli onori temporali e le ricchezze; gli appartenenti di questa setta devono aprire gli occhi di coloro che li ascolteranno e vedranno le guarigioni miracolose che, sostenuti da una potenza, essi opereranno; il che è annunciato dalle parole avranno appoggio. Ognuno che riconosca la verità di ciò che andranno profetizzando, si affretterà a seguirli ed ad unirsi a loro, il che è significato dalle folle.
La terza quartina, che riporterò nella lettera indirizzata a mio fratello, indica positivamente la città di Tours, da cui dovrà uscire un filosofo che avrà grandi pene, ma che infine perverrà al fine desiderato. Il nome della sua sposa vi è nominato per mezzo di una lettera che è stata presa da Nostradamus per farne un anagramma.
Fine.

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NOTE del traduttore:

(8) Per questo, per le caratteristiche contrazioni alla bocca degli avvelenati, fu anche chiamata “erba sardonica”.

(9) Aconitum Napellus, altra pianta velenosa delle ranunculaceae.

(10) L’erba morella è la Solanum Nigrum, pianta velenosa appartenente alla famiglia delle solanaacee. Insieme al prezzemolo ed ad altre erbe, un tempo usata anche come abortivo.

(11) La Manga Brava è probabilmente riferita all’Andira Surinamensis, o ad altra specie di Andira, tutte appartenenti alla famiglia delle fabaceae.

(12) Difficile non vedere qui una eco degli esperimenti di palingenesi che da sir Thomas Browne (1605-1682), interessarono per tutto il XVII ed il XIII secolo le menti più fertili d’Europa. In Italia, più o meno nel medesimo periodo, ad esperimenti di palingenesi si dedicava Raimondo di Sangro (1710-1771). Tourangeau-Coullon sta per dedicare alla palingenesi un intero capitoletto della sua lettre.

(13) Tutta la parte con la descrizione del procedimento per fabbricare le perle è più meno letteralmente copiata dall’Opuscule de la philosophie des metaux di Denis Zachaire (incluso nella Bibliothèque).

(14) Si tratta di un sintetico riferimento ad un passo di Dione Cassio, che narra un episodio paradigmatico della crudeltà dell’imperatore Tiberio, presso cui l’essere eccellente in un’arte poteva essere rischioso. L’imperatore fu infatti preso da ammirazione per un architetto che aveva, a mezzo di abili artifici, recuperato un portico in rovina, e, preso da invidia, lo pagò e lo cacciò da Roma. L’architetto, allora, pensando di recuperare le grazie imperiali, si presentò a Tiberio mostrandogli una tazza che ruppe, gettandola al suolo, ed immediatamente ricompose e riparò sotto gli occhi stupiti dell’imperatore; tuttavia la bravata fece infuriare ancor di più l’imperatore che mise a morte lo sfortunato architetto. La tazza magica di Sancelrien è malleabile è rimodellabile come quella dell’architetto di Tiberio.

(15) In realtà l’assedio di Siracusa fu condotto dal console romano Marcello, e non Metello. Non abbiamo idea di cosa intendesse il nostro Tourangeau con Procolle.

(16) Salmo 77 – 16.

(17) Deuteronomio 32 – 13.

(18) Citazione dal passo dalla Clavis di Arnaldo da Villanova già citato in precedenza.

(19) Idem. Anche le prossime due difficoltà sottolineate (quod consestim e cum compare suo) fanno riferimento al citato passo della Clavis di Arnaldo.