Pagina on-Line dal 07/04/2012

 

 

Nathan Albineus
CARMEN AUREUM

Nathan Albineus è in realtà la latinizzazione del nome di Nathan Aubigné de la Fosse (1601- ca 1669). Le poche notizie biografiche che si hanno su questo autore sono per lo più desumibili dal Dictionnaire historique de la médecine ancienne et moderne N. F. J. Eloy (Mons, chez H. Soyois, 1778, tome premier, pp. 215-216), e da pochissime note correttive desumibili dal corto articolo in Eugène et Émile Haag, La France protestante ou vies des protestants français qui se sont fait un nom dans l’histoire (Cherbuliez, Paris, 1846). Sia il secondo volume della Biographie universelle del Michaud (Paris, 1843) che il Biographical Dictionary of the society for the diffusion of useful knowedge (London, 1844) non fanno che riprendere le notizie di Eloy.
Figlio naturale del grande poeta e scrittore protestante Théodore Agrippa d’Aubigné (1552.1630), e di Jacqueline Chayer, nacque il 16 gennaio 1601 a Nancray, vicino Pluviers en Gâtinois (nella valle della Loira). Segue suo padre a Ginevra  il 1° settembre 1620, ed il 15 luglio 1621 sposa Claire Pelissari, laureandosi solo successivamente in medicina a Fribourg-en-Brisgau, il 2 maggio 1626. Da questa data esercita a Ginevra la professione di medico, ed il 20 marzo 1627 la città gli conferisce gratuitamente l’onore della cittadinanza, «… in considerazione della sua promessa di servire lo Stato in ogni occasione come matematico, fortificatore e medico» (cfr. l’introduzione di Gilbert Chinard a La vie américaine de Guillaume Merle d’Aubigné – extraits de son journal de voyage et de sa correspondance inédite (1809-1917), [Droz, Paris 1935]). Divenuto vedovo l’11 settembre 1631, si sposa in seconde nozze il 23 maggio 1632 con Anne Crespin, figlia del Consigliere Samuel Crespin, dalla quale avrà quattro figli. Il 18 gennaio 1658 fu nominato membro del Consiglio dei Duecento, il parlamento legislativo della città di Ginevra. Le sue tracce si perdono intorno al 1669, e non sappiamo né fino a che anno egli abbia esercitato la sua professione di medico, né quando sia morto. Gilbert Chinard (op. cit.) cita però, senza dare altri particolari, un suo atto di morte in cui il medico e alchimista sarebbe definito come il “Nobile e rispettabile Nathan d’Aubigné, dottore, medico e matematico, astrologo, grande geometra”.

Il Carmen Aureum appare per la prima volta in una raccolta curata dallo stesso Aubigné de la Fosse, la Bibliotheca chemica contracta ex delectu & emendatione Nathanis Albinei... (8°, Genevæ: Johannes Ant. & Samuel de Tournes 1653) insieme alla Tabula Smaragdina ed ai testi del d’Espagnet, ai trattati del Sendivogio ed alla Crysopeia ed al Vellus Aureus di Augurelli. Il libro conobbe un’altra edizione (8° Coloniæ Allobrogum: Johannis Ant. et Samuel de Tournes 1673 ). Il testo venne poi incluso nel secondo volume della Bibliotheca Chemica Curiosa del Manget (Chouet, Geneva, 1702. 2 vol.).

Traiamo il testo seguente, pubblicato così com’è, senza nessuna nota critica o introduzione, con la relativa traduzione a firma di P. Clemente, dalla rivista ermetica Commentarium per le accademie ermetiche (S.P.H.C.I.) diretta da Giuliano Kremmerz (n°2-3, anno II, Febbraio-Marzo 1911).

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

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Nathanis Albinei doctoris medici

CARMEN AURUM AD JANUM CUSINUM

Iane Cusine, tibi decrevimus omnia paucis
Naturae atque artis mysteria, carmine amico
Scribere ludentes; et de nocte profunda
Ereptum in mediam solis perducere lucem.
Ergo age, et intentis animis ad singula, prudens
Abstrusos planis e sensibus erue sensus.
Principio mundi regionem implebat inanem
Torpeus massa, expers motus, formae atque caloris:
Quam late patet expansis toto orbe tenebris.
Unde creatoris nutu onnipotente supremum
Limpida lux sortita locum, rutili area coeli,
Undosum pelagus, terraeque gravissima moles
Exiliere: chao in mundo se vertere jusso.
Tum juge a reliquis terra impraegnata elementis,
Subque superque solo, vario discrimine rerum
Innumeras species nostros produxit in usus.
Hic plumbeum nigricans, et stanni stridula vena,
Lunarique nitens argentum albedine: ferrum
Hinc durum, cuprumque rubens, cognata metalla,
Denique et hinc aurum duxit primordia fulgens.
Namque ûda quodcumque almae telluris in alvo
Concipitur corpus, sancto de semine lucis
Exiit, et medio tenuis de spermate coeli,
Incostantis aquae foecunda in menstrua fusis:
In primis specie atque gradu distincta metalla,
Quorum princeps est aurum, finisque supremus.
Deficit hoc illi, penetratis vertice claustris (1)
Quod sese in superas vegetans non proferat auras,
Sed sterile in latebris aeternum  torpeat imis:
Ni manus artificis crassa de mole solutum,
Docta ministerio suavi, vegetale metallum,
De gradibus mediis, nec dum auri nomine dignis,
Sublimet ditesque sibi foecundet in usus

CARME AUREO A GIANO CUSINO
del dottor medico Natano Albineo

O Giano Cusino, mi son proposto, per svago, scrivere, in un breve ed amichevole carme tutt’i misteri della natura e dell’arte, e, traendoti fuori dalla profonda notte, condurti alla luce meridiana del Sole.
Orsù dunque con l’animo ad ogni singola cosa intento, prudentemente ricava dai facili gli astrusi concetti.
Riempiva nel principio il vuoto spazio del mondo torpida massa, priva di moto, di forma e di calore; e da per ogni dove, si tutto l’orbe incombevano tenebre profonde. 
Di qui, all’onnipotente cenno del Creatore, balzaron fuori la limpida luce, che sortì il posto supremo, il risplendente spazio del cielo, l’ondoso mare e la pesantissima mole della terra; così fu al caos imposto di trasformarsi in mondo,
Allora, senza interruzione, la terra, impregnata di tutti gli altri elementi, sopra e sotto il suolo,  produsse pei nostri usi innumerevoli specie di cose, variamente differenti tra loro.
Di qui il nereggiante piombo e l’argento nitido di lunare bianchezza: di qui il duro ferro, il rosseggiante rame, i metalli affini, e di qui finalmente il fulgido oro trasse sue origini.
Dappoiché qualunque corpo venga concepito nell’umido seno dell’alma terra, esce dal santo seme della luce  e dal mezzo dello sperma del rarefatto cielo, fusi nei fecondi mestrui della mobile acqua.
Primieramente i metalli furono distinti per specie e per grado, e tra essi l’oro è il più importante ed il fine supremo. Difetta solo in questo, che, nelle miniere, non si mostra riproducentesi a fior di terra, ma eternamente sterile intorpidisce nei profondi recessi, fino a che la mano dell’artefice, esperta nell’opera soave, depuratolo dalla materia densa, non estragga il metallo vegetale dagli strati intermedi, sino allora non degni del nome di oro, e non lo renda di per sé fecondo nei ricchi usi.
Ora è d’uopo che tu sappia che natura sottomette tutto l’orbe a quelle leggi, secondo le quali essa stessa fu creata: sicché i primordi delle cose restano nascosti  nelle tenebre e giacciono in grave torpore immersi, prima che qualunque di esse incominci ad essere nel mondo reale.
Sappi eziandio che gli elementi sono sottoposti all’arte, non dovendosi altre cose generare, se non quelle che natura nella creazione inserì nei feti; e che non si acquista la libertà di metterne fuori altre, se prima non sarà avvenuta la putrefazione del primo composto.
Ricorda poscia che ogni cosa dopo morte rinasce di gran lunga migliore;  da se stessi distaccatisi i principi e purificatisi, ritornando di nuovo in se stessi più nobilmente, non vi sono che gli animi costanti e le enti sagaci, cui, con continuo e forte tenor di studio, è concesso penetrar gli arcani recessi dell’occulto vero che si diano a quest’opera: la quale per lungo tempo, intrapresa con umile principio, per varie vicende e fatiche si conduce infine alla massima perfezione.
Imperocché tutto quello che madre natura fa nascere, fa anche crescere con certa e costante legge di tempo.
Dal momento che il seme fu racchiuso nel grembo materno, non vedi che son richiesti sette o nove mesi, dopo i quali solamente nasce vitale il bambino? Non vi è, a parer mio, esempio più adatto di questo ora citato.
Che nessuno, inoltre, s’immischi dell’arte nostra, senza prima essere stato edotto dall’esperienza a quali gradi a poco a poco  si producano la luce ed il calore: donde di pari passo segue la produzione durante gli anni.
Dopo che dunque da uno avrai fatto tre, acciocché da tre tu possa formare nuovamente l’uno, imita la natura nell’atto che crea, e per simili gradi applica il calore che vi hai posto  sotto, fino a che, con fine accorgimento, non avrai ravvisata la serie dei colori che infine si riducono ai colori fissi del bianco e del rosso.
Questo è più che sufficiente; perché non rivelare ancora il segreto dei pesi? I principi sono tre, ed i metalli sette nel soggetto nostro: primo si innalza lo spirito sublime, che poscia attira l’anima del corpo fisso e con ali leggiere la trasporta per gli spazi: e dei tre sono solamente due, ed uno e dieci: dai quali emergono in ordin lungo sette fratelli.
Dunque non appena, con studio costante e lungo uso, avrai appreso i movimenti e le leggi della maestra natura non frapporre alcun indugio, sottometti ai lavori dell’arte la forza del non sperimentato fuoco, miniera del ricchissimo oro, nella quale sia insita integra la scintilla della vita latente, e che, più copiosamente che ristretta cavità, i celesti doni avrà messi fuori. Di qui lo zolfo vivo, risplendente di lucida chiarezza sotto gli auspici di Saturno e con sagace arte, estrai; e nitido nel lucente mercurio immergilo, e questo composto in terso cristallo riponi.
Indi sottoporrai questo a fuoco lento dall’esterno, man mano che il languente fuoco interno lo richiederà; il quale anzitutto esige di esser tenuto caldo con un altro fuoco simile, e come ingrandisce abbisogna di esca sempre maggiore; vedrai d’un  tratto, meraviglioso a dirsi, nel caos primitivo ritornar nuovamente ogni cosa e nelle tenebre silenziose, e farsi oscura notte.
Tu non perderti d’animo; poiché dopo le tenebre la splendida luce riunirà le parti dappertutto disperse, e richiamerà a nuova origine il mondo riordinato.
Allora anche l’angusta terra, fatta più pura, accoglierà nelle sue visceri la celeste rugiada per crear le miniere senza impurità; nelle quali non l’argento cresca, ma i semi dell’argento, ed invece di oro l’aurifera terra produca gli aurei germi.
Pur nondimeno non è questa la fine delle operazioni, non questa la meta delle fatiche, poiché se tenterai, con la polvere di proiezione, trasformare in argento ovvero in oro gl’impuri metalli, avrai come suol avvenire, delusa tutta l’opera in vana speranza.
Dunque anzitutto abbi cura di riunire le pietre coi metalli fissi, per mezzo dei mercuri; acciò riscaldando insieme quei tre in u sol composto a fuoco continuo, tu riesca ad ottenere finalmente i frutti desiati.
O dolci frutti posti alla vetta del monte; ai quali conduce per andirivieni labirintei, un sentiero raramente battuto!
Il monte è altissimo, con sassi dirupati da ogni lato: la sua radice nell’occulto si inabissa nel tenebroso Tartaro, la vetta trionfa alla gloria del sole, in mezzo splende la luna dalle argentee corna.
Questi sono i colori che ogni cosa dominano nell’arte, e, quasi guidandolo per mano, conducono l’artefice d’una in altra, nello stesso ordine percorrendo qualunque opera d’arte.
Se tutto ciò non basta, aggiungi ciò che meglio brami: prendi infine quelle cose che, nascoste nel verde smeraldo, molto tempo fa, a tradursi dai tardi nepoti, pose Ermete Trismegisto, interprete dell’arcana sofia. Benché tu osservi che il corpo pesante giace nell’imo fondo, mentre i gas leggieri vagano per l’immenso vuoto, derivano nondimeno a questi e quello dall’Uno; nondimeno tutto è per natura uno, qualunque sia e per quanto anche si mova in luogo differente.
Non diversamente avviene di quanto appare da per ogni dove nel cielo, e di quanto sotto il cielo giace sulla terra o nel mare:  tutto fu da unica massa per divina potenza generato. Questa cosa unica ebbe per genitori il sole e la luna, fu portata nell’utero dall’aria, fu allevata dalla terra; e se, con costante lavoro dell’artefice, è trasformata in terra, prosperando per virtù perfetta, compie miracoli.
Decomponi il composto della natura, e, con grande acume, a poco a poco disgiungi gli elementi in mirabil modo congiunti. Sale con ali leggiere nell’alto, e frattanto attinge alte forze dal cielo: indi ricade al suolo e retrocede nell’immenso vuoto, e frattanto attinge la basse forze dalla terra.
Di qui ha sua origine la gloria che sovra tutto eccelle; che scaccia i morbi vaganti in tutto il corpo, la dura povertà e la fallace ignoranza delle cose.
Sta sano, o Giano, e fa lieto viso al mio carme, nella quale si nasconde l’aurea arte, adombrata da leggieri veli. Certo a chi è veramente vigile è destinato quell’aureo anello, mollemente turgido pel verdeggiante incastonato smeraldo, che la scorsa notte, illuso dalla grata imagine del sogno presago, sognasti ti venisse donato. 

ENIGMA DI NATANO ALBINEO

Bambino ebbi nel sacro battesimo il nome, che espresso con tre lettere greche la cui prima è Nu la seconda Aλφα e la terza θ, fornisce tre segni ed altrettanti arcani dei sapienti; poiché anzitutto nelle prime, che sembrano essere deficienti, ti basta l’equipotenza ovvero supplisce la proporzione: Se hai dubbi, queste nozioni geometriche te le insegneranno i libri primo e sesto della sintassi del veridico Euclide. Che anzi quel nome gentile, che deriva dal prenome, , segna la stessa arte con numero maggiore; poiché se uno precede ventiquattro, e ne succede un altro, la cosa diventa più preziosa dell’oro, dove tre luci, all’artefice pratico di cabala e di magia, mostrano i movimenti ed i passi della natura.

         N. A. θ Ecco la soluzione