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Il parlare di ieri, o Esculapio, fu fatto a tuo nome, onde che giusto è dire quello d’oggi a nome di Tazio. Et questo intanto mi pare più degna cosa in quanto questa presente disputazione debbe essere una certa somma che inchiuderà tutte le cose allui da noi già antedette.
Dio e il Padre e il bene, o Tazio, hanno una medesima natura, e ancora un medesimo atto. Et quella certo è nominanza d’augumento e di diminuzione, la quale s’adopera circa le cose mutabili e immutabili, cioè umane e divine, ciascuna cosa delle quali egli vuole essere. Ma altrove, l’operazione delle cose divine e humane (sì come in altri luoghi abbiamo dimostrato) le quali certo è necessario intenderle in questo: l’atto suo è volontà, la sua essenzia è volere, tutte le cose avere esistenzia sotto di lui. Et che è egli Dio e il Padre e il bene, se non esso essere delle cose che ancora non sono? Et che altro ancora se non essa esistenzia delle cose mentre che elle sono? Questo è Dio, questo Padre, questo bene al quale niuna altra cosa di tutte è congiunta, imperò che il Mondo e il Sole è Padre secondo participazione delle cose che sono. Ma egli non è cagione di vita e di bontà a’ viventi. Et se questo è così esso è contenuto e mosso dalla volontà del Bene, sanza la quale non può mai essere né esser fatto.
Il Padre è cagione de’ figliuoli, così della procreazione come del nutrimento, pigliando l’appetito del Bene per il Sole imperò che il Bene è operativo, e questo non può essere conveniente ad altri che a lui, il quale, conciò sia che nulla riceva, vuole che tutte le cose sieno. Io non dico, o Tazio, che egli faccia tutte le cose, imperò che colui che fa per qualche longo tempo ha mancamento e bisogno, et se fa alcuna volta e alcuna volta cessa di fare ha parimente bisogno di quantità e di qualità, disponendo talvolta le cose che hanno qualità e quantità e altra volta cose a quelle contrarie. Ma i Dio e il Padre, e il Bene, per tanto che esso è il tutto, è adunque tale a quello che questo può intendere, imperò che egli vuole questo essere e è a esso e principalmente esso, imperciò che per esso tutte l’altre cose sono.
Certo la proprietà del bene, o Tazio, è fare noto se stesso, e questo, o Tazio, è il Bene.
TAZIO – O padre tu ci hai fatto partecipi d’una bella e buona visione, onde l’occhio della mia mente, per così fatta visione, è già quasi purgato.
TRISMEGISTO – Ma lo sguardamento di esso Bene, per troppo splendore, non corrompe e non abbaglia gli occhi sì come il razzo del sole, ma illumina e accresce tanto più la luce dell’occhio quanto più alcuno può ricevere lo influsso dello intelligibile splendore. La divina luce è più veloce e più acuta a penetrare, e oltre a questo che riempie ciascuna cosa di immortalità, sanza essere offesa. Et coloro i quali più abbondantemente possono attignere questo splendore, s’addormentano e spesso dal corpo si sollevano a uno sguardare bellissimo, sì come Cielo e Saturno nostri progenitori.
TAZIO –  Voglia Dio, o padre, che ancora noi ci solleviamo.
TRISMEGISTO – Così piaccia a Dio, o figliuolo, ma noi siamo ancora troppo debili a sguardarlo; ma allora potremo alzare gli occhi-della mente e vedere la incorruttibile e incomprensibile bellezza del Bene, quando di quello al tutto nulla parleremo. La cognizione di quello è divino silentio, e una intensa applicazione di tutti i sensi. Chi questo intende null’altro può pensare, chi questo ragguarda null’altro fuor d’esso può ragguardare, chi questo ode, nulla dopo esso può udire, né ancora muovere i membri del suo corpo. Et sciolto certamente da tutti i sensi del corpo sanza vacillazione adopera, imperò che colui il quale intorno da ogni parte illustra tutta la mente, ancora illumina tutta l’anima, tutta l’astrae dal corpo, tutta, finalmente, la transfigura nella essenzia. Imperò che impossibile è, o figliuolo, che l’anima dello huomo, che giace nella feccia del corpo, possa assumere la divina forma et non è eziandio lecito ragguardare la bellezza di Dio se non a colui il quale avanti sarà riformato in Dio.
TAZIO – Or in che modo dì tu questo, o padre?
TRISMEGISTO – O figliuolo, il distributore d’ogni anima.
TAZIO – Ma in che modo dì tu che distribuiscono un’altra volta le mutazioni?
TRISMEGISTO – Or non hai tu udito in queste cose che generalmente abbiamo dette, che da una anima di tutto il mondo derivano tutte l’anime, concorrendo intorno come distribuite per tutto il mondo? Et certo di queste anime sono molte mutazioni, parte che si mutano in cosa migliore e più felice, e parte in contrario, imperò che l’anime de’ serpenti si tramutano in quelle de gli animali dell’acque, trapassano in quelle degl’animali della terra, e quelle degli animali terreni salgono in quelle degli uccelli, e quelle dell’aria si rivoltano ne gli huomini, e dipoi le immortali anime degli huomini trapassano negli Angeli, et finalmente rivolano nel coro delli Dei. Et i cori di Dio sono due: l’uno adopera e l’altro contempla, et questa è la supprema gloria dell’anima. Ma l’anima caduta nel corpo umano, se certo essa persevererà ne’ mali, non gusta alcuna cosa d’immortalità, e ancora non fruisce il Bene, ma, rivolto il cammino, ruina in giù nelli animali terreni. Et questo giudicamento certamente è pena alla mala anima. Et la pravità dell’anima è la ignoranzia. L’anima che non ha scienzia della natura delle cose né del Bene, privata de gli occhi, s’avviluppa nelle passioni del corpo, e corrotta per l’usanza del malo Demonio, non conoscendo se medesima, serve alli vili corpi e alle cose brutte e fuori di natura, et attorno porta il suo corpo come molesto peso non presidente al corpo, ma da quello per sua negligenzia soggiogata. Ma per contra, la virtù dell’anima è la cognizione, imperò che colui il quale è veramente erudito, è buono, pio, divino.
TAZIO – Et chi è questi, o padre?
TRISMEGISTO – Colui il quale non parla né ode molte cose; et chi sta intento a due parlari, o vero se si debbono dire o udire, combatte nelle tenebre, imperò che Dio e il Padre e il Bene non si pronunzia con lingua né si può percipere con gli orecchi. Conciò sia adunque che queste cose così sieno in tutte quelle che sono, per tanto che da quello non possono essere divise, sono i sensi.  Ma intra la cognizione e il senso è molta differenzia, imperò che il senso è del soprastante movimento, e la cognizione è termine di scienzia, et la scienzia è dono di Dio. Et certo ciascuna scienzia usa la mente come strumento e la mente il corpo, per la qual cosa l’una e l’altra ricorre ne’ corpi così intelligibili come ancora materiali, imperò che egli è necessario ogni cosa esser fatta per opposizione e contrarietà, né altrimenti è possibile che sia.
TAZIO – O è egli adunque materiale questo i Dio?
TRISMEGISTO – No, ma il Mondo, certamente bello ma non buono, imperò che egli è fatto di materia e sottoposto alle passioni, e è il primo delle cose che patiscono, ma il secondo delle cose che sono; et oltre a questo, che di sua natura ha mancamento, che fu fatto qualche volta sempre esistente, et che consiste nella generazione e è generato, e è materiale semenza di tutte le qualità e quantità, imperò che egli è mobile e ogni mutazione materiale si debbe chiamare generazione. Et a questo modo eziandio lo stato intelligibile commuove il materiale movimento, imperò che il Mondo si è spera, cioè capo, né sopra il capo è cosa alcuna materiale, sì come sotto i piedi non è alcuna cosa intelliggibile, ma sì tutte le cose materiali. Ma la Mente è capo nel commosso cerchio, cioè movimento secondo la natura del capo. Tutte le cose adunque che sono congiunte alla pelle di quel capo, la quale certamente è anima, sono nate immortali, quasi il corpo sia constituito nell’anima, e quelle cose che hanno anima sieno piene di corpo. Ma tutto quello che è di longi dalla pelle nella quale sono, quelle che più participano all’anima, è corpo, ma il tutto è animale. Adunque tutto il Mondo è composto di certa cosa intelligibile e materiale. Il Mondo è primo animale e l’huomo secondo animale dopo il Mondo, ma il primo di tutti gli animali. Et tutto il dono dell’anima, che è conceduto agli altri, ancora esso huomo lo possiede, né solamente non buono, ma eziandio cattivo, e come mortale estimato. Ma il mondo non buono, perché egli è mobile, non dimeno non cattivo, perché egli è immortale; ma l’huomo, e si perché egli è mobile e eziandio mortale, è giudicato essere cattivo.
L’anima dell’huomo in questo modo è condotta: la mente nella ragione, la ragione nell’anima, l’anima nello spirito, lo spirito nel corpo. Lo spirito sparso per le vene e le arterie e per il sangue, muove d’ogni parte l’animale, e sostiene e porta attorno sospesa la grandezza del corpo. Onde alcuni, ingannati, stimarono lo umore del sangue essere anima. Certo a costoro fu occulto che bisogna in prima che lo spirito trascorra in fino all’anima, e che dipoi il sangue insieme cresca e essere disteso per le vote vene e arterie, e finalmente risolversi l’animale, e questa essere la morte del corpo. Ma da uno principio dipendono tutte le cose, il principio da uno e solo dipende, e certamente il principio si muove acciò che di nuovo sia principio; non dimeno esso è sempre uno, né da unità si diparte. Adunque tre cose sono queste, Dio, Padre buono, e il Mondo, e l’huomo. Dio ha il Mondo e il Mondo ha l’huomo. Il Mondo è figliuolo di Dio, e l’huomo genitura del Mondo. Ma Dio conosce l’huomo e ha cura di lui, e da lui vuole esser conosciuto, et l’unica salute dell’huomo è questa, cioè conoscere Dio, e questa è la via a salire al cielo; per questo uno è solamente buona l’anima, et certo non qualche volta buona e altra volta malvagia, ma secondo necessità.
TAZIO – In che modo dì tu questo, o Trismegisto?
TRISMEGISTO – Io dico questo: l’anima del fanciullo contemplare sé medesima, non uscita, per cagione del corpo, ancora di sua natura, imperò che il corpo non è ancora in tutto perfetto, e ragguardare se medesima da ogni parte bella, imperò che eziandio allora, dipendendo da l’anima di tutto il Mondo, non è ancora corrotta dalle passioni del corpo. Ma quando il corpo è perfetto disperge e riduce l’anima nella sua gravezza, e allora quella è sottoposta alla dimenticanza e è privata della visione de la bellezza e della bontà. Et essa dimenticanza è malvagità. Et quel medesimo accade a quelli che escono del corpo, imperò che ricorrendo l’anima in se medesima, lo spirito si ritrae nel sangue e l’anima nello spirito, et la mente libera da’ velami, essendo divina per sua natura, sortita un corpo di fuoco, va intorniando tutti i luoghi e per giusto giudizio e con degno supplizio abbandona l’anima.
TAZIO – In che modo dì tu questo, o padre?
TRISMEGISTO –  La Mente di certo da l’anima, e l’anima dallo spirito è separata. Et vestimento della mente è l’anima, et il vestimento dell’anima è lo spirito. E bisogna o figliuolo, che l’uditore intenda e accordisi insieme con colui che dice avere più acuto l’udire che non è la voce di colui che parla. Il rivolgimento di questi vestimenti, o figliuolo, si fa nel corpo terreno, imperò che certo egli è impossibile che la mente, ignuda in quanto a sé, possa stare nella gravezza terrena, imperò che la terrena feccia non è possente a ricevere tanto divina Mente, né sostenere tanto divina maiestà conformata al patibile corpo. Assume adunque la Mente l’anima come vestimento, et ancora l’anima, essendo divina, usa il conducimento dello spirito, et lo spirito discorre per tutto l’animale. Et pertanto la Mente, quando prima si discioglie dal corpo terreno, subito entra nel proprio vestimento, cioè in corpo di fuoco, dal quale certamente mentre che ella è tutta coperta, non può rientrare in corpo terreno, imperò che la terra non sostiene il fuoco perché tutta da piccola favilla è arsa. Per la qual cagione il frigido umore è sparso intorno alla grandezza della terra quasi come certa difesa da l’arsione del fuoco, il quale, conciò sia che e’ sia molto più acuto e veloce di tutti gli altri divini concetti, comprende li corpi di ciascuno elemento, imperò che esso artefice de’ cieli, usa principalmente il fuoco a la sua fabbrica, e il fattore del tutto usa quelle cose che sono circa la terra. Imperò che la mente de l’huomo, privata di fuoco e solamente idonea a la umana sposizione, non può edificare le cose divine. Certamente l’anima umana, non ogn’una, ma la pietosa, è beata e divina, ma da poi che questa così fatta anima è libera da la carcere del corpo, quando sarà passata per ogni esercitazione di virtù e di pietà, o ella diventa Mente, o veramente Dio. Et l’esercitazione della religiosa pietà è questa: riconoscere Dio e non ingiuriare alcuno. Ma la anima impia rimane nella propia natura, e molto se medesima tormenta, cerca corpo nel quale entri, terreno e umano, perché certamente altro corpo che umano non è capace d’anima umana, né è lecito la anima razionale cadere in corpo d’animale che manchi di ragione, imperò che la legge divina vieta tanto scelerata tralignanza.
TAZIO – In che modo, adunque, o Padre, è tormentata l’anima de l’huomo?
TRISMEGISTO –  La impietà, o figliuol mio Tazio. Or dì che fuoco è più ardente fiamma che della impietà? E qual fiera più mordace così lacera il corpo come la impietà de la vita l’anima? Or non vedi tu da quanti mali l’impio animo è aggravato? Oimé figliuolo, che l’impio animo così grida: Io ardo, io mi consumo, io non so quel ch’io dico né quel che io faccia; i mali che intorno da ogni parte abbondano, divorano me misero. Oimé misero che né veggio, né odo alcuna cosa. Tali sono le voci dello afflitto animo, e tale punizione è conveniente alla natura, non quale, o figliuolo, forse tu e alcuni altri si pensano, a’ quali parre l’anima nostra, dapoi ch’ella ha spogliata l’humana figura, tralignare ne’ corpi de gli animali bruti. Ma questo è impio errore. Vero è che ci è uno altro modo della sua gastigazione. Certo quando la Mente diventa Demonio, l’è comandato pigliare corpo di fuoco al servigio di Dio, e questa dipoi, entrata nell’anima scelerata, la percuote con li flagelli de’ peccati; da questo percosso lo iniquo animo si rivolta a le uccisioni, a gli obbrobrii, a’ pessimi parlari e a varie rapine, e finalmente trascorre in tutte quelle cose per le quali gli huomini peccano. Ma quando la Mente influisce nell’anima santa, sollieva quella a il lume della sapienzia, et già mai da poi questa anima dalla pigrizia del sonno è occupata, ma con parole insieme e con opere conferisce aiuto alla umana generazione, e con tutti i modi l’aiuta sempre specchiandosi nel suo autore. Per la qual cosa, o figliuol mio, è bisogna che noi, rendendo grazie a Dio, lo preghiamo che noi siamo fatti partecipi della buona Mente. L’anima di certo passa in meglio, ma non già mai in peggio. Egli è ancora una altra certa comunione delle anime. Le anime de gli Dii comunicano, non le anime de gli huomini. Dio a ciascuno si comunica, imperò che egli è più nobile di tutti, e tutte le cose sono meno potenti di lui. Il Mondo è sottoposto a Dio e l’huomo a Mondo, e l’animale brutto all’huomo. Dio è sopra ogni cosa e circa ogni cosa. Li razzi di Dio sono l’operazioni, li razzi del Mondo sono le nature e li razzi dell’huomo l’arti e le scienzie. L’operazioni sono esercitate per il mondo e discendono nell’huomo per li naturali razzi del mondo, e le nature per gli elementi e li huomini per le arti e per le scienzie. Et questa certamente è l’amministrazione di tutto il mondo, che da la natura d’uno dipende e che dirittamente discorre per una Mente, della quale nulla è più possente, nulla più divino, e finalmente nulla maggiormente unito che la comunione degli huomini alli Dii e delli Dii alli huomini. Questo è il buono angelo, e l’anima che è piena di questo è beata, ma quella che n’è vota è misera.
TAZIO – Per che ragione dì tu questo, o padre?
TRISMEGISTO – Sappi figliuol mio che ogni anima ha per Mente esso Bene, imperò che di questa è al presente il nostro parlare, e non del suo ministro, per giudizio mandato giù all’inferno. Come sopra dicemmo, l’anima abbandonata dalla presenzia della mente, non è possente né a fare, né a dire cosa alcuna. Ma la mente spesso abita fuori de l’anima, nel qual tempo l’anima certamente non ode né vede, ma è simile all’animale che manca di ragione, tanta è la possanza della mente che a questo modo abbandona l’anima invilluppata nel corpo, et da quello medesimo a lo inferno tirata. Tale anima, o figliuol mio, non ha Mente alcuna, e per tanto non è lecito quello chiamarlo huomo, perché l’huomo di certo è animale divino e non è da essere agguagliato agli animali bruti. ma a celestiali i Dii; anzi più tosto (se ardire si debbe di confessare il vero) l’huomo vero, o egli è più nobile di quegli che habitano il Cielo, o almeno egli è pari a loro, imperò che quale si sia di quelli del cielo che discenda a la terra, abbandona il limite del Cielo; ma l’huomo che sale al cielo, e quello misura, né lo possono fuggire le cose infime né le sublimi, e tutte l’altre diligentemente ricerca; e quello che ancora è maggior fatto, che, non lasciando la terra, è sollevato in cielo, tanto è ampia la possanza della umana natura. Per la qual cosa si debba ardire di dire certamente l’huomo terreno essere mortale i Dio, e i Dio celeste essere immortale huomo. Adunque per la virtù di questi due, cioè dell’homo e del Mondo, ciascuna cosa è governata, e finalmente sono tutte le cose a uno sottoposte.
 

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