RICERCHE SULL’ULTIMO MAGO E SULL’ULTIMA SCUOLA DI MAGIA.


di Jean-Baptiste Millet-St-Pierre

Prima Parte


Estratto dalle Publications de la Societé d’Etudes Diverses, 1857-1858, pgg. 431- 484 (ripubblicato l’anno seguente in forma di estratto).

Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati, riproduzione e diffusione vietata per qualsiasi fine e con qualsiasi mezzo.

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Molto tempo fa, era nella mia giovinezza, notai in diversi ripiani di librario a Parigi alcuni libretti intitolati Le nouveau Etteilla, ou l’art de tirer les cartes o Le Petiti sorcier des familles ou l’interpretation des songes suivant Etteilla, ed altri del medesimo genere i cui esatti titoli non si sono conservati nella mia memoria, ma che si riferiscono allo stesso autore.
Pochi giorni dopo ero sulla piazza del Palazzo di Giustizia attendendo l’ora di un appuntamento per un affare giudiziario; mi divertivo ad osservare le destrezze di un giocoliere che non mancava di abilità. Quest’uomo terminò la seduta dichiarando al pubblico che non aveva attirato la folla attorno di sé per effettuare un giro di questua, ma col fine di render noto che egli poteva far conoscere a ciascuno gli avvenimenti del suo destino, e che egli avrebbe predetto le sorti al prezzo di dieci centesimi per il piccolo gioco, consistente in tre carte estratte a sorte, e di trenta centesimi per il gran gioco, per il quale egli avrebbe dato delle sedute presso il mercante di vino di fronte. «Abbiate fiducia, signori – diceva – perché io pratico secondo i veri principi, tali quali li hanno insegnati i tre più grandi geni dell’antichità: Trismegisto, Alberto Magno ed Etteilla».
L’anacronismo di questo imbonitore mi fece sorridere. Citare come contemporanei il Trismegisto ed Alberto Magno mi sembrava ridicolo, compatendo quest’ultimo per l’ostinazione della posterità a porlo tra i maghi, genere di merito per il quale quest’uomo, tanto sapiente che pio, non aveva mai manifestato la minima vocazione. Quanto ad Etteilla, il cui nome mi si presentava nuovamente come correlato a tutte le branche della divinazione, ero completamente ignorante sulla fase dell’antichità in cui, a detta del mio prestigiatore, avrebbe brillato questo mago.
Non tardai ciò nonostante ad essere istruito su questo punto incontrando, nel guazzabuglio di un bancarella antiquaria di libri, una piccola brochure scompagnata intitolata Fragment sur les hautes sciences, suivi d’une note sur les trois sortes de médecines données aux hommes, dont une mal-à-propos delaissée, par Etteilla, portante la data del 1785. Si trattava dunque di una celebrità abbastanza recente, ma di cui le memorie dell’epoca non parlavano. Non rimaneva che consultare le biografie.
Le percorsi inizialmente del tutto inutilmente; infine un semplice caso mi fece incrociare alla lettera A l’articolo che avevo invano cercato alla E, visto che il mio soggetto si chiamava in realtà Alliette, e che egli aveva giudicato utile capovolgere il suo patronimico. Questa fu del resto l’unica particolarità che mi fornirono i biografi, perché essi nulla sapevano e nulla dicevano, di conseguenza, su questo personaggio, se non l’affermazione di uno che si annunciò falsamente alla fine del secolo scorso la morte di Etteilla che invece, secondo certe testimonianze, morì all’inizio del nostro secolo; due asserzioni ugualmente erronee [1].
Due anni dopo, vedevo talvolta, alla tavola di un ospite comune, un vegliardo giovanile e gaio che aveva assistito pressoché a tutti gli avvenimenti della nostra storia moderna, e che ne raccontava gradevolissimamente e minuziosamente gli episodi visti dal piccolo angolo in cui egli si era trovato. Mi ricordo, tra le altre cose, che egli era stato nel novero di coloro che avevano portato Voltaire in trionfo dopo la terza rappresentazione di Irene. Egli ebbe anche l’onore di stringere la mano al grand’uomo. Parlammo un giorno di un cartomante assai in voga in quei giorni, chiamato Moreau, che viveva a rue de Planche-Mibraye. Si pretendeva che il suo poco decente domicilio dovesse fungere da ostacolo alle visite delle grandi dame. «Prendiamo Etteilla – ci disse questo pezzo di ancien régime – egli aveva aggirato questa difficoltà. Non si aveva che da inviargli, col prezzo fissato, le quattro indicazioni prescritte, per avere l’indomani un oroscopo di prima qualità».
«Ma come! – gridai – Avreste voi conosciuto Etteilla?»
«No – rispose egli – non l’ho mai visto, ma ho conosciuto molta gente che lo ha consultato di viva voce, ed anche di coloro che hanno seguito il suo corso di divinazione. I suoi auditori erano molto socievoli, e, convinti o meno che fossero, sembravano abbastanza soddisfatti di lui».
Così Alliette, o Etteilla, aveva occupato l’attenzione di un distinto pubblico; il suo nome professionale era citato come autorità ed io non riuscivo a sapere nulla di lui! Era una cosa da disperarsi! Sarebbe stato meglio non pensarci ed attendere le occasioni del caso. Ed io feci così.
Non ebbi da lamentarmi della mia pazienza. Durante i ventotto anni che sono trascorsi, il caso mi ha procurato, in effetti, in diverse circostanze che sarebbe troppo lungo descrivere, ora un oggetto, ora un altro. A chiusura del mio raccolto, ebbi la fortuna, durante un mio viaggio a Marsiglia, di collezionare non solo molte pubblicazioni di Etteilla o della sua scuola, ma titoli originali, lettere, manoscritti ed oroscopi di mano del mago stesso o di qualcuno dei suoi discepoli, così come un quaderno di appunti presi durante uno dei suoi corsi pubblici. Questi documenti erano stati trovati e messi da parte in un cartone, dopo il decesso, già avvenuto da tempo, di un uomo che avevo conosciuto bene. Si seppe solo allora che il defunto aveva fatto parte degli adepti del Libro di Thot, e che, avendo riconosciuto il suo errore a questo riguardo, si era guardato dal vantarsi di questa follia di giovinezza. Suo figlio, cedendo alle mie istanze, mi affidò queste curiose vestigia con la sola condizione di non far sapere il nome di colui che ne fu proprietario, per non consegnarne il nome alla derisione.
Posso dunque, rispettando questo voto di pietà filiale, estrarre da questi documenti e da quelli che già erano in mio possesso il resoconto esatto di tutto ciò che ha riguardato un uomo ed una scuola che, ai loro tempi, hanno fatto qualche sensazione, e sui quali si manca totalmente di notizie.


I.

È un periodo curioso per l’osservatore, quel diciottesimo secolo in cui ribollirono le idee riformatrici messe in opera, al suo declino, con un virulenza così deplorevole. Nelle epoche di transizione i cambiamenti, le trasformazioni che devono imporsi alla società sono sempre precedute da una sorta di anarchia nelle idee: il vacillamento morale annuncia, molto tempo prima, la scossa di fatto. È ciò che successe alla Repubblica Romana, e poi al tempo del Basso Impero; è lo spettacolo al quale assistiamo per la potenza ottomana, ed è ciò che, in maniera progressiva, è avvenuto in Francia a partire dalla Reggenza. Un specie di allucinazione si era impadronita degli spiriti. Sembrava che il mondo, avendo aperto gli occhi sugli abissi dell’avvenire, scorgendone gli aspetti terrorizzanti fosse stato preso da vertigine, e ciò nonostante nessuno volesse spingere il proprio sguardo così lontano. A lato di un pretenzioso gergo filosofico, si vedeva regnare un umore sprezzante e paradossale; la boria e la sensiblerie negli uni, la leggerezza e l’indifferenza superficiale negli altri, testimoniavano dell’assenza unanime di fiducia nella stabilità del terreno sociale. Questo stato di disagio e sfrenatezza doveva partorire i contrasti più imprevedibili.
In diritto internazionale, se l’opinione pubblica biasimasse la guerra come tradizione barbara, e plaudisse ai sogni dell’abate di St-Pierre, si vedrebbe una giovinezza ardente accorrere alle armi per prendere parte alla lotta contro una metropoli straniera e le sue colonie. Per uso voluttuario, le classi elevate adottarono il frac inglese in forma modesta, senza galloni né ricami quando, non trovando abbastanza lussuosa la livrea tradizionale, si dovettero avere valletti impennacchiati di piume preziose, con sciarpe frangiate e vestiti di seta riccamente ornati. In gerarchia sociale si proclamava l’inutilità dei titoli nobiliari, mentre l’intera borghesia ed anche certi artigiani vestiti a festa si ornavano di una spada per giocare a fare i gentiluomini; nel contempo le vendite dei titoli nobiliari, chiamati facetamente saponette dal popolo minuto, non avevano in nessun tempo conosciuto una diffusione così rapida. In letteratura si accoglieva con ardore l’introduzione di un dramma lacrimoso a rimpiazzare sulla scena francese il genere comico; ma l’alta società si affrettava ai piccoli teatri, per gli spettacoli precedentemente frequentati dalle sole classi basse, e si torceva dalle risate alla buffonate di Jeannot, Eustache Pointu e di Ma’me Angot. Infine, la fede religiosa si estingueva sotto l’attacco degli spiriti forti, ed era nel bel mezzo d’una popolazione che faceva mostra di incredulità che si vedevano brillare e fiorire i cabalisti, gli indovini ed i professori di scienze occulte. Alcuni, che non osavano vedere nelle pratiche del cristianesimo altro che bigotterie superstiziose, accordavano la propria ammirazione alle destrezze di Cagliostro; colui che pretendeva di non credere all’esistenza di Dio, prestava fede all’età trimillenaria del Conte di Saint-German; e questo pubblico, eminentemente scettico, affollava all’assedio il negozio d’oroscopi di Etteilla.
Si conosce il ruolo che giocò il primo, che si fregiava del titolo di Grande Cofto e pretendeva di dispensare la rigenerazione fisica attraverso al materia prima e la rigenerazione morale attraverso il pentacolo mistico che restituiva al genere umano l’innocenza primitiva (1). Si conoscono le favole mostruose diffuse dal secondo, ma l’ultimo, colui che chiude la lista degli audaci ciarlatani il cui successo ebbe eco eccezionale, offre l’enigmatica circostanza di una grande celebrità circondata dal più profondo oblio. Il suo nome è noto in Europa, ma la sua individualità si trova ad essere completamente sconosciuta, fenomeno la cui stranezza si aggiunge all’interesse naturale che presenta questo soggetto nella storia dei nostri costumi.

II.

Nel 1753 vegetava oscurissimamente, a Parigi, un uomo che dava lezioni di aritmetica, algebra e geometria. Si chiamava Alliette (2); che fosse mancanza di capacità, che fosse fatale sfortuna, i profitti del suo insegnamento erano assai limitati, ed egli ebbe l’idea di cercare un’altra fonte di reddito predicendo la fortuna con le carte; per l’esercizio di questa bizzarra professione egli assunse il nome di Etteilla, anagramma semplicissimo che consisteva nel mettere a rovescio il suo nome.
Se bisogna credere ad una notizia scritta dal discepolo che si è dato il titolo di suo successore, Etteilla, poco soddisfatto di ciò che aveva appresa da una cartomante, si sarebbe messo a ricercare l’arte della prescienza nello studio dell’antichità; avrebbe compiuto lunghi ed estenuanti viaggi per incontrare i pretesi indovini in ogni parte d’Europa ed avrebbe trovato nei suoi spostamenti più pericoli che lumi, cento impostori per ogni uomo veramente istruito. Ma lungi dallo scoraggiarsi, avrebbe continuato le sue ricerche coltivando le scienze volgari ad un grado che avrebbe potuto soddisfare la vanità di un sapiente (3).
Siamo personalmente ben lontani dallo sposare una tale versione. È possibile che Etteilla abbia viaggiato, benché, parlando dei suoi lavori e delle sue veglie in mille luoghi delle sue opere, egli insiste assai poco sulle sue peregrinazioni. Il suo stile è detestabile, faticoso, oscuro e costantemente scorretto, ed i suoi autografi brulicano di errori grossolani (4). Non conosceva le lingue morte; ciò era evidente ed egli lo ammetteva (5). Ciò nonostante egli non era del tutto ignorante ed aveva qualche conoscenza scientifica, abbastanza superficiale, tuttavia, ad eccezione della parte delle matematiche che insegnava. Si vede che la scienza dei numeri gli era familiare e che aveva per essa una grandissima attitudine, senza che questa disposizione fosse comunque spinta al livello straordinario che abbiamo visto nei Mondheux e nei Mangiameli [2]. Egli si era inoltre documentato sulle scoperte antiquarie sui popoli primitivi. In una parola, Etteilla si era reso conto che le sue piccole o grandi previsioni da cartomante non potevano portarlo che ad una clientela in cui le cameriere e le straccivendole erano la maggioranza, e fece dunque molti sforzi per allargare e migliorare la cerchia dei suoi clienti. Per molti anni egli si impegnò a supplire all’insufficienza della sua educazione originaria con degli studi che potessero dargli la fisionomia di un profondo Mago. Non solo egli si mise al corrente di tutto ciò che era stato scritto fino ad allora sulle pretese scienze occulte, ma raccolse anche qualche nozione delle vere scienze; e si atteggiò a filosofo Cabalista, praticando l’astrologia, l’alchimia, la chiromanzia e la cartonomanzia.
La parola cartonomanzia è un’invenzione del nostro eroe. Egli diceva che non aveva voluto chiamare quest’arte cartomanzia perché aveva voluto significare che i suoi geroglifici erano dipinti su delle carte in luogo d’essere, come in origine, incisi su lamine d’oro (6).
Sotto questa nuova veste Etteilla ebbe qualche successo, grazie ad un po’ di audacia, una grande destrezza e soprattutto ad una facondia da conversatore che gli era particolare. Mostrandosi grave ed abbastanza taciturno, gli avveniva di rado che completasse la frase che aveva cominciato; ora, questo modo d’essere, originato senza dubbio da difetto di mezzi d’eloquio, questa debolezza, in una parola, passava alla maggior parte degli occhi degli spettatori per prova di profondità (7). Ma egli stupiva facilmente allorquando abbordava la questione dei numeri per stabilire che non vi è alcun caso negli avvenimenti e che tutto segue una regola primordiale e costante, sostenendo una dottrina uguale a quella di Democrito ed Empedocle, discepoli di Pitagora, che vedevano nei numeri in principi delle cose. Etteilla eccelleva nei giochi matematici, nelle combinazioni di cifre. Leggendo le sue pubblicazioni si ritrovano sovente cose molto ingegnose a questo riguardo.
Sebbene non sapesse scrivere, difetto di cui egli conviene sovente, egli aveva fatto apparire, già nel 1753, l’Abregé de la Cartonomancie (8), che ebbe un successo di curiosità. All’incirca venti anni dopo, allorquando aveva più esperienza, egli rifece quest’opera sotto il titolo di Etteilla, ou la seule manière de tirer les cartes, pubblicazione il cui rapido esaurimento portò alla necessità di altre edizioni, e mise alla luce tre altri titoli: Le Zodiaque mystérieuxLettre sur l’Oracle du jour, e l’Homme à Projets.
Nondimeno il nostro Mago avrebbe avuto difficoltà a conquistare convenientemente un certo auditorio, senza un avvenimento letterario di cui egli seppe, con abilità poco comune, trar profitto.

III.

In quel periodo un pastore protestante della Linguadoca eccitava lo stupore dei suoi contemporanei facendo apparire un libro di grande erudizione alla cui apparizione D’Alembert, che era ciò nonostante uno spirito vasto e un lavoratore attivo, dichiarò che avrebbe abbisognato di almeno quaranta studiosi per essere composto. Il signor Court de Gebelin vi lavorò solo per undici anni, e lo pubblicò successivamente in nove volumi in 4°: Le Monde primitif analysé et comparé avec le Monde moderne etc… Questo libro, al cui merito non si è resa abbastanza giustizia benché sia stato oggetto di corone accademiche, ha fornito di ampia messe Dupuis, Volney e molti altri celebri antiquari che non si sono vantati di quanto gli avevano attinto. Nondimeno bisogna convenire che il genio così minuziosamente tecnico e didattico dell’autore non era esente da certi scarti dell’immaginazione. E si potrà annoverare in questo numero di stranezze quanto egli dice a proposito del gioco di carte denominato Tarocchi, di cui parla in questi termini:
«Se si sentisse annunciare che esiste ai nostri giorni, dopo 3757 anni, un’opera degli antichi Egizi, uno dei loro libri sfuggiti alle fiamme che divorarono le loro superbe biblioteche, un libro che contiene le loro dottrine più pure su oggetti interessanti, tutti sarebbero senza dubbio ansiosi di conoscere un tale libro, tanto prezioso e straordinario. Se si aggiungesse che questo libro è assai diffuso in una larga parte d’Europa, che dopo tanti secoli esso è nelle mani di tutti, la sorpresa sarebbe sempre più grande. Ma non arriverebbe al suo colmo se si sapesse che non si è mai sospettato che fosse egiziano, che lo si possiede senza esserne consapevoli, che nessuno ha mai cercato di decifrarne un sol foglio, che il frutto di una saggezza raffinata è guardato come un ammasso di figure stravaganti che, in sé, non significano nulla? Non si crederebbe ad uno scherzo, che ci si stia prendendo gioco della credulità del proprio pubblico? Ciò nonostante tutto ciò sarebbe verissimo; questo libro egiziano, solo resto delle loro superbe biblioteche, esiste ai nostri giorni; ed è anche così comune che nessuno studioso si degna di occuparsene…» (9).
Il gioco di Tarocchi di cui si parla è conosciuto, in effetti, da tutti; esso è in uso in Spagna, Italia e nel mezzogiorno della Francia. Si sa che si compone di 78 carte dove bastoni, spade, coppe e denari rimpiazzano i cuori, quadri fiori e picche delle carte ordinarie. Solo, ogni serie di colori nei tarocchi è formata da quattordici carte invece delle tredici delle ordinarie, perché le serie dei tarocchi offrono quattro figure invece di tre. Con re, dama e fante di spade, bastoni, coppe o denari, c’è anche un cavaliere rappresentato da un uomo a cavallo che regge uno di questi quattro attributi. Così le quattro serie di colori sono composte da 56 carte. Ma vi sono ancora altre carte isolate, carte che non appartengono né ai bastoni, né alle spade, né alle coppe e né ai denari; esse sono in numero di ventidue figure, ossia: il Folle, il Bagatto, il Papa, La Papessa, l’Imperatore, l’Imperatrice, l’Innamorato, il Carro, l’Eremita, la Ruota della Fortuna, la Morte, la Giustizia, la Forza, la Temperanza, l’Appeso, il Diavolo, la Torre, la Stella, la Luna, il Sole, il Giudizio universale, il Mondo.
Court de Gebelin non manca di spiegare che le denominazioni e le figure stesse sono state alterate al punto da essere irriconoscibili. Così, al posto delle tre virtù, egli ne trova quattro, essendosi cambiata la figura della Prudenza, rappresentata da una donna che tiene una serpe sotto i piedi, con l’immagine di un appeso a testa in giù, che evidentemente si era creduta di vedere guardando la figura originale capovolta. Lo studioso afferma anche che la figura denominata il Mondo rappresenta il Tempo, ed arriva così a nobilitare le figure bizzarre o triviali di questo gioco di carte.

«Le carte in numero di ventidue rappresentano in generale i capi temporali e spirituali dell’Agricoltura, le virtù cardinali, il matrimonio la morte, il Giudizio e la resurrezione o la creazione, i diversi giochi della fortuna, il saggio ed il folle, il tempo che tutto consuma etc.. Si comprende subito – continua Gebelin – che tutte queste tavole sono soprattutto tavole allegoriche relative all’insieme della vita e suscettibili di un’infinità di combinazioni».
Il paradosso dello studioso Court de Gebelin fu un colpo di fortuna per Etteilla. Non solo egli applaudì a questa rivelazione scientifica, ma andò molto più lontano. Secondo il nostro mago, quest’opera fu composta 171 anni dopo il Diluvio, l’anno 1828 della creazione; diciassette magi concorsero alla sua redazione, e vi impiegarono quattro anni. Un nipote di Mercurio Athosis, il quale era nipote di Cham e di conseguenza pronipote di Noé, un Mercurio Trismegisto o tre volte grande, concepì il piano del libro che si chiama di thot, vale a dire di tutte le cose, poiché racchiude la scienza e la saggezza. Esso fu scritto su lamine d’oro nel tempio del calore, a tre leghe da Memphis. È in caratteri geroglifici che bisogna apprendere a conoscere. Ora, i geroglifici egiziani non erano, propriamente, che numeri, ed i numeri erano quasi sempre il principio del discorso. E dunque lui, il prodigioso Etteilla, versato nelle scienze occulte, lui che dal 1757 aveva fatto la scoperta di ciò che Court de Gebelin aveva appena pubblicato, ma che la nascondeva con cura al volgo, dedicandosi tutto a profondi studi, lui era pervenuto a decifrare la lingua parlata da questo prezioso libro per mezzo del quale gli antichi maghi scoprivano tutti i segreti della natura; provvisto che Dio tutto ha regolato seguendo i principi di un giudizioso calcolo (10).
Etteilla si permetteva anche di rilanciare sullo studioso al riguardo della mutazione delle figure dei tarocchi e della loro sistemazione numerica. Così il Bagatto è un Mago, il Papa è un Giove che rappresenta il consultante ed era anticamente una luce; la Torre è una prigione (11), quanto agli attributi che rimpiazzano i colori delle carte normali, il professore di cartonomanzia ci dice che sono le coppe augurali, le verghe dei maghi, le spade della giustizia e le medaglie che servivano da piccoli dèi agli antichi Egiziani (12).
Ma Etteilla non si limitò a questo, e fece una sorta di edizione purgata del libro di Thot, in cui i vari soggetti sono rappresentati secondo il suo sistema. Abbiamo posseduto un esemplare di questa pubblicazione che è stata sfortunatamente persa in un trasloco, e noi non possediamo più che una stampa originariamente destinata a ricoprire l’astuccio di questo eccezionale gioco di carte. Egli lo vendeva a tre lire e tredici soldi (13), poi a sei lire (14).
Conviene dire qui che l’asserzione dell’aver conosciuto l’origine del gioco dei tarocchi prima di Gebelin, è evidentemente una menzogna, benché ripetuta molte volte e condita da diverse circostanze per dargli un carattere di verosimiglianza, laddove Etteilla afferma ad esempio che un sapiente piemontese chiamato Alexis lo aveva, dal 1757, messo sulle tracce di questo libro [4]. L’ammirazione di Etteilla per l’autore del Monde Primitif lo tradisce più volte, ed in modo particolare quando dichiara in una circolare a stampa, che lui stesso, così come molti altri, avevano creduto perduto questo tesoro fino al 1782, epoca in cui lo studioso Gebelin lo rese alla società (15).

IV.

L’impiego dei Tarocchi al posto delle carte ordinarie e gli attributi così antichi e mistici che gli furono dati, fecero crescere enormemente Etteilla nell’opinione pubblica. Non fu più considerato come un volgare indovino, ma come l’autore di un sistema che, benché respinto dalla maggior parte del mondo, aveva un lato interessante, non fosse che per la sua originalità.
Etteilla approfittò di questa vena favorevole e seppe estenderla. Non si limitò a fare oroscopi e vendere talismani, ma istituì dei corsi che ebbero difficoltà a decollare, ma che non tardarono poi ad essere abbastanza seguiti. Immensi manifesti annuncianti questo insegnamento d’un nuovo genere, coprirono le mura della capitale (16). Etteilla si lamenta sovente del che glieli si strappavano o insudiciavano. Dei burloni vi annotavano anche dei quodlibet. Ciò non ha nulla di sorprendente; ma la collera del mago a questo riguardo non era per questo minore, ed egli esprimeva il rimpianto che la legge non applicasse la pena di morte contro quelle persone, visto che si trattava di calunniatori anonimi (17). La pena di morte! Null’altro che questo!
Egli continuò più che mai a pubblicare delle brochures che, benché aventi ben poco merito tanto per contenuti che per forma, si vendettero molto bene e furono anche tradotte in molte lingue; perché, come annota giustamente un critico contemporaneo: «Se Etteilla fa intendere ciò che conosce, con l’aiuto della sua matita, del suo compasso, del suo regolo ed infine di qualche figura geometrica, in compenso al sua penna non lo serve altrettanto bene; alcun ordine, alcuna immaginazione per esprimere per esprimere le sue idee, nessuna grammatica; egli non mette insieme neanche quattro parole in ortografia» (18).
La sua opera principale apparve in diversi quaderni successivi sotto il titolo di Manière de se récréer avec le jeu de Cartes nommées Tarots. Questo titolo fu imposto all’editore dai censori reali. Etteilla se ne lamentò costantemente. Un’opera o è pericolosa o non lo è, diceva con ragione, se non lo è, è un’ingiustizia privarla del suo titolo; se lo è, si agisce in modo poco conveniente a lasciarla apparire sotto un altro titolo che ne aumenta, mascherandola, la pericolosità (19). Egli sosteneva che la sua opera non aveva per oggetto una futile ricreazione, ma che era un trattato di alte scienze, l’interpretazione del libro di Thot, e che il vero titolo era La Cartonomantie Egyptienne ou les Tarots (20).
Trovando che non vi è nulla di più rispettabile che la volontà di un autore al riguardo della sua opera, ci siamo conformati alla sua volontà nelle indicazioni che diamo su questa pubblicazione.
Lo spirito pubblico era allora preso dalle innovazioni, e questa prese il suo posto al fianco del vaccino, o piuttosto del suo precursore, l’inoculo, a fianco dei parafulmini, degli areostati e del magnetismo animale. Così come Cagliostro otteneva credito presso le più alte classi con degli apparati di fisica e fantasmagoria, Etteilla si procurava il successo nella classe, meglio illuminata e pertanto meno facile da imbrogliare, degli amatori del progresso, con l’aria di richiamare a sé degli uomini studiosi ed invocando la luce delle scienze. Come ho già detto, le sue maniere erano degne e riservate, era di parole oscure e sembrava temere di darsi troppo ai suoi interlocutori.

V.

A questo riguardo il nostro mago seguiva un po’ il genere di colui di cui si definiva discepolo, poiché si pretendeva allievo dello strano ciarlatano conosciuto come Conte di Saint Germain, colui che lasciava credere di avere un’età di 3250 anni e di aver invano consigliato a Gesù di Nazareth di diffidare dei Farisei; colui il cui domestico, interrogato su tutte queste cose meravigliose, rispondeva freddamente che non poteva garantirle perché era troppo giovane, non avendo ancora che seicento anni; colui che meritava la qualifica di più gran mistificatore dell’universo, poiché non si può chiamare furbo un uomo che talvolta prodigava in maniera abbastanza fastosa, ma che mai nulla trasse né ricevette da alcuno.
Egli aveva l’aria di non voler dire tutto ciò che lo riguardava, ma lo lasciava piuttosto indovinare, sembrando maldestramente tradirsi, impiegando pronomi personali nei suoi discorsi quando raccontava con minuziosi dettagli delle scene, degli avvenimenti dell’antichità più lontana, nei quali egli insinuava essere stato attore.
Etteilla si diceva «vero discepolo, da circa 20 anni, del Signor di Saint-Germain, il vero cabalista» (21). Egli gli rese omaggio attraverso la seguente invocazione: «Socio della rosa Croce, sapiente e saggio Saint-Germain, favorito dai quasi 65 lustri, che mi avete affidato la prima educazione di una delle vostre parenti, arrendetevi alla mia preghiera aiutandomi con i vostri saggi consigli a rischiarare sulle alte scienze i miei stimabili contemporanei». Egli spiegava, in una nota, che non bisognava confondere questa parente dell’illustre Saint-German, l’adepto, con una detta Saint-Germain a cui aveva dato lezioni di cartonomanzia nel 1759; costei divenne un’abile cartomante, benché per nulla iniziata alle scienze occulte, fu imprigionata per aver scoperto l’autore di un furto domestico e sposò un frate-chirurgo spretato della Charité (22).
Quando i giornali annunciarono la morte del Conte di Saint-Germain, Etteilla sostenne pubblicamente che era una falsa notizia e che si sarebbe visto il Conte a Parigi nel 1787 o 1788 (23).
Ciò nonostante, poiché egli mai aveva preteso, come quel misterioso personaggio, di avere un’età straordinaria, si poteva dire al cartonomante che non era certo poca la fatica di allevare la nipote del Conte di Saint-Germain per poi non ottenere, da quest’ultimo, quel dono prezioso della longevità che egli pur aveva accordato ad un semplice domestico.

VI.

L’attitudine di Etteilla era quella di un uomo molto fiero della scienza che si era acquisito, ma abbastanza modesto al riguardo della certezza delle conseguenze dei suoi lavori. Così, benché si annunciasse come in grado di scoprire le cose future, benché dicesse «Come professore pubblico debbo offrire più che delle probabilità, io offro prove della divinazione, io ne dò ogni giorno da trent’anni, grazie alla scienza che ho acquisito» (24). Egli diceva anche: «Tutte le volte che supporrete che un uomo che si dice indovino debba essere ispirato dal cielo o spinto avanti dall’inferno, non mettetemi in queste due classi. La prima mi appare troppo elevata, la seconda non è consona ai miei principi» (25). «Gli uomini, qualificandomi come mago, mi hanno fatto soffrire la loro pietosa adulazione» (26).
Infine, egli arriva a lamentarsi del fatto che lo si confonda, lui, filosofo di una scienza di cause ed effetti, con quelle vecchie donne che si chiamano indovine (27).
Ma vi è ancora di più. In un’avvertenza dell’editore della sua opera principale, si leggeva che l’autore aveva scartato tutte le spine dall’interpretazione del Libro di Thot (28).
Etteilla protesta. «Lettore, non credere a ciò, – egli grida – io ho rimosso molte spine, ed è una verità, come lo è anche che io ho aperto il libro allo sguardo; ma la lettura familiare di un’opera che racchiude l’universo intero, non può che essere il frutto di secoli e di uomini illuminati» (29).
Del resto le parole io non sono un indovino si trovano molto spesso nelle sue opere.
«Ciò che è tipico di una credulità ignorante – egli diceva in un corso – è di non dare dei giusti limiti alla propria fiducia. Essa è sempre estrema. Si crede più di quanto non permetta la scienza umana, e se ne è ingannati. Si crede meno di quanto la scienza umana consenta: si è ingannati ancora una volta» (30).
Fece anche quest’altra dichiarazione: «Io vedo tutte le scienza occulte nell’uomo riflessivo che ne è amante, precursore e professore, e che non gli attribuisce la potenza di abrogare l’ordine generale della saggia natura» (31).
Egli arriva nondimeno a far concordare la sua pretesa dell’arte della prescienza con questa modestia reale o simulata.
«Si vuole – egli dice – che non vi sia che Dio che sappia ciò che avverrà. Ciò è vero al riguardo di ciò che gli è piaciuto di serbare per sé; ma se nulla di ciò che deve avvenire potesse essere conosciuto dagli uomini, il frutto dell’esperienza, il giudizio ed i presentimenti segreti gli sarebbero stati negati… Nulla succede per destino, tutto è concatenato; non è sufficiente che conoscere più o meno perfettamente la trama di questa catena per essere più o meno indovini, e non occorre che consultarmi per essere persuasi che possono esistere degli indovini» (32). «non è come mago, come avete la follia di immaginare, che io divino, ma appoggiandomi sui movimenti generali, sui movimenti particolari, sul vostro movimento personale e su tutti quelli che vi toccano. È fissando il mio sguardo sulla causa che vi muove e l’effetto incontestabile che ne deve risultare, perché nulla è senza causa e senza il suo effetto.» (33).
Egli scrive anche: «noi abbiamo dato ad intendere che non vi sono indovini; ma, lettore, è per farvi comprendere che vi è una scienza dei segni naturali ed artificiali che sviluppa la catena degli avvenimenti della vita (34)… io dico che non vi sono indovini e che vi è una scienza da sviluppare che è velata. Mi si risponde: sapere ciò che non è saputo è divinare. Dico che ciò è un errore. Quando leggo una storia, non la divino» (35).
Infine, egli raccomandava ai suoi allievi di non far mai ingiustamente credere che essi operavano per ispirazione o per sortilegio, ma puramente con le regole di una scienza acquisita coi loro studi (36).

VII.

Un bel giorno il gran Mago scrive al Journal de Paris ed afferma, nel mezzo di molte divagazioni, come di consueto, che il suo Indicateur du chemin de la fortune può far vincere alla lotteria. Per fornire prova di questa asserzione egli cita che nel mese di marzo 1785 egli ha segnalato che i numeri 1, 51, 14, 59, 75, 60 e 30, secondo i principi dei primi Egizi, dovevano, nel gioco del caso, «legarsi amorosamente» e, siccome nei numeri usciti nella prima estrazione di novembre, si trovavano 1, 75, 60 e 30 che formavano una quaterna sui sette numeri forniti, egli si glorificava di questo successo e finiva per dichiarare che dopo 33 anni di studi magici egli era convinto di dover provare all’Europa, prima di morire, che la medicina universale così come la trasmutazione del rame in oro non erano semplici chimere per gli uomini sensati (37).
Avendo esaminato il passaggio segnalato per questa rivelazione, che, notate bene, non è nell’Indicateur, abbiamo trovato solo che, per esporre un esempio della maniera di cui bisogna servirsi di ciò che si chiama la ruota astrologica, il cabalista suppone che il Libro di Thot da una parte, e la data della consultazione dall’altra, provochino l’arrivo delle carte numerate 1, 51, 14, 59, 75, 60 e 30 – ed in seguito di quelle numerate 7, 19, 34, 45, 54, 32, 17. Ora, in questi quattordici numeri i primi sette sono proprio quelli di cui si parla nella lettera suddetta, quattro dei quali sono quelli usciti sulla ruota della lotteria in novembre; tuttavia nulla rivela che Etteilla abbia mai pensato di impiegare questi sette primi numeri per procurarsi una buona vincita al lotto, né che abbia scelto a tal fine l’estrazione di novembre. Infatti, nell’operazione magica data in esempio, egli comincia col mescolare i primi numeri ai secondi, il che si allontanerebbe dal presunto fine, per poi applicare le combinazioni di lame col fine di redigere un oroscopo a sé stesso; oroscopo che, tra le altre cose, non parla che del passato, e dunque facile a farsi (38). Non una parola, in tutto ciò, che si rapporti alla lotteria o a un probabile guadagno; e, se si considera che si incontrano in mille passaggi delle sue lezioni simili gruppi di numeri associati a carte, bisogna concludere che il nostro mago rileva molto abilmente, a suo vantaggio, una coincidenza fortuita che aveva portato alla vincita una quartina di numeri rinvenibile tra i numerosi settenari che costellano le sue opere.
Questa circostanza, di cui si inorgoglisce e che cita di sovente, avrebbe potuto far domandare ad Etteilla perché la cinquina, che all’epoca pur esisteva nella lotteria reale, non fosse uscita come la quaterna dal settenario considerato, e perché egli stesso non avesse fatto uso dei vantaggi della sua prescienza per arricchirsi tutto d’un colpo, invece di percepire dei compensi e di indicarne la quotazione nella maggior parte delle sue opere.

VIII.

Poiché siamo arrivati a questo argomento menzioniamo qui la tariffa cui era assoggettata la clientela dell’indovino. L’elevatezza dei prezzi dà la certezza che i consultanti dovevano essere di classe agiata.

«quando mi si vuol scrivere o parlarmi a viva voce di alte scienze, per il tempo che debbo dedicarvi a rispondere………………………………………………………………………………… 3 lire
Se si vogliono avere lezioni di saggia magia pratica……………………………..3 lire
Per l’oroscopo…………………………………………………………….. 50 lire
Per fare le carte……………………………………………………………. 24 lire
Per consultarmi dopo l’oroscopo o dopo aver fatto le carte………………………. 3 lire
Per darmi da risolvere qualche questione senza prima avermici fatto lavorare………….6 lire
Per avere il nome del proprio Genio, la sua natura, le sue qualità, al sua potenza in relazione
alla vita umana, per sapere di qual elemento esso sia, di qual regione sia obbligato ad aver
cura etc…………………………………………………………………………12 lire
Per spiegare un sogno……………………………………………………… 6 lire
Per farsi fare un talismano ed avere per iscritto le sue proprietà così come il suo Genio etc., da 8 fino a dieci luigi, a seconda delle proprietà che si desiderano e delle difficoltà del lavoro.
Per essere il medico dello spirito di una persona, vale a dire senza rimedi morali né fisici, condurla a pieno riposo, o, il che è uguale, essere il suo indovino perpetuo, ogni mese………….. 30 lire» (39).

Il suo corso pubblico di cartonomanzia nei suoi tre gradi era di sei lezioni, e, conformemente a questa tariffa di 3 lire per seduta, arrivava dunque a 18 lire. Ma se il professore andava al domicilio degli allievi, qualunque fosse il loro numero, ciascuna lezione pratica era di un luigi (40).
Per ottenere un oroscopo bisognava andare al suo domicilio o inviare quattro documenti che egli chiamava “le quattro colonne della saggezza e della scienza”, ossia:
1° l’anno, il mese ed il giorno di nascita – 2° la prima lettera di ciascun nome di battesimo ricevuto alla nascita – 3° il numero per il quale si provava attaccamento – 4° il colore preferito.
Ma poiché probabilmente il prezzo elevato di 50 franchi allontanava gli appassionati e l’oroscopo non dava abbastanza profitti, Etteilla trova il modo di modificare il suo prezzo senza cambiarlo ostensibilmente, cosa che avrebbe equivalso a smentirsi, dal momento che aveva costantemente dichiarato che le sue tariffe non erano cambiate dal 1757 e che non le avrebbe mai cambiate. Il nostro cabalista redige una lista di 205 domande applicabili a pressoché tutti i casi possibili e la fa poi stampare con l’annuncio che egli era pronto a dare delle soluzioni a tali domande dietro l’invio di 6 lire, accompagnate dalle quattro indicazioni personali e dai numeri delle domande sottoposte, nella quantità che il consultante desiderava (41).
Questa tariffa ed il titolo di Astro-philastres che Etteilla assumeva negli ultimi tempi (42) ci ricordano il volantino che distribuiva ad Havre, or sono una trentina d’anni, un uomo che si qualificava come Dominatmosphérisateur. Questo sventurato, la cui ragione era deviata, immaginava di avere il mezzo di far cambiare e dirigere il vento a suo piacimento, soffiando con tutta la forza dei suoi polmoni ed agitando una piccola bacchetta. Lo si vedeva spesso sul molo nord, al momento dell’uscita delle navi, dimenarsi attivamente per prestargli un generoso aiuto, e ciò nonostante i servizi che il suo bollettino stampato offriva erano ben lungi dall’essere gratuiti. Oltre al prezzo elevato al quale egli cercava di vendere i venti favorevoli, che nessuno, tuttavia, voleva mai comprare, egli aveva, come Etteilla, fissato le sue tariffe al tasso di 4 franchi e 50 centesimi. Ora quando si divertiva a far discutere sulla sua presunta abilità, egli non mancava al termine di reclamare il prezzo della seduta.


IX.

Ciò nonostante gli onorari assai elevati coi quali Etteilla tassava i suoi servizi, gli procurarono grandi profitti, perché queste alte tariffe non nuocevano affatto o nuocevano poco all’affluire dei consultanti. L’idea di non rendere la loro presenza necessaria e di contentarsi delle quattro colonne era assai furba. Si comprende come la gente volesse mantenere il segreto sulla debolezza cui soccombeva rendendosi tributaria del mago. Questi aveva anche degli allievi che non prendevano le loro lezioni che di nascosto. Egli ne parla biasimandoli ed assicurando che si traevano maggiori benefici dai corsi pubblici (43).
L’agiatezza conquistata divenne una delle argomentazioni in favore della sua dottrina. Egli affermava di non avere alcun motivo per dichiararsi contro la verità della divinazione come scienza: «Questo non sarebbe, per me, di alcun interesse; io sono conosciuto, seguito ed in più fortunato al di là dei miei veri bisogni; cosa potrei volere di più?». Egli pretende dunque di non voler che rendere giustizia ad una scienza utile agli uomini ed impedire che essa venga misconosciuta e screditata (44).
Quest’ultimo tratto somiglia indubbiamente molto a quello del venditore di elisir Tourquetin, molto conosciuto dagli habitué delle fiere della Normandia, il quale, vuotando un sacco di scudi in una ciotola e facendoli risuonare, gridava: «Ho forse bisogno del vostro denaro? Vedete bene che non ne manco! Il bene dell’umanità è il mio solo fine!». Malgrado ciò, si converrà che, in fatto di pubblicità, si sarebbe potuti essere più maldestri di questo cartomante.
Etteilla era dunque pervenuto a fare affari brillanti per mezzo delle sue abilità; ma non era sempre stato così, e la sfortuna lo aveva visitato. Pare che all’inizio non fosse del tutto felice nel suo matrimonio, poiché egli definisce sempre sua moglie una Santippe (45). Si vede anche che questa Santippe contribuì non solo a fargli perdere il suo patrimonio, ma anche «a farlo cadere in cattività per mezzo di infami macchinazioni», inoltre «la morte gli sottrasse dei bambini teneramente amati, ma la sua anima riprese energia nell’isolamento e lo studio» (46).
Il nostro mago ha dimenticato di dirci se era stato preparato a tutte queste sventure, percependo in anticipo, per mezzo della sua arte, che esse lo avrebbero assalito.

X.

Il suo periodo di prosperità eccitò invidia, o almeno emulazione. Il cabalista ebbe degli allievi che vollero anche loro guadagnare del denaro con gli stessi mezzi del loro maestro. Era abbastanza naturale. Ma abbiamo ragione di credere che il professore, tenendo ai suoi profitti, non vedeva questa concorrenza di buon occhio. Questi nuovi maghi non erano trattati caritatevolmente dal patriarca della corporazione. Egli dichiarava che, ad eccezione di Hisler e di Jélalel, tutti quelli che avevano ricevuto da lui qualche lezione e che avevano l’arditezza di dirsi indovini e cartomanti erano « dei malandrini e gente in cattiva fede» (47).
In una notizia in cui indica il prezzo del suo corso, di seguito ad un discorso d’apertura, affermando che la sua tariffa è conosciuta da 30 o 40 anni, aggiunge che si trovano queste stesse tariffe negli annunci di qualcuno dei suoi allievi, il che lo scandalizza molto. «Questi allievi hanno creduto – egli dice – che il prezzo dei nostri lavori fosse la tariffa generale per tutti quelli che si danno per maghi». Il suo virulento attacco diviene personale in una nota in cui si lamenta di un Monsieur Dodo, suo centounesimo allievo che, nel 1789, osava piazzare il suo nome al fianco di quello del maestro. Ecco ciò che ne dice Etteilla: «Fin dal 1787 mi fu raccomandato, e nel 1788, riuscii ad allontanare dal suo spirito i racconti della sua nutrice sui lupi mannari i folletti ed i maghi in generale, per attrezzarlo delle prime nozioni teoriche sulle alte scienze e sulla pratica di fare le carte» (48). Ecco il nostro Monsieur Dodo ben servito. Povero Dodo!
I due allievi oggetto di una onorevole eccezione, lo erano forse degni per merito, e non lo negheremo. Tuttavia noi supponiamo che il loro allontanamento avrà non poco contribuito all’indulgenza di cui erano oggetto da parte di un uomo così terribile al riguardo dei concorrenti. Hisler abitava a Berlino e Jélalel esercitava a Lione.
Il primo è l’inventore dell’alfabeto numerico che Etteilla qualifica come scoperta e per il quale egli non ha abbastanza elogi, come in un articolo in forma epistolare pubblicato nel 1772 in Lettre sur l’oracle du Jour, che comincia con queste parole: «Marchese, voi siete mio amico».
L’altro che si chiamava Hugand e che si fece chiamare Jélalel, senza dubbio per darsi un’aria orientale e per imitare il suo maestro, che aveva capovolto il proprio nome (49), fece stampare un orologio planetario, una specie di tavola per i rapporti tra i sette pianeti ed i numeri delle lame del Libro di Thot. Pubblicò, nel 1789, una brochure al contempo magica e politica intitolata Faties Mieux, j’y consens, ou les instructions d’Isis, con note e commentari della Societé des Interprètes du Livre de Thot. Società di cui riparleremo più oltre. Questo scritto, in cui si parla del pastore Ludovico, del suo gregge, dei suoi cani, fu, secondo le affermazioni del suo autore, dettato dal suo genio familiare; tuttavia dubitiamo che i lettori possano prendere questa produzione per opera di genio. Gli si deve ancora una Cartomancie ou l’art de développer la chaîne des événements de la vie; récréations astrologiques par le Livre de Thot, con questa epigrafe: «prima di giudicarmi imparate a conoscermi». È un semplice volantino stampato a Lione nel 1791. Infine, egli scrisse una notizia necrologica sul decesso di Etteilla.
Abbiamo visto come quest’ultimo avesse trovato il modo di essere consultato senza far spostare il cliente, grazie all’invio di quattro indicazioni. Hugand rese obbligatorio per il pubblico ciò che il suo maestro offriva in via facoltativa, e nascose la sua persona ai clienti.
«Per ragioni di scienza e di saggezza, H. Jélalel non volendo né conoscere né essere conosciuto da alcuno dei suoi consultanti, prega le persone che lo onoreranno della loro fiducia, di fargli pervenire i dati seguenti. Ed indica, per questo invio diretto il proprio indirizzo di Lione: M. Hugand, all’angolo della piazza nuova e di Rue St. Jean n° 51, così come l’indirizzo di una Madame Loire, quai et place St. Benoit n° 195 (50).
Hugand sembrava avere maggiori conoscenze astronomiche e chimiche del suo maestro, ed i suoi lavori inclinano sempre verso queste specialità. Etteilla non approvava sempre queste tendenze, poiché leggiamo in una lettera inedita ad un altro allievo: «Scrivetemi, tra voi e me, se M. Hugand si è un po’ portato dal lato del Libro di Thot e se egli ha comparato questo sublime Libro alla sfera. Ma se dovessi apprendere che egli non è occupato che dalla triturazioni, sarei assai imbarazzato, ed avrei allora da fargli dei rimproveri, meritati ma utili per lui stesso… Quanto all’Astrologia del Libro di Thot, è un apprezzamento di questo libro, ma non è la vera scienza che è la tavola della vita, l’arte della vita e gli elementi artificiali dell’arte della vita che vi consiglio di preferire all’astrologia di questo libro. E dico: di questo libro e non della vera astrologia naturale» (51).
Si vede che è l’inclinazione verso gli studi astronomici del suo discepolo che egli discute, non l’astrologia in sé, di cui, in qualità di mago, non poteva certo dire male. Al contrario, lo si vede esaltare senza cessa questa scienza occulta ed offrire in suo favore degli apoftegmi sullo stile dei seguenti:
«Il cielo è un libro di cui le stelle sono le lettere e le parole» (52).
«L’Astronomia e l’Astrologia sono due sorelle inseparabili di cui l’una è bella e ben fatta, l’altra grande e spirituale» (53).
«Appassionati di scienze occulte, qualunque ramo seguiate o vogliate seguire, cominciate con l’apprendere la scienza degli astri» (54).

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NOTE dell’autore:

(1) Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo, denominato il conte Cagliostro, etc. in Roma 1791, in 8°.
(2) Pétition proposée aux 83 départements, progetto n° 8. Jélalel, Nécrologie d’Etteilla.
(3) Jélalel, Nécrologie d’Etteilla.
(4) Vedi il fac-simile alla fine di questo lavoro.
(5) La Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots, che aveva come primo titolo, Manier de se récréer avec le jeu de cartes nommées Tarots.
(6) Le livre de Thot, volantino, prima nota.
(7) Autografo da corrispondenza privata.
(8) Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots, primo quaderno.
(9) Le Monde primitif, etc., di Court de Gebelin, vol. 8.
(10) Science – Leçons théorique et pratique du livre de ThotCartonomancie Egyptienne ou les Tarots, primo quaderno.
(11) Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots secondo quaderno o 6° libro. Supplemento al detto quaderno. Science – Leçons théorique et pratique etc.
(12) Science – Leçons théorique et pratique etc.. Cartonomancie ègyptienne supplemento al secondo quaderno.
(13) Eléments de metoscopie et de chiromancie – Note del volantino, alla fine.
(14) Cours du livre de Thot – Nota finale.
(15) Cartonomancie ègyptienne, Prefazione del 3° quaderno ed id. ultimo quaderno. Jélalel, Nécrologie d’Etteilla.
(16) Circulaire aux illustres membres de toutes les societés littèraires et philosophiques. Etc.
(17) Thory, Histoire du Grand Orient, pag. 28 dell’edizione del 1819.
(18) Prix des assurances totales ou partielles etc. projet n° 10.
(19) Aperçus d’un Rigoriste sur la cartonomancie et sur son auteur – Anonimo.
(20) Supplemento al 1° quaderno di quest’opera.
(21) Fragment sur les Hautes-sciences. Annuncio sul retro del titolo.
(22) Les sept nuances de l’oeuvre philosophique-hermétique.
(23) Epitre a M. Court de Gebelin.
(24) Aphorismes d’Etteilla, citati dal Rigorista.
(25) Aphorismes d’Etteilla, citati dal Rigorista.
(26) Epitre a M. Court de Gebelin. In nota.
(27) Ibidem.
(28) Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots. 1° quaderno.
(29) Supplemento al medesimo quaderno.
(30) Cours Thèorique et pratique du livre de Thot.
(31) Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots, primo quaderno.
(32) Fragment sur les Hautes-sciences.
(33) Epitre a M. Court de Gebelin.
(34) Aperçus sur la nouvelle Ecole de Magie.
(35) Suite de la nouvelle science. N° 12 dei progetti.
(36) Philosophie des hautes-sciences � maximes et préceptes.
(37) Les sept nuances de l’Oeuvre, note.
(38) Cartonomancie ègyptienne etc.. 4° quaderno.
(39) Les sept nuances de l’Oeuvre etc. ed altre opere.
(40) Aperçus sur la nouvelle Ecole de Magie établie à Paris.
(41) Science – Leçons théorique et pratique du livre de Thot.
(42) Philosophie des hautes-sciences, Titolo delle massime e precetti. Pétition à l’assembée nationale. Progetto n° 13.
(43) Aperçus sur la nouvelle Ecole de Magie.
(44) Fragment sur les Hautes-sciences.
(45) Philosophie des hautes-sciences � maximes et préceptes.
(46) Cartonomancie ègyptienne etc.. 4° quaderno.
(47) La nouvelle science – progetto n° 9.
(48) Aperçus sur la nouvelle Ecole de Magie.
(49) Philosophie des hautes-sciences.
(50) Lettere autografe diverse.
(51) Cartonomancie ou l’art de développer, etc., de Jélalel
(52) Autografo dell’8 giugno 1791.
(53) Cartonomancie ègyptienne ou les Tarots, decimo libro.
(54) Note manoscritte di un assistente ai corsi.

Note del traduttore:

[1] Qui e più innanzi Millet-Saint-Pierre si riferisce alla voce Alliette nella Biographie Nouvelle des contemporains ou Dictionnaire historique et raisonné de tous les hommes qui, depuis la révolution française, ont acquis de la célébrité, Paris, Librairie Historique, 1820. La voce Alliette si trova alle pp. 121-122.

[2] L’italiano Vito Mangiameli ebbe una vita singolare. Nato nel 1824 a Sortino, in Sicilia, proveniente da una famiglia di pastori, il giovane non aveva alcuna formazione scolastica ed esercitava, già da bambino, il mestiere di guardiano di pecore. Egli manifestava però un talento inesplicabile per il calcolo a mente, che lo rese presto popolarissimo in tutta la Sicilia. Grazie al prelato del suo paese, che era stato consultato per il sospetto che il giovane genio fosse posseduto, fu portato al cospetto della Reale Accademia di Palermo, i cui componenti rimasero stupefatti dalle capacità de ragazzo. Nel 1836 il giovane, a spese dei sortinesi, fu mandato a Parigi, dove fu esaminato dal celebre matematico Dominique François Arago (1786-1853), che propose senz’altro di farlo studiare alla Sorbona. Dopo il corso universitario Vito rimase come docente nell’università parigina. A quanto pare non chiarì mai i metodi di calcolo di cui faceva uso. Morì tuttavia nel 1854, giovanissimo, a soli trenta anni, nella capitale francese. La sua vicenda colpì notevolmente l’immaginazione dei contemporanei. Su Mangiameli, Mondeux, e, in generale, per una breve introduzione ai più famosi prodigi aritmetici si può consultare l’articolo di E. W. Scripture, Arithmetical prodigies in The American Journal of Psycology vol. 4, 1892, pp. 1 e sgg..

[3] Henri Mondheux, o Mondeux (1826-1862) era figlio di un taglialegna della zona di Tours, anch’egli, come Mangiameli, fin da bambino impiegato come pastore e privo di ogni istruzione scolastica. I suoi esperimenti di calcolo erano a quanto pare, inizialmente il frutto giochi eseguiti con ciottoli, essendo il ragazzo del tutto privo di istruzione aritmetica e non essendo in grado di riconoscere i numeri. Notato da un maestro di scuola delle sue zone, egli fu istruito nei rudimenti dell’aritmetica, confermando un talento fuori dal comune, che però non si rifletteva negli altri domini della conoscenza. Egli si rivelò infatti una mediocre capacità di ricordare e memorizzare i rudimenti dell’ortografia, mostrando un assoluto disinteresse ed un mancanza evidente di inclinazione verso tutto il rimanente dello scibile. Questi forti limiti impedirono al giovane di ricevere una formazione adeguata, necessaria a garantirgli la prosecuzione degli studi. Esaminato dall’Accademia delle Scienze di Parigi, nel cui comitato d’esame c’erano Arago e Cauchy, il giovane mostrò capacità di calcolo e logiche di enorme valore. I suoi metodi di calcolo furono trovati originali ed efficaci, e tuttavia il comitato non mancò di constatare i limiti delle sue capacità nell’approccio di qualunque altro campo della conoscenza. Il Mondeux, dunque, dopo una parabola di grande notorietà, rientrò presto nell’ombra, e morì pressoché sconosciuto ed ignorato da tutti.

[4] Difficile non ricollegare questo piemontese di nome Alexis con Alessio Piemontese, il nom de plume utilizzato dal poligrafo italiano Girolamo Ruscelli (Viterbo 1500 circa\Venezia 1566) per il suo celebre De secreti di Donno Alessio Piemontese, uscito nel 1554 a Venezia, che ebbe decine di ristampe in italiano, latino, ed fu tradotto e più volte ristampato nelle principali lingue europee. Les Secrets du seigneur Alexis Piémontois, l’edizione francese stampata per la prima volta nel 1559, ebbe, tra XVI e XVIII secolo, almeno una dozzina di edizioni, divenendo di eccezionale popolarità.

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