On Line dal 30/06/2012

 

Vai alla prima parte della traduzione

Vai alla seconda parte della traduzione

________________________ 

INTRODUZIONE.

Del Signor Henri d’Atremont, di cui non sono note altre opere oltre a quella che presentiamo, sappiamo assai poco. Sfuggito sistematicamente a tutti i dizionari biografici, su di esso abbiamo solo la corta annotazione, assai poco elogiativa, che Lenglet-Dufresnoy ci concede a pag. 483 del primo volume della sua Histoire de la Philosophie Hermetique (1):

«Il Signor d’Atremons, gentiluomo francese, viaggia nel nord e fa stampare nel 1672, a Francoforte, Le tombeau de la Pauvreté, ristampato poi a Parigi ed a Lione. Borrichius lo stimava assai poco».

La voce che al nostro autore dedica il Ferguson, che rilegge il Conspectus Scriptorum Chemicorum  (1697) di Olaus Borrichius (1626-1690), ci dà qualche informazione in più:

«Atremont, autore reputato, fu un cavaliere o nobile francese che, dopo aver viaggiato a lungo nell’Est, spese alcuni giorni con Olaus Borrichius a Copenaghen, e gli rivelò i suoi procedimenti. Essi consistevano nel convertire l’oro in una porosa, leggera, non fondibile, opaca sostanza attraverso reiterate amalgamazioni, nell’espellerne il mercurio per riscaldamento, e poi digerire l’oro con il migliore “acetum stillatitium” per coobazione, fino a che esso non diventi “fondibile, penetrante e tingente”. Borrichius riteneva questo processo così tanto laborioso e così differente da quelli degli alchimisti più antichi, che egli lo rimetteva volentieri nelle mani di chi fosse abbastanza determinato da provarlo» (2).   

Queste, in sintesi, le informazioni cui attingono tutti i repertori bibliografici che recensiscono il nostro testo.
Il libretto esce in prima edizione nel 1672 con questo frontespizio:

Le Tombeau de la Pauvreté, dans lequel il est traité clairement de la transmutation des Metaux & du moyen qu’on doit tenir pour y parvenir. Par un Philosophe Inconnu; en faveur de ses Amys particuliers, Franc-fort, chez Jean George Draullmann, aux dépens de l’Autheur.

Di questa prima edizione il catalogo on-line della BNF riporta una ristampa datata 1682. Tuttavia, nel 1681, esce una edizione accresciuta (quella sul cui testo francese abbiamo condotto la nostra traduzione), di cui pure riportiamo il frontespizio:

Le Tombeau de la Pauvreté, dans lequel il est traité clairement de la transmutation des Metaux & du moyen qu’on doit tenir pour y parvenir. Par un Philosophe Inconnu. Seconde Edition reveuë et augmentée de la Clef ou Explication des mots obscurs. Avec un  songe philosophique sur le sujet de l’Art. A Paris, chez L. D’Houry, 1681.

Una riedizione del testo si ha a Lione nel 1684 per i tipi di Vitalis, col frontespizio:

Chymie des savans: ou la pierre des philosophes clairement découverte par la transmutation des métaux, et du moyen qu’on doit tenir pour y parvenir  par un philosophe inconnu.

Esiste inoltre una traduzione tedesca per i tipi di Bencard, datata 1702, e segnalata dal Ferguson:

Eröffnetes Grab der Armuth, darinnen klärlich von der Veränderung der Metallen, und dem Wege darzu zu gelangen, gehandelt wird…

Come nota il curatore della recente ristampa anastatica della Gutemberg Reprint, in quegli stessi anni diversi trattati fanno riferimento ad un Tombeau (3). Il titolo, dunque, è un titolo di moda, ed il riferimento è, evidentemente, per i filosofi ermetici, anche legato alla tumba o sepulcrum filosofale, al cui simbolismo alchemico allude il Pernety proprio alla voce tomba:
«I filosofi hanno usato sovente le tombe per fare allegorie sulla putrefazione della materia dell’Opera. Essi hanno detto, di conseguenza, che bisogna prendere la terra delle tombe, che bisogna mettere il Re nella tomba per ridurlo in cenere, e farlo resuscitare. Flamel e Basilio Valentino vi hanno più di una volta fatto allusione, ed hanno anche inteso tomba come vaso».
Alla voce sepolcro, Pernety ribadisce:
«Alcuni adepti hanno chiamato così il vaso di vetro che contiene il composto o la materia dell’Opera. Altri però hanno dato il nome di sepolcro a una delle materie che racchiude l’altra, come se fosse sepolto nel suo seno; più spesso al colore nero che sopraggiunge durante la putrefazione, perché la corruzione è un segno di morte, ed il colore nero un segno di lutto. Talvolta la parola sepolcro è usata per indicare il dissolvente dei Savi.».
Dunque la tomba è allusione simbolica alla putrefazione filosofale, e, nella polisemia tipica del codice alchemico, contemporaneamente al vaso che la contiene. Un tale simbolismo è quello che, proprio nel XVII secolo, doveva essere ricondotto all’apertura del sepolcro del leggendario Christian Rosenkreuz, evento mitico di fondazione del movimento rosicruciano.   
Quella che abbiamo scelto per la nostra traduzione, è la seconda edizione del testo, datata 1681. La scelta è ricaduta su questa edizione proprio per la clef offerta ai lettori del, per altro puerile, divertissement cabalistique presentato dal testo, che è costituito da parole e frasi inventate (4) intercalate al testo, dal suono e dalla pronuncia sovente impegnative, che hanno il solo scopo di renderne difficile la fruizione risvegliando, forse, nel contempo, la curiosità di un certo tipo di lettore del diciassettesimo secolo. In questa edizione on-line, invece di proporre un testo italiano della Clef che riporterebbe la traduzione delle frasi cifrate con l’indicazione delle pagine in cui sono compresi i diversi passi in crittografia, abbiamo semplicemente fatto seguire, in parentesi quadra, la decrittazione proposta nella Clef.

Al di là del divertissement del linguaggio inventato, tuttavia, l’intero testo di d’Atremont è esemplarmente intricato e confusionario, ed appartiene ad uno stile tipicamente barocco in cui la comunicazione simbolica del linguaggio alchemico si trasforma in una iperbolica e compiaciuta esibizione di impenetrabilità, in un volontario gioco all’equivoco ed alla contraddizione.  
D’Atremont si vanta di proporre vie brevi, spesso nuove, che egli compara, per efficacia e risultati, a quelle degli antichi e reputati autori. Del giudizio di Borrichius, in meritò alle novità proposte, abbiamo visto sopra. A questo proposito non sappiamo quali operazioni il signor d’Atremont possa aver condiviso con Borrichius, tuttavia, al contrario di quanto afferma il grande scienziato danese, il repertorio di operazioni che, nella Tombeau, pur nella già citata confusione, sono sciorinate innanzi al lettore, è abbastanza usuale in un esteso repertorio di libri e testi alchemici. La serie infinita delle reiterate triturazioni, calcinazioni, cotture, distillazioni, sublimazioni, il cui prodotto è immancabilmente nuovamente triturato, calcinato, cotto, distillato, sublimato, e ciò fino alla comparsa di un sale rosso che è anche olio o pietra, che guarisce e moltiplica sé stesso ed il suo effetto mediante triturazione, calcinazione, cottura, distillazione, sublimazione, è, a tutti gli effetti, un topos cui il lettore che abbia per sua ventura ripetutamente frequentata la letteratura alchimistica, difficilmente può sottrarsi. La rarefazione della materia dell’opera ed il suo contemporaneo raddensarsi nel processo filosofale del solve et coagula, nelle mille forme di sale, olio, elisir, pietra, appare, dalle pagine della tombeau, sprigionare la medesima proteiforme fascinazione simbolica che permea i trattati del buon Trevisano, di Zachaire e di innumerevoli altri illustri adepti alchimisti. Un gioco di donne e lavoro di bambini cui la trovata della lingua fantastica di d’Atremont, così come l’esasperata confusione e moltiplicazione di fumose istruzioni operative, per chi non perde il filo d’Arianna costituito dalle tradizionali e reiterate messe in guardia contro il letteralismo nella lettura dei testi dei filosofi, ci appare non aggiunga e non tolga nulla.

Massimo Marra

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.

 

Vai alla prima parte della traduzione

Vai alla seconda parte della traduzione

NOTE:

 
(1) Lenglet-Dufresnoy, Histoire de la Philosophie Hermetique Accompagnée d’un Catalogue raisonné des Ecrivans de cette Science, A Paris chez Colustelier, 1742.

(2) J. Ferguson, Bibliotheca Chemica, a bibliography of books on alchemy, chemistry and pharmaceutics, 1906, vol, I, pp. 53-54.

(3) Eccone alcuni, solo per elencare quelli apparsi in campo alchemico:
La Tombeau de Semiramis, uscita in latino per la prima volta col titolo di Tumba Semiramidis hermeticè sigillata, quam si sapiens aperuerit, non Cyrus, ambitiosus; avarus, regum ille thesauros, divitiarum inexhaustos, quod sufficiat, inveniet, 12° s.l. 1674 e tradotta in Deux Traités nouveaux sur la philosophie naturelle contenant la tombeau de Semiramis et la réfutation de l’anonyme Pantaleon soy-disant disciple d’Hermes, Paris, Laurent d’Houry, 1689.

– Pierre-Martin de la Martinière, Tombeau de la folie. Dans lequel se void les plus fortes raisons que l’on puisse apporter pour faire connoître la realité et la possibilité de la pierre philosophale, & d’autres raisons & experiences qui en font voir l’abus & l’impossibilité. 12° Paris, s.d., chez l’Auteur

– D. De Maubec (e non Mauhac, come riportato nelle note introduttive alla citata edizione della ristampa anastatica di Le Tombeau de la Pauvreté), Le Tombeau de l’envie, où il est prouvé qu’il n’y a qu’une médecine qui est la chimique, qu’il n’y a qu’un tempérament et une seule maladie, et… qu’il ne faut qu’un remède pour la guérir, lequel remède l’auteur enseigne sans énigme… traittant auparavant des eaux minérales de Saint-Simphorien… de Cessey… et de Sainte-Anne… Par le sieur de Maubec, Dijon 1679.

Tuttavia la moda dei Tombeau non è certo limitata all’alchimia. Decine di trattati, mazarinades e libelli editi tra la seconda metà del XVII secolo ed i primi decenni del XVIII, riportano nel titolo questa formula.  

(3) La crittografia del signor d’Atremont è presa, non a caso, quale esempio estremo da Albert Poisson. Dopo aver analizzato alcune tecniche di crittografia tradizionali e di diversi autori (tra cui Paracelso), Poisson scrive: «D’Atremont in Le Tombeau de la Pauvreté si spinge oltre, e rimpiazza completamente brani di intere frasi con parole forgiate a suo piacimento, così “La quinta qualità è la purezza e trasparenza di questo nostro Sale, affinché esso penetri meglio, e questa si acquisisce songra netigieluk eude firkigli, come sarà detto in seguito”. Fortunatamente, alla fine del volume si trova una chiave o traduzione di questi termini barocchi; questi appena segnalati significano: per filtrazione dopo la risoluzione in aceto distillato…» (A. Poisson, Théories et symboles des Alchimistes, Chacornac, Paris 1891, p. 48). La copia della Tombeau di Poisson è dell’edizione del 1681, ed è quella descritta dal Duveen (Bibliotheca Alchemica et Chemica, London 1949, p. 32), recante l’annotazione di pugno del proprietario: «Est la meilleure édition. A Poisson 1884».