Pagina on-line dal 28/02/2017

 

 

Il seguente lavoro, uscito con la firma di Philophotes sulle pagine de L’Initiation, vol. XI n° 8, maggio 1891, rappresenta probabilmente il primo contributo pubblicato del giovane Albert Poisson nell’ambito della compagine martinista e della sua copiosa produzione editoriale.
Si tratta di uno studio compilativo, che è costituito, nei fatti, da un riassunto di un trattato paracelsiano senza alcun particolare commento aggiuntivo. Poisson dedicherà presto molta della sua attenzione ad un più produttivo lavoro ermeneutico e di riedizione che prenderà forma in una breve ma assai intensa stagione di pubblicazioni; sono queste pubblicazioni che faranno del giovane Philophotes una delle autorità riconosciute nella riscoperta dell’alchimia nell’ambito della renaissance occultiste parigina della fine del secolo.
Per un profilo biografico su Albert Poisson (1869-1894) ed una prima overview sulla sua produzione, rimandiamo a quanto ne abbiamo scritto nell’introduzione alla nostra edizione italiana on-line de L’Iniziazione alchemica.
Nella traduzione sono stati corretti alcuni evidenti errori di stampa, così frequenti nelle pagine delle riviste occultiste della Belle Époque. Laddove Poisson adopera ripetutamente grafie particolari, oggi non accettabili, esse sono indicate in nota.
Le note con numeri arabi si intendono del traduttore.

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

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Albert Poisson
(Philophotes)
Studi sulla Filosofia Ermetica

IL TRATTATO SULLA NATURA DELLE COSE DI PARACELSO.

Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

I
La Filosofia ermetica è l’adattamento al mondo materiale della teoria delle alte scienze.
Essa comprende l’Alchimia, come applicazione ai corpi minerali, e la Medicina Occulta, come applicazione ai corpi organizzati. Il Fachiro che fa bollire dell’acqua a distanza compie opera d’alchimia, il magnetizzatore che carica un albero di fluido fa della medicina occulta.
Queste due branche delle alte scienze sono conosciute dai tempi più antichi; è noto, a partire dalle ricerche del signor Berthelot, che i sacerdoti egizi si occupavano di alchimia nel silenzio dei santuari; sfortunatamente i loro lavori non ci sono pervenuti che per mezzo di qualche filosofo greco dei primi secoli dell’era Cristiana che si era fatto iniziare in Egitto.
L’alchimia e la medicina occulta divennero così di dominio pubblico; ognuno poté occuparsene, ma quanto rari furono gli spiriti d’élite che attraverso il tempo possedettero la scienza primitiva nella sua integrità. Nello spazio di diversi secoli, è a malapena che riusciamo a trovare, nella moltitudine degli alchimisti volgari e dei soffiatori, qualche adepto: Raimondo Lullo, Arnaldo da Villanova, Basilio Valentino, Khunrath, Flamel, Paracelso.
Ѐ studiando quest’ultimo che si potrà pervenire a sollevare il velo di Iside; è nelle sue opere, la Bibbia dell’occultista, che si troverà la teoria e la pratica della Scienza occulta. I suoi numerosi trattati brulicano di insegnamenti di grande valore, e costituiscono un tesoro fatto delle pietre più preziose; tra essi, soprattutto uno si fa notare tra tutti, è il De natura rerum, o trattato della natura delle cose.

II
Questo trattato si trova nel sesto tomo delle sue opere complete, tradotte n latino e stampate a Francoforte nel 1605. Questo trattato era stato dato manoscritto ad uno dei suoi amici intimi, Jean Winckelstein, e, come è detto nella lettera premonitoria, doveva restare nella famiglia e non essere mai dato alle stampe.
«Perché, mio caro amico, mio fratello beneamato, io ho scritto questo trattato unicamente per amor tuo, per te e te solo; così ti prego di conservarlo come cosa preziosa che bisogna tenere nascosta. Custodiscilo presso di te sino alla morte, e, morendo, lascialo ai tuoi figli o eredi alle stesse medesime condizioni; che essi conservino il segreto, e io gli domando in particolar modo che esso rimanga in famiglia e che non divenga mai abbastanza conosciuto da cadere nelle mani dei falsi sapienti e degli sconsiderati, che disprezzano tutto ciò che non capiscono e sovente lo calunniano».
Fortunatamente Winckelstein o i suoi eredi non seguirono questo consiglio e diedero il prezioso manoscritto agli stampatori.
Il Trattato sulla natura delle cose è diviso in nove libri ed occupa settantadue pagine in-quarto. Facciamone ora un’analisi completa e ragionata.

III
Il primo libro tratta della generazione. «Vi sono due specie di generazione, l’una che si compie per mezzo della natura, e l’altra per mezzo dell’arte, ovvero dell’alchimia».
Ritroveremo questa seconda specie o generazione artificiale quando Paracelso tratterà dell’homunculus. Egli continua così: «Si può dire in generale che la natura trae tutto dalla terra con l’aiuto della putrefazione. La putrefazione è prodotta per mezzo di un calore umido».
Questa teoria della putrefazione come agente della generazione è assai antica; chi non conosce il toro di Virgilio, che dopo la sua morte genera uno sciame di api? Nel Medio Evo questa teoria brilla in tutto il suo splendore. Lo sperma si corrompe nella matrice, il seme marcisce nella terra, la putrefazione precede la generazione dei minerali ed è la chiave della grande opera. Ogni teoria produce delle esagerazioni: «Si credeva che le mosche nascessero dal fango corrotto e Van Helmont assicurava di aver visto da dei vecchi panni marci generarsi dei topi» (A. Poisson, Théorie et symboles des alchimistes, pag. 138). Ma bisogna forse rifiutare a priori questa teoria? Evidentemente no, bisogna anzitutto esaminarla e poi giudicarla.
E, dapprincipio, stabilire cosa si intenda per putrefazione.
Secondo noi bisogna intenderla unicamente come un cambiamento di forma che si produce abbastanza rapidamente, modificando profondamente le proprietà della materia. In questo senso la teoria medievale della putrefazione concorda con la scienza attuale, il seme di grano subisce delle alterazioni profonde durante la germinazione; si gonfia, i principi che racchiude fermentano. Fermentazione o putrefazione sono un tutt’uno, come lo sono la suggestione mentale ed il magnetismo.
Il Libro della Generazione ci insegna che la Palingenesia è applicabile agli animali e che operando con un uccello come si opera con una rosa, si potrà far rinascere l’immagine o proiezione astrale dell’uccello; bisogna solo aver cura di racchiudere l’uccello vivente in un alambicco che si chiuderà ermeticamente, e in seguito di scaldare in modo da ottenerne una massa informe.
Paracelso è poi indotto a parlarci dei mostri, vale a dire degli uomini che, per la loro conformazione, sono fuori dalle leggi comuni. Questi uomini, ci dice, sono un prodotto del Demonio; le loro deformazioni recano il segno diabolico: «Così, fuggite questi esseri che nascono con un membro in più o in meno, perché essi sono opera di Satana; i loro difetti sono un segno di malvagità e scelleratezza; essi muoiono miserabilmente, per mano del boia o perlomeno portando un marchio di infamia». A questo proposito riportiamo un semplice episodio: uno dei miei parenti mi ha spesso raccontato che nel suo paese viveva un uomo di natura furba e astuta, che passava per stregone. Quest’uomo, chiamato Sei pollici perché aveva sei dita ad una mano, perì in un’inondazione.
Ѐ trattando dei mostri che Paracelso arriva poi a parlare dell’homunculus, ma, essendo questo passaggio già stato tradotto dal sig. Figuier, non lo riproduciamo in questa sede.
Dalla generazione dei corpi organizzati Paracelso passa alla generazione de corpi minerali: «Sappiate – egli dice – che i sette metalli nascono da una tripla materia, ovvero da zolfo, mercurio e sale». Questi termini designano delle modalità della materia e non dei corpi specifici, come ha dimostrato il signor Poisson in una recente opera.  Lo zolfo è la materia condensata, libera, pesante, fissa, positiva; il mercurio è la materia disgregata, sottile, volatile, negativa. Il sale è la materia in equilibrio tra questi due stati; che l’hod (1) ve la spinga, ed essa diviene zolfo; se la bilancia pende invece dal lato dell’hod, essa diviene mercurio.  Il diavolo dei tarocchi ci rappresenta l’astrale che dà la luce ai due mondi della materia.  La sua destra è diretta verso la terra e riporta la parola coagula, vale a dire condensa, ispessisci, riunisci, polarizza positivamente la materia per ottenere lo zolfo; la sinistra, diretta verso il cielo, solve, dissolvi, vale a dire disunisci, separa le molecole, vaporizza, liquefa, polarizza negativamente la materia, ed avrai il mercurio. I due demoni inferiori, l’uno verde e l’altro rosso, ovvero complementari, significano che una uguale quantità di astrale positivo neutralizza una uguale quantità di astrale negativo e produce il riposo; il mercurio e lo zolfo si neutralizzano nel sale; la luce rossa e la luce verde si neutralizzano producendo la luce bianca. Vedi i Tarocchi disegnati da Oswald Wirth e l’opera di Papus, I tarocchi degli Zingari.

IV
Il secondo libro tratta dell’accrescimento delle cose. Ciò che dice al riguardo Paracelso è assai curioso; tra le altre cose egli fornisce la maniera di ottenere un albero solare: «Ѐ possibile per l’alchimista abile ottenere per mezzo dell’arte che l’oro cresca in un matraccio a mo’ di un albero, con mirabili rami e foglie, cosa gradevole da contemplare. Si opera così: calcinate l’oro con l’acqua regia in modo che divenga friabile come il gesso; versategli sopra dell’acqua regia recente di buona qualità e dell’acqua di gradazione, in modo che il liquido sommerga la calce d’oro di quattro dita; poi distillate al terzo grado di fuoco, sino a che nulla più sublimi. Rimettete il distillato nell’alambicco e distillate di nuovo; ricominciate allo stesso modo sino a che vedrete l’oro elevarsi nel vaso, crescere prendendo la forma di un albero ed emettere rami e ramoscelli; ed infine avrete un albero d’oro mirabile a vedersi». Gli alchimisti lo chiamano “erba aurata” ed “albero dei filosofi”. Leggendo ciò qualche canzonatore esclamerà: «Bella meraviglia, in verità! Si tratta di un semplice fenomeno di cristallizzazione, come per l’albero di Saturno e l’albero di Diana, ma ciò non prova che i metalli e i minerali siano capaci di crescere!». Noi rispondiamo semplicemente questo: qualunque essere non può accrescersi che prendendo a corpi esterni degli elementi simili o suscettibili di divenire simili a quelli che lo compongono. Il corpo dell’uomo non contiene né oro né argento e l’uomo non può accrescersi nutrendosi di questi metalli, ma si nutrirà invece di corpi organici ed organizzati suscettibili di fornirgli gli elementi del sangue. Allo stesso modo l’oro non potrà accrescersi se lo si immergerà nell’alcool, corpo organico, o nel sale di un metallo differente; ma immergetelo piuttosto in una soluzione di cloruro d’oro ed esponete il tutto al sole; poco a poco il vostro pezzetto d’oro si accrescerà a spese del liquido che costituisce il suo ambiente. Ora come chiamerete questa forza che attira l’oro verso l’oro, il piombo verso il piombo? Chiamatela affinità, o trovategli un nuovo nome; per quanti ci riguarda, basandoci sull’antica scienza occulta, noi la definiremo la forza per eccellenza, la Vita.

V
Il terzo libro tratta della Conservazione delle cose, vale a dire della maniera di preservarle da ogni accidente pregiudizievole alla loro esistenza. Per preservarle e conservarle, bisogna anzitutto conoscere ciò che gli è nocivo così come ciò che gli è di profitto, ed, elevando la discussione sul terreno filosofico, Paracelso ci dice: «Ѐ altrettanto necessario conoscere il male e conoscere il bene. Chi potrà mai sapere ciò che è bene, se non sa ciò che è male? Sicuramente nessuno. Allo stesso modo nessuno può stimare qual tesoro sia la salute se non è mai stato malato. Un tal uomo non potrebbe godere pienamente della gioia, poiché non è ma stato triste ed afflitto. Si potrebbe avere una giusta idea di Dio se si ignorasse cosa sia Satana?». Tutto ciò, dal punto di vista filosofico, è perfettamente giusto.
Egli esamina in seguito quali sono i nemici dei metalli, ovvero i corpi che possono fargli perdere qualcuna delle loro proprietà: «Quando si vogliono conservare i metalli bisogna anzitutto conoscere quali siano i loro nemici al fine di saperli meglio preservare dalle alterazioni. I nemici principali dei metalli sono le acque forti, le acque regie, i corpi corrosivi, i Sali lo zolfo crudo, l’antimonio e il mercurio». Sono in generale – aggiunge – tutte le cose che dissolvono, attaccano calcinano, corrodono i metalli. Egli esamina in seguito quali sono i corpi che li conservano, e rimarca assai giustamente a proposito del magnete che «per la conservazione del magnete non vi è nulla di meglio che la limatura di ferro o d’acciaio; ed un magnete che si conservi in questa limatura, invece di indebolirsi, aumenta ogni giorno di forza».

VI
Il quarto libro tratta della vita delle cose naturali; esso ci insegna che ogni corpo materiale legato ad uno spirito, ovvero a una forza: «bisogna sapere che al principio, quando Dio crea tutte le cose, Egli non lascia un corpo senza assegnargli uno spirito che gli è nascosto dentro. Cosa sarebbe un corpo senza spirito? Nulla. Ѐ lo spirito e non il corpo che ha le proprietà e la potenza racchiuse in sé. Perché il corpo non è che morte ed è soggetto alla morte, e nel corpo non si può trovare che la morte. Un corpo può essere alterato e deformato in diverse maniere, uno spirito no, perché lo spirito è eterno ed è il substratum della vita. Ѐ lui che dona vita al corpo, e, quando se ne separa, il corpo muore e lo spirito ritorna al luogo da cui era venuto, nel caos e nell’aria del firmamento superiore ed inferiore. Ne discende che vi sono altrettante specie di spiriti quante sono le specie di corpi. Vi sono in effetti degli spiriti celesti, infernali, umani, metallici, minerali. Ve ne sono nei Sali, nelle pietre, nelle marcassite, negli arsenici, nei liquidi, nelle radici, negli umori, nelle carni, nel sangue e nelle ossa. Sappiate dunque che lo spirito è la vita ed il balsamo di tutte le cose».
Noi aggiungeremo che tutti questi spiriti non sono che frazioni dello spirito universale della forza che Paracelso ha definito l’Archeo, il quale non è altro che l’astrale, circolante attraverso i Mondi ed animante tutte le cose; l’aria è il suo veicolo, ed è respirandola che noi assorbiamo la vita, l’archeo; così egli ci dice alla fine del libro: «L’aria vive per sé ed in sé e dona la vita ad ogni cosa».

VII
Il quinto libro tratta della morte delle cose. Esso ci espone quali sono i mezzi per uccidere i metalli, mortificarli, fargli perdere le loro proprietà fisiche e chimiche: «La ruggine indica la morte del ferro e dell’acciaio. Il vetriolo blu, il rame bruciato, sono del rame morto. Il cinabro, il mercurio precipitato, sublimato, calcinato, sono dei mercuri morti. Il litargirio, la cerussa, il minio, sono tutti piombo morto». A proposito della morte del rame indica un processo rimarchevole dal quale si ottiene dell’acetato di rame (cristalli di Venere) purissimi; egli dice che, distillandolo, gli si leva l’aceto e che, al contrario, se si lascia il liquido all’aria, si avranno dei cristalli. Questo libro è pieno di ricette veramente stupefacenti che provano che Paracelso era il primo chimico del suo tempo. Segnaliamo questo passaggio: «Si uccide il magnete ungendolo di olio di mercurio, o immergendolo nel mercurio volgare; dopo di che esso non potrà più attirare il ferro».

VIII
Il sesto libro tratta della resurrezione delle cose naturali: «Tutto ciò che l’uomo distrugge, lo può ricostruire; tutto ciò che egli frantuma, lo può ricostituire, ma lì si arresta il suo potere; provando ad andare oltre, egli attenterebbe alla potenza di Dio, lavorerebbe invano e sarebbe confuso, a meno di non avere dalla propria parte Dio o di avere quella fede che smuove le montagne». Ad un tal uomo sarebbero possibili i prodigi più grandi, perché la Scrittura e il Cristo stesso hanno detto: «Se voi avete fede grossa come un chicco, e dite a questa montagna: vieni e piazzati là, essa lo farà, e tutto vi sarà possibile e nulla impossibile». Tutti gli occultisti comprenderanno; non vogliamo rovinare questa magnifica frase commentandola.
Una questione si pone naturalmente in questo libro: si può resuscitare un uomo? Per rispondere Paracelso distingue due tipi di morte: la morte naturale che avviene per malattia o che chiude una lunga vita, e la morte violenta, che egli designa col nome particolare di mortificazione. Nel primo caso non vi è nulla da sperare; ma nel secondo la cosa è differente, l’organismo poteva ancora vivere, esso era ancora sano ed in buono stato e la morte è stata provocata da una causa esterna; lo spirito vitale, è vero, se ne è andato, ma resta ancora il balsamo, spirito dotato di una certa vitalità latente e propria ad ogni organo. In questo caso, dunque, si può resuscitare.

IX
Il settimo e ottavo libro che trattano della trasmutazione e della separazione delle cose non sono interessanti che dal punto di vista puramente chimico; così non ne diremo che qualche parola. Nel settimo Paracelso enumera le diverse specie di fuochi ed i loro gradi: fuoco di carboni, fuoco di legno, fuoco di lampada, bagno di sabbia, bagnomaria, bagno di vapore; egli afferma infine che il fuoco visibile o luce solare concentrata con l’aiuto di specchi o di lenti, fornisce un calore superiore a tutti gli altri, che fonde facilmente tutti i metalli. Ricordiamo a questo proposito che due secoli più tardi Buffon ripeté queste stesse esperienze che furono considerate come nuove e fecero gran rumore nel mondo scientifico. Ciò sia detto senza alcun commento.
Dell’ottavo libro, tra gli altri processi chimici, Paracelso ne indica uno che noi teniamo a riportare, perché si è ripetuto che gli alchimisti vedevano in questa esperienza una trasmutazione, il che è un errore grave. Gli alchimisti sapevano distinguere tra una trasposizione (ciò che noi oggi chiamiamo una doppia decomposizione) ed una trasmutazione. Questo processo è del resto chiamato separazione da Paracelso; esso ha in effetti per scopo di separare l’argento da una soluzione che lo racchiude: «Mettete – egli dice – nella soluzione una lamina di rame, e presto l’argento precipiterà dalla soluzione e cadrà sul fondo del vaso sotto forma di una neve; allo stesso tempo la lamina di rame rimarrà corrosa». Un chimico dei nostri tempi non descriverebbe meglio questa esperienza. Notate che la parola trasmutazione non è in alcun modo pronunciata, e che Paracelso non vuole che separare dell’argento da una soluzione che ne contiene, rimpiazzandolo, nella soluzione con del rame che si dissolve a misura che l’argento precipita.

X
Arriviamo infine al nono ed ultimo libro, il più importante di tutti, che tratta delle segnature delle cose. La segnatura di una cosa è l’insieme delle sue proprietà visibili e tangibili, grazie alle quali se ne possono dedurre le proprietà nascoste. Paracelso compara la segnatura all’etichetta che si appone su un flacone e che vi informa immediatamente sul contenuto. La Chiromanzia e la Fisiognomica sono le segnature degli astri nell’uomo. Paracelso insiste molto sul fatto che una segnatura non è mai infallibile, perché gli astri influiscono sull’uomo ma non determinano assolutamente il destino; la loro azione, che è onnipotente sull’uomo dedito alle sue passioni, diviene nulla sull’uomo che è re per sua volontà, sul Mago; costui, lungi dall’obbedire alle influenze celesti, le dirige a suo gradimento. «Se qualcuno, discutendo con noi, pretendesse che i segni della fisiognomica dovuti agli astri non potrebbero più di questi ultimi forzare qualcuno, noi gli risponderemmo che egli non ha del tutto torto, ma bisogna tuttavia aggiungere che gli astri talvolta influiscono sull’uno e non influiscono sull’altro. Perché sappiate l’uno è diretto dagli astri e che l’altro, al contrario, è maestro delle sue influenze. Sappiate che il saggio, lungi dall’obbedire agli astri, è loro maestro… Al contrario gli Astri dirigono l’uomo dagli istinti grossolani, lo governano fatalmente, perché la forca attira il ladro, la strada il bandito, i pesci il pescatore, gli uccelli l’uccellatore, la selvaggina il cacciatore».
Paracelso aggiunge più oltre: «Sappiate che un saturnino, che ha dunque Saturno nel suo ascendente, può nondimeno sottrarsi a questa nefasta influenza, vincerla ed attirare su di sé l’influenza del sole». E per meglio far comprendere il suo pensiero egli riporta questa parabola: «È come se un minatore che lavorasse assiduamente nelle miniere del suo padrone, mantenendo in buono stato il suo filone a rischio della sua stessa vita, facesse un giorno questo ragionamento: cosa avverrà di me se passo tutta la vita sotto terra, se consumo in un lavoro continuato il mio spirito e il mio corpo? Lascerò il mio padrone e cercherò un altro padrone affinché la mia vita scorra calma, abbia da bere e da magnare a sazietà ed i miei vestiti siano sempre puliti; lavorerò di meno e sarò pagato meglio; non avrò più una montagna ad opprimermi. Questo minatore può divenire il suo proprio padrone, invece di restare tutta la vita mercenario, oberato di lavoro, esaurito dalla fatica». Al contrario, colui che è schiavo delle sue passioni subirà sino alla morte le influenze astrali, in questo caso onnipotenti: «Colui che ha giocato sino ad oggi giocherà ancora e sempre; colui che ha rubato ed ha evitato la forca ruberà di nuovo».
Paracelso ci ha dato in seguito la pratica delle segnature nell’uomo, la fisiognomica. Benché questo passaggio sia assai lungo, lo diamo per intero, perché preferiamo il verbo del maestro alle affermazioni più  meno stravaganti degli Indogine (2), dei Coclés (32), dei Tricasso (4).

XI
La maggior parte delle volte degli occhi neri indicano, oltre ad una costituzione sana, uno spirito costante, chiaro, largo, attivo, prudente, amante della verità.
Gli occhi blu indicano un uomo scaltro, di un carattere incerto, tenace.
Gli occhi fiacchi denotano un uomo di buoni consigli, fine, di profondo giudizio.
Gli occhi obliqui indicano un uomo falso, scaltro, che non si può ingannare, infedele, che rifugge il lavoro, pigro, che vive per il gioco, l’usura ed il furto, nella deboscia e nel libertinaggio.
Gli occhi piccoli ed affossati nelle orbite, denunciano una vista debole, presagiscono frequentemente la cecità per la vecchiaia; essi indicano anche un uomo coraggioso, bellicoso, intrepido, scaltro, irrequieto, che sa attendere la fortuna. Questi uomini hanno in genere una fine tragica.
Gli occhi grandi, soprattutto se sono sporgenti, indicano un uomo avido ed amaro.
Colui che ha gli occhi lampeggianti ha la vista debole; è timido e prende gran cura dei suoi occhi; colui che ha gli occhi assai mobili ha uno spirito amorevole, prudente, inventivo.
Gli occhi bassi denotano pudicizia e modestia.
Quelli rossi audacia e coraggio.
Gli occhi brillanti e fissi sono il segno degli eroi magnanimi, intrepidi, desti, temibili per i loro nemici.
Grandi orecchie indicano un buon udito, una grande memoria, uno spirito osservatore, un cervello sano.
Orecchie schiacciate sono di cattivo augurio: esse denotano un cattivo udito, un uomo pieno di malizia, ingannatore, ingiusto, intrepido, che si espone facilmente al pericolo, ed infine di cattiva memoria.
Un naso lungo e ricurvo indica un uomo coraggioso, prudente, discreto, severo ma giusto. Il naso camuso indica la malizia, la doppiezza, la scurrilità, la menzogna e la frivolezza. Il naso appuntito denota un uomo fanfarone ed assai incostante.
Un naso molto allungato indica buon odorato ma lentezza negli affari.
Gli occhi incrociati indicano un chiacchierone che disprezza gli altri ed è facile alla disputa. Il mento oblungo con una faccia allungata un carattere incline alla collera, temporeggiatore.
Un mento fesso indica un uomo fedele, pronto a rendere servizio, con una conversazione varia, dal linguaggio parabolico, che dice una cosa e ne pensa un’altra, irascibile ma che si pente della sua collera, ingegnoso, inventivo.
Una bocca assai grande indica voracità, fatuità, nullità, imprudenza, intrepidità. Bocca piccola il contrario.
Delle labbra spesse, le superiori più grandi delle inferiori, indicano un uomo irascibile, bellicoso, agitato, dagli istinti grossolani e lascivi come quelli del porco.
Il labbro inferiore molto grande indica stupidità, semplicità, spirito ottuso.
Per i capelli e la barba non si può riportare un giudizio certo, perché, a seconda della moda, li si arriccia o li si tinge in bruno, biondo, rosso, bianco. Oppure li si rende a volontà duri o flessibili. Da ciò viene che alcuni abbastanza sapienti nelle diverse parti della fisiognomica si siano miserabilmente ingannati giudicando temerariamente dei capelli, vedendo delle segnature astrali in ciò che era semplicemente dovuto agli uomini. Ciò nonostante non si può negare che i capelli piantati fortemente nella testa, come gli altri peli, indicano che il corpo e la testa sono in buona salute. È per questo che i commercianti di cavalli esaminano attentamente la coda dei cavalli, giudicando da questa la loro salute. Lo stesso vale per le setole dei porci, le scaglie e le spine dei pesci, le piume per gli uccelli, che tutti, a seconda del loro stato, denotano buona o cattiva salute.
Il collo più lungo del normale indica un uomo prudente, attento, sempre in guardia.
Le spalle larghe, la schiena forte, indica un uomo capace di portare o spostare grandi pesi.
Le braccia nodose indicano un uomo forte, valente, assai atto a lanciare, a colpire.
Le mani rugose indicano un uomo che lavora, un operaio: le mani fini indicano il contrario.
Un tronco corto, lunghe gambe, indicano un buon corridore, un uomo sobrio, ma che avrà una vita corta.
Vene assai visibili e grosse, prima dell’età matura, indicano un uomo sanguigno e pieno di linfa; tuttavia, dopo tale epoca, esse denotano piuttosto uno stato malaticcio.

XII
Avendo così trattato completamente della fisiognomica, Paracelso approccia la chiromanzia. Per lui si tratta di una scienza divinatoria che studia le linee che presentano gli esseri; in pratica questa parola è per lui sinonimo di scienza delle segnature, e vediamo per questo che egli tratta della chiromanzia delle piante, delle erbe etc.. Ne dice però ben poca cosa, e noi rinviamo su questo argomento agli scritti dei suoi discepoli, e principalmente di Crollius il cui Trattato delle Segnature accompagna generalmente la sua Chimie Royale.
Paracelso tratta in seguito delle segnature dei metalli, e nota che più una miniera è antica, più essa contiene metallo, perché esso ha avuto il tempo di accrescersi. Questa idea è profondamente radicata presso i minatori di tutti i paesi.
«L’opinione della trasmutazione, della perfettibilità dei metalli è così generalmente ammessa dai minatori del Messico, che non bisogna stupirsi di ascoltarli dire, parlando dei frammenti di metalli che essi ammettono o rigettano per lo sfruttamento “Questo è buono e maturo, questo è cattivo perché non è ancora allo stato d’oro”» (Tiffereau, L’Or et la transmutation des métaux).
Poi Paracelso ci insegna che ciascun metallo deve la sua origine ad un pianeta.
Che il sole venga ad influenzare la materia prima, ed a poco a poco essa si trasformerà in oro; poi, quando il metallo sarà arrivato alla sua perfezione, l’influenza astrale cesserà divenendo inutile. Egli chiama questa influenza Astrum; noi tradurremmo con astrale. Ecco cosa ne dice: «Sappiate che ogni metallo nascente, allorquando è ancora nel seno della materia prima, ha il suo astrale particolare. Così l’oro riceve l’astrale dal Sole, l’argento ha l’astrale della Luna, il rame l’astrale di Venere, il ferro l’astrale di Marte, lo stagno quello di Giove, il piombo quello di Saturno e l’argento vivo quello di Mercurio. Ma quando il metallo è perfetto e coagulato in un corpo metallico fisso, l’astrale si allontana da questo corpo lasciandolo morto».
In una parola l’astrale è lo spirito, la vita del metallo; l’alchimista che sa rendersi padrone dell’astrale solare può cambiare i corpi metallici in oro, e, se detiene l’astrale lunare, può cambiare i metalli in argento. Paracelso era arrivato a preparare o a condensare questi Astrali; egli li descrive così: «L’astrale dello stagno è bianco, simile a resina, un po’ oscuro, disseminato di giallo. L’astrale del ferro è di un coloro rosso brillante, luminoso come un granato, fondibile come la resina, fragile come il vetro; è un corpo fisso, più denso del ferro… L’astrale dell’argento è una sostanza fissa, incapace di crescita, di bianchezza accecante, fluido come la resina, trasparente come il cristallo, fragile come il vetro, che ha la stessa densità del diamante… L’astrale dell’oro è una sostanza molto fissa, porpora, la sua polvere è gialla; quando è intera ha lo splendore del rubino, è fondibile, trasparente e assai densa, etc.».
Paracelso tratta in seguito di qualche segnatura naturale e sovrannaturale, ad esempio dei segni (denti, corni) dai quali si può riconoscere l’età di un animale, delle previsioni del tempo, terminando infine la sua opera con una breve dissertazione sulle differenti specie di divinazione (chaomanzia, idromanzia, piromanzia, necromanzia) e con la lista degli oggetti e delle cose consacrate a ciascun pianeta che, di conseguenza, ne portano la segnatura: «Alla Luna è consacrato tutto ciò che serve all’agricoltura, alla navigazione, a viaggiare e ai viaggiatori. A Venere è consacrato tutto ciò che ha a che fare con la musica, con gli esercizi amorosi, coi baci. A Saturno sono consacrati tutti quelli che lavorano sotto o nella terra, i minatori, gli scavatori, i costruttori di pozzi e i loro strumenti, etc.».
Eccoci arrivati alla fine di questo magnifico trattato, miniera inesauribile di insegnamenti di ogni genere per la Filosofia ermetica, e ciò nonostante questa non è che una parte infima all’interno delle opere complete di quel gigante della scienza che fu Paracelso. Affermiamo, tranquilli nella nostra fede profonda, che anche oggi l’uomo che possedesse tutto ciò che sapeva Paracelso sarebbe l’uomo più prodigioso del nostro secolo!

Philophotes

NOTE DEL TRADUTTORE:

(1) Nella rappresentazione dell’albero sephirothico HOD (gloria, maestà) è l’ottava sephiroth, corrispondente nell’uomo alla gamba sinistra ed associata allo stadio finale di trasformazione dell’impulso divino prima della sua formalizzazione creativa (fase corrispondente a YESOD) e della successiva e definitiva espressione nel mondo manifesto (MALKUT). Essa in pratica rappresenta ciò che sottende allo stadio finale del processo cosmogonico rappresentato dall’albero sephirotico.
(2) Johannes da Indagine, Astrologo, fisiognomista e chiromante di origine tedesca (1415-1475), autore di Introductiones apotelesmaticae in chyromantiam, physiognomiam, astrologiam naturalem, complexiones hominum naturas planetarum, 1522, trattato reso ulteriormente popolare da una traduzione francese del secolo successivo. (n.d.t.)
(3) Bartolomeo della Rocca, detto Cocles (1467-1504), fisiognomico e astrologo italiano di origine ebraica, attivo a Bologna ed autore del Chyromantie ac physonomie Anastasis (1504)  (n.d.t.)
(4) Paride Ceresara detto Tricasso (1466-?), letterato (autore di volgarizzamenti di classici latini) ma soprattutto noto per la sua produzione nel campo chiromantico e fisiognomico. Autore dell’Expositione del Tricasso Mantovano sopra il Cocle (1535) e dell’’Epitoma Chyromantico (1538).