Pagina on-line dal 19/05/2012
Il rarissimo opuscolo che presentiamo è uscito nel 1729 per i tipi di Bernardino Pomatelli, stampatore vescovile, tra i più attivi a Ferrara a cavallo tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo, editore soprattutto di libri scientifici (medici, per lo più) e religiosi.
Il testo sfugge alla catalogazione di Ferguson e del Duveen. Ci è nota per il momento una sola edizione manoscritta, nel MS. 3562 del Wellcome Institute di Londra (166 folios. 195x140mm. 18th Century [c.1735.], fl. 161-164).
Non abbiamo notizie rilevanti dell’autore, del tutto ignorato dai dizionari biografici. A parte questo brevissimo scritto, nessun altro scritto coevo ci è noto a firma di un Alessandro Mezzadri ferrarese. Nessun Mezzadri è citato dall’Ughi (1),
Eppure la presenza del patronimico Mezzadri nella Ferrara del XVIII secolo è attestata, ad esempio, da un illustre omonimo del nostro autore, il liutaio Alessandro Mezzadri (1690-1732, per altri 1699-1731), tra i più rilevanti della sua epoca. Di un eventuale interesse alchemico di questo abile artigiano, non abbiamo alcuna testimonianza storica. Una eventuale identificazione del liutaio Mezzadri con l’autore del nostro testo risulta del resto problematica, poiché il Mezzadri alchimista si dichiara settantacinquenne all’epoca della stampa del Fosforo Ermetico. Di altro Mezzadri per noi attualmente irrintracciabile, dunque, si tratta, se dobbiamo prestar fede alle parole del nostro autore.
Un alchimista, o anche un chimico, che avesse avuto sotto mano, agli inizi del XVIII secolo il breve testo del Mezzadri, non avrebbe avuto difficoltà ad identificare il fosforo ermetico cui sembra accennare il titolo. Con questo nome, infatti, era, da una cinquantina di anni, noto quello che sarà in seguito noto anche come fosforo di Baldwin, ovvero un nitrato di calcio, ottenuto dall’alchimista sassone Christian Adolph Baldwin (Doebeln 1632-1682) il quale, intorno al 1674, ricercando lo spiritus mundi, aveva riscaldato creta e acido nitrico al calor bianco. Il preparato bianco bianca rimasto sul fondo della storta risplendeva nel buio, e dunque era stata battezzato subito Phosphorus, ovvero portatore di luce. Baldwin, colto ed influente magistrato che aveva frequentato le università di Lipsia, Wittenberg ed Altdorf, aveva poi soggiornato a Ratisbona fino ad ottenere un posto di magistrato a Grossenhayn, nella nativa Sassonia; tuttavia l’investigazione alchemica costituiva la sua occupazione più rilevante, ed infatti egli era stato accolto nella Academia Naturae Curiosorum (l’accademia che, dopo il riconoscimento imperiale, nel 1687, prenderà il nome di Accademia Leopoldina), nel cui ambito aveva assunto il nome accademico di Hermes. Era dunque fatale che la sua scoperta prendesse il nome di fosforo ermetico (2) e che la sostanza, con questo nome e la sua naturale luminescenza che la rendeva in qualche modo simile alla famosissima pietra di Bologna scoperta un cinquantennio prima, colpisse l’immaginazione del mondo colto dell’epoca.
Tuttavia, l’ipotetico lettore del XVIII secolo, già di fronte alle prime righe del testo del Mezzadri, si troverebbe non meno smarrito di un lettore dei giorni nostri, poiché risulta evidente che il fosforo ermetico di cui parla il nostro testo, non ha nulla a che fare con quello del Baldwin, e che la fosforescenza di quest’ultimo non ha alcuna relazione con la luce mattutina, l’albedo di cui parla l’autore ferrarese. La Materia dell’opera del Mezzadri, composta di quattro nature, due secche e due umide, due calde e due fredde, due gravi e due leggere, si apparenta alle quintessenze filosofali, ai mercuri che, all’interfacie tra materiale e spirituale, costellano gli scritti dei grandi maestri dell’alchimia medievale e rinascimentale.
L’alchimista Mezzadri, come altri alchimisti italiani del XVIII secolo, si nutre soprattutto dell’alchimia del secolo precedente, ed in particolare dei testi di matrice rosicruciana in vario modo riconducibili alla temperie culturale del circolo di Cristina di Svezia. Oltre alle citazioni d’obbligo (dalla tabula smaragdina al Geber latino della Summa Perfectionis, fino alla Pretiosa margarita novella del conterraneo ferrarese Pietro Bono), Mezzadri cita infatti ripetutamente la Lux Obnubilata del celebre Fra Marcantonio Crasselame, anagramma dell’altrettanto celebre marchese Francesco Maria Santinelli (1627-1697), letterato e gentiluomo della corte romana, vicino alla regina Cristina e coinvolto nei suoi maneggi politici. Al Santinelli si attribuiscono numerose opere letterarie ed alcune opere alchemiche, tra cui l’Androgenes hermeticus (rimasto a lungo manoscritto e solo di recente oggetto di una edizione a cura di Anna Maria Partini), alcuni sonetti di evidente contenuto ermetico, ed infine la nostra Lux Obnubilata (3), in cui è incluso il poema italiano citato dal Mezzadri, che reca il titolo di Ai veri sapienti si discorre teoricamente sopra la compositione della Pietra dei Filosofi, ed è composto in tre canti.
Se il riferimento ad un’alchimia di evidente ispirazione rosicruciana, fortemente tinta delle testi scientifiche cartesiane che sono il nuovo paradigma delle scienze naturali del tempo, risulta un tratto talvolta rinvenibile in opere del XVIII secolo italiano, il Mezzadri ci presenta, dal canto suo, un’alchimia compiutamente ed unicamente di ispirazione ermetica. Il cartesianesimo e la sua preoccupazione per la res extensa, il tentativo di spiegare le forze che dormono nelle strutture elementari del visibile, risultano del tutto assenti. Nulla sappiamo, naturalmente, del percorso culturale dell’autore. Tuttavia la scrittura del Mezzadri è ancorata ad un’alchimia filosofica, o meglio filosofale, che nulla concede alla res extensa, il recente paradigma che regna nelle scienze naturali del tempo. La sua alchimia è scopertamente metafora iniziatica, il suo linguaggio pregno di metafore operative e tecnicismi si rivolge, come da tradizione, unicamente ai figli dell’arte, ribadendo topoi e stilemi di una tradizione secolare. Ogni aspetto della scienza a lui contemporanea viene ignorato, il fosforo ermetico è la luminosa, ennesima metafora che adombra il compimento della pietra allo stesso tempo spirituale e corporea dell’alchimia tradizionale.
Si tratta, anche in questo caso, di un carattere precipuo di quella scissione tra scienza profana ed alchimia che la diffusione della fisica cartesiana provoca nel XVII secolo. Rotta l’analogia tra cielo e terra, reso ancor più inafferrabile il filo invisibile che lega il creatore dell’universo alla sua opera, non si ha la pretesa di voler, a tutti i costi, inseguire una conoscenza che si qualifica irrimediabilmente profana, incoercibilmente ribelle alla ragione del cosmo vivo di forze e significati dell’alchimia. All’alchimista post-cartesiano, non interessa più il confronto con la scienza del suo tempo, e neanche l’indagine della materia esplorata dalle teorie corpuscolari. L’alchimia si ritira nella cittadella inaccessibile ed inespugnabile della metafora ermetica, del simbolismo iniziatico e del suo linguaggio enigmatico, poco curandosi a che le proprie affermazioni siano compatibili coi paradigmi scientifici della cultura profana, quella cultura di increduli e scettici Soffistici e Misochimici cui non è lecito tributare più del disprezzo, e che continuamente attaccano, con le loro cacchinanti derisioni, le verità della scienza alchemica.
Un atteggiamento cui sembra non aderire, ad esempio, un altro alchimista del XVIII secolo italiano, Prospero Cataldi, medico e patrizio ascolano, il quale nelle sue Lettere di risposta (1735) si preoccupa precipuamente di armonizzare i principi della fisica cartesiana alle verità ermetiche dell’alchimia (4).
Nell’attesa che altri e più approfonditi studi possano rivelarci notizie su questo alchimista ferrarese del XVIII secolo, traiamo dall’oblio questo breve scritto del Mezzadri, testimonianza ulteriore della vitalità della scienza ermetica in quell’Italia del XVIII secolo, che, di lì a poco, avrebbe visto fiorire figure come Di Sangro e Cagliostro.
Per quanto riguarda la trascrizione, come di consueto, abbiamo osservato un criterio conservativo, adattando all’uso moderno unicamente la punteggiatura e l’accentazione e correggendo solo pochissimi palesi errori di stampa.
Questa che diamo on-line è la prima riedizione del testo.
Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e qualsiasi fine.
NOTE:
(1) Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, nella pietà, nelle arti e nelle scienze, Per gli eredi di Giuseppe Rinaldi, Ferrara 1804.
(2) La sostanza viene descritta per la prima volta in Phosphorus Hermeticus, sive magnis luminaris Christiani Adolphi Balduin, S. R. J. Academ. Curiosor. Nat. Collèg. Cognom. Hermetis, Francofurti et Lipsiae Sumpt Georg. Heinr. Fromanni 1675 uscito in appendice ad Aurum superius & inferius Aurae Superioris & inferioris Hermeticum Christiani Adolphi Balduin, S. R. J. Academ. Curiosor. Nat. Collèg. Cognom. Hermetis, Francofurti et Lipsiae Sumpt Georg. Heinr. Fromanni 1675 (Cfr. Ferguson, Bibliotheca Chemica, 1906, vol. I. p. 68).
(3) Lux Obnubilata suapte natura refulgens, vera de lapide Philosophico theorica, metro italico descripta et ab autore Innominato commenti gratia ampliata Venetiis 1666. L’attribuzione dell’opera al Santinelli è desunta da Fulvio Gherli, Proteo Metallico (1721). L’opera del Santinelli ebbe vasta e duratura fortuna: conosciamo una versione francese La Lumière sortant par soi meme des Tenebres, ou veritable theorie de la Pierre des Philosophes Paris 1687, ristampata nel 1692 ed in seguito inclusa nella Bibliotheque des Philosophes Chimiques nel 1741. Una versione tedesca verrà data alle stampe nel 1772. La sola ode, priva del commento ed in lingua originale venne inclusa nell’Etoile Flamboyante ou la société des Francs-maçons, consideré sous tous les aspects (1770) del barone Henri Theodor Tschudy (ed. italiana H. T. Tschudy – Il catechismo ermetico-massonico della Stella Fiammeggiante, Atanòr, Roma 1984) opera che a sua volta conoscerà varie ristampe e duratura diffusione.
In Italia, in tempi più recenti, abbiamo varie riedizioni: la prima, di fine ottocento, nella rivista Lux, ed in seguito nel Commentarium (Dicembre 1911) diretto da Giuliano Kremmerz, ed a cura di Pietro Bornia. In seguito, con diversa attenzione filologica, l’ode sarà pubblicata nel 1925 con commento di A. Reghini nella rivista Ignis.
(4) Sui caratteri precipui dell’alchimia del Cataldi, per altri versi anch’essa tributaria della produzione rosicruciana italiana della fine del secolo precedente, vedi il nostro L’eredità di Cecco: Prospero Cataldi, alchimista ascolano del XVIII secolo, in AA. VV. Errante erotica eretica: l’icona sibillina fra Cecco d’Ascoli e Osvaldo Licini, Acquaviva Picena, Miriamica, 2000, pp. 8395.
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FOSFORO ERMETICO, OVERO LUCE MATUTINA,
Della tanto decantata
MEDICINA FILOSOFICA,
Secondo l’esperienza fatta da me,
ALESSANDRO MEZZADRI FERRARESE
Manifestata l’Anno 1729
In Ferrara, Per Bernardino Pomatelli Stampat. Vescovale,
Con licenza de’ superiori
Conoscendo la baldanzosa ignoranza la sua origine più antica della Virtù, pretende sopra quella averne tutto il dominio, e perché le tenebre nella grande opera della Creazione erano prima della luce, e la luce fu divisa dalle tenebre, pretende che fosse creata dal suo seno, e perciò averne sopra di essa come madre la maggioranza; onde, non potendo impugnare la verità della virtù, ne niega a tutto potere l’esistenza.
Di questo la scienza dell’Alchimia ne mostra tutto il giorno l’esperienza, trovandosi obbligata ogni momento a dover combattere con una moltitudine ben grande di Soffistici e con un stuolo ben numeroso di Misochimici, senza ne meno poter sfoderare le sue armi. Quelli con li suoi soffistici documenti e false operazioni oscurano le di lei verità palpabili. Questi con le loro cacchinanti derisioni niegano la sua manifestissima esistenza. Essa per li suoi ponderatissimi rispetti se ne sta con li suoi pochi Atletti nascosta.
Prevedendo perciò il Divino Ermete le grandi contradizioni che doveva incontrare questa sua scienza della Medicina universale, pose in fronte alla Tavola Smeraldina quelle parole: Verum, sine mendacio, certum & verissimum, pretendendo con ciò di stabilire ne’ suoi seguaci la costanza nello studiarla, e di confondere l’audacia degl’ignoranti, li quali vedendo che pochi sono li possessori di tanta scienza, e questi ancora tenere segreto l’Arcano tutto il possibile, prendon argomento di negarne l’esistenza.
È ben vero che questa Medicina è una sola, e si fa d’una cosa sola, alla quale niente aggiungiamo né meno leviamo, ma solo nella di lei preparazione leviamo le cose superflue. È vero ancora che da Maestri viene chiamata ludus puerum & opus mulierum. Ma però è altresì vero che per arrivare a conoscerla fa di bisogno un ingegno ben perspicace ed una profonda considerazione, perché bisogna conoscere li suoi veri principi, quali sono la radice & essenza dell’Opera, imperoché impossibile est ex ignotis pervenire ad nota dice Pietro Bono Ferrarese nella sua Pretiosa Margarita Novella, & io ad’imitazione di lui dirò: chi li principij ignora, senza mai arrivare al termine lavora.
Li principij adonque remotissimi e la radice di questo grande medicamento, secondo il sentimento del grande Trismegisto, sono li quattro Elementi, e perciò viene chiamato quinta Essenza degli Elementi. L’arabo Gebero conferma il medesimo dicendo che la denominazione si piglia dal predominante. Con li sopradetti concordano ancora Aristotele, Avicenna, Alberto Magno & altri Filosofi, dicendo che il fondamento di tutte le cose sia la Terra mista con l’Acqua riscaldata dal Sole, e Pianeti di sopra, di sotto, di dentro e di fuori con l’incessante loro moto circolare e riverberatione de’ suoi raggi.
Dunque, se l’Arte deve imitare la Natura, niuno artefice potrà mai arrivare a quello che, con la grazia dell’altissimo Signore ho fatto io nell’Anno settuagesimo quinto di mia età, de’ quali ne ho spesi più di quaranta in continue considerazioni e manipolazioni, se prima non gli sia bene impresso nella mente quell’universale proverbio di questa scienza, cioè che Patientia ex Deo est, festinantia autem ex Diabolo, perché se vorrà per l’ingordigia d’arrivare presto al termine, caminare con piede frettoloso, consumerà il tempo e li denari senza mai penetrare il fondamento di sì grand’opera.
Nissuno però si persuada che io voglia in questo mio piccolo scritto trattare di tutta quella moltitudine d’Arcani che nel suo seno tiene nascosti l’Alchimia, perché la mia intenzione è solo di palesare il modo di fare quella Medicina universale che ho fatto io con le mie proprie mani. Questo lo farò con tale chiarezza, che qualunque pratico operante potrà con tutta facilità apprenderlo. Ma chi non sarà buono manipolatore d’Alchimia tralasci d’operare, perché non riportarà altro che danno e vergogna; imperoché parvus error in principio, maximus est in fine. già v’ho detto che solo dopo quarant’anni di stenti in considerare e manipolare vi sono arrivato; e perciò Experto in sua arte credendum est. Spero però che il mio Fosforo sia per darvi lume tale, che, se bene lo concepirete, non averete tanto voi da faticare.
Sappiate dunque, o Carissimi, che li Filosofi chiamarono questo celeberrimo Arcano col nome di Medicina universale, e dissero molto bene, perché veramente essa è atta a rissanare li corpi da qualsivoglia infermità, provengasi questa da causa calida o frigida: secca, overo umida, perché, sebbene questa medicina non restituisca una parte del Composto dalle altre recisa, sana però ogni membro, purché sia al corpo unico. Perciò disse il magno Trismegisto: ideo fugiet a te omnis obscuritas, cioè ogni infermità.
Sebbene questa sublime medicina sia una sola, composta d’una sostanza sola, nondimeno la descrivono li Sapienti composta di molte sostanze e fatta con molte operazioni, cioè sublimazione, descensione, distillazione, calcinazione, soluzione, coagulazione, fissazione e cerazione come dice ancora l’Arabo nella quarta parte della sua Somma al Capitolo 39. altri parlano con metafore sottilissime e oscure. Altri confondono le operazioni, parlando dell’ultima operazione in luogo della prima. Altri frappongono altre cose non appartenenti all’Opera. Gli altri cambiano li nomi, chiamando Solfo ciò che dovrebbero dire Mercurio, e dicendo Mercurio quando dovrebbero dire Solfo. Tutto ciò però fanno li saggi a solo motivo di confondere l’intelletto degl’ignoranti ed atterrirli, accioché desistino d’applicarsi alla grand’opera e non consumino il tempo, la vita e le loro sostanze con tanto danno delle povere loro famiglie, come purtroppo io ho veduto in più d’uno. Non meritano perciò d’essere tanto taciati d’invidiosi e malevoli, ma bensì devesi ammirare la loro Carità, giacché instruiscono gl’ignoranti a non tanto affaticarsi dietro a quell’operazione che per loro è affatto impossibile. Con tanta varietà però d’ingredienti, manipolazioni e contradizioni hanno spiegata l’opera così bene agl’intelligenti, che di meglio non si poteva esprimere. Le contradizioni e metafore alle volte spiegano il loro sentimento molto meglio che le parole chiare.
Questa trionfante medicina è di una sola sostanza composta di quattro nature, tra di loro totalmente & affatto contrarie, imperoché due di loro sono calde e due fredde; due umide e due secche; due gravi e due leggiere. Queste quattro nature così contrarie non sono altro che li quattro elementi, cioè Fuoco, Aria, Acqua e Terra, li quali dalla gloriosa Arte dell’Alchimia vengono talmente analizzati e composti, che constituiscono una natura sola incorruttibile e perfettissima quanto si può dire, imperoché niente vi manca, né vi è cosa alcuna di superfluo, ma tutto ciò che la compone vi è talmente necessario che senza quello non sarebbe più tale. In verità qual cosa naturale e creata può mai resistere alla voracità dell’Aria, se non questa sola Medicina? Qual durissimo sasso, qual torre fortissima, qual Acciajo lucidissimo esposto all’Aria può mantenersi, che con il tempo non si riduca in polvere?
Creda pure il volgo ignorante che la sola ingordigia del tempo sia quella che tutte le cose create divora. Li Filosofi però dicono (e molto bene) che questo non è altro che un spirito crudelissimo esistente nell’Aria, il quale impaziente di riposo, sempre combatte, e con la sua fierezza tutte le cose distrugge. L’Oro solo e questo grande Arcano sono quelli che gli possono resistere, e dalla sua rabiosissima furia salvarsi, a causa della loro fortissima e costante composizione.
Tutti gli altri composti, anche ridotti al loro essere perfetto, si possono dividere nelle loro parti, ma il Composto di questa medicina, una volta che sia ridotto alla sua perfezione, è di una tale unità che si rende affatto indivisibile, non perché sia semplice e totalmente priva di parti, ma perché le medesime sue parti con tal strettezza si sono tra di loro abbracciate, e talmente rese inseparabili, che qualunque violenza di Fuoco non può in conto alcuno dividerle.
Nella sua originale composizione questa Medicina consta di due parti, delle quali una è corporale, e spirituale l’altra, & una parte esce dall’altra, siccome ancora una parte regola l’altra & una parte migliora l’altra. Li Filosofi nominorono queste due parti una Maschio e l’altra Femina, una Argento vivo e l’altra Magnesia, cioè Calamita, onde dissero: congela l’Argento vivo nel corpo della sua Magnesia.
Vorrei però qui, Fratelli Carissimi, vedervi avvertiti e diligenti, perché l’Argento vivo de’ Filosofi non è quello del volgo che si vende nelle botteghe, ma bensì un Argento vivo da loro fabbricato, il quale non è altro che una tal quale umidità, della quale si fa la medicina; onde li Filosofi non lo chiamano col nome generico di argento vivo, ma lo specificano con aggiungervi la voce: nostro, cioè Argento vivo nostro. Quanto però si sono ingannati quelli Alchimisti ignoranti, che strascinano in mille forme l’argento vivo volgare, e dopo averlo così maltrattato lo chiamano Argento vivo nostro. E’ vero che è suo di loro, perché né la Natura, né meno li Filosofi con l’Arte si sono mai sognati di tormentare il loro argento vivo.
Siccome pure la Magnesia de’ Filosofi non è quella volgare, che tira a sé il ferro, ma solo è il Composto, o sia Soggetto, che contiene in sé l’umidità fattale, mediante la quale il Composto annerisce, imbianca e finalmente diviene rosso e medicina perfetta.
State però bene attenti, e guardatevi dal pigliare più cose, perché vi repplico di nuovo che la medicina universale è un sola, e si fa d’una cosa sola, dalla quale ne nascono due, cioè l’Argento vivo, e Magnesia, e da queste due nascono tre, che sono li composti nero, bianco e rosso. Tutte queste cose sono bensì diverse quanto all’accidentale apparenza, ma poi in sostanza sono una sola, perché tutte sono contenute in un solo Composto principale, quale in verità non è altro che Aria, dalla quale nasce la Magnesia & Argento vivo, o sia umidità. Questa umidità nell’uscire dal ventre della sua Magnesia diviene nera nel fondo del Vaso. Questa negrezza a forza del suo calore innato, fomentato dal calor esteriore, passando per diversi colori, si riduce in un color bianco. Disse però molto bene quel filosofo esclamando: Extrahe album de ventre nigri. Nell’istessissimo modo ancora dovette cavare la rubedine dal ventre della bianchezza. Qui io non vi parlo da filosofo, perché non sono tale, ne meno per tale voglio millantarmi, ma solo vi dico che experto credite, perché la sola esperienza è quella che mi fa parlare in questa materia.
Un altro arcano de’ Filosofi mi trovo obbligato a palesarvi in questo luogo, cioè come nella grand’Opera vi entri il Sole e la Luna, o sia l’Oro & Argento, imperoché se questi non entrassero nella sua composizione mai potrebbe avere tanta virtù che superasse l’Oro potabile & ogni altro medicamento.
Né meno si verificarebbe quel detto de’ Filosofi: natura naturam continet, natura natura gaudet. State però lontani dal Sole e Luna volgari, perché questi sono corpi morti martirizzati dalla violenza del Fuoco nella loro fusone, onde non sono abili a produrre alcun buono effetto se prima non siano rissuscitati dall’Oro & Argento de’ Filosofi, li quali sono d’una virtù & attività molto più mirabile. Il Sole e Luna de’ Filosofi sono vivi e spermatici atti alla generazione, onde disse il grande Ermete: cuius pater est Sol, mater vero Luna. Dopo che il Fuoco contro natura avrà soddisfatto con la Putrefazione il suo officio di dissolvere il primo Composto, insorge il innaturale e feminino, il quale tanto va vagando che, al fine trovato il Fuoco di natura e con reciproco amore ardentissimo strettamente abbracciati, tanto si vanno dilettando che partoriscono la gloriosa prole del magno elixire.
Questa grande unione di questi due spiriti maschio e femina, da’ filosofi viene chiamata Ermafrodito, cioè Composto di due nature, mascolina e feminina inseparabilmente congiunte.
Vedete dunque, o Fratelli Carissimi, come li filosofi cavorono il loro Sole e Luna dalla sola Aria convertita in Acqua, e poi in Terra; onde dissero: fondi e secca quel corpo finché si converta in Acqua, e poi si congeli in Terra, e perciò disse Ermete: Portavit illud ventis in ventre suo, Nutrix ejus terra est.
Dunque la sola Aria è quella che nel suo seno racchiude il Sole e Luna Filosofici, e perciò disse ancora l’Ermetico Poeta Toscano nella sua prima Canzone:
Ch’altro non è vostro Mercurio ignoto,
Che un vivo Spirto universale innato,
Che dal Sole discende
In aere, ò Vapor, sempre agitato,
Ad empir de la Terra il centro vuoto:
Che di qui poi se n’esce
Tra solfi impuri, e cresce
Di volatile in fisso, e presa forma
D’umido radical se stesso informa.
Ecco dunque come dalla sola Aria dobbiamo cavare il Mercurio e solfo; lo Spirito e Corpo; l’Acqua e la Terra; il sole e la Luna. Quest’Aria però si deve prendere pura e senza immondezza alcuna, dicendo li Filosofi: ne comedas de filio, cujus Mater menstrum patitur. Avuto questo, non vi bisogna d’altro che un buon regimento del fuoco, nascendo da questo ogni difetto e pericolo, imperoché il fuoco deve essere tra il forte e lento (1), finché lo spirito sarà separato dal Corpo, & ascenderà sopra al Terra, lasciando nel fondo del Vaso un corpo morto senza spirito, il quale posto sopra il fuoco, non si fonde né dà fumo. Si restituisca di poi lo spirito ridotto in forma di nera nube ripiena d’acqua sopra il suo corpo, dal quale uscì, accioché possa vivificarlo e farlo risorgere ad una vita più gloriosa di prima, e perciò disse Trismegisto: vis ejus integra est si versa fuerit in terram. Osservate dunque come il nostro spirito sublime mortifica il suo corpo & ancora lo vivifica, e perciò seguita il Maestro de’ filosofi: Ascendit a terra in Celum, iterumque descendit in terram & recipit vim superiorum & inferiorum. State però sempre vigilanti intorno al vostro fuoco, il quale nel principio deve essere lento, secondo mediocre, terzo forte, e così crescendo a poco a poco finché il Composto si faccia bianco e poi rosso (2). Sic habebis gloriam totius Mundi, dice l’insigne Ermete; e se ne assegna la ragione, perché: hic est totius fortitudinis fortitudo fortis, quia vincet omnem rem subtilem omnemque solidam penetrabit.
Io non voglio parlare con voi, o Fratelli Carissimi, come quei filosofi invidiosi, li quali con dire enfatico e fastoso, vanno esclamando contro li loro Antecessori d’avere ne’ suoi scritti troppo coperta la verità, e poi essi parlano con oscurità molto maggiore de’ primi, a segno tale che li miseri studiosi restano dalla loro dottrina più di prima confusi. Sempre voglio repplicarvi che non sono Filosofo, ma pover ignorante che non sa fare tanti sillogismi né tante metafore, ma solo sa quello che gli ha mostrato l’esperienza delle proprie mani. Non voglio ingannarvi con tanti enigmi e contradizioni, ma solo come fedele amico e fratello, voglio mostrarvi la pura verità da me sperimentata. Vi ho fatto questo discorso per farvi conoscere che non ho trovato questo Secreto a caso, ma che sempre ho operato con la regola de’ veri Filosofi, de’ quali ne ho letto più d’uno. Ho fatto molte sperienze & ancora ho fatto molti errori, ma considerando che errando discitur e chi non falla non impara, non mi sono mai stancato nell’intrapreso camino. State dunque attenti perché vi parlerò con brevità, si, ma ancora con altretanta chiarezza, perché di questo non ho obbligo ad alcuno se non al Supremo Dator de’ Lumi, a cui sia sempre Gloria in saecula saeculorum.
Vi dico perciò con ogni fedeltà più sincera, che questo glorioso Arcano sta nell’Aria, al quale si deve convertire in Acqua. Per far questo vi mostrerò nel fine di questo mio scritto la forma del Forno e Vaso. Da quest’Acqua ne caverete cenere in quel modo che sarà più adatto alla vostra capacità. Da questa cenere ne dovete estrarre il Sale. Dal sale ricavatene lo Spirito, e da questo Spirito dovete nuovamente estrarne il Sale. Quanto più moltiplicarete questa operazione, tanto più la vostra Medicina sarà sublime e trionfante d’ogni male, e manterrà in perfetta sanità il corpo umano, e perciò disse Ermete: Pater omnis Telesmi totius mundi est hic, cioè padre d’ogni Secreto.
Parmi però di vedervi alquanto sospesi nel considerare il modo di questa operazione, e che abbiate timore d’incontrare una riprensione simile a quella che fa l’Ermetico Italiano Poeta nella sua terza Canzone, a quegli alchimisti inesperti, li quali per far l’Oro con incessanti sudori consumano l’umidità del loro Cervello con tante distillazioni, in vece di trovare l’umidità radicale, alli quali egli dice:
O voi, che a fabricar l’Oro per arte
Non mai stanchi trahete
Da continuo carbon fiamme incessanti,
E i vostri misti in tanti modi, e tanti
Or fermate, or sciogliete,
Or tutti sciolti, or congelati in parte,
Quindi in remota parte
Farfalle affumicate, e notte, e giorno
State vegliando à stolti fochi intorno.
Voglio perciò che ancora in questo mio Fosforo v’illumini, onde sappiate che sebbene tutto il tempo sia buono per raccogliere l’Aria, il migliore però è nelli tre Segni Celesti d’Ariete, Leone e Scorpione, cioè nelli mesi d’Aprile, Agosto & Ottobre. In detto tempo è molto più pura & abile all’operazione, quando però il tempo sia buono, chiaro e senza alcuna torbidità di nuvoli.
Per raccogliere quest’Aria, bisogna che vi provediate di sei vasi di vetro alti un braccio e larghi un palmo, con un Canello di vetro nella parte superiore lungo sei dita per traverso, come potrete osservare nel disegno del forno che vi mostrerò nel fine. Ogni vaso deve avere il suo recipiente nel quale possa passare l’Aria ridotta in Acqua. Devesi ancora provedere altretanti vasi di terra non vitriati, li quali possino imboccare li vasi di vetro, e questi devono essere alti un palmo e fatti a figura di Pigna. Imboccati che saranno li vasi di vetro con quelli di terra e con li recipienti e suoi Capelli, si devono ben sigillare le giunture con un buon luto, e lasciarlo asciutare. Il Forno deve essere grande e rotondo con sette bucchi, come vedrete nel disegno. Il bucco di mezzo deve servire per il carbone, e nelli altri sei si devono collocare li vasi. Il Forno si deve fare in luogo alto, acciocché l’Aria possa più facilmente passare per li Canelli nelli vasi di vetro, e poi nelli recipienti.
Accomodato il Forno con li suoi vasi e recipienti, e ben sigillate le gionture, principiarete a dare il fuoco sotto li vasi di terra, con il fuoco però non tanto violente. Vedrete l’Aria entrare per li Canelli nelli vasi di vetro, e da quelli passare nelli recipienti in forma acquea. Questo fuoco si deve seguitare un giorno si e l’altro no per lasciar raffreddare li vasi, finché avrete raccolto quaranta libre di quest’acqua, il che non vi succederà così presto, ma bisognarà aver pazienza quindici o venti giorni, quando non lavoraste con un’altro Forno e vasi simili, raffreddati a vicenda.
Avuta quest’acqua dovete porla in un Orinale grande di vetro, e coprirlo con il suo capello cieco, sigillando bene le gionture, acciocché li spiriti non fuggano. Collocate questo Orinale a putrefare in calore tepido di letame di Cavallo, o pure di ceneri tepide per giorni quaranta, con patto però che il vaso stia coperto due terzi dal fimo o dalle Ceneri, avvertendo sempre che in tutti questi quaranta giorni il vaso sempre si conservi tepido, perché se sentirà il freddo, perderete la vera putrefazione, & in quel caso non potrete poi avere alcun motivo d’incolpare la mia malizia che non v’abbia bene instruiti, ma bensì la vostra ignoranza, overo trascuratagine, che non abbia bene inteso o considerato le mie parole. In questi quaranta giorni la vostra acqua diventerà nera e nerissima, onde vedrete occularmente quel nigrum nigrius nigro, tanto decantato da Filaleta nel suo Introito aperto, il che sarà il vero segno di perfetta putrefazione. Questo ne insegna ancora il Toscano Poeta Alchimista nella sua seconda canzone, dicendo:
Pur ogni seme inutile si vede
Se incorrotto, e integro
Non marcisce, e vien negro
Al generar la corruzion precede.
Tal natura provede
Nell’opre sue vivaci,
E noi di lei seguaci,
Se non produr aborti al fin vogliamo,
Pria negreggiar, che biancheggiar dobbiamo.
Terminati li quaranta giorni levarete dall’Orinale il capello cieco, e collocandovi il capello distillatorio con il suo recipiente, ben sigillate le gionture, distillarete la metà di quest’acqua putrefatta, e vedrete entrare nel recipiente un’acqua più limpida della lacrima; la quale dovete conservare in vaso di vetro ben chiuso, perché deve servire per un’altra operatione, come vi dirò a suo luogo. Pigliate dunque il capo morto nero rimasto nel fondo dell’Orinale, e ponetelo in vaso di vetro rotondo come una balla, con il collo longo un braccio e mezzo, e ponendoli il suo capello distillatorio, collocatelo sopra un fornello a ceneri con il suo recipiente, sigillando bene le gionture, e farete disseccare la vostra materia.
Se in questo tempo distillarà qualche poco d’acqua, conservatela molto bene custodita, perché la virtù di quest’acqua deve essere decantata dagli Etici, li quali possono provarne la sua virtù mirabile nella loro guarigione.
Dovete dipoi porre la vostra materia disseccata in un vaso di terra, che resista al fuoco, e farla calcinare finché divenga cenere impalpabile, bianca come la Biacca. Collocate questa cenere in un Orinaleto di vetro & infondeteli sopra dell’acqua prima distillata con l’Orinale grande, tanto che sopranuoti un terzo alla cenere. Chiudete bene il vostro Orinaleto con un capello cieco ben sigillato, e fatelo stare sopra le ceneri calde finché l’acqua si sia impregnata del sale e sia divenuta bianca. Arrivata a questo termine decantatela in un altro Orinaleto & infondete nuova acqua, sempre però della medesima distillata, facendo come prima tante volte, finché l’acqua abbia cavato tutto il sale dalle ceneri e più non si tinga di bianco. Dopo unite tutte le decantazioni fatte.
Pigliate ora tutta quell’acqua che avete decantata dalle ceneri e ponetela in una storta di vetro con il suo recipiente ben sigillato, facendo distillare l’acqua, la quale riserbarete a parte. Cavate dopo il sale rimasto nel fondo della storta, e ponetelo in un’altra storta ben lutata, come se voleste fare acqua forte da partire l’Oro. Poneteli il suo recipiente grande con le giunture ben sigillate e dateli fuoco gradualmente, cioè primo leggiero, secondo più gagliardo e terzo di riverbero, & in questo modo cavarete lo spirito dal sale. Pigliarete poi il sale rimasto nel fondo della storta ponendolo in un saggiolo ben lutato nel fondo, e vi porrete sopra un poco del suo spirito ultimamente da esso estratto. Sigillate bene il saggiolo, accioché lo spirito non prenda la fuga, e riponete questo saggiolo sopra le ceneri tiepide giorno e notte, per tanto tempo finché il sale abbia bevuto il suo spirito.
Dovete repplicare questa operazione d’imbevere il suo spirito finché il vostro sale diventi bianco, e poi rosso. Così facendo e regolando con cautela le vostre operazioni non vi scordate di rendere grazie umilissime all’Onnipotente Signore perché v’abbia conceduta la grazie di poter fare quella trionfante Medicina che supera ogni male con virtù naturale curabile, purgando essa sola la Bille, Flemma, Pituita e Malinconia. Né vi scordate di pregare il medesimo Signore per chi vi è stato Amico così fedele d’insegnarvi tutto ciò che di prezioso ha potuto trovare in quaranta e più anni di continue considerazioni e stentatissime operazioni.
Ancorché però v’abbia descritta tutta l’operazione di così grande Arcano, non vi fidate per questo dell’acutezza del vostro ingegno, né del vostro longo esercizio nell’operare, ma imitate l’Angelico Dottore Tommaso d’Acquino (3), il quale si protestò che plus didicit Oratione quam studio; onde li più celebri scrittori di questa scienza lasciarono scritto: Ora & labora, perché è una scienza che più s’impara in Oratorio quem in Laboratorio. Di questo ancora ne può fare piena fede una ben grande moltitudine d’Alchimisti, li quali pensando d’arrivarvi con la sola profondità del loro intelletto, dopo aver consumato la vita, il tempo e le sostanze, sono restati il ludibrio del volgo sfacendato.
L’uso di questa medicina deve essere al peso d’un grano ogni Mese in una tazza di vino a quelli che vogliono purgare la massa del sangue da ogni maligna qualità e mantenerla purgata. Gl’Infermi poi di qualsivoglia infermità possono pigliarla due volte al mese in una tazza di brodo tepido. Si puole prenderla liberamente da qualsivoglia persona di qualsisia età, sesso o condizione, perché a tutti sarà giovevole & a nissuno nociva. Guardisi però ognuno dall’usarla troppo spesso, overo in troppa quantità per volta, perché in tal caso talmente aumentarebbe il calore innato, che consumarebbe l’umido radicale e darebbe la morte; onde dicono più Filosofi, che Multi Medicina se occiderunt, cioè con l’eccesso nell’usarla.
Eccovi o Fratelli Carissimi, il più sincero e candido sentimento del mio Cuore in questa materia. Eccovi manifestata la più sublime delle mie fatiche. Eccovi finalmente svelato il grande Arcano de’ Filosofi senza tanti adulterati documenti, senza tante ingannevoli Ricette, senza tanti diabolici Oracoli. Se da questo mio scritto ne ricaverete del bene, ringraziate il Supremo Datore de’ Lumi. Se vi trovarete qualche cosa di male spiegato, vi prego di non accusare la mia malizia, ma bensì scusare la mia ignoranza, che non ho saputo meglio spiegare il senso del Cuore, perché (come vi repplico di nuovo) io non sono Filosofo, onde terminarò il mio discorso con le parole del divino Ermete: Completum est quod dixi de Operatione Solis.
Il fine.
NOTE AL TESTO:
(1) L’avvertimento del Mezzadri di prestare attenzione al regime del fuoco è un topos della trattatistica alchemica, poiché, secondo la tradizione, il segreto dell’opera è: adattare il fuoco alla resistenza del mercurio.
Arnaldo Da Villanova (XIII sec.) nel Fiore dei Fiori, mette il lettore in guardia dal sublimare “… come intendono gli idioti…”, essi “per mezzo del fuoco gagliardo fanno ascendere i corpi con gli spiriti e dicono allora che i corpi sono sublimati ; si sono invece sbagliati perché dopo li trovano più immondi di quanto prima non fossero”.
Anche il Libro di Artefio mette in guardia contro questo pericolo, in maniera forse anche più chiara : “… stai attento solo (dopo la preparazione della materia) che il bagno non sia incendiato da un fuoco eccessivo; e secondariamente che lo spirito non esali fuori perché danneggerebbe il lavorante, cioè distruggerebbe l’operazione e porterebbe molte infermità, cioè tristezza ed ire”.
L’artista che si firma Alano da Lilla in un testo apparso a stampa per la prima volta nella seconda metà del XVI secolo, consiglia, in una volgarizzazione manoscritta: “… Egli è adonque necessario turbare, o vero alterare l’humidità per certi gradi di fuoco cioè lento e moderato … questa benedetta pietra ; quanto più lungo tempo si decoce, tanto più Solve il corpo del Sole e della Luna ed in la soluzione si fa negra … l’anima non esce dal corpo in una sola volta, ma si cava in più volte, né in quel vaso che contiene la soluzione, o vero in quello nel quale si dissolve il corpo, si solve in esso in una sol volta, ma ogni giorno qualche poco, e di nuovo un altro pochetto, secondo il reggimento dell”operante e di natura”. Come vedremo di qui a poco, l’indicazione del Mezzadri non sarà differente.
(2) Vedi nota precedente.
(3) Così nel testo.