Pagina on-line da 03/06/2012

Se si volesse identificare un breve saggio paradigmatico dell’approccio della borghesia positivista della seconda metà del XIX secolo alla materia della storia dell’alchimia, probabilmente si potrebbe con difficoltà identificare un saggio a tal scopo più funzionale di questo Anciennes Monnaies Hermétiques faites d’or et argent philosophal di Pierre Rose Martin-Rey, pubblicato nella Revue Numismatique nouvelle série, Tome douzième, 1867 (pp. 255-274). La preoccupazione costante di affermare – al contrario dell’incauto Figuier, che frammista lo scetticismo scientista a più di un passo di evidente simpatia, se non con la filosofia ermetica, almeno con i rappresentanti di essa – una dura riprovazione per un sapere necessariamente ed attentamente confinato nella dialettica truffa-ingenuità, inganno-soverchieria, è, in questo pur breve scritto, costante e predominante. Con una comprensione approssimativa delle teorie e del linguaggio ermetico (esemplificativa la confusione tra il chaos dei filosofi e gli elementata aria ed acqua), incapace di percepire anche solo le parentele con simbolismi mistici e magici – pochi anni dopo, Berthelot, pur in un quadro non ideologicamente dissimile da Martin-Rey li sottolineerà, senza peraltro farne oggetto di riflessioni troppo lunghe ed elaborate – l’autore, secondo un cliché abbastanza consolidato, si occupa prevalentemente dell’aneddotica delle trasmutazioni favolose, già tanto cara a Figuier, non perdendo occasione di lanciare i suoi strali contro i poveri e truffaldini soffiatori i cui prodotti cadono sotto la lente impietosa quanto imprecisa della sua analisi ermeneutica e storica.
Pierre Rose Martin-Rey nacque a Lione il 13/05/1813 e morì a Villeurbanne (Rhône) il 24/11/1874. Dopo la prima formazione nella città natia, si addottorò in diritto a Parigi, nel 1837, e fu ammesso all’Ecole des Chartes. Si associa ai suoi cugini, commercianti a Mâcon, e collabora con i giornali della regione con articoli di archeologia locale e numismatica, campo in cui raggiunge una certa rinomanza. Diviene membro della Académie de Mâcon, scrive in giornali di rilievo nazionale come la Revue Indépendante e la Revue du Progrès. Pubblica novelle ed un romanzo, collabora  come redattore all’Encyclopedie du dix-neuvième siècle e si dà alla politica, seguendo un’ispirazione di chiaro sapore progressista. Interviene in difesa dei processati (in buona parte lionesi) dell’aprile 1835 (coinvolti nella seconda révolte des canuts) e nel 1848 viene eletto come rappresentante di Saône-et-Loire all’Assemblea Costituente. Come deputato della gauche egli partecipò al comitato di legislazione. Dopo il 1849 egli tuttavia si ritirò, sostanzialmente, dall’attività politica, dedicandosi interamente ai suoi interessi letterari e storici.

  
Massimo Marra ©, tutti i diritti riservati, riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

 

 

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ANTICHE MONETE ERMETICHE FATTE D’ORO ED ARGENTO FILOSOFALI.
di Pierre Martin-Rey

Traduzione di Massimo Marra ©, tutti i diritti riservati, riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

 

§ 1

La storia della trasmutazione metallica o della metamorfosi dei metalli di valore inferiore in oro o argento, è stata qualificata come romanzo delle ricchezze. In questo romanzo fantastico, in mancanza delle peripezie amorose che non bisogna cercarvi, si possono trovare altri intrighi meno commoventi, è vero, ma non meno misteriosi e sovente più tragici. Chiunque abbia posto la mano al crogiolo si è bruciato; chiunque ha toccato con la sua penna questo scabroso soggetto, Lenglet-Dufresnoy, ad esempio, e Louis Figuier che lo segue ciecamente, non hanno potuto garantirsi dal vago sospetto d’una compiacenza ermetica. Ci vuol oggi del coraggio per osar parlare con misura dell’arcano filosofale. Sventura allo scrittore che tentasse di riabilitarlo; meglio sarebbe per lui avanzare la sua candidatura all’istituto di Charenton. Il romanzo delle ricchezze, ciò nonostante, non è della biblioteca blu; non ha nulla a che vedere con i racconti delle fate, ed ha diritto reale ad una critica seria.
Il recente libro L’Alchimie et les Alchimistes conclude con questi termini decisivi:
«L’arte presente della chimica – vi si dice – impedisce di considerare come impossibile l’evento della trasmutazione dei metalli. Risulta dai dati scientifici recentemente acquisiti e dallo stato attuale della chimica, che la trasformazione di un metallo nell’altro potrebbe avvenire». Non appena si lascia scappare questa confessione, Louis Figuier, come impaurito dalla sua stessa arditezza, si affretta ad aggiungere questo correttivo: «Ma la storia ci mostra che fino ad oggi nessuno ha realizzato il fenomeno della trasmutazione». L’autore meglio avrebbe potuto esprimere il suo pensiero ed il nostro dicendo: «La storia non è ancora riuscita a provare che si sia fatto dell’oro».
Vista così la cosa cambia. Essa esce dal laboratorio per entrare nel dominio del bibliografo e del numismatico; il profano vi acquisisce voce deliberativa, perché non si tratta più di esumare prove, numerarle, passarle al setaccio e pesarle. Questa ricerca già ritenuta irragionevole e compromettente, si trova oggi sufficientemente autorizzata dall’opinione di uno dei più attivi volgarizzatori della scienza del XIX secolo.
Se la chimica moderna tende a ritrarsi di fronte all’alchimia, la nuova genesi filosofica dei nostri giorni non proverebbe certo tale antipatia. Questa scuola contemporanea che nega la sostanza, spiega Dio, l’uomo e la natura attraverso allucinazioni più o meno autentiche, non avrebbe serie obiezioni per un effetto puramente fenomenico; al contrario! In questo ambiente vi è dunque effettivamente la possibilità di una recrudescenza ermetica. A Dio piaccia che non accada nulla di simile; ma poiché la corrente delle idee non vi oppone, non sarebbe sorprendente veder riaccendersi la vecchia fede ermetica i cui martiri sono altrettanto numerosi dei suoi truffati.
Rigorosamente limitato allo studio delle prove storiche, il problema della trasmutazione metallica è di competenza di tutti gli investigatori giudiziosi: con meno sapere che logica, si può estrarre la verità dal mucchio di documenti in cui essa si trova sepolta.
Le prove da esaminare sono di due tipi: esse comprendono le testimonianze scritte o puramente tradizionali ed i monumenti metallici; se fosse sufficiente compilare delle certificazioni affermative, il formato dei benedettini sarebbe insufficiente per raccoglierne la stampa. I documenti processuali sono innumerevoli, ma essi si troverebbero ben presto ridotti ad un piccolo volume se ci si prendesse la cura di escluderne:
1 – Le deposizioni degli alchimisti che non possono essere giudici e testimoni della loro causa.;
2 – I manifesti apologetici o fulminatori di re e principi che hanno speculato sulla grande opera. La critica deve scartare con la medesima cura le testimonianze del mistificato e quelle del mistificatore; restano abbastanza dati preziosi da raccogliere nelle asserzioni di uomini considerevoli e non sospetti, quali il de Soanen, vescovo di Senez, il Saint-Maurice, presidente della zecca di Lione, che affermarono ai ministri di Luigi XIV ed al re medesimo, la realtà di una trasmutazione operata per loro mano, di piombo e ferro in oro ed argento.
La raccolta di questo ordine di prove è già stata avviata; non è così per le prove dell’altro ordine, ovvero di quelle che consistono nel riportare alla luce dei monumenti ermetici dispersi nel mondo intero. La numismatica può forse essere chiamata a dire l’ultima parola sul litigio; è tempo di domandargli dei suoi segreti.
In tutti i più grandi gabinetti d’Europa, e particolarmente nelle collezioni principesche tedesche, dell’antica Turingia e della Scandinavia, si conservano medaglie e monete fatte d’oro ed argento filosofali, vale a dire ottenute per mezzo di procedimenti alchemici. Di esse fino ad oggi non ci si è occupati che assai poco, e più di un antiquario possiede forse a sua insaputa, dei pezzi di tal provenienza di cui non ha riconosciuto i segni distintivi.
La selezione, necessaria per i documenti scritti, non lo è certo meno per le testimonianze metalliche. Gli esemplari di fantasia e le medaglie commemorative della trasmutazione, a dispetto delle assicurazioni positive che pretendono di esprimere, non possono esser credute sulla parola, dal momento che potrebbero essere il frutto di destre soverchierie. Le operazioni parziali di alchimia, in apparenza più autentiche, sono in realtà le più sospette. I lingotti prodotti come saggio in presenza di sovrani o di gran signori che ne hanno poi fatto medaglie, devono esser supposti prodotti dai predecessori di Robert-Houdin. Almeno verosimilmente. Da ciò segue che le medaglie ermetiche non sono affatto dei titoli di certezza. L’accademico Geoffroy ha mostrato come era facile abusare degli spettatori di buona fede (1). Il mercurio trasformato in oro innanzi agli occhi  di una assemblea sbalordita era già stato caricato di una quantità di metallo prezioso; invece di mercurio vergine, si impiegava un amalgama di oro assai poco differente, per aspetto, dal mercurio ordinario; il piombo cambiato in oro sovente non era che un lingotto d’oro coperto di piombo; il crogiolo preparato in anticipo con un doppio fondo dissimulato, riempito di un composto aurifero; il filosofo agitava il metallo fuso per mezzo di una bacchetta cava, simile al bastone di Giacobbe dei prestigiatori, che conteneva della polvere d’oro o d’argento, etc. etc.. Questi spassi chimici, o di magia bianca, non potettero che essere eseguiti su delle quantità relativamente piccole di metallo; così le medaglie commemorative di questi processi di laboratorio, non portano a nessuna conseguenza probante; tutt’altra cosa è per monete d’oro ed argento artificiali che si pretende siano state emesse in grandissima quantità. Se si arrivasse a provare che delle considerevoli masse d’oro artificiale sono circolate, sotto forma di ducati, fiorini, risdali, la presunzione di imbroglio perderebbe tutto il suo valore; infatti la frode, in tali condizioni, sarebbe stata rovinosa; chi mai l’avrebbe praticata? Gli impostori non fanno la guerra a loro spese.
È un fatto universalmente conosciuto che gli alchimisti hanno avuto segreti appoggi con i principi d’Europa; diversi hanno pagato con la propria testa o con la loro libertà questo onore più invidiato che realmente desiderabile.
Il papa Giovanni XXII ha lasciato ad Avignone 25 milioni di fiorini, e passa per aver fabbricato nel vecchio castello duecento lingotti d’oro pesanti ciascuno un quintale; pura invenzione degli alchimisti, che il papa Giovanni ha ostensibilmente perseguitato, e che si sono vendicati di lui attribuendogli un loro gran trattato della trasmutazione.
Verso la fine del XIV secolo, Eduardo III, re d’Inghilterra, ottenne, si dice, dai forni di Raimondo Lullo, prigioniero nella torre di Londra, sei milioni d’oro da cui furono coniati i nobili della rosa (2). Nicolas Flamel divenuto immensamente ricco nel 1382, fu il più fortunato dei soffiatori. Egli prestava denaro in quantità, senza interessi ed a fondo perduto. Enrico VI d’Inghilterra, non sapendo a chi chiedere in prestito del denaro a condizioni simili, invoca, con un editto del 1436, il soccorso degli alchimisti e dei più sapienti ecclesiastici, per trasformare in oro i metalli vili. Egli riuscì a battere moneta con del similoro fondibilissimo, miscuglio di mercurio e di solfato di rame. La Scozia, avvisata della frode nel 1449, proibì l’ingresso delle valute inglesi; ma la Francia ne fu inondata nel periodo in cui Enrico regnava a Parigi e Carlo VII a Bourges. Per reciprocità, la Francia invia allora in Inghilterra della valuta di sua composizione. Essa fu tanto ben ricevuta dagli Inglesi, e tanto rifiutata dai francesi, che questi si sollevarono contro Jacques Coeur, ministro delle finanze del re, sospetto d’alchimia, per aver fatto incidere sul frontale del suo palazzo gli emblemi della filosofia ermetica (3). Queste manovre da falsari non sono che degli episodi della storia delle trasmutazioni, ed in fondo gli rimangono estranee.
L’adepto George Ripley fece dono di cento mila libbre di oro ai cavalieri di Rodi, quando l’isola fu attaccata dai turchi nel 1460. Un alchimista coronato, l’elettore Augusto di Sassonia, ha lasciato nel 1586, 17 milioni di risdali d’oro filosofale.
Rodolfo II, imperatore di Germania, partigiano dichiarato della filosofia ermetica, possedeva, al momento della sua morte, nel 1612, ottantaquattro quintali di oro artificiale e sessanta quintali di argento della medesima natura.
Gustavo-Adolfo, re di Svezia, ricevette nel 1612, da un sedicente piccolo mercante di Pomerania, cento libbre d’oro di cui egli fece coniare ducati con un marchio speciale.
Nel 1648, l’imperatore Ferdinando III fece una proiezione molto vantaggiosa con la polvere di Richthausen; un’altra non meno ricca fu eseguita nel 1650; ne restano due medaglie che, nel 1797, ancora si vedevano nella tesoreria di Vienna. L’imperatore, per riconoscenza, nomina Richthausen barone del Chaos. Checché se ne pensi, questo titolo non aveva nulla di derisorio, poiché il caos dei filosofi non è altro che aria ed acqua, duplice principio siderale dei corpi. Questo stesso barone del Chaos, se si crede al viaggiatore lionese Monconys, eseguì una magnifica proiezione innanzi all’elettore di Mayence.
Augusto, re di Polonia, ricevette dall’adepto Lascaris due pezzi di oro filosofale, dei quali uno fu depositato al museo di Lipsia.
Carlo XII, re di Svezia, fece coniare, nel 1705, una medaglia storica e centoquarantasette ducati con dell’oro fabbricato dal generale Payckūll (4), condannato a morte per crimine di alto tradimento. Questo colpevole aveva ottenuto la grazia impegnandosi a fabbricare oro, senza alcuna spesa per lo stato, per un milione di scudi d’oro.
Il langravio Ernest Louis de Hesse-Darmstadt ha fabbricato dell’oro e dell’argento nel 1717. Per suo ordine se ne è coniato un centinaio di ducati con effige ed armi del principe; furono pure coniati cento talleri, riconoscibili, come i ducati, per le iniziali EL che affiancano il leone d’Assia.
Se tutti questi fatti sono provati, Louis Figuier ha ragione di dire che i rapporti degli alchimisti con i governanti d’Europa non si limitavano sempre a provocare disavventure e delusioni. Di questi meravigliosi risultati affermati dagli uni, contestati dagli altri, si tratta di ritrovare tracce palpabili, con ricerche lunghe e necessariamente minuziose. 

 

 

§ 2

 

Nel 1692 c’era all’università di Kiel un professore di matematica chiamato Samuel Reyher, colto e per nulla infatuato dell’alchimia. Il signor Oliwerkrantz, turista tedesco che traversava l’Holstein per portarsi in Svezia, venne all’accademia di Kiel per discorrere di novità scientifiche e letterarie. Tra altre cose curiose egli descrisse a Reyher certe monete che Gustavo-Adolfo aveva fatto coniare sotto il segno dello zolfo e del mercurio per farne riconoscere la sostanza di oro chimico.
Reyher si ricordò allora che Samuel Zehner, suo prozio, gli aveva donato, alla cerimonia del battesimo, come dono lustrale, due bei ducati conformi alla descrizione del viaggiatore. Rientrato a casa, egli si affrettò ad esaminare queste due monete che aveva conservato col rispetto dovuto alle reliquie di famiglia. L’una era un semplice ducato con l’effige di Gustavo-Adolfo, senza marchi particolari; l’altro era un doblone del medesimo regno, inciso coi segni caratteristici dell’Alchimia (  e  ). Di ritorno dalla Svezia, il signor Oliwercrantz ritornò a Kiel da Reyher, per mostrargli due esemplari della moneta ermetica di cui egli aveva parlato al tempo del suo primo passaggio. Solo una di esse portava il segno dei filosofi. Stimolato dalla curiosità Reyher si informa di tutto ciò che si ricollegava a quell’argomento; il suo collega Morhof, grande erudito in materia di alchimia, gli diede notizia di un nuovo ducato svedese di oro filosofale e di due medaglie di argento ermetico. Nel frattempo Reyher, leggendo le Effemeridi fisico-mediche dei naturalisti tedeschi, vi trova il disegno di un ducato di Gustavo-Adolfo, in tutto simile a quello che gli era appena stato mostrato da Oliwercrantz e Merhof (5).
Il redattore delle effemeridi, pubblicando questa singolarità numismatica (vedi la nostra tavola VIII, n. 4 e 5) faceva giustamente osservare che Gustavo-Adolfo, ucciso a Lutzen nel 1632, non avrebbe potuto battere moneta nel 1634. L’obiezione aveva un senso; Reyher ne fu scosso. Ma avendo notato sul suo doblone inedito la doppia data 1632-1633, egli ne fece oggetto d’una dissertazione latina stampata a Kiel nel 1692 e dedicata al duca regnante Federico di Sleswig-Holstein.
In questo rarissimo opuscolo si trova riprodotto il ducato pubblicato dalle Effemeridi, e visto in originale da Reyher. Sul recto, vi era la testa laureata di Gustavo-Adolfo, con la seguente legenda circolare: GUSTAV. ADOLPH. D. G. SUEC. GOTH. VAND. R.; sul verso le armi di Svezia, e a destra il segno del mercurio  ed a sinistra il segno dello zolfo  . Sempre sul verso, la legenda circolare recitava: PRinceps FINlandie, DUX ETHONiaem et CARELiae DOMinus INGERmanniae.
Il viaggio di Monconys (2° parte, p. 381) contiene una nota datata del mese di marzo 1664, che  può servire da commentario alla produzione di questa inusuale moneta.

«Il farmacista Strobelperger (di Ratisbona) mi raccontò come un mercante di Lubecca che faceva assai pochi affari, ma che sapeva fissare il piombo e tingerlo in buon oro, al suo passaggio per Lubecca, donasse al re di Svezia cento libbre di oro massiccio, che il principe fece battere in ducati; e poiché egli sapeva bene che quel metallo proveniva dalla conversione del piombo in oro, egli fece mettere a fianco delle sue armi, che sono incise su di un lato dei ducati, il segno del mercurio e quello dello zolfo. Per verificare il suo racconto il farmacista mi diede uno di questi ducati, e mi raccontò che, dopo la morte di quel mercante, il quale, non avendo mai pubblicamente negoziato se non saltuariamente ed in affari di poco conto, non appariva molto opulento, furono trovati nella sua casa più di 1700 scudi» (6).  

Ad appoggio di questa nota del viaggiatore lionese, abbiamo una dichiarazione di Philippe Jacques Sachse de Levenheim.
Il luogotenente-colonnello Louis de Schoenleben, nel mostrargli i ducati di oro filosofale, acconsentì a donargliene una per il suo medagliere, che portava i simboli del zolfo e del mercurio. Si tratta precisamente del pezzo che Sachse fece incidere nel tomo I delle Ephémerides des naturalistes allemands (p. 71). Rehyer era legato da amicizia con il nipote di Schoenleben. Questi assicurò che suo nonno, sotto il regno di Ferdinando II, Ferdinando III e Leopoldo, aveva preparato il gran magistero e tramutato una particella d’argento in buon oro.
Moray, turista inglese, scriveva nel 1664 al suo emulo Monconys:

«Non ho mai udito parlare di queste monete d’oro che ha fatto fare il re di Svezia, né credo di poterne trovare qui. Perciò, se volete inviarmene una, la presenterò alla Società da parte vostra.». (Itin. Angl. T. II n° 70).

Sachse de Levenheim ha d’altronde scritto nelle Effemeridi, che conservava nella sua collezione dei pezzi trasmutati da mercurio  in oro , a spese e per ordine dell’elettore di Mayence Frédéric de Greiffenclau.
La maggior parte di questi fatti è stata controllata da Georges Wolfgang Wedel, nelle Ephémerides médico-physiques (7). Il pubblicista trova la dichiarazione del farmacista di Ratisbona troppo vaga ed indeterminata quanto alla data del passaggio di Gustavo-Adolfo a Lubecca; egli ricorda che la battaglia di Lutzen in cui il re di Svezia perì, ebbe luogo nel 1632, e non si spiega come i ducati di oro filosofale portino il millesimo del 1634. Tuttavia egli aggiunge che un signor di Mollenbrock, suo collega e protettore, aveva constatato la presenza di caratteri ermetici sui grossi d’argento ed i talleri della città di Erfurth (tav. I n°1). Questo Mollenbrock aveva inteso dire dal responsabile della zecca della città, Weismantel, che il segno  aveva un senso misterioso. Ma Weidel l’interpreta piuttosto come un segno di cattiva lega, «ed è per questo – egli dice- che la gente preferiva il grosso d’argento senza caratteri segreti». La moneta marchiata cade in discredito.
Il doblone che costituisce il soggetto principale della dissertazione di Reyher risponde alla più  grave delle obiezioni di Wedel; perché è datato 1632, anno della morte di Gustavo-Adolfo, e 1633, anno in cui il corpo del giovane eroe fu trionfalmente riportato di Germania in Svezia.
Recto:  su di un piccolo mucchio di ossa, un cranio da cui fuoriescono dei serpenti, ed un ceppo di vigna carico di grappoli. Legenda: EZECH. AM. XXXVII. CAP. VND. AM. VI. NOVEMB. 1632. Altra legenda esterna: GVSTAVUS ADOLPHVS D:G. SVEC.: GOTH: VAND: REX. Verso: armi di Svezia con i caratteri e la data 1633 (Brenner, Thesaurum Nummorum sueo-gothicorum, 1731, p. 155, pl. IX n°1).
A prima vista, l’allusione ad una delle più importanti profezie di Ezechiele sembra un motto di condoglianze relativo alla morte prematura del grande campione della riforma: ma Reyher vi trova un significato mistico, riferendosi ad un passo di un manoscritto greco della biblioteca di Federico, duca di Sassonia. Eccone la traduzione: «Lo storico Zosimo che fu conte ed avvocato del fisco sotto Teodosio all’incirca nell’anno 420 d. C., benché fosse capace di parlare scientemente della creazione dell’uomo, dell’incarnazione e della passione del figlio di Dio, sporcava questo augusto mistero con le vecchie superstizioni egizie, derivate da Pimandro Trismegisto, e lo subordinava alla miserevole alchimia. Egli non arrossiva nel dare la visione del cap. XXXVII di Ezechiele per epigrafe al suo libro dei Forni chimici, allo stesso modo in cui altri operatori della grande opera applicano dei versetti del Cantico dei Cantici ad altri testi della santa Scrittura.».
Dal fatto che certe monete ermetiche di Gustavo-Adolfo sono datate 1633, non vi è nulla da concludere per quanto concerne la loro composizione. Sono semplicemente delle monete postume, così come ce ne sono tante. La Convenzione, nel 1793, forgiò dei grossi sotto l’effige di Luigi XIV, molto tempo dopo la morte del re. I coni di Enrico II sono serviti sotto il cortissimo regno del suo successore Francesco II, ed anche sotto Carlo IX. 
Gustavo-Adolfo è passato o no a Lubecca, andando in Germania? È un dettaglio di scarsa importanza. Il farmacista di Ratisbona ha potuto ingannarsi sul nome della città. Monconys può aver mancato di memoria, e se il mercante che donò cento libbre di oro al re di Svezia non ha lasciato tracce negli annali della borghesia di Lubecca, è perché non era altro che un alchimista  travestito.
Una tradizione che resiste ancora dal XVII secolo a Erfurth, fa credere che la città abbia offerto al re beneamato dai protestanti trentamila ducati di oro filosofale. Questa favola popolare è del gusto del tempo; ella prende qualche verosimiglianza per l’emissione d’una moneta d’argento ermetico ad Erfurth. In questa parte della Germania che tocca la Turingia, il carattere  sembrava di casa. L’autore del Münz-Spiegel riporta che al IV secolo i re ed i principi di Germania fabbricassero delle piccole monete d’oro al modo dei trieni romani; su di una delle due facce si vedeva un’effige regale qualunque, sull’altra la figura di un idolo che aveva nella mano destra il serpente del caduceo, e nella sinistra il thau egizio, due segni che insieme concorrono visibilmente alla formazione del . Queste monete erano attribuite agli svedesi adoratori, secondo Tacito, di Mercurio, e vicini della Turingia (8). L’idea del dio Mercurio e quella dell’oro hanno avuto tanta affinità reciproca, negli spiriti dei popoli, quanto gli elementi metallici del medesimo nome negli amalgami mercuriali. Henri Salmut pretende che in un tempio antico a Roma, si fosse trovata questa iscrizione: AVRI EX PLUMBO ASSERTORI, che sarebbe una dedica ad Hermes, altrimenti detto Mercurio, ammesso che si possa accettare questo testo più che sospetto.
Si indovina facilmente perché gli alchimisti, conservando l’emblema pagano del caduceo, abbiano cercato di mettersi al riparo da ogni accusa di eresia, di sortilegio o di magia. Benché coniati per ordine di re Edoardo III, i nobili della rosa erano provvisti di una legenda biblica che Jean Selden dice essere una formula di precauzione ad uso dei filosofi (9). Le medaglie pubblicate da Reyher portano un motto molto ortodosso, equivalente ad una professione di fede cristiana: + TRIA SUNT MIRABILIA, DEVS ET HOMO, MATER ET VIRGO, TRINUS ET UNUS.
Si è di sovente posta ai teologi la questione se l’oro alchemico potesse essere considerato negoziabile; tra gli altri illustri dottori, Tommaso d’Aquino ha risposto: «Se l’oro alchemico è stato prodotto, non è illecito venderlo come vero, poiché nulla interdice all’arte di impiegare mezzi naturali per la produzione di effetti veri e naturali». I principi in generale non vedevano nulla di condannabile nell’uso di ricchezze ottenute senza ricorso alle potenze diaboliche. Ciò nonostante essi non trascuravano le invocazioni al nome di Dio. Checché ne abbia detto Tommaso d’Aquino, il cittadino del mondo Vaughan, il vero Filalete, dichiara, nell’Entrata aperta al palazzo chiuso del Re, che è molto più facile fare l’oro che venderne una certa quantità senza essere perseguitati e messi in prigione, il che è sufficiente a spigare il proverbio: Numquam vidi alchimistam divitem.
Nel novero delle medaglie di argento filosofale che proclamano l’unità della sostanza, Reyher ne fa conoscere una che dice nel  suo linguaggio: «Ora io sono d’oro». Nunc CLARISS. EXTO. Sembrerebbe che la trasmutazione non sia completamente riuscita, perché la medaglia è d’argento. È piuttosto il segno (LUNA) che gli converrebbe (10). Su di un’altra medaglia d’argento ermetico, coniata a nome di Francesco II detto il giovane, duca di Sassonia-Lauenbourg morto nel 1619, si vedono i tre simboli del sale, dello zolfo e del mercurio ( , ). Reyher ha pubblicato così il disegno di una medaglia d’argento filosofale coniata per il tesoro dell’illustrissimo conte di Schwartzburg, che risiedeva nel 1652 a Arnstadt in Turingia. Sul recto si vede un grande forno alchemico; sul verso sono raffigurati tre pionieri che estraggono il minerale in una vallata. Figuier ha menzionato la medaglia del generale Payküll: «Hoc aurum arte chimica conflavit Holmiae, 1706, O. A. v. Paykhüll» (11).
Per concludere, se si ammette, ed è il punto critico del problema, che i caratteri (, E ) abbiano un vero significato ermetico, è nel censimento di marchi di questo genere, quelli che oggi ancora restano, che si può trovare un argomento in favore della fede nella trasmutazione reale e pratica dei metalli comuni in oro ed argento. Per qual motivo questi segni cabalistici, particolari dell’astrologia giudiziaria e della filosofia ermetica, hanno potuto essere, per autorità di principi regnanti apposti su monete aventi corso legale in stati regolari? Bisogna riconoscere in ciò l’effetto di un capriccio o d’una fantasia da dilettante? Ciò sarebbe a malapena ammissibile per delle medaglie di pura curiosità, ma non lo è affatto per monete coniate in quantità considerevole.
Questi marchi vistosissimi, più notati allora che ai nostri giorni, avevano forse per fine il segnalare il valore negativo o il titolo inferiore del metallo impiegato? Questa ipotesi vale ancor meno della prima; i governi che hanno alterato la loro moneta non si vantano affatto di una tale falsificazione lucrativa; essi si guardano bene dal farla riconoscere, ed a maggior ragione, dal segnalarla.  
Può essere, ed è perfino probabile, che i segni ermetici, dopo le frodi segnalate in Francia ed in Inghilterra, siano divenuti sospetti agli operatori del cambio; ma questo stesso sospetto tenderebbe a provare che l’oro e l’argento filosofici siano stati immessi in modo massivo nella circolazione monetaria, e non riservati a ricreazioni di gabinetto o laboratorio.
Infine, i caratteri dello zolfo e del mercurio potrebbero essere considerati come segni zodiacali? È evidente che tante monete ermetiche, o ritenute tali, non hanno potuto esser coniate nelle medesime condizioni astrologiche.
Ci pare certo ed incontestabile che la presenza del  e dello  su di una moneta significhi della sua pretesa origine ermetica. La maggior parte dei numismatici non vi hanno fatto attenzione, o, per dire il vero, hanno confuso questi due segni con il punzone di officine di conio. Grande e gradevole sarà la sorpresa di qualcuno nello scoprire nella loro collezione pezzi simili di cui non hanno sospettato né l’origine né l’interesse.
Sarebbe istruttivo fare in tutte le collezioni pubbliche o private d’Europa una ricerca esatta delle testimonianze numismatiche marcate da questi segni rivelatori.
In un inventario descrittivo ben fatto le medaglie commemorative figurano come termine di comparazione; ma le monete propriamente dette costituiscono l’oggetto principale. Il numero di esemplari constatato dal catalogo darebbe luogo ad un calcolo di probabilità sul totale delle monete ermetiche emesse fino ad oggi. Allora si potrebbe esercitare la docimasia sul loro titolo. I pezzi dichiarati di buona lega sarebbero allora esaminati dagli esperti, le tracce di usura permetterebbero di riconoscere se esse sono servite effettivamente ai bisogni dello scambio, o se invece sono state fabbricate per circostanze eccezionali, come matrimoni o battesimi. Nelle zecche  è ancora possibile ritrovare i coni delle monete marchiate da  e  . Con un colpo d’occhio si potrebbe verificare il loro stato di conservazione. Se appaiono affaticati dal martello e dalla pressa, si potrà dire che, quale che sia il mezzo impiegato per la loro fabbricazione, gli alchimisti hanno potuto persuadere certi sovrani che essi gli avevano fornito una massa considerevole di oro ermetico. Ed è in ciò un curioso tratto di costume da esplorare.
Abbiamo già avuto il piacere di apprendere da una comunicazione di de Longpérier che esistono, nel gabinetto delle Medaglie di Parigi, tre ducati d’oro di Gustavo-Adolfo che portano il segno del mercurio e dello zolfo. Ecco la loro descrizione.

1. Rosone, GVUSTAV. ADOLPH. D.G. SVEC. GOTH. VAND. R. testa volta a destra.
Verso: Rosone: PR. FINI. DVX. ETHON.- ET. CAREL. COM. IN GERM. Insegna e 1634 sotto l’insegna (tav. I n°4).

2. Trifoglio, stessa legenda e medesima testa.
Verso: stessa legenda concludentesi con INGER. Scudo, segni e 1634 sotto lo scudo.

3. GVUSTA. ADOLPH. D.G. SUEC. GOTH. VAND. REX. Testa a destra.
Verso: stessa legenda finente in INGER. Scudo, segni e 1634 nell’alto del campo (tav. I n° 5).

Due ducati del medesimo anno e presentanti i dati in punti differenti, hanno fatto parte della collezione Reichel, e si trovano attualmente al museo di San Pietroburgo, così come la medaglia con la citazione di Ezechiele ed il tallero di Erfurth (12). 
Il signor de Longpérier ci indica anche l’opera di Jean Christian Kundmann intitolata: Numi singulares, oder sonderbare Thaler und Münzen so offt wegen einer kleinem Marque, etc., pubblicata a Breslau nel 1781. Questo autore ha fatto incidere nella sua tavola 5, non solo le monete d’oro ed argento di Gustavo Adolfo che portano il segno del mercurio e dello zolfo (tav. VIII n° 3), ma anche un tallero ed un grosso di Erfurth (tav. I n° 1) con i medesimi segni, un tallero di Guglielmo V, langravio di Hesse (1633) con il segno del mercurio (tav. I n° 2). Egli ci rende edotti del fatto che, ai suoi tempi, tra le monete di argento filosofale, si annoverava un ducato di Cristiano IV, re di Danimarca, ed uno scudo di Luigi XIV, che portava sul verso un piccolo triangolo (p. 217).
Quanto ai segni dello zolfo e del mercurio che si vedono sui ducati postumi di Gustavo-Adolfo e sulla moneta di Erfurth, Kundmann è del parere che sono i marchi dei maestri della zecca di Erfurth, Johan Weismantel e Ziegler; ed è proprio come opere di Weismanted che Reichel presenta questi pezzi nel suo catalogo.
Nel catalogo pubblicato da Maday e dal altri numismatici tedeschi, si trovano monete con segni ermetici; così abbiamo tutte le ragioni di sperare che la ricerca che noi reclamiamo possa essere portata avanti abbastanza largamente, per poco che essa ispiri una qualche curiosità.

  

 

 

NOTE:

(1) Mem. De L’Académ. des sciences, anno 1722. 
 
(2) È vero che Raimondo Lullo era morto abbastanza prima che Edoardo facesse coniare delle monete d’oro. Se si volesse conoscere tutto ciò che è riportato in merito alla pretesa fabbricazione di monete ermetiche in Inghilterra sotto Edoardo III, Edoardo IV, Enrico VI, Carlo I, etc., è negli Annals of the coinage of Great Britain di R. Ruding che ci si potrà fare un’opinione basata su testimonianze, atti ufficiali, citazioni da testi antichi etc.. Da tale autore, la questione, per ciò che concerne l’Inghilterra, è trattata in maniera assai completa. Vedi la terza edizione, 1840, t. I, p. 42 e 220. I compilatori recenti ne avranno potuto trar profitto. 

(3) Al riguardo di Jacques Coeur, si vedano le ricerche approfondite di Vallet de Viriville nella sua Histoire de Charles VII,. t. III, 1865, principalmente p. 252, 256, 286, 289. Si riconoscerà che tra le accuse lanciate contro il ministro delle finanze del re, non appare nulla che sia collegabile alla moneta ermetica. Jacques Coeur, come Nicolas Flamel, è stato il soggetto di leggende popolari di cui la critica ha fatto giustizia.

(4) Vedi più oltre la nota su questo nome, così ortografato da L. Figuier, Alchimie et Alchimistes, 3a edizione, 1860, p. 252.

(5) Brenner, nel suo Thesaurum Nummorum sueo-gothicorum, descrive questa moneta con al data 1634, a pag. 166, senza dare alcuna spiegazione al riguardo della sua origine.

(6) Sam. Reyher, De numm. Ex chymn. Met. Fact., p. 4.

(7) Annata IV e V, p. 297 e 298.

(8) Fortunatamente noi abbiamo la figura della moneta cui qui si fa allusione grazie a Tilemann  Friese (Münz-Spiegel 1, III e IV e Sam. Reyher, De numm. Ex chymico. Metallo Factis, p. 12). Vi riconosciamo senza difficoltà un terzo di soldo d’oro barbaro del VI secolo, al verso del quale appare non un idolo, ma l’ordinaria Vittoria che tiene una croce, vicino la quale troviamo la corona e una stella. Gli antiquari del XVII secolo potevano sbagliarsi al riguardo di questo modello, che è oggi troppo ben conosciuto perché l’illusione sussista anche un sol istante.

(9) È la ben conosciuta legenda Jesus autem transiens per medium illorum ibat (Luca, cap. IX, v. 30). Gli uni dicono che come Gesù era passato invisibile nel mezzo dei Farisei, così l’oro era fabbricato per mezzo di un’arte sconosciuta agli ignoranti. Altri ancora dicono che il versetto di san Luca serviva da amuleto per sfuggire ai pericoli delle battaglie. Vedi Camden’s Romains, p. 242, articolo Money, e Ruding, Annals of the coinage of Great Britain, 3a ediz., 1840, t.I, p. 229.

(10) Bisogna comunque sottolineare che i conii incisi per costruire monete di un certo metallo sono abbastanza spesso usati per la fabbricazione di prove o pezzi di favore fatti di un metallo differente. A questo riguardo le collezioni ci offrono delle combinazioni di ogni sorta.

(11) Figuier, L’alchimie et les alchimistes, 3a, ed., 1860, p. 252. Questa medaglia non è citata da E. Brenner nel suo Thesaurum Nummorum sueo-gothicorum, stampato a Stoccolma nel 1731. Vedi Berzélius, Traité de chimie, trad. di Esslenger, 1833, t. VIII, p. 7. Non vi sono generali chiamati Payküll (ed ancor meno Paykhüll). Il generale Jean Reinold Patkul, livoniano, ambasciatore di Pietro il Grande presso Augusto di Sassonia, essendo a quest’ultimo sospetto, era stato imprigionato nel castello di Königstein. Era ancora lì quando, per la vittoria riportata sul re di Sassonia, nel mese di settembre 1706, Carlo XII se lo fece consegnare. Egli rimase tre mesi ad Altranstadt attaccato ad un palo con una grossa catena di ferro. Da lì fu condotto a Casimir, ed ucciso. Si veda quanto sia difficile ammettere che il generale Patkul abbia potuto fare dell’oro chimico a Stoccolma, nell’anno 1706. I caratteri O. A. non corrispondono affatto al nome Jean-Reynold. Il barone Gustav de Paykull, nato il 21 agosto 1757 e morto il 28 gennaio 1828, era un naturalista svedese assai noto, che non ha certamente mai coltivato lo studio della grande opera sotto il regno di Carlo XII. Figuier p. 148) parla dei ducati fabbricati nel 1722 (sic) per questo re di Svezia (morto nel 1718) dall’alchimista Payküll. Berzélius aveva detto: «se ne ottenne per 147 ducati d’oro, con i quali si coniò anche una medaglia del peso di due ducati». Tutto ciò mostra con quale poca cura procedessero gli scrittori di seconda mano. Del resto, il celebre chimico svedese spiega perfettamente come si fabbricava l’oro ermetico.

(12) Die Reichelsche Munzsammlung.1842, t. V, p,. 176, n° 470, e p. 178, n° 483; t. IV, p. 358, n° 2196.