Astrologia ed ascetica cristiana in Jan van Ruysbroeck

Pagina on-line dal 13/04/2012

Prima pubblicazione in Atrium – Centro studi umanistici e tradizionali anno VIII (2006), n°1, pp. 5- 39.

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Meno frequentata dell’opera di altri mistici medievali, l’opera di Giovanni Ruysbroeck è nondimeno uno dei gioielli più preziosi della spiritualità del suo tempo, uno dei prodotti più genuini ed importanti di una ricchissima tradizione fiamminga di mistica ed ascetica .
Giovanni nasce nel 1293 nel villaggio di Ruisbroeck, vicino Bruxelles, da una famiglia abbastanza agiata. L’agiografia (1) intorno al beato prende le mosse sin dai primi giorni di vita del pargolo. La nutrice assiste stupefatta all’insolito spettacolo del piccolo Giovanni – nato sette giorni prima – in piedi, sulle proprie gambe, nella tinozza del bagno. All’età di 11 anni si trasferisce presso un suo ricco zio prete, Giovanni Hinckaert (morto verso il 1350) cappellano della parrocchia di Santa Gudula a Bruxelles. Qui giunto, il bambino viene avviato agli studi di grammatica, retorica e dialettica; uno studio grazie al quale a 17 anni egli è padrone delle arti del trivio. Tuttavia, per quel che ne sappiamo, l’epilogo della formazione di Ruysbroeck – ed in particolare l’approfondimento teologico che pur chiaramente traspare dalla sua opera – non avviene necessariamente in ambito universitario. Non vi è nessuna evidenza di un titolo di studio superiore negli scarsi dati biografici certi che abbiamo dell’autore. Del resto, già dal 1179, ad opera del terzo concilio Lateranense, le parrocchie erano obbligate a pagare un magister per la formazione teologica del giovane clero, e, dunque, la formazione personale dei preti poteva essere largamente indipendente dalle università.
Nel 1305, sua madre si trasferisce in un beghinaggio a Bruxelles per riavvicinarsi al figlio, e, pochi anni dopo, muore senza poter assistere all’ordinazione sacerdotale di Giovanni, che avverrà solo nel 1317. Ruysbroeck, racconterà di aver avuto, in quella occasione, la visione della madre ascendente al cielo, liberata dalle pene del purgatorio grazie alla sua prima consacrazione dell’ostia.
Tra il 1317 ed il 1343, nulla si sa della biografia del beato, tranne del suo ministero di prete cappellano di Santa Gudula. A questo periodo risalgono i suoi primi trattati (Il Regno degli amantiL’Ornamento delle nozze spirituali – considerato il grande capolavoro del mistico -, La pietra sfolgoranteLe quattro tentazioni (2)) ed a questo periodo risale il suo trattato più lungo, il Libro del tabernacolo spirituale. Un periodo fecondo e lungo di riflessioni spirituali, studi e scrittura, dunque, quello vissuto nella parrocchia di Santa Gudula; un periodo parimenti dedicato ad un’attività pastorale – in particolar modo rivolta alle beghine di Bruxelles – che sappiamo particolarmente attenta alla critica ed alla denuncia dell’eresia.
Nella casa di Hinckaert, stando al Pomerius, c’era anche un canonico più giovane, Francon de Coudenberg, che dovette subire anch’egli fortemente l’influenza del possente temperamento mistico di Ruysbroeck.
Così, nel 1343 (Ruysbroeck ha cinquant’anni) sono tre i preti che lasciano Santa Gudula per dirigersi all’eremo di Groenendael, in cerca, probabilmente, di uno slancio spirituale più intenso, di una vita più ascetica e ritirata, libera dalle cure della canonica e del ministero sacerdotale. Il luogo era stato eletto ad eremitaggio già da tempo. Nel 1304 la valle e gli stagni di Groenedael erano stati ceduti da Giovanni II all’eremita Giovanni di Busco, un suo parente che aveva preferito alla vita di corte l’ascesi eremitica. Successivamente il luogo era stato occupato da altri due eremiti, Arnold de Diest e Lambertus, che tuttavia vi si trattennero pochi anni, per lasciare il posto ai nostri tre canonici di Santa Gudula. Giovanni III di Brabante mise a disposizione dei tre l’eremo, e, nella settimana di Pasqua, i due Giovanni e Francon de Coudemberg, si trasferiscono definitivamente a Groenendael. La comunità per sette anni si mantiene libera da regole collettive e vincoli giuridici o con la gerarchia ecclesiastica. Probabilmente i tre scelgono l’eremitaggio di Groenendael e non una reclusione conventuale istituzionalizzata proprio perché desiderano una vita spirituale totalmente libera, ed anche perché, dagli scritti di Ruysbroeck, traspare una scarsa stima per lo stato spirituale dei conventi del suo tempo. Gli ordini religiosi, per il mistico, sono ormai inquinati dall’attenzione per le cose del mondo; solo i reclusi, i certosini e le monache di clausura, sono ancora fedeli alla regola originaria. Così il trio di eremiti non sente il bisogno di una regolamentazione ufficiale della loro comunità. La donazione del fondo e di tutti i suoi annessi è intestata a Francon de Coudemberg. Nel 1345 abbiamo notizia della costruzione e consacrazione di una piccola cappella, entro le cui mura il piccolo gruppo doveva celebrare gli uffici religiosi. Tuttavia questa vita puramente spirituale, libera da ogni regolamentazione, non doveva durare in eterno. Le esigenze della successione della proprietà di Groenendael, ma soprattutto la necessità di dare a questa comunità di tre uomini religiosi una struttura ufficiale e comprensibile ai più – strane voci iniziavano a circolare intorno alla misteriosa vita reclusa di questi tre preti, voci che non mancarono di arrivare anche alle orecchie del vescovo di Cambrai – spinsero Ruysbroeck e Francon ad accettare, dalle mani dello stesso vescovo, l’abito dei canonici regolari di S. Agostino (3). Forse, però, la scelta dell’ordinazione religiosa fu anche l’epilogo di un itinerario spirituale, su cui abbiamo realmente pochi elementi. Francon fu nominato comunque prevosto della piccola comunità, che ottenne anche il permesso di accogliere nuovi confratelli. La comunità di Groenendael diveniva così un priorato, che mantenne per secoli, nella sua nuova forma istituzionalizzata, un rapporto particolare con il piccolo capitolo di Santa Gudula, antica canonica dei tre fondatori.
A Groenendael, Ruysbroeck rimase fino alla morte, con pochi viaggi e spostamenti. La fama dei suoi scritti, così come la fama della sua santità, in questi anni si diffondono a macchia d’olio. Monaci e religiosi di ogni ordine e grado, lo consultano, arrivano a Groenendael per parlare al maestro, il cui infuocato misticismo diviene presto il cuore pulsante dell’intera comunità. Tra i suoi confratelli, vi erano senz’altro uomini a lui superiori per cultura, muniti di curricula universitari prestigiosi (lo stesso Francon, ad esempio), eppure è Ruysbroeck che diviene il fulcro della vita spirituale del priorato (di cui, tuttavia, non fu mai superiore). I certosini di Hérinnes, ad oltre una trentina di chilometri dal priorato di Ruysbroeck, richiedono un visita del mistico per ascoltare dalla sue vive labbra la dottrina, e per chiarirsi alcuni passi del Il regno degli amanti che non erano riusciti a comprendere appieno. Pomerius riferisce della visita di due chierici parigini, e tale episodio non manca di dargli l’occasione per un edificante racconto sulla saggezza di Ruysbroeck. Secondo una diffusa tradizione anche Taulero si recò a far visita al maestro di Groenendael, ricevendone una viva impressione. Il colto Geert Groote, il fondatore della Devotio moderna, insieme al suo amico Giovanni Cele, intorno al 1378 si ferma qualche giorno a Groenendael, per conoscere il maestro di cui aveva letto con viva attenzione gli scritti. Geert sarà il traduttore latino delle opere di Ruysbroeck, l’importante divulgatore nella lingua dei dotti degli scritti del mistico. E questo farà di Ruysbroeck uno degli autori di riferimento della devotio moderna.
Dell’epoca del ritiro a Groenendael sono alcune opere che Ruysbroeck dedica ad una clarissa di Bruxelles, suor Margherita di Meerbeke. Si tratta di una lettera e di tre trattati (I sette chiostriLo Specchio della salveza eternaI sette gradini della scala dell’amore spirituale) (4). Sono invece la già citata visita al convento di Hérinnes e le richieste di chiarimento dei certosini sui passi più oscuri della sua prima opera, che forniscono al mistico lo spunto per Il libro della più alta verità, che è appunto un commento esplicativo a Il regno degli amanti. L’ultima opera di Ruysbroeck è invece Le dodici Beghine (5) – il titolo è tratto dal capoverso di apertura – un’opera che sarà più universalmente nota con il titolo di Della vera contemplazione.
Gli ultimi giorni trascorrono nella tranquillità di Groenendael, con il progressivo decadimento fisico del mistico ed il suo caparbio non voler cedere il quotidiano privilegio di celebrare la messa. Probabilmente, il Della vera contemplazione è stilato dai confratelli, con Ruysbroeck, già infermo. Il 2 dicembre 1381, a 88 anni, in piena lucidità, Ruysbroeck si spegneva, tra il dolore e le preghiere dei confratelli. Inumato nella chiesa del monastero, precedette di soli cinque anni la morte di Francon de Coudemberg, che avvenne nel 1386. Il vescovo Jean’t Serclaes, venuto ai funerali dell’anziano prevosto, fece riesumare la salma del mistico, che apparve ai testimoni quasi intatta, con i paramenti sacri ancora in ordine come al momento della sepoltura. La salma rimase esposta all’adorazione de fedeli per tre giorni, e fu poi posta in una nuova tomba, accanto a quella di Francon de Coudemberg, nel coro della nuova chiesa in costruzione. Intorno a questa nuova sepoltura si accresce e consolida il culto. Già pochi anni dopo la morte di Ruysbroeck, probabilmente su richiesta dei confratelli di Groenendael, erano iniziate le pratiche per la beatificazione, che si trascinarono lungo tempo. A cavallo tra XVI e XVII secolo il convento di Groenendael fu abbandonato, perché esposto ai pericoli delle guerre di religione. Quando, nel 1606, i monaci ripresero possesso del convento, che era stato nel frattempo saccheggiato, la tomba era tuttavia intatta. Si riprendono così le pratiche per la beatificazione, l’arcivescovo di Malines, Jaques Boonen, fa riesumare nuovamente la salma per il riconoscimento, ma, questa volta, nulla dei paramenti si ritrova e del corpo rimangono solo le ossa. Queste, pulite e lavate, vengono per la maggior parte riposte in un reliquiario ligneo sistemato in una cappella laterale della chiesa, mentre alcune ossa minori sono asportate dallo stesso vescovo e sigillate in vari reliquiari che il prelato voleva regalare a vari conventi a beatificazione avvenuta. L’avvio del processo sembrava spedito, ma, dal 1630, si rallentò gravemente per mancanza di fondi, e, tra varie vicissitudini – l’abbandono del convento nel 1667 per le guerre di Luigi XIV, la soppressione del convento di Groenendael nel 1783 col trasferimento delle poche reliquie superstiti presso la collegiata di Bruxelles – si arriva alla seconda metà del XIX secolo. Nel 1888 si riprese ufficialmente il processo e nel 1909 Ruysbroeck viene finalmente beatificato. La festa liturgica è il 2 dicembre, la data della morte del beato.

Nel 1909, in Italia, esce il primo libro sulla figura del grande mistico fiammingo, ad opera di Federico Fofi (6).
Tuttavia, la prima considerevole edizione italiana di brani tratti dalle opere di Ruysbroeck, esce nel 1916 nella lirica traduzione di Domenico Giuliotti per i tipi di Carabba (7), e viene tratta a sua volta da un’antologia di brani scelti (8) – assai diffusa a quel tempo e che ebbe numerose reimpressioni – tradotta e curata da Ernest Hello (9). Nel 1929, un’altra antologia esce con la traduzione, sempre dal francese – questa volta l’edizione di riferimento è quella curata dai benedettini di San Paul de Wisques – curata da Giulia Mariani. Sette anni dopo, nel 1936, esce a Torino la traduzione curata da Arnaldo Cervesato, per i tipi della Società Editrice Internazionale (10) e ancora dieci anni dopo la prima traduzione italiana integrale (ma sempre dal francese, anche questa volta dell’edizione curata dai Benedettini di S. Paolo di Wisques) di due dei capolavori del mistico fiammingo: Giovanni Ruysbroek l’ammirabile, L’ornamento delle nozze spirituali e i Sette gradi dell’amore spirituale, a cura del P. Gustavo Cantini, Utet, Torino 1946.
A queste prime traduzioni sono seguite numerose altre, per lo più in forma antologica e con apparato critico più o meno sviluppato. Il lettore italiano ha così a disposizione diverso materiale per avvicinarsi alla scrittura potente di Ruysbroeck.
I brani che abbiamo scelto (11) sono volti ad evidenziare alcuni aspetti di chiara ascendenza neoplatonica nell’opera del mistico, che solo raramente vengono sottolineati, e che gettano invece inedita luce sulle concezioni cosmologiche entro cui si inscriveva il percorso ascetico e mistico del beato.
Come si noterà dalla scelta antologica seguente, la mistica di Ruysbroeck riprende temi e moduli espressivi cari alla tradizione medievale. Se non un’originalità, almeno una caratteristica peculiare da riscontrarsi nella scrittura di Ruysbroeck, è la centralità e la reiterazione della metafora eucaristica, del sacrificio della comunione, del corpo vivo del mediatore di salvezza mangiato e bevuto, e della fame e sete ardente che divorano l’individuo orante, fame e sete vissuti come richiamo del Cristo stesso alla via salvifica. Un tema anch’esso assai diffuso nella mistica cristiana, ma che in Ruysbroeck assume tuttavia una carica espressiva ed una tensione lirica che solo raramente troviamo altrove.
Più inusuale è invece l’aderenza a motivi astrologici che vengono inquadrati nella visione cristiana in modo funzionale al percorso mistico. Tra l’empireo, residenza dello splendore divino, ed il firmamento, vi è il cielo cristallino – le acque superiori del Genesi – oceano di chiarità e di luce su cui si fondano le stelle. I pianeti occupano le sette sfere celesti, mosse – come ovviamente tutto il resto – dalla mano divina.
Questa concezione cosmologica è appena accennata, e fa da sfondo al discorso astrologico, cui Ruysbroeck sembra dedicare maggiore attenzione (12).
Le stelle e i pianeti, creati da Dio per l’uomo, influiscono con la loro virtù nella realizzazione del bene e del male cui inclina la volontà, di volta in volta virtuosa o perversa, dell’uomo. Essi, governati dalla mano divina, con i loro movimenti trasmettono un’influenza sul mondo sublunare che è piena espressione del compimento della volontà superna. L’anima, per raggiungere il luogo della comunione mistica, l’empireo, deve lanciarsi al di sopra della sfera elementare, superare il firmamento e i cieli intermedi spogliandosi di ogni molteplicità creata e di ogni inclinazione sensibile, fino a raggiungere la dimora di pace entro cui la grazia si gusta oltre ogni plenitudine. È un viaggio immaginale attraverso i sette cieli planetari, quello di Ruysbroeck, secondo una modulo mistico antichissimo, non dissimile da quello del rituale mitriaco, e che in qualche modo si ricollega, come vedremo, pienamente ad una parte del pensiero teologico cristiano, che conserva pienamente la credenza nell’influenza degli astri, ma la limita pesantemente liberando da ogni determinismo il libero arbitrio umano. Se è vero che i pianeti, espressione celeste della creazione, non hanno le proprietà sensibili ed i caratteri della creazione sublunare (non sono né caldi, né secchi, né freddi, né umidi) tuttavia governano tali proprietà, regolandone la diversa diffusione nel mondo sublunare e sensibile. Per legge d’analogia, l’anima umana, invisibile e trasparente come i cieli, ne subisce l’influenza e, in qualche misura, la potestà. I tipi planetari divengono così i portatori di vizi e virtù da cui il miste deve spogliarsi per far posto, nell’annullamento di sé, alla luce vivificante della grazia. I pianeti indicano la strada maestra della purificazione ascetica. Il vaso dell’acquario si apparenta, per trasposizione simbolica, a quello delle danaidi, e diviene luogo di dissipazione, di dispersione della grazia, sentina di vizio e debolezza. Così, coloro che nascono col sole in Capricorno, vivono schiavi dei sensi, la loro anima esala un cattivo odore, come il capro, appunto. Così, i pianeti, prestano le loro caratteristiche mitiche agli animi che influenzano, secondo la più pura dottrina astrologica medievale. Solo i figli del Sole, coloro che sono dominati dalla luce dell’astro la cui luce irraggia per tutto l’universo, sono naturalmente portati alla luce spirituale, al contatto con Dio. Per tutti gli altri, che le qualità ereditate dal pianeta dominante siano buone o cattive, si tratta di liberarsi dall’influenza celeste, di percorrere un regime ascetico che bruci i legacci sublunari per arrivare alla suprema libertà della contemplazione mistica. Il viaggio avviene tra pianeti di un firmamento interiore, e la guida maestra è la sinderesi, il discernimento interiore, la custodia dell’anima:

«…il nostro padre celeste crea nel più intimo di noi stessi il firmamento interiore, purché noi siamo disposti a seguire la propensione naturale della nostra anima, ovvero la sinderesi inculcata ed impressa in noi da Dio, sempre, per sua natura, desiderosa del bene» (13).

Il tetro, duro, freddo, malevolo ed altezzoso Saturno, così, è nemico, dell’ascesa spirituale, poiché i suoi figli sono privi di amore, sterili di virtù, di calore e vita spirituale. La strada dell’uomo di Saturno, dunque, è anzitutto quella del disprezzo di sé, della sottomissione e della rinuncia alle storture della propria complessione, fino all’apertura del loro duro animo alla grazia vivificante. Contrario a Saturno è Giove, i cui figli sono caldi ed umidi, amabili, pacifici, umili, socievoli e generosi. Ma tutte queste buone qualità, avverte Ruysbroeck, provengono dalla carne e dal sangue, e non sono espressione diretta di grazia. Perciò i figli di Giove, così baciati dalla natura, alla natura sono attaccati, ed hanno l’animo spesso rivolto al sensibile, al godimento transeunte della vita naturalistica. Solo coloro, tra i nati sotto Giove, che rinunciano alle letizie del sensibile, che si staccano dai godimenti caduchi, possono rinascere liberi dalle influenze planetarie, e godere la pienezza della grazia. I figli della brillante Venere somigliano non poco a quelli di Giove: sono per natura buoni, pacifici, nobili onesti, amorevoli col prossimo. Ma queste qualità sono controbilanciate dall’amore per i piaceri della carne, dalla quiescenza al vizio; il loro sangue caldo li spinge verso il sensibile, e, dunque, verso la dannazione. Anche loro dovranno rinunciare alla loro complessione per conoscere Dio. I caldi ed umidi figli di Mercurio, sono saggi ed umili, eloquenti, abilissimi nei negozi ed industriosi, spesso oggetto, per le loro qualità innate, dell’attenzione dei principi e dei potenti. Ma nel contempo essi sono altrettanto abili nell’inganno, nella menzogna, nei traffici illeciti, anch’essi sono spinti verso il sensibile e rischiano di obliare l’eterno, votandosi così alla dannazione.
I pianeti, insomma, al di fuori di ogni determinismo astrologico, di ogni fatalismo, non possono che rappresentare inclinazioni – astra inclinant, non necessitant – che sono comunque soggette all’imperio della volontà, alla supremazia del libero arbitrio. È la scelta dell’uomo, che, anzitutto, lo spinge verso la salvezza o la dannazione. La posizione – di chiara ascendenza neoplatonica – assunta da Ruysbroeck in merito all’astrologia, è figlia di una complessa relazione che il cristianesimo ha intessuto, fin dalla sua nascita e nel corso dei secoli, con la scienza astrologica (14).
La posizione di Tertulliano (155-220 ca.), secondo la quale l’astrologia è scienza degli angeli caduti (15), e pertanto tout-court di matrice diabolica, infatti, non giustifica del tutto l’asserzione di Fritz Saxl, secondo cui dall’avvento del cristianesimo «per mille anni non vi furono astrologi in Europa» (16).
Almeno due capisaldi dottrinari favorirono, in una certa misura, l’attecchimento di idee astrologiche all’interno del cristianesimo. Anzitutto il passo del Genesi (1, 14): «Poi Iddio disse: – Siano dei luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte, e siano come segni per stabilire le stagioni, i giorni e gli anni…»; poi, in secondo luogo, l’episodio dei tre Magi presaghi, attraverso la Stella, dell’avvento del Redentore (17).
Ma i “segni” del passo biblico sono, da subito, identificati come mera promanazione della potenza divina; essi sono totalmente destituiti di ogni autonoma potestà sulla natura inferiore, riducendosi a manifestazione, a “segno”, appunto, della divina onnipotenza.
Così Filone d’Alessandria nel De opificio mundi, nell’esaminare il perché il Dio del Genesi abbia creato il cielo solo il quarto giorno, successivamente alla terra, alle piante e ai frutti, non manca di specificare che una tale scelta non è certo da imputarsi alla decisione di sminuire l’importanza del cielo, di natura più pura e divina, o di subordinarla alla realtà terrena:

«… Dio aveva anticipata nozione di quali sarebbero stati quanto a maniera di pensare gli uomini non ancora nati, sapeva cioè che essi avrebbero formulato congetture sul verosimile e probabile (congetture nelle quali c’è molta ragionevolezza), ma non sarebbero stati in grado di cogliere la verità pura; sapeva che avrebbero dato maggior credito al mondo fenomenico che non a Dio, ammirando il sofisma più che la sapienza, e sapeva che, osservando in seguito le rivoluzioni del sole e della luna, da cui sono determinati il succedersi delle estati e degli inverni e i ritorni della primavera e dell’autunno, avrebbero supposto che la causa di tutto ciò che scaturisce e nasce dalla terra nell’intero corso dell’anno siano i movimenti regolari degli astri del cielo. Sapendo tutto questo, volle evitare che qualcuno osasse, per sfacciata audacia o per eccesso d’ignoranza, attribuire ad una qualsiasi entità creata la causalità prima. Egli disse dunque: «Risalgano con il loro pensiero alla nascita originale dell’universo, quando, prima che vi fossero il sole e la luna, la terra produceva ogni specie di piante e frutti e dopo aver considerato questo nelle loro menti, concepiscano il desiderio che anche in futuro essa le produca secondo l’ordine del Padre….» (18).

I “segni” del passo biblico sono così semplicemente un richiamo alla memoria dell’onnipotenza divina, che Dio ha posto sulla testa di un’umanità naturalmente incline alla perdizione delle sottigliezze filosofiche ed ingenuamente vittima predestinata dell’inganno delle apparenze sensibili.
Tuttavia, Origene (185-253 ca.), ad esempio, contemporaneo di Tertulliano, sembra essere maggiormente attratto dalla scienza degli astri (19). Secondo l’insegnamento di Anassagora, infatti, Origene ritiene che le stelle siano esseri animati, materiali e sommamente eterei, forniti di raziocinio. Gli astri sono così dotati di libero arbitrio, e vivono «illuminati dalla luce della conoscenza da quella saggezza che è il riflesso della luce eterna». Dio ha assegnato le stelle a tutti i popoli sotto il cielo, ma queste non hanno potestà sul popolo di Dio. Nei Commentari sulla Genesi Origene attacca duramente l’opinione che le stelle controllino la vita umana. Questo inganno è distruttivo della moralità, esautorando di ogni responsabilità l’uomo e svuotando di significato ogni preghiera a Dio. Attraverso le stelle si possono, tuttavia, predire molte cose, ed in special modo le comete sono foriere di guerre, disastri, cambiamenti epocali o eventi fausti, come dimostra il caso eclatante della stella dei magi.
Dal canto suo, Agostino (354-430), in gioventù adepto manicheo e sostenitore dell’astrologia, sentirà l’esigenza di sciogliere ogni dubbio sulla venuta della Stella dei Magi, la quale gettava in qualche modo l’ombra della predizione e del determinismo astrologico sull’evento stesso dell’incarnazione:

«… Noi non consideriamo (al contrario dei manichei) la nascita di un uomo soggetta alla fatale regola delle stelle, cosicché possiamo sciogliere da ogni vincolo della necessità la libera scelta della sua volontà, per mezzo della quale vive bene o male, per l’amore dell’equo giudizio di Dio. Quanto meno, allora, dobbiamo considerare la nascita dell’eterno Creatore e Signore di ogni cosa sottoposta all’influenza delle stelle! Così quella stella che videro i Magi, quando Cristo fu incarnato, non era certo una padrona che governava la sua nascita ma era un’ancella, muta testimone alla Sua venuta, che non poteva sottopolo al suo dominio ma, come serva, indicava la strada per giungere a Lui. Cosa ancor più importante, la stella non era una di quelle che avevano cominciato il loro corso regolare sotto la legge del Creatore ma, al momento della venuta, era apparsa una nuova stella nella costellazione della Vergine. Essa aveva un compito: precedere i Magi nella loro ricerca di Cristo; li condusse così al luogo in cui si trovava il neonato verbo di Dio… Pertanto Cristo non venne al mondo a causa dello splendore di una stella, ma fu la stella a brillare perché Cristo era nato. Se proprio dobbiamo parlare di essa, non dobbiamo dire che la stella segnò il destino di Cristo, ma che Cristo fu il destino di quella stella…» (20).

Già San Basilio (329-379) critica aspramente il determinismo astrologico, giudicandolo incompatibile con la dottrina cristiana. Dapprima, sotto la sferza del Padre della Chiesa, cadono però le pretese divinatorie e la dottrina dei Caldei, che Basilio non teme di satireggiare.

«… Ma coloro che oltrepassano i limiti, forzano la parola della scrittura per difendere l’arte genetliaca, e dicono che la nostra vita è strettamente legata al movimento dei cieli; e per questo negli astri si trovano, secondo i Caldei, le indicazioni delle cose che accadranno. E la parola semplice della scrittura: Che essi siano come segni, costoro la intendono non per le vicende atmosferiche né per i mutamenti stagionali, ma, come loro piace, per il compiersi della vita…
… Ma quali sono le influenze astrali? Il tale, si dice, avrà i capelli ricciuti e gli occhi azzurri, perché è nel segno dell’ariete e tali si presenta questo animale. Ma sarà anche magnanimo, per il fatto che l’ariete è un dominatore; generoso e anche provvido, perché quell’animale depone senza pena la lana e facilmente se ne riveste ancora per legge di natura. Chi è nato però sotto il segno del toro, dicono, sarà resistente alle fatiche e di animo servile; perché il toro vive aggiogato. Chi è nato nel segno dello scorpione sarà rissoso per la somiglianza con questa bestia…. Può esserci cosa più ridicola di tutto questo?…. Ma affermando che provengono di qua le principali cause che agiscono sulla vita umana, in che modo puoi stabilire i comportamenti degli uomini alla loro nascita, basandoti sugli animali terrestri? Colui che nasce sotto il segno dell’ariete sarà generoso non perché quella parte del cielo sia capace di produrre tale comportamento, ma perché tale è la natura di quell’animale. Perché allora confonderci ricorrendo all’autorità attribuita agli astri e cercare di persuaderci con i belati? Se il cielo possiede, ricevendole dagli animali, tali caratteristiche di comportamenti, anch’egli soggiace a dei principi estranei, perché le cause ricevute dipendono dagli animali. Se questa affermazione è ridicola, è molto più ridicolo darsi da fare delle credibilità da cose che non hanno fra loro alcun rapporto. Ma queste loro abilità sono come le tele dei ragni: quando va ad impigliarsi una zanzara o una mosca o un altro di questi insetti minuti, vi resta prigioniero; ma se un animale più forte vi si accosta, agevolmente le trapassa e rompe e distrugge l’esile tela….»

Poi, l’attenzione del santo cade sul peccato insito ad ogni forma di determinismo astrologico, e sul grave rischio morale che la divinazione genetliaca porta con sé:

«… Certo che in queste espressioni vi è molta stoltezza e più ancora empietà: Perché gli astri malefici trasferiscono in Colui che li ha creati la causa della loro malvagità. Se il male viene dalla loro natura, sarà il Creatore l’autore del male; se poi la loro malvagità è esercitata volontariamente, essi innanzi tutto sarebbero esseri forniti di volontà, capaci di impulsi liberi e indipendenti: ma oltrepassa la follia affermare tali cose degli esseri inanimati. Quanto poi sarebbe irrazionale che ad ognuno venga distribuito il male e il bene non secondo il merito ma che risulti benefico perché si trova in questa posizione, e divenga malefico perché sotto lo sguardo di un altro; e subito svanisce in lui la malvagità non appena si scosti per un poco dalla sua figura!…. Inoltre se le azioni malvagie e virtuose non hanno le loro cause dentro di noi, ma sono necessità derivanti dalla nascita, inutili sono i legislatori, che stabiliscono quel che si deve fare e quel che si deve fuggire, inutili sono anche i giudici, che premiano le virtù e castigano il vizio. Perché la colpa non sarebbe del ladro, né dell’omicida, al quale neppure volendo era possibile trattenere la mano, per l’ineluttabile necessità che lo spinge alle azioni …. Ma anche le grandi speranze dei cristiani svaniranno completamente, non meritando la giustizia alcun premio, né venendo punita la colpa, dal momento che nulla si compie liberamente dall’uomo…» (21).

L’idea che il determinismo astrologico sia inconciliabile con la dottrina del libero arbitrio, sarà compiutamente ribadita da Agostino, ad es. nel libro terzo delle Confessioni¸ quando ricorda le parole del Salvatore: «Eccoti guarito, ora, ma non ricadere nella colpa se non vuoi che ti capiti di peggio» (22). Dice Agostino, a questo proposito:

«Precetti salutari che l’astrologia tenta di distruggere quando insegna: – Inevitabile è la causa del peccato: essa ti viene dal cielo – oppure: – Codesto è dovuto all’influenza di Venere, o di Saturno, o di Marte – ; per liberare da ogni responsabilità l’uomo – impasto di carne, sangue e orgogliosa putredine – e per rigettarla sul creatore e ordinatore del cielo e degli astri. E chi è desso se non il nostro Iddio, soavità e sorgente della giustizia, che retribuisce ciascuno secondo il suo operato, che non dispregia un cuore contrito ed umiliato?» (23) .

Agostino, sostanzialmente, non nega affatto l’influenza degli astri sulle cose di quaggiù, anche se manifesta dubbi rilevanti sull’arte degli astrologi (24). La posizione di Agostino conserva per noi grande importanza poiché, in merito a questo tema, sarà tra le più autorevoli ed influenti per tutto il medioevo e il rinascimento.
Del resto, Tertulliano, due secoli prima, aveva precisato che l’astrologia «fu permessa solo fino al tempo del Vangelo. Dopo la venuta di Cristo, quindi, nessuno dovrebbe interpretare la nascita di chiunque partendo dai cieli. I Magi offrirono oro, incenso e mirra al Signore bambino, come a segnare il passaggio dei riti e delle glorie mondane, che Cristo era venuto a rimuovere» (25). Isidoro, vescovo di Siviglia dal 602 al 636, ancora secoli dopo riecheggerà la posizione di Tertulliano nelle sue Etymologiae:

«… Gli astrologi sono chiamati così perché fanno predizioni sulla base delle stelle… Essi sono comunemente chiamati mathematici… ma questi stessi interpreti delle stelle erano ancor prima chiamati magi, come quelli che nel Vangelo annunciarono la nascita di Cristo. In seguito furono conosciuti solo con l’altro nome, mathematici. La conoscenza di quell’arte fu permessa fino all’Incarnazione (usque ad evangelium fuit concessa), a condizione che, una volta che Cristo fosse venuto su questa terra, nessuno da allora in poi avrebbe interpretato la nascita di chiunque basandosi sulla lettura dei cieli…» (26).

Così, in qualche modo, la riprovazione per l’astrologia divinatoria sarà un connotato sempre più radicato negli scritti dei Padri della Chiesa, una riprovazione che associa l’astrologia alla magia, considerando entrambe portato diabolico, tentazione gravissima per il cristiano (27).
In effetti, si badi bene, raramente si troveranno negli scritti dei padri affermazioni che criticano l’essenza della scienza astrologica: se molti dubbi e perplessità si potranno sollevare sulla buona fede e sulla competenza reale degli astrologi, raramente sarà messa in dubbio la veridicità della scienza astrologica in quanto tale.
Tuttavia gli scritti di Filone d’Alessandria (ca 30 a. C.-50 d. C), e, più tardi, ad esempio, quelli di un Teodoreto di Cirro (di pochi decenni posteriori a quelli di Agostino), mostrano chiaramente quanto, al di là di ogni altra considerazione, l’essenza e la realtà dell’influsso dei pianeti sulla sfera sensibile, limitatamente a quanto non rientrava direttamente nella sfera del libero arbitrio, fosse sostanzialmente accettata, o almeno non contraddetta in ambito cristiano.
Ecco, ad esempio, la posizione di Teodoreto in merito al citato passo di Genesi 1, 14:

«La Scrittura li chiama segni, perché essi ci fanno conoscere i tempi propizi alle semine ed alle piantagioni, il momento opportuno per prendere medicine, per tagliare il legno destinato alla costruzione delle navi e delle case. I marinai sanno vedere, attraverso questi segni, quando gli conviene mettere in mare la loro barca, e quando gli conviene tirarla in secco a riva; essi sanno quando bisogna allargare le vele o imbrogliarle… Noi stessi, vedendo una cometa o una stella con la coda o un parelio, prevediamo ora una incursione di nemici, ora un’invasione di cavallette, o una grande moria di bestiame o di uomini….» (28).

Come nota Pierre Duhem, «Teodoreto, evidentemente, accorda all’astrologia tutto ciò che la fede non costringe strettamente a rifiutare» (29), manifestando così un atteggiamento meno rigido di Agostino.
In realtà, gli scritti teologici dei secoli successivi, in linea di massima, ammettono l’influenza degli astri e, in definitiva, nulla attaccano dell’impianto teorico dell’astrologia, sottoponendone la teoria dell’influenza sulla vita umana all’arbitrio divino ed a quello dell’uomo, liberati così da ogni fatalità astrale.
Pietro Abelardo (30) (1079-1142) è più che possibilista rispetto alla tradizione filosofica platonica che considera le stelle come creature vive, senzienti ed eterne, ed accetta senza riserve l’influenza degli astri sul mondo sublunare. Essi governano caldo ed freddo, umido e secco. Gli astrologi, attraverso la loro scienza possono predire molto sul destino e sul futuro delle cose della natura terrestre, specie in agricoltura e medicina. Mosè stesso, anzi, pare fosse assai abile nella egizia scienza degli astri. Tuttavia è necessario fare una distinzione: una cosa sono le naturalia, altra sono le contingentia: queste ultime, pur cadendo, naturalmente, nel mondo sublunare, sono quelle cose su cui esprimono una rilevante influenza la divina provvidenza, il caso o il libero arbitrio dell’uomo. Su queste cose la predizione astrologica è impossibile, tanto è vero che gli astrologi, che non hanno difficoltà a rilasciare pronostici sulle future azioni di terzi, non rilasciano alcun pronostico sulle tue future scelte, proprio per paura che, attraverso il libero arbitrio, tu possa contraddire il pronostico a bella posta. Pertanto ogni predizione astrologica avveratasi al riguardo di contingentia, non può avvenire che attraverso l’aiuto del diavolo.
Ugo di San Vittore (1096-1141), che distingue in modo quasi moderno l’astronomia dall’astrologia, identificando quest’ultima come la scienza che vuole determinare la morte e gli avvenimenti del futuro attraverso lo studio delle posizioni degli astri, considera la pratica astrologica in parte come attività scientifica, in parte come attività superstiziosa. Egli condivide, in pratica, il punto di vista di Abelardo: se è vero che le cose naturali – come il corpo umano – subiscono l’influenza degli astri, è superstizione pensare ad una loro influenza sugli eventi contingenti o sottoposti all’arbitrio della volontà umana.
Adelardo di Bath (1090 ca-1160 ca), agli inizi del secolo XII, ispirandosi a fonti arabe, ritiene che l’influenza delle stelle sia limitata solo ad alcuni fenomeni sublunari, come il tempo atmosferico, e, nell’uomo il carattere. Le stelle sono vive, immutabili ed eterne, come nella tradizione platonica, sono “animali superiori e divini”, ma, come animali, hanno bisogno di sostentarsi, di un loro cibo, simile a quello degli elementi terrestri ma più puro; esse, similmente agli uomini, hanno una loro volontà (31).
Anche per Guglielmo di Conches (ca. 1080-1145), il maestro della scuola di Chartres, le stelle sono vive al pari di animali, ed anche per Guglielmo la loro influenza si limita ai Naturalia, senza investire gli avvenimenti contingenti ed il libero arbitrio.
Non si consideri però la posizione che abbiamo visto in questi autori cristiani come l’unica reperibile al tempo
Per Bernardo Silvestre, ad esempio, le stelle sono eterne ed immortali, e, tra le altre cose, esse sono passionali come gli esseri umani. Tuttavia, per Bernardo, sembra che esse godano di una potestà in qualche modo più ampia e profonda sugli avvenimenti terrestri. Saxl nota il fondo fortemente pagano dell’ideologia astrologica di Bernardo (fondo che non impedì, del resto la più larga diffusione del suo De mundi Universitate nella cristiana Europa medievale) (32). Bernardo riferisce come Natura andasse, subito, in cerca dell’aiuto di Urania, la divinità delle sfere, poiché la creazione dell’uomo aveva bisogno, per prima cosa, delle stelle. Tutto era così ricondotto alle stelle: la saggezza degli antichi greci, la potenza di Roma, le fatiche d’Ercole, perfino la venuta di Cristo (33). Le stelle non solo sono piene della qualità divina di Dio, sono esse stesse “dei che servono Dio in persona”, o “dei che servono innanzi a Dio” (34). Data la loro vicinanza al Creatore, esse ricevono dalla Mente Suprema la rivelazione dei segreti ed egli avvenimenti del futuro, che loro stesse sono poi chiamate a realizzare nelle specie inferiori per inevitabile necessità.
È dunque evidente che la posizione che abbiamo visto espressa da parte della dottrina teologica cristiana si divide il campo con una pluralità di posizioni nella cultura del tempo. L’astrologia è un argomento controverso, con cui il teologo ed il filosofo si trovano, in questo tempo, ancora obbligati a dibattere in assenza di postulati comuni o almeno di una visione generale largamente condivisa.
In campo cristiano si giunge così alle formulazioni di un Guglielmo di Auxerre (1164-1231), il quale, nel pieno ed ortodosso rispetto del libero arbitrio e della suprema volontà divina, che crea e muove gli astri, arriva ad affermare che:

«… Come in uno specchio, gli angeli conoscono l’avvenire, così come, nelle stelle e negli astri erranti, gli uomini possono conoscere gli avvenimenti futuri. Un astronomo potrebbe essere così tanto perfetto, così compiutamente illuminato, da conoscere tutti gli avvenimenti futuri…» (35).

La realtà terrena è specchio fedele dei cieli, e l’unità cosmica che riecheggia le tematiche ermetizzanti di autori come Guglielmo di Conches:

«È manifesto che le cose di quaggiù, in quanto che dotate di vita vegetativa e di senso, vegetano e ricevono il senso secondo il corso della cose in alto. Coloro dunque che, da ciò che avviene a quelle, giudicano queste, giudicano con rettitudine, poiché giudicano degli effetti attraverso le cause…» (36).

Ed ancora, anche quando sminuisce la portata e l’importanza dell’arte oroscopale:

«… così gli astronomi dicono che si deve giudicare la complessione di un uomo attraverso il segno che è ascendente al momento della sua nascita…. Ciò può ben essere vero, e non è in opposizione con la verità. Ma questa azione del segno ascendente può essere impedita da circostanze fortuite pressoché infinite. È dunque curiosità inutile il voler troppo scrutare queste questioni ed accordare a queste previsioni una fiducia troppo grande…» (37).

Il francescano Alessandro di Ales (ca. 1175-1245), nella Summa theologica, si preoccupa di specificare la portata reale dell’influenza degli astri. Se è vero che egli accetta gli astri come causa degli avvenimenti terreni – ed in ciò appare in contraddizione con alcuni padri, e, specificamente, con Giovanni Damasceno, che è del chiaro parere che gli astri siano solo “signa” e non cause – egli vuole conciliare l’opinione dei “filosofi” con quella dei Padri. Giovanni Damasceno, dice Alessandro, intendeva, quando parlava di cause, considerare il concetto nella sua accezione assoluta e necessitante, mentre il concetto di causa cui fanno riferimento i filosofi quando parlano dell’influenza degli astri è chiaramente non necessitante né assoluto; un tipo di causa che produce, dunque, i suoi effetti con una certa frequenza, ma che non conserva alcun carattere di certezza ed obbligatorietà.
Gli astri influenzano l’uomo, ma solo in rapporto alle sue realtà inferiori: l’anima razionale resta libera. L’influenza astrale si trasmette alle diverse complessioni umane per il tramite dei cambiamenti imposti alle cose inanimate della sfera sublunare:

«I Filosofi trovano che gli astri indicano, in certi uomini, la collera, la follia o la disonestà. Ecco che bisogna rispondere: Le stelle determinano un certo cambiamento nell’aria e negli altri corpi; attraverso questi, essi producono anche un cambiamento nei nostri corpi; ma, grazie al libero arbitrio, l’anima ragionevole inclina a seguire il cambiamento che il corpo prova, e, da questo cambiamento, dunque, possono risultare, dal lato dell’anima, certe disposizioni; ma di queste disposizioni è l’anima che è la causa: ma non è una causa necessaria, quando si inclina nel senso delle impressioni e delle passioni provate dal corpo segue…» (38).

Per Alessandro, inoltre, gli avvenimenti sublunari non hanno solo cause celesti, ma anche cause inferiori, terrestri, contingenti. La predizione, in questa ottica, perde gran parte della sua affidabilità, l’astrologia stessa perde così ogni carattere necessitante, inchinandosi, almeno in parte, all’imprevedibile contingenza.
Alberto Magno (ca 1200-1280) anche crede che gli astri siano cause, e non solo segni. Tuttavia, come Alessandro, egli non crede che tali cause siano necessitanti ed assolute, poiché cause contingenti possono prendere il sopravvento, e le influenze astrali, in ogni caso, come insegnano i Padri, nulla possono nei confronti del libero arbitrio umano. È per questo – dice Alberto – che il Centiloquium di Tolomeo dice che «il sapiente domina gli astri». L’uomo saggio esercita il suo dominio comunicando ai corpi disposizioni contrarie a quelle prodotte dal movimento degli astri.

«La volontà dipende, in alto grado, dalla complessione dell’uomo; se, dunque, gli astri hanno potere sulla complessione dei corpi, è evidente che essi hanno pure potere sulla complessione dell’anima e sul libero arbitrio. L’azione degli astri sul libero arbitrio non si esercita dunque che – di conseguenza – in quanto che la complessione [del corpo] trascina ed inclina il libero arbitrio verso certi atti.
Pertanto se gli astrologi possono pronosticare avvenimenti futuri della vita di un uomo, bisogna ripetere con Sant’Agostino che queste conoscenze gli sono state comunicate dai demoni piuttosto che dai movimenti dei corpi superiori: possiamo dire tuttavia che nulla impedisce che la debolezza che deve affliggere lo sviluppo d’una certa vita venga temperata da forza e possa essere sostenuta dagli astri, o, al contrario, che possa trovare in essi un impedimento ulteriore. Altrettanto non si può dire del libero arbitrio, di modo che l’azione causale degli astri comincia col corpo e non raggiunge affatto l’anima se non per l’intermediazione dell’inclinazione che viene dal corpo. » (39).

Tuttavia si tratta di un’influenza non da poco, che nell’uomo è ben più forte che negli altri esseri viventi: «nella generazione dei bruti lo sperma non è alterato in accordo all’ora ed alle operazioni dei pianeti e dei segni come lo è nell’uomo» (40). Ciò avviene perché il corpo dell’uomo – che è in sé un microcosmo – è meno materiale e terrestre di quello dei bruti, ed è più simile a quello delle stelle, e, pertanto, risulta più sensibile alle influenze dei moti celesti.
Posizione non dissimile, nell’essenza, sarà quella di San Bonaventura (1218-1274) che recepisce pienamente l’idea dell’influenza degli astri sulla complessione umana, influenza contingente e comunque impotente di fronte al libero arbitrio.
San Tommaso d’Aquino (41) (1225-1274) porta invece un contributo rilevante al dibattito cristiano sull’astrologia: i corpi inferiori sono retti da Dio per mezzo dei corpi celesti, e le motivazioni addotte sono in parte tratte dalla tradizione neo-platonica, ma in parte più consistente dalla Fisica di Aristotele. Da Dionigi lo pseudo-Areopagita, Tommaso trae la convinzione che «le essenze celesti intellettuali emettono al principio in se stesse l’illuminazione ricevuta da Dio; poi esse ci trasmettono le manifestazioni che ci sono superiori». Ma Tommaso si interroga sulla modalità con cui tale trasmissione avviene; se Dio governa i corpi inferiori attraverso i corpi superiori, governa anche le creature corporali attraverso le creature razionali. Tra queste, le più vicine a Dio sono quelle più pure in essenza, che vivono e conoscono a rassomiglianza di Dio:

«…Così la divina Bontà conferisce loro non solo il potere di influire sugli altri esseri, ma anche il privilegio di conservare il modo stesso dell’influenza che Dio impiega, la potestà di influire in modo volontario e non per necessità di natura. Dio Governa dunque tutte le creature inferiori attraverso le creature spirituali e, nel medesimo tempo, attraverso le creature corporali più elevate in dignità…»
………………………………………….
Secondo l’avviso dei santi, dunque, bisogna ammettere che le cose corporali sono amministrate attraverso l’intermediazione degli angeli; tale ministero non si esercita che per mezzo del movimento; gli angeli muovono i corpi superiori, ed i movimenti di questi causano il movimento dei corpi inferiori» (42).

Dunque, ci sono due fasi attraverso cui la provvidenza divina governa il mondo sublunare: dapprima la sua influenza si trasmette agli angeli, poi, questi, muovono le sfere celesti che danno impulso al destino delle cose terrestri. Dio, tuttavia non è obbligato a rispettare questa trafila, che comunque rappresenta la norma: egli può, di sua volontà, influire direttamente, senza l’intermediazione di cause seconde, sulla realtà sublunare. Tuttavia la vita stessa, in tutti i suoi aspetti, è ordinariamente retta da questa catena di trasmissione attraverso cui la Volontà divina arriva agli uomini.

«Secondo l’ordine della natura, un fabbro non potrebbe dunque muovere le mani senza il ministero degli angeli che muovono i corpi celesti?… Se il movimento del cielo si arrestasse, nessun organo del corpo potrebbe più esser mosso dall’anima, perché il corpo non rimarrebbe vivo: in effetti, sono i corpi celesti che comunicano il movimento vitale ai corpi quaggiù… » (43).
«.. In effetti, che l’esistenza dei corpi misti sia conservata dal movimento dei corpi celesti, ecco cosa lo rende manifesto: essi sono generati o distrutti secondo un certo periodo del movimento celeste, a seconda dell’avvicinamento o allontanamento di certi corpi celesti. È dunque vero il dire che se il movimento del Cielo si arrestasse, non vi sarebbero più né fabbro né martello…» (44).

Sfuggono alle influenze stellari le operazioni intellettuali: opinare il contrario sarebbe un voler assimilare l’operazione intellettuale ad una qualunque operazione sensibile. Se l’intelligenza sfugge ai dettami astrologici, tanto più indipendente da ogni sorta di esterna influenza sarà dunque il libero arbitrio. La volontà risiede infatti nella parte intellettuale dell’anima, e dunque se «i corpi celesti non possono produrre direttamente alcuna impressione nella nostra intelligenza…. essi non potranno nulla imprimere nella nostra volontà».
A questo proposito, nota Duhem, San Tommaso esclude influenze dirette. I corpi celesti non possono imprimere la loro influenza direttamente nella nostra intelligenza e nelle nostre scelte, che non appartengono alle cose corporali. Tuttavia non sono escluse influenze indirette non meno rilevanti:

«Senza dubbio la nostra intelligenza Non è una facoltà corporale; ciò nonostante in noi, l’operazione dell’intelligenza non può compiersi senza la cooperazione di facoltà corporali come l’immaginazione, la memoria e l’attenzione… Se qualche indisposizione del corpo disturba l’opera di queste facoltà, l’operazione dell’intelligenza si trova impacciata; è ciò che si vede nelle persone affette da follia, da letargia o da altre cose simili. Per la stessa ragione la buona disposizione del corpo rende l’uomo atto alle opere dell’intelligenza, poiché le dette facoltà sono allora più vigorose…
Ora, la disposizione del corpo umano è sottomessa ai movimenti celesti… I corpi celesti cooperano dunque indirettamente, al buon funzionamento dell’intelligenza » (45).

Ecco dunque l’ombra degli astri profilarsi potente anche sull’uomo. Le inclinazioni astrali agiscono sulle parti sensibili dell’uomo,e, dunque, sono di primaria importanza per le inclinazioni naturali dell’individuo, che dal corpo traggono essenza e suggestione. La maggior parte degli uomini acconsente alle inclinazioni naturali provocate dagli influssi astrali. Tali influssi possono portare l’uomo a scelte positive o negative, a eventi fortunati o sfortunati Nel salvaguardare, come Agostino, il libero arbitrio dalla potenza degli astri, Tommaso si mostra disposto a concedere agli antichi dei luminosi, mossi dagli angeli cristiani, ben più di quanto gli aveva concesso il vescovo d’Ippona.

Dal nostro incompleto e sinteticissimo excursus nella letteratura cristiana antecedente a Ruysbroeck, si può agevolmente notare come l’idea dell’influenza astrale sulla complessione dell’individuo, che incontreremo a più riprese nei brani seguenti sia tutt’altro che inusitata o priva di precedenti. Si tratta, anzi, di un’idea perfettamente ortodossa e naturale per un cristiano del XIV secolo. Nulla, da quel che abbiamo visto porta, negli scritti dei Padri, a considerare negativamente la possibilità dell’influenza astrale sulla complessione umana. La complessione, in fondo, è carattere intimamente corporeo, e rientra dunque a pieno titolo in quel dominio sublunare che ben di rado, come abbiamo visto, la letteratura cristiana nega al dominio degli astri.
Sapiens dominabitur astra: il sapiente dominerà gli astri. La sapienza stessa, da un certo punto di vista, si identifica con la capacità del soggetto di trascendere la complessione individuale attraverso lo strumento del libero arbitrio, avvicinandosi al modello universale del Cristo. Gli astri, dunque, possono essere guide per conoscere la propria complessione, curare le proprie piaghe interiori. Spogliate di ogni valenza necessitante, di ogni possibilità di imperio sull’arbitrio umano, le stelle sono un aiuto prezioso nel percorso verso la purificazione dell’anima. L’astrologia, in questo modo, diviene anch’essa ancilla theologiae.
Ancora una parola sul primo dei frammenti che, di seguito, presentiamo al lettore, il brano delle Dodici vergini savie. Le vergini savie del passo di Matteo, come si noterà, da cinque divengono dodici, come gli apostoli, secondo un’iconografia che dovette esser diffusa nel medioevo (46). È superfluo, in questa sede, sottolineare come il cristianesimo erediti il valore cosmogonico e cosmologico del numero dodici, di chiare ascendenze astrologiche. Le dodici vergini associate alle virtù, del resto, sono già presenti nella simbologia manichea (47). È dunque una simbologia tradizionale antica e consolidata quella cui Ruysbroeck, anche in questo caso, attinge.

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NOTE:
(1) Le fonti della biografia di Ruysbroeck risalgono, essenzialmente, allo scritto biografico scritto verso il 1420 da un canonico di Groenendael, Hendrik Utenbogaerde, molto più conosciuto con il nome latinizzato di Henricus Pomerius († 1469). Come tutte le vitae tardomedievali, la biografia, che ha l’intento di esaltare la santità del protagonista, è ricca di spunti agiografici ed ha una struttura abbastanza stereotipata. Pomerius, che scrive quarant’anni dopo la morte di Ruysbroeck, attinse probabilmente a fonti orali ed materiali di confratelli più anziani, e, segnatamente, a materiali provenienti da Giovanni di Hoeilaert († 1421) e Giovanni di Schoonhoven († 1431). Quest’ultimo, a quanto deduciamo da fonti contemporanee, era autore di una Vita che, probabilmente, possiamo pensare basata sulla conoscenza e frequentazione diretta del Ruysbroeck. Tal vita è purtroppo dispersa, per cui il Pomerius rimane quale fonte principale. Altre fonti minori sono date dagli scritti di Giovanni di Leeuwen († 1378), che si unì, probabilmente illetterato, alla comunità di Groenendael nel 1344, con il ruolo di cuoco, e fu educato alla lettura ed alla scrittura dallo stesso Ruysbroeck, che fu pure suo confessore. Tra i numerosi scritti spirituali lasciati da Giovanni di Leeuwen figurano alcuni passi in cui il monaco si abbandoni a sentiti panegirici del suo confessore, maestro e priore. Altre testimonianze vengono da Geert Groote (1340-1384), fondatore di quel vasto movimento spirituale denominato Devotio Moderna, che tanto influenzò la spiritualità tra quattrocento e cinquecento, e la cui più compiuta espressione è forse il celebre capolavoro mistico De Imitatione Christi), che incontrò Ruysbreck a Groenendael e ne parla in più punti della sua corrispondenza. Altra testimonianza diretta ci proviene da Gerardo di Saintes, certosino che accolse Ruysbroeck nella certosa di Hérinnes intorno al 1360. A partire da queste fonti – ma, essenzialmente dal Pomerius – varie vitae si sono succedute nel corso dei secoli. Tra queste, quella seicentesca anteposta, a firma di un anonimo «amico di Cristo», all’edizione di Bruxelles (1624) dell’Ornement des noces spirituelles e che Mastelinus (Necrologium Monasterii Viridis Vallis, Bruxelles s.d. ma verso il 1630) attribuisce al Gabriel. Questa Vita, in tempi più recenti, è stata tradotta in francese da Lucien de Busscher (La Revue blanche¸1896, primo semestre, tomo 10, pag. 145 e sgg)
(2) Non ci dilungheremo, per ovvie questioni di spazio, in una, seppur sommaria, analisi del carattere e del contenuto delle singole opere di Ruysbroeck. Rimandiamo, il lettore interessato ad un primo più profondo contatto con la vita e le opere del padre della mistica fiamminga, all’agile e valido lavoro di Paul Verdeyen, Introduzione a Ruysbroeck, Nardini, Firenze 1991, ed alla relativa bibliografia. Verdeyen, nell’introdurre le singole opere dell’autore, non manca di interrogarsi sulle fonti della spiritualità ruysbroeckiana, che, pur essendo essenzialmente frutto di un’esperienza ascetica e mistica personalmente vissuta, non è immune da influenze provenienti, ad esempio, dagli scritti di Margherita Porete, Meister Eckhart e dalla poetessa fiamminga Hadewijch.
(3) Giovanni Hinckaert, già anziano e cagionevole, pur rimanendo anch’egli fino alla fine nell’eremo di Groenendael, preferì non prendere l’abito.
(4) Per una breve trattazione introduttiva a queste opere rimandiamo ancora una volta a Paul Verdeyen op. cit, pp. 51-59.
(5) Oltre alle opere citate esiste una raccolta di sette lettere pie con vari destinatari. Anche su questo si rimanda al lavoro di Verdeyen.
(6) Fofi, Federico – Vita e dottrine del beato Giovanni Rusbrochio, canonico regolare, detto il dottore divino ed ammirabile / don Federico Fofi; segue la traduzione dello Specchio dell’eterna salute, Roma: Desclee e C., 1909
(7) L’ornamento delle nozze spirituali di Giovanni Ruysbroeck, Carabba, Lanciano 1916. L’anno dopo si ha notizia di una versione dell’Ornamento delle nozze spirituali curata da Alessandro De Stefani ed edita dall’Istituto editoriale italiano; non abbiamo alcuna notizia su questa edizione, che non abbiamo potuto reperire. All’antologia del Giuliotti seguirà poi, a trenta anni di distanza, la prima traduzione italiana integrale (ma sempre dal francese, questa volta dell’edizione curata dai Benedettini di S. Paolo di Wisques) del capolavoro del mistico Fiammingo e di uno dei suoi più interessanti opuscoli ascetici: Giovanni Ruysbroek l’ammirabile, L’ornamento delle nozze spirituali e i Sette gradi dell’amore spirituale, a cura del P. Gustavo Cantini¸ Utet, Torino 1946. In tempi recenti, belle pagine, di intenso lirismo, sono state dedicate a Ruysbroeck da Divo Barsotti (Tre mistici e il loro linguaggio, La Locusta, Vicenza 1980).
(8) Rusbrock l’Admirable, Oeuvres choisies Traduit par Ernest Hello (Paris, Poussielgue, 1899)
(9)Ernest Hello (1828-1885), scrittore francese fervente cattolico, dai toni talvolta profetici e mistici accentuati, fu critico feroce dello scientismo materialista ed autore letterario di spessore, stimato da Léon Bloy e indubbio riferimento per l’ambiente simbolista. Gli si devono, tra le altre cose, la traduzione francese degli scritti di Angela Da Foligno e, appunto, la citata antologia degli scritti di Ruysbroeck.
(10) Giovanni Ruysbroeck (1293-1381) con prefazione introduzione e traduzione di Arnaldo Cervesato nella collezione “Pagine cristiane antiche e moderne”.
(11) Dalla versione francese delle Dodici beghine: De la vraie contemplation, traduction litterale du texte flamand-latine en français par l’auter de La vie et le vision de Sainte Hildegarde (R. Chamonal), 2 voll., Paris 1912. Si tratta dell’ultima opera di Ruysbroeck, curata probabilmente, come si è detto, nella sua veste definitiva, dal gruppo dei religiosi di Groenendael, quando il beato era già gravemente malato e ricoverato in infermeria (su questo cfr, Verdeyen, op. cit.. pp. 62-63).
(12) L’atteggiamento di scarsa attenzione, e di pura citazione delle teorie cosmologiche in voga, discende da una posizione che accomuna la maggioranza dei padri della chiesa, e che si può desumere principalmente dai numerosi commentari alla Genesi. Così, se una certa attenzione ed una relativa competenza appaiono in alcuni frammenti di Origene, dagli scritti di San Basilio (l’Exameron) e da quelli contemporanei di Gregorio di Nissa, di Sant’Ambrogio, di Giovanni Crisostomo, di Agostino, possiamo vedere come le sottigliezze della speculazione astronomica araba ed occidentale, rimangano essenzialmente ignorate o appena accennate. Vediamo cosa ne dice Pierre Duhem: «… I padri della chiesa non sembrano preoccuparsi per nulla della conoscenza minuziosa ed approfondita delle teorie relative agli elementi ed ai corpi celesti; la scienza che presuppongono in possesso dei loro lettori o fruitori, e di cui essi stessi sembrano accontentarsi, si compone di un piccolo numero di proposizioni semplici e generiche; tali proposizioni sono di quelle sfuggite al di fuori delle mura delle scuole, poco a poco, fra le discussioni dei dotti, e che si erano affermate nelle conversazioni degli istruiti, ma non certo dei sapienti… tali proposizioni avevano perduto, nella loro lunga circolazione, tutto il carattere troppo delicato e complicato della loro forma originale; moneta divenuta frusta per l’uso, che si accetta correntemente ma che lascia appena indovinare il disegno del conio da cui è stata tratta…» (Pierre Duhem, L’astronomie latine au moyen age, tome II de Le système du monde, pp. 395-396). Duhem, del resto, non manca di osservare che, a contribuire alla scarsa attenzione dei padri della chiesa per le sottigliezze astronomiche circolanti, contribuivano, da un lato, la contraddittorietà delle teorie delle scuole e dei teorici, dall’altro, il disprezzo verso la complicatezza di uno studio che era comunque orientato ad una conoscenza profana, che non aiutava di certo il cristiano sulla via della salvezza, e che, pertanto, era considerato poco utile. Come vedremo, una certa diffidenza verso l’approfondimento delle teorie cosmologiche, era dato anche dalle pratiche astrologiche ad esse connesse, da sempre considerate problematicamente negli scritti cristiani.
(13) De la vraye contemplation op. cit., vol. II, pag. 29.
(14) Una trattazione sintetica ma assai utile del rapporto dei Padri della Chiesa e dei teologi medievali con la scienza astrologica è quella contenuta nella citata opera di Pierre Duhem, vol. 2, cap. 1 (pp.393-420) e vol. 8, cap. XIII (pp. 347-442). Si veda anche la Storia dell’Astrologia di Jim Tester, trad. di Ottavio Olivieri, ECIG, Genova 1990, in particolare il cap. 5. Fondamentali anche le sintesi contenute nei primi due volumi di L. Thorndike, A history of magic and experimental science, Columbia university press, New York, 1958.
(15) Posizione espressa nell’Apologeticum e nel De idolatria, vedi Fritz Saxl, La fede negli astri, Boringhieri, Torino 1985, pag. 176. L’idea dell’astrologia come scienza degli angeli caduti, si basa sull’autorità del Libro di Enoc (II, VIII, 2, 3-4 e IX, 6-7), in cui gli angeli innamorati delle donne le possiedono, rivelando i segreti delle scienze e delle arti divinatorie e magiche: «…Amezarak istruì tutti gli incantatori e i tagliatori di radici. Armaros (insegnò) la soluzione degli incantesimi. Baraqal (istruì) gli astrologi. Kobabel (insegnò) i segni degli astri. Temel insegnò l’astrologia e Asradel insegnò il corso della luna. E, per la perdita degli uomini (gli uomini) gridarono e la loro voce giunse in cielo…» (da Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di Paolo Sacchi, Editori Associati, Firenze 1990, pp. 62-63); più oltre: «… Vedi allora quel che ha fatto Azazel, come egli ha insegnato tutte le pravità sulla terra ed ha reso manifesti i segreti del mondo che si compiono nei cieli…..» (Libro di Enoc, IX, 6-7, in Apocrifi cit.¸ pag. 64).
(16) Saxl, Op cit. , pag. 176. Saxl, che, con ogni evidenza, non valuta le fonti già utilizzate da Duhem e Thorndike, sottovaluta gravemente le pur evidenti tracce di critica astrologica presenti nei padri dei primi mille anni dell’era cristiana. Avendo assunto come vera la presunta assenza dell’astrologia nella cultura cristiana del primo millennio, nel considerare la diffusione di dottrine astrologiche nella teologia e nella cultura del dodicesimo secolo, egli, così, non può astenersi dall’affermare: «che cosa abbia reso gli uomini e le donne del dodicesimo secolo così ricettivi alle dottrine astrologiche rimane un enigma» (op. cit., pag. 183).
(17) Minor fortuna sembra aver riscosso, nell’ermeneutica cristiana di argomento astrologico, il passo dell’Apocalisse giovannea: «Poi un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle…» (Ap. 12, 1). Gli avversari dell’astrologia, tuttavia, potevano invocare il passo di Deuteronomio 4, 19, 20: «E quando tu alzerai gli occhi al cielo e vedrai lassù il sole, la luna, le stelle e tutti gli astri del firmamento, non ti lasciar sedurre al punto di prostrarti davanti a tali creature per adorarle; poiché il Signore, Iddio tuo, ha preso voi e vi ha tratto fuori dai durissimi trattamenti dell’Egitto, perché foste un popolo di sua speciale proprietà, come lo siete oggi».
(18) De Opificio Mundi cap. XIV. Abbiamo usato la traduzione di Clara Kraus Reggiani contenuta in Filone di Alessandria, La filosofia Mosaica – La creazione scondo Mosé – Le allegorie delle leggi a cura di Roberto Radice, Rusconi, Milano 1987, pag 57.
(19) Sulla posizione di Origene nei confronti dell’astrologia vedi Lynn Thorndike, A history of magic and experimental science, vol. I, pp. 456-458.
(20) Contra Faustum Manichaeum, II, 5, cit. in Tester, Storia dell’astrologia, cit, pp. 173-174.
(21) San Basilio, Sulla Genesi (Omelie sull’Esamerone), a cura di Mario Naldini, Mondadori, Milano 1990, Omelia 5, pp.179-191. Sulla posizione di Basilio, vedi, sinteticamente, Pierre Duhem, L’astronomie latine cit., pp. 405-406.
(22) Giovanni V, 14.
(23) Le Confessioni, trad. it. di Christine Mohrmann, BUR, Borgaro Torinese 1992, pp.167-168.
(24) Vedi sinteticamente la posizione di Agostino in Pierre Duhem, Op cit. pp. 454 e sgg.. I dubbi sistematici di Agostino in merito all’arte degli astrologi, che lo portano a confutare la possibilità reale del pronostico, portano il vescovo di Ippona addirittura alla conclusione che il gran numero di pronostici esatti prodotti dagli astrologi non possono che essere frutto di commerci con gli spiriti malvagi.
(25) De Idolatria, cap. IX. Cit. in Tester, op. cit., pag.174.
(26) Cit. in Tester, op. cit., pp.189-190.
(27) Nella visione cristiana l’astrologia era addirittura patrimonio, oltre che dei pagani, anche di sette ereticali: «Orosio, discepolo di Agostino, narra che essi credevano nel viaggio dell’anima attraverso le sfere e che questa era influenzata dal corso dei pianeti; credevano inoltre nell’attribuzione delle parti del corpo ai segni zodiacali, la melothesia» (Tester, op. cit., pag 175).
(28) Theodoreti, In loca difficilia Scripturae sacrae quaestiones selectae. In Genesi Interrogatio XV, cit in Pierre Duhem, Op. Cit. vol 2, pp. 406-407.
(29) Op. cit., vol 2, pag. 407.
(30) Su Abelardo e l’astrologia vedi Lynn Thorndike, History of magic and experimental science, vol. II, pp. 5-7.
(31) Saxl, Op.cit., pag. 182. vedi anche Thorndike, Op. cit. vol. 2, pp. 40-42.
(32) Anche Thorndike, (A history cit, vol 2, pag. 102) si sofferma sull’evidenza dell’indifferenza per la religione del De mundi universitate, in cui il platonismo è traccia assai più evidente della dottrina dei Padri della Chiesa. Del resto, Bernardo, per quel che ne sappiamo, non fu religioso né teologo.
(33) Saxl, idem pag. 183.
(34) Thorndike, op. cit., vol 2, pag 103.
(35) Summa Aurea, in Duhem, op. cit. vol. 8, pag. 348. Per Guglielmo, tuttavia, a causa della difficoltà della materia e della moltitudine di variabili in gioco, nessun astrologo è realmente infallibile, ed anzi gli astrologi sbagliano frequentemente. È un ammaestramento di Dio, che vuole condurre l’indovino verso l’umiltà e la coscienza della propria imperfezione.
(36) Idem.
(37) Idem pag. 349.
(38) Alessandro di Ales, Summa. Cit. in Duhem, op. cit., vol 8, pgg. 351-352.
(39) Alberti Magni, Op. Laud. artVI Utrum stellae habebant dominium super liberum arbitrium, cit. in Duhem op. cit. vol 8 pag. 354.
(40) Cit. in Thorndike, vol. 2, pag. 586.
(41) L’astrologia in Tommaso è oggetto di trattazione in Thorndike, op. cit., vol II, pp 608-615. Duhem ne tratta al vol. 8 del suo Le Systeme du monde, pp. 355-374. Sull’astrologia in Tommaso vedi comunque il magistrale, recentissimo contributo di Stefano Serafini, San Tommaso d’Aquino e le sentenze degli astri, in Atrium anno VII, n°2, pag. 54-88 e la relativa bibliografia.
(42) Sancti Thomae Aquinatis, Quaestio disputata de providentia cit. di Duhem, vol.8, p. 356-357.
(43) Sancti Thomae Aquinatis, Opusculum X, art. VIII, cit in Duhem, vol. 8 pag. 359.
(44) Sancti Thomae Aquinatis, Opusculum XI, art. VIII, cit in Duhem, vol. 8 pag. 359.
(45) Sancti Thomae Aquinatis, Op. Laud. lib. III cap. LXXXIV cit. in Duhem, vol 8 pag. 361.
(46) Vedi ad esempio la doppia raffigurazione delle dodici virtù e dei corrispondenti vizi sul portale della cattedrale di Amiens (cfr. Bulletin monumental 2e série, tome 1, vol. 11 pp. 430 e ss.). Le vergini savie e le stolte del passo di Matteo sono anche le protagoniste di una diffusa rappresentazione misterica medievale, in genere tramandata col titolo di Sponsus (cfr. ad es. l’edizione in La tribune de Saint Gervaise – bulletin mensuel de la Schola Cantorum, année 11, 1905, pag. 382 – 384).
(47) Nella complessa cosmogonia manichea il “terzo inviato” dal “Padre della Maestà”, il “dio del mondo della luce” (in genere assimilato a Narisah o Mitra), è il padre delle dodici “vergini della Luce” (Regalità, Saggezza, Vittoria, Persuasione, Purezza, Verità, Fede, Pazienza, Rettitudine, Bontà, Giustizia, Luce) corrispondenti ai dodici segni dello zodiaco (cfr. H. C. Puech, Gnosticismo e Manicheismo, Laterza, Bari 1988 pag. 201)