Pagina on-Line dal 07/04/2012

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Riproduciamo qui il frontespizio e le diciotto tavole di uno dei più bei testi di spagiria seicenteschi, il Dell’Elixir Vitae del Domenicano Fra Donato D’Eremita di Roccadevandro, uscito nel 1624 a Napoli per i tipi di Secondino Roncagliolo. Si tratta della prima opera del D’Eremita, cui farà seguito, nel 1639, sempre per i tipi del Roncagliolo, un Antidotario. È questa solo la prima parte dell’opera, dal momento che il manoscritto completo, oggi presso la biblioteca dell’Archiginnasio a Bologna, ci mostra altre due parti dell’Antidotario che non furono mai stampate. Mai stampata fu pure un’altra opera, anch’essa custodita all’Archiginnasio, che il D’Eremita annuncia già nel Dell’Elixir Vitae, dal titolo Arte Distillatoria. Sempre attribuiti al nostro autore sono una serie di tavole raffiguranti semplici e recanti la firma del D’Eremita, dedicate al linceo Giovanni Faber custodite nella Biblioteca Bank del British Museum di Londra, così come un codice manoscritto con tavole colorate custodito nella biblioteca di Montpellier e proveniente dalla biblioteca Albani di Roma.
Dapprima a Firenze, speziale al servizio di Cosimo II de’ Medici, Donato aveva potuto formarsi in quello che per tutto il secolo precedente, sotto la reggenza di Cosimo I e di suo figlio Francesco, era stato un importante centro di studio ed irradiamento dell’alchimia. 
Al suo rientro a Napoli, nel primo decennio del ‘600, Donato viene, in un primo momento, aggregato al convento di recente costruzione (sorge proprio pochi anni prima, a partire dal 1602) di Santa Maria alla Sanità. Il complesso conventuale vantava una prospera spezieria, tra le più note a Napoli, ed un giardino di semplici, entrambi curati da Fra Cataldo Caporco.   
Successivamente Donato, intorno al 1611, viene trasferito nel complesso conventuale di Santa Cateria a Formello (nell’attuale via Carbonara). Qui, probabilmente proprio per accogliere Donato, si attrezza un giardino di semplici e si apre una spezieria, che in pochi anni, sotto la direzione del prefetto dell’aromatoria D’Eremita, acquista fama e rinomanza, e provoca un continuo ed ingente gettito nelle casse conventuali. La chiesa utilizza, probabilmente per volere dello stesso Donato, le somme ricavate nell’abbellimento e nell’ornamento della struttura conventuale e della chiesa. È forse al disaccordo in merito all’utilizzo dei fondi che si deve la rottura dei rapporti tra Donato ed il suo priore, che, nel 1630, fa imprigionare Donato in una stanza del convento, dove dopo poche ore il frate morirà, probabilmente suicida.
Donato era sodale ed amico dei lincei napoletani (in particolare del Della Porta e di Colantonio Stigliola) di Fabio Colonna, e fu in rapporti con uomini di scienza come il Faber ed il Castelli.
Le tavole che presentiamo in questa sede sono di indubbia bellezza, e sono probabilmente di mano dello stesso D’Eremita. Esse hanno avuto una recente ripubblicazione nel nostro Il Pulicinella filosofo chimico: uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del Viceregno  (Mimesis, Milano 2000). Recentemente, una bella versione acquerellata d’epoca delle tavole è stata pubblicata da Mino Gabriele e Franco Cardini in Exaltatio Essentiae, Essentia Exaltata (Pacini, 1992).
Le fonti di questo bellissimo testo sono innumerevoli, a testimonianza della sicura padronanza dell’autore di una già vasta letteratura alchemica. Esse, come si desume dalla tavola degli autori di riferimento posta a chiusura del volume, spaziano da autori arabi, a greci, ed ai maestri dell’alchimia occidentale: Arnaldo da Villanova, Rupescissa, Cristoforo Parigino e, tra gli italiani, il Fioravanti, ed il Mattioli) fino ad arrivare a più nomi di medici, filosofi e naturalisti napoletani contemporanei del buon Donato, e, tra questi ultimi, ben visibili sono i nomi del Colonna, di quel Bartolomeo Maranta venosino (maestro dell’amico Stigliola), di Ferrante Imperato e del Della Porta.
Il suo Dell’Elixir Vitae è ricchissimo di spunti di chiara ispirazione ermetica.
L’elixir del frate di Roccadevandro è infatti la stessa quintessenza alchimistica, nascosta nella porzione sottile del creato, mediatrice tra visibile ed invisibile, che, nella proteiforme sequela dei suoi mille appellativi e sinonimi tradizionali, ripresenta tuttavia la medesima natura sottile e miracolosa, la medesima potestà trasmutativa e rigenerativa. Tutto, nell’universo, aspira a questa perfezione, a questo compimento radicale, a questa essenza traslucida infinitamente pura dalla quale ogni bene ed ogni vitalità discendono. 

«… Diremo adunque che in tutte le cose naturali è un certo inesto appetito di essere perfette, e che la natura in tutte inchina & aspira a quell’esser a cui nulla manchi: anzi fecondo Aristotele, di qualunque cosa nel suo genere vi è una, la quale tiene il primo grado di perfettione, Et essendo la nostra Quint’essenza ridotta all’ultimo grado di bontà, di sottilità, e di eccellenza, e fatta quasi incorruttibile, ne siegue che ella, fra tutte le altre cose e medicine preservative del nostro corpo, terrà il primo luogo. Perché, come dicono i Filosofi, è fatta a guisa di spirito ethereo e di cielo incorruttibile, come dice Benedetto che da gli elementi grossi separati i sottili, e ricongiunti, uniti, & assottigliati, una certa essenza quinta ne nasce, nella quale è un vivo spirito. E perché non si tocca né appare se non risedente nel corpo di qualche elemento, onde egli per la nobiltà della natura sua piglia il Corpo nella superiore e più nobile sfera de gli elementi ignea, rimanendo quella nella fola spirituale natura sua, e nulladimeno non è fuoco, e in quanto a sé non ha natura ignea, ma è habitante nel fuoco. E perché quello corpo sferico di qualità di fuogo per la sua sottilità e purità da noi non si può vedere, perciò con disposti ed opportuni instrumenti, col mezzo dell’arte del buono operante la sottile sostanza sua sublimando, distillando, circolando e convertendo in unione, la facciamo apparire in spetie di acqua, e così ridotta viene ad essere del tutto dalle sue flemme e da ogni superfluità purissimamente separata…» (1).

Mille sono dunque i nomi sotto cui questa essenza è stata velata: 

«… di Acqua Celeste, Cielo nostro, di Stella Diana, di Quinta Essenza, di Prolungatione della Vita, di Viva Forza, di Potenza Celeste, di Spirito, d’Anima, d’Aether, di Mercurio vegetabile, di Chiave de’ segreti de’ Filosofi, di Giovane di habito d’oro, di Matrimonio e d’Acqua menstruale…. »(2).

Per ognuno  il D’Eremita presenta una spiegazione:

«…Osservate l’etimologia e proprietà di questo nostro elixir Vitae, altro egli non vuol dire che, RENOVATIO VITAE ELIXIR AB ELIXANDO, cioè dal cuocere…. Altri l’han chiamato ELIXIR  dalla felicità della vita che permette e cagiona, quasi  dir volessero per questo nome ELISI , cioè i campi Elisi descritti da’ Poeti, ove si favoleggia che riposino dopo morte gli uomini felici e beati…
Da altri ha havuto nome d’Elixir, quasi Elettuario confortativo, miniera di tutte le virtù, riparo di tutte l’infermità. E perciò in voce Araba per Elixir altro non s’intende, salvo, che una essenza temperatissima di cose in un certo modo incorruttibili.
È stato dagli Autori, che n’hanno scritto, rapportato col nome d’Aqua celeste, di Cielo nostro, di Stella Diana, di Quinta essenza, di Prolungatione della vita, di Viva forza, di Potenza Celeste, di Spirito, d’Anima, d’Aether, di Mercurio vegetabile, di Chiave de’ Segreti de’ Filosofi, di Giovane di habito d’oro, di Matrimonio, & d’Acqua menstruale.
Si chiama Acqua celeste, perché celesti in un certo modo fono le sue virtù più tosto che naturali.
Diconlo Cielo nostro, perché si come il Cielo è cagione efficiente & universale, e ci mantiene influendoci sempre nuovi doni, così ci dà ristoro e ci mantiene quello nostro Elixir influendoci sempre nuovi spiriti vitali.
Si dimanda stella Diana, perciocché non altrimente che la Diana à nostra vista avanza di lume ogni altra stella, ottiene il nostro Elixir fra tutti i medicamenti il primo luogo.
Lo chiamarono Quinta essenza, essendo per mezzo dell’arte un celeste elemento, nel modo più possibile dà quattro elementi lontano per conservatione de’ corpi humani e delle lor forze, distruggente e consumante ogni sorte di cattivo male….
… Gli danno nome di AETHER perché si come aether è quella parte di aria più temperata e più sottile della regione che al primo cielo è più vicina, prendendo, e ricevendo in sé perfettioni e qualità celesti, così questo elixir si assomiglia a quella parte di aria, essendo egli una cosa purissima, di sottilissimi elementi composta…
E finalmente dicesi il nostro ELIXIR, Acqua menstruale, poiché con quella cosa che si piglia servendosi per veicolo di quello humore col quale si mescola per poterli bere, nella qualità di quello humore, o calda o fredda si sia, si converte…» (3).

Nel descrivere le proprietà dell’Elixir, Donato afferma che la sua quintessenza, opportunamente aguita,

«… ha potestà di solvere oro & argento calcinati, e di ridurre tra brevissimo tempo i detti corpi in olio: e questa soluzione è molto lontana dalle altre di acque forti e sali di vario genere. Perciò è da sapere che l’Acquavite sudetta non si avvicinerà mai alla perfettione di Quint’essenza se non sarà assottigliata col suo sale…» (4).

L’operazione filosofica, però, è delicata, l’unione delle nature complessa, e molte sono le cautele dell’operatore per raggiungere la dissoluzione delle nature individuate e la condensazione delle materie sottili, fino ad ottenere la desiderata coniunctio: 

«Dovrà l’artefice star molto vigilante nel porre l’acqua sopra il detto sale, perciocché subìto comincierà a bollire con gran violenza: laonde subito dovrà coprire il vaso, affinché gli spiriti sottilissimi non esalino, e per conseguente si congiungano e si uniscano per modo sottilissimo col corpo, onde sono primieramente usciti, acciocché per lo mezzo circulatorio l’acqua si faccia terra, e la terra acqua, e lo spirito s’ingrossi, e’l grosso divenga sottile, e resti una materia unita per menoma in tutte le sue parti congiunta & indivisibile: e quando il sale non manderà fuori il suo fervore, senza che faccia l’acqua alcun movimento, all’hora vedrai il sale convertito nello spirito suo, e dilatarsi l’acqua nel suo materno ventre, & all’hora sarà fatto il matrimonio, e vero abbracciamento.
Questa è l’acqua assottigliata disposta ad operare molte cose occulte che senza la detta sottigliezza non haveva in prima virtù di operare…» (5).

Analoghi spunti simbolici il lettore attento potrà reperire nelle bellissime tavole di forni e strumenti, a cominciare dal rincorrersi di ternario e quaternario della prima tavola (in cui si vuole che, nel sembiante del monaco sulla destra, sia raffigurato lo stesso Donato). Qui è facile identificare nei quattro libri aperti, nei tre piatti su altrettanti gradini, nelle tre stelle sotto il sole che sovrastano la fontana nell’emblema al centro dell’immagine, altrettanti chiari riferimenti simbolici.
Da un punto di vista farmacologico e storico-scientifico, interessantissimo sarebbe analizzare partitamente, voce per voce, la mirabolante ricetta (abbiamo contato oltre 230 componenti) che Donato fornisce al lettore: decine e decine di semplici, frutti, pietre, gioie, “trochisci” di animali, entrano in questa fantasmagorica composizione. L’oppio ed i trochisci di vipera e di scilla, insieme ad alcuni altri componenti, appaiono eredità della classica Teriaca di Andromaco il Vecchio (6). Tuttavia il complesso Elixir di Donato appare un vero e proprio compendio dei semplici e dei rimedi in uso nella farmacopea del tempo.   
Le fonti di questo bellissimo testo sono innumerevoli, a testimonianza della sicura padronanza dell’autore di una già vasta letteratura alchemica e spagirica. Esse, come si desume dalla tavola degli autori di riferimento posta a chiusura del volume, spaziano dagli autori arabi e greci, ed ai maestri dell’alchimia occidentale medievale e contemporanea (Arnaldo, soprattutto, e poi Cristoforo Parigino, Rupescissa, Ulstad, Gesner, il Croll e, tra gli italiani, il Gratarolo, il Fioravanti, il Cardano ed il Mattioli) fino ad arrivare a più nomi di medici, filosofi e naturalisti napoletani contemporanei del buon Donato, e, tra questi ultimi, ben visibili sono i nomi del Colonna, del Maranta, dell’Imperato e del Della Porta.
Su Donato d’Eremita ed il Dell’Elixir Vitae vedi il nostro Il Pulicinella filosofo chimico: uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del Viceregno (Mimesis, Milano 2000) e la relativa bibliografia.

NOTE:

(1) Dell’Elixir Vitae, pp. 23-24
(2) Ivi, pp. 5.
(3) Ivi, pp. 5-6. 
(4) Ivi, p. 15
(5) Ivi, p. 22.
(6) Sulla storia dello studio e diffusione della teriaca nel regno di Napoli vedi il ns. La vipera e l’oppio: la theriaca di Andromaco nel Regno di Napoli tra XVI e XVII secolo in Anthropos & Iatria numero di Aprile 2000, oggi reperibile su questo sito (nella sezione Scritti on-line) e su www.airesis.net

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