Pagina on-Line dal 07/04/2012
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Dio è essa Divinità; io non dico ora quello che è generato, ma quello che non è generato, Se adunque egli è cosa divina, egli è essenzia; e se egli è Dio, è ancora sopra l’essenzia. Ma questo è intelligibile a questo modo, imperò che, il primo Dio, non è intelligibile a sé, ma a noi. Perché certo, quello che è intelligibile cade nello intelligente per il senso. Adunque Dio non è intelligibile a sé, imperò che non è altra cosa fuori di esso intelligente e che da sé medesimo si intende; nondimeno egli è alcuna cosa differente da noi, e per questo egli è inteso da noi. Et se per contra il luogo è intelligibile, non i Dio, ma si il luogo, e se come dio, certamente non come luogo ma si come atto divisivo. Ma tutto quello che si muove, non in cosa che si muove, ma in cosa stabile si muove, et così quello che muova ancora sta fermo, imperò che egli è impossibile essere mosso insieme con esso.
ESCULAPIO – In che modo adonque, o Trismegisto, si mutano quelle cose che sono nel mondo insieme con quelle che si muovono? Imperò che tu dicevi le spere erratiche, cioè i sette Pianeti, esser mosse dalla ottava spera.
TRISMEGISTO. – O Esculapio, questo non è movimento, ma resistenza, imperò che non vanno a uno medesimo modo, ma in contrario. Ma l’opposizione contiene la stabile riverberazione del movimento, imperò che il ripercotimento dello stare è sommovimento. Et pertanto le spere erratiche, per contrario della ottava spera, insieme l’una sotto l’altra, discorrendo con opposizione contraria da quella che sta ferma, sono mosse circa così fatta opposizione. La qual cosa certo non può essere altrimenti. Imperò che le stelle che sono intorno alla tramontana, le quali tu sai che mai non si levano, se ne vanno sotto rigirandosi sempre intorno a quel medesimo. Or’ dirai tu che si muovino o stiano ferme?
ESCULAPIO – O Trismegisto, io dirò esser mosse.
TRISMEGISTO. – O Esculapio, e di che movimento?
ESC. – Di movimento che in sempiterno si gira intorno a quel medesimo.
TRISMEGISTO. – Ma quello medesimo rigiramento et movimento circa a quel medesimo è contenuto dallo stare, imperò che esso intorno a quel medesimo, proibisce quello che è sopra esso; ma quello che è impedito sopra esso si ferma circa quello medesimo. Et così il contrario movimento è fermo, da essa opposizione perpetualmente estabilito. Io te ne porrò l’esempio davanti a gli occhi di quegli che qua giù vivono in terra, si come quando uno huomo nuota nell’acqua molto corrente, il ripercuotere delli mani insieme e de’ piedi fa stare l’huomo, che non va forte oltre, insieme con l’acqua e che in essa non si tuffa.
ESCULAPIO – O Trismegisto, tu ai messo innanzi uno manifesto esempio.
TRISMEGISTO. – Adunque tutto ciò che si muove, da cosa che sta & in cosa stabile è mosso. Et così il movimento d’ogni animale che consiste di materia, non è fatto da quelli che sono fuori del mondo, ma da quelli che sono dentro a le cose di fuori, o vero da l’anima, o veramente da lo spirito o da qualcuna altra cosa incorporale. Imperò che il corpo non muove il corpo animato, né ancora muove insieme tutto il corpo, benché sia animato.
ESCULAPIO. – Perché ragione, o Trismegisto, dì tu questo?
TRISMEGISTO. – Legni e le pietre e tutte l’altre cose che hanno anima, quale ella si sia, o Esculapio, non sono mosse da’ corpi. Imperò che quello il quale muove dentro nel corpo esso animato, certamente quello non è corpo dal quale l’uno e l’altro è mosso, cioè il corpo di quello che porta e di quello che è portato. Et per questo ancora colui che dorme è animato principalmente per questa ragione, perché esso muove. Or non vedi tu dunque l’anima molto aggravata quando da sola sostiene due corpi? Or non è egli ancora manifesto ciò che si muove esser mosso in alcuna cosa e da alcuna cosa stabile?
ESC. – Quelle cose che si muovino è necessario esser mosse certamente in quello che sta fermo.
TRISMEGISTO. – Rettamente parli o Esculapio, imperò che nell’ordine delle cose non è alcuna cosa vacua, ma solamente quello che non è e che è privato d’esistenzia può essere chiamato vacuo. Imperò che non si può trovare cosa alcuna che sia esistente che sia vacua.
ESCULAPIO – Or non si trova egli, o Trismegisto, ancora alcune cose vaene? Si come il vaso voto, il pozzo vacuo e ancora assai più cose simili?
TRISMEGISTO. – O Esculapio, deh or’ quanto ti diparti dal vero, che quelle cose che maggiormente e molto più che l’altre sono piene, tu pensi che sieno vote.
ESCULAPIO – O Trismegisto, e questo in che modo?
TRISMEGISTO – Certamente l’Aere è corpo, e questo corpo trapassa per tutti gli altri, e discorrendo tutti gli riempie, imperò che tale corpo non è composto di corpi. Per la qual cosa adviene che tutte quelle cose che tu chiami vote sono piene d’aria. Et per tanto queste cose più tosto concave che vacue devono essere chiamate, imperò che e hanno esistenza, e sono piene d’aria e di spirito.
ESCULAPIO – O Trismegisto questa ragione non ha opposizione, né dubbio alcuno. L’aere è corpo, tale corpo trascorre per tutti gli altri e con essi mescolandosi gli riempie. Ma che diremo noi che sia il luogo nel quale ogni cosa si muove.
TRISMEGISTO – Diremo, o Esculapio, che sia incorporeo.
ESCULAPIO – Ma che cosa è incorporeo?
TRISMEGISTO – Mente e ragione, che sé medesima contiene libera da ogni gravezza di corpo, senza errore, che non può partire né esser tocca, che sta per sé medesima et che purga et conserva ogni cosa, li cui razzi sono il Bene e la Verità e il Lume principale e la prima forma delle anime.
ESCULAPIO – Dio che cosa è?
TRISMEGISTO – Dio è una cosa che non è alcuna di queste, ma egli è ben cagione che tutte queste cose siano, certamente a tutti e a ciascuno presente, il quale non permette alcuna cosa non essere. Ma tutte le cose, delle cose che sono, sono procreate; ma del nulla, nulla in essere procede, imperò che quelle cose che non sono non hanno alcuna natura per la quale possino essere fatte, ma più tosto natura di non poter’essere fatte, e per contra quelle cose che sono, certo non hanno natura per la quale qualche volta non sieno.
ESCULAPIO – Che dì tu dunque del non essere qualche volta?
TRISMEGISTO – Certo Dio non è Mente, ma egli è ben cagione che la Mente sia. Non è Spirito, ma egli è cagione per la quale è lo Spirito. Et non è lume, ma egli è cagione per la quale il lume ha esistenza. Onde egli è oportuno onorare Dio con questi due soprannomi, i quali appartengono a lui solo, e del tutto a nessuno de gli altri sono convenienti. Imperò che di quelli i quali oltre a lui sono chiamati dii, o angeli o huomini, non ne può essere alcuno tanto buono quanto l’unico Dio. Impero che egli è esso bene e non è altro che bene. Tutte le altre cose sono separate da essa natura del bene. Certamente il corpo e l’anima non hanno luogo alcuno nel quale sieno capaci del bene, imperò che tanto è ampla la bontà quanto l’esistenzia di tutte le cose così corporali come incorporali, sensibili e intelligibili; e questo è il bene, e questo è Dio. Abbi dunque riguardo che mai tu non dica altra cosa buona; imperò che e’ sarebbe errore abominevole. Et ancora non dirai Dio essere altro se non solo Bene, perché di certo incorreresti nella medesima impietà. Adunque da tutti col parlare è pronunciato il Bene; nondimeno quello che e’ si sia non è da ognuno inteso, e per tanto Dio non è da tutti conosciuto. Egli è ben vero che per ignoranza sono nominati buoni alcuni dii, e ancora alcuni huomini; non di meno già mai non possono essere, né ancora essere fatti, buoni. Adunque tutti gli altri immortali dii sono onorati del nome di Dio. Ma Dio è esso bene non secondo l’onoranza, ma per sua propia natura, imperò che una è la natura di Dio, cioè esso Bene. Certamente e’ viene a essere uno in tutti e due i nomi onde tutte le generazioni derivano. Imperò che il Bene ogni cosa ci porge e nulla piglia, Dio tutte le cose ci dona e nulla riceve. Adunque Dio è il Bene e il Bene è Dio. L’altro soprannome di Dio è Padre, per cagione che egli genera tutte le cose. Imperò che l’ufizio del Padre è il generare, per la qual cosa lo studio del procreare in vita i figliuoli è giudicato da’ savi nobile e pietoso. Ma la maggiore miseria e impietà di tutte accade a colui il quale di vita si parte sanza figliuoli, per la qual cagione riceve pena dai Demoni dopo la morte. Et finalmente il suo tormento è in questo modo, che la sterile anima ne vada per giudizio in certo corpo nel quale non sia natura di maschio né di femmina, il quale è elevato e congiunto dal Sole. Adunque, o Esculapio, non avere alcuna compagnia con huomo che non abbia generato alcuni figliuoli. Nondimeno abbia compassione alla sua infelicità, sappiendo che pena gli è riservata doppo la morte. Tutte queste cose dunque, e tali, o Esculapio, dette ti sieno; da le quali si risumme certa cognizione di tutte le cose della Natura.