Pagina on-Line dal 07/04/2011

 

Questa traduzione del Novum Lumen attribuito ad Arnaldo da Villanova, è tratta dalle pagine conclusive della “Concordanza de filosofi”, posta in appendice all’edizione del 1572 del “DELLA TRAMUTATIONE METALLICA SOGNI TRE, DI GIO. BATTISTA NAZARI BRESCIANO…” Brescia, Appresso Pietro Maria Marchetti
La “Concordanza” non è altro che la traduzione di parte di una raccolta di scritti latini attribuiti ad Arnaldo da Villanova, inclusi in diverse raccolte di scritti alchemici pubblicate tra il XVI ed il XVII secolo.
Il “Libro chiamato Magistero et allegrezza” occupa le pgg. 211-219 dell’edizione citata.

Per informazioni bio-bibliografiche sul Nazari e sulla sua opera si rimanda alla nota, a firma di Senior, che introduce la riedizione del “Della Tramutatione Metallica Sogni Tre” curata nel 1967 dalle edizioni Arché di Milano.
A parte qualche leggero intervento sulla punteggiatura, al fine di garantire una migliore leggibilità, sono state introdotte poche altre modifiche al testo. Sono state, ad esempio, distinte le V dalle U, inoltre, dove indispensabile alla comprensione del testo, è stata introdotta l’accentazione moderna, sono state sciolte le (rare) abbreviazioni dell’originale, è stato regolarizzato l’uso della maiuscola dopo il punto e nella citazione di testi ed autori. Per il resto, la trascrizione è conservativa.

Massimo Marra

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Proemio

Padre, et Signore Reverendo; ancorché io sij ignorante nelle scienze liberali, né io sij molto assiduo al studio, né io sij in stato clericale, ha però voluto Dio, si come inspira a chi vuole, rivelare a me, ancorchè non meritevole, un secreto molto eccellente de Filosofi, & perché richiede la vostra nobiltà, la bontà, la prudenza, la liberalità, che si come non havete continouamente ricusato le fatiche del  cercare di sapere, le spese & li longhi studij, così anco ne conseguiate futto abondante dal campo, & dall’arbore della Filosofia per dono di Dio, perciò io rivelarò alla vostra prudenza il desiderato Lapis, overo elexir ordinato, & mostrato a me da Dio con la fede secreta d’un huomo da bene, & il suo governo nel modo ch’o ho visto, fatto & tenuto, sapendo che havendo viste, & intese le cose ch’io scrivo, sarà chiaro al vostro ingegno, che io ho conosciuto per voler di Dio il secreto non conosciuto dal vulgo.

 

TRATTATO NEL QUALE NOMINA IL LAPIS DE FILOSOFI.  cap. I

Intendi adonque il detto del Filosofo, che le operationi delli agenti sono nella dispositione  del patiente, per i quali s’intende che non si può fare l’elexir, se non di materia che habbia questa perfetta dispositione: & io faccio fede, che questa habilità si trova nella materia della quale è stato fatto l’elexir con le mie mani, & ne sono testimoni questi occhi, per dottrina però, come già ho detto d’altri, il quale elexir converte Saturno in Sole, & la qual materia io ho già nominata, che è la calamita de filosofi, della quale hanno cavata i filosofi l’oro occulto nel suo corpo, & nella quale hanno trovato l’argento vivo, & il solfo di solfo, la quale è lapis in similitudine, & in atto,  ma nella natura non imita le nature del lapis; però si chiama lapis  non lapis, & è mista di tabesci.
Il detto nostro argento vivo, non  è argento vivo nella propria natura, né ancora nella natura alla quale è ridotto per la miniera; ma il nostro argento vivo nella natura alla quale lo riduce il nostro artificio, questo è il nostro rame del quale si fa la tintura vera, del quale si fa lo matrimonio di chabrichim & della veya, nel quale è il Re con la sua moglie, & queste cose che li emendano sono nello istesso rame, come più chiaramente si manifestarà per il documento della operatione. Questo è il spirito col quale tingemo, & è il corpo del quale si parla nella Turba, & questa via che si chiama argento vivo, non si ha da corpi liquefatti con liquefattione volgare, ma da quella che dura tanto quanto s’uniscono li mariti & moglie in vero matrimonio, cioè fino alla bianchezza.
Questo è il lapis che si trova nella cime de monti, & meritamente si chiama minerale, si dice anco che sia Animale perché ha l’anima, però si dice nella turba, il rame ha il corpo, et l’anima come l’huomo; parimente tutto quello che ha spirito ha anco il sangue; parimente si chiama spirito, cioè argento vivo portatore delle virtù dell’anima, cioè solfo per il corpo, & rame cioè calamita, overo terra laquale fatta spirituale si chiama oro che era nascosto nel corpo della calamita; perciò si dice, figliuolo, cava la sua ombra dal raggio.
E anco manifesto, che se gli può aplicare l’anima, perché dimostra alcune virtù dell’anima, perché move & è mossa, è agente & patiente, però si dice nella Turba, ò natura in che modo stai eminente sopra tutte le cose, & in che modo le superi, & è aceto fortissimo che ha fatto l’oro essere puro spirito, & quando si meschia col corpo, si fa una istessa cosa con quello, & lo converte in spirito, perché dicendosi che sia animale, adonque si dirà che sia qualche cosa vegetabile, & meritatamente, perché nella operation si vegetarà di virtù in virtù sottigliandosi & purificandosi, & migliorando in sé gli colori, sin che acquisti la desiderata rossezza, nella quale è la perfettione, & sin che prenda la virtù di penetrare & di tingere.
Ma molti erranti non conoscono questo animale herbelcrocos, overo lapis croceo vegetabile nutrito nei monti, & si vende palesemente per minimo prezzo.

SEGUITA LA MONDIFICATIONE DEL LAPIS INANZI CHE SI METTA NELLA DECOTTIONE. Cap. 2

Questa opera che io ho mostrata al vostro intelletto, pura, monda, amena, sincera, si dimostra giusta accomodata in lame sottili, perché espurgata per la liquefatione del foco dalla grossezza minerale, con li modi delle elevationi si fa sottile in alcune sulfureità lasciate dalla adustione, & terrestreità, & miste con unione sottile & forte, & essendo esalate alcune humidità che corrompono, della qual sottigliatione sono due segni, uno che è il spirito citrino, manco duro, fatto lapis, che tiene alquanto dio perspicuità, & l’altro che è rimasto nel fondo del vaso, fatto terra sottile & negra; ma si avertisca a questo, che in questa elevatione, se si fa bene, vi si trova una certa cosa che rimane dentro, la quale si deve levare per forza, & elevargli sopra il volatile, & si deve restituire alla parte che resta di quello che già si è elevato, sin che tutto si faccia fugente, & all’hora la predetta terra negra rimane da tutti due nel lapis predetto duro, citrinissimo già converso.
Ma non vi contentate della predetta volatilità sin che si trovi che tutta la  massa  del predetto lapis elevato col foco sia resa nel suo vaso, continoua per il medesimo, contenendo li gradi del predetto foco, in modo che non vi rimanga cosa alcuna nel profondo, né netta né sporca.
Ma quando così si levarà perfettissimamente, s’adempirà nella perfettione della opera folosofica, la quale comanda la scrittura dicendo: soavemente, con grande ingegno, ascende dalla terra in Cielo.
Sappiate parimente, che quando si meschia col corpo si fa una istessa cosa con quello, & lo converte in spirito, & Geber comanda il medesimo nel capitolo della medicina del terzo ordine, & tutti li filosofi gridano l’istesso, & questa opera è chiamata da filosofi Ablutione, per la quale si fa l’Achilesue. perché nella elevatione, l’uno & l’altro ascende in fumo, overo in specie di fumo, & perché anco si liquefa questa materia mentre ascende, è chiaro che sia della natura dell’aqua calda, perché si liquefa & si congela dal freddo, & quando si spoglia delle superfluità si lava; s’imbevera con la sua aqua, cioè col spirito predetto, che procede dall’istesso germe.
Questa adonque è la dissolutione filosofica, la quale si fa col foco.

SEGUITA LA DECOTTIONE DEL PRIMO GRADO FINO ALLA BIANCHEZZA.  Cap. 3

Questa adonque rotonda fatta spirituale, che converte il rame in quatro, entra nel bagno temperato, per il quale il corpo si fa soave, & che contiene il foco leggiero, il quale consuma le humidità che corrompono.
Si deve adonque fare un forno di tal dispositione, che in quello si faccia un foco lento, il quale non si possi augmentare, & il vaso che contiene la materia deve essere di vetro coperto di ferro, in vaso della medesima forma tagliato per mezzo, & il vaso deve essere longo un cubito, stretto nella cima, si che la strettezza non permetta che il spirito esali, & la longhezza precipiti li fumi, se accade che se ne levino alcuni, & consumi fra di sé le humidità che corrompono, de quali forno & vaso si deve cercare la vista di Lilio, & non la scrittura, & il calore deve circondare il vaso da tutte le parti, altrimente indarno si diria che fosse bagno, & nella cima del forno vi deve essere il forame, per il quale deve uscire un pezzo di vetro rotondo, & longo, che chiude l’orificio di detto vaso.
Nel toccare del qual pezzo si conosce se la materia si coce con calore conveniente, & se per sorte qualche fumo pare che ascenda nel predetto vaso, non lo permette che esali essendo così disposto, ancor che il vaso si tenesse aperto; però dice Geber, che mai uno si separa veramente dall’altro, benchè parino alla vista che superficialmente si separino, né uno può essere senza l’altro, perché li suoi spiriti sono temperati per via di natura perfetta, in tanto che non si separino l’uno dall’altro, & in questo grado di calore la materia si fa negra, perché il calore operando nell’humido fa la negrezza.
Però si dice nella Turba, che vedendo la negrezza soprastare a quella aqua, devi sapere che il corpo è liquefatto, parimente nella prima opera tutte le cose si fanno negre.
Ma questo frutto si fa acciò si  guardi dal troppo foco, perché il calore chiuso dentro fa morire, & separarsi il composito, & perciò bisogna seguitare con foco temperato; si coce nel modo che si nutrisce un putto col latte, & in questo tutti convengono, & questo anco si mostra nella prattica de diversi colori, che si contengono sotto il color negro.

DEL GRADO DEL FOCO, QUANDO SI VEDRA’  LA NEGREZZA. Cap. 4

 
Ma quando tutto è negro si continui il foco del medesimo grado, sin che la bianchezza occulta nel suo ventre si veda, perchè così s’avicina al fisso.
Ma è da notare che nell’istessa negrezza appaiono molti colori, de quali non fanno mentione li Filosofi, perché alcune volte tutto si fa verde, alcune volte livido, alcune volte di color violaceo, alcune volte ancora da uno lato del vaso è verde, dall’altro è negro, overo è livido di dentro & verde di fuori.
Però tutti questi colori si comprendono sotto il negro, & perché in quelli non si contiene alcuna perfettione essentiale, perciò li filosofi nominano solamente tre colori fra glia altri principali, cioè il bianco, il negro & il rosso, che sono chiamati le virtù dell’anima.
Però nella Turba honorate i Re & la sua moglie, & non gli abrugiate, acciò non li mettiate in fuga con troppo foco, perché non sapete quando havete bisogno di questi, i quali emendano il Re & la sua consorte.
Fateli cocere si che si facciano negri, dopo bianchi, dapoi rossi, finalmente quello che tringe si faccia veneno, parimente si faccia il lapis bianco per la combustione, & humore, overo liquefattione, per l’aqua si dice che segue la mortificatione, la qual si vede nella negrezza, nella prima apparenza, nella qual mortificatione s’uniscono gli spiriti, cioè si essiccano, perché se gli corpi non si essiccano, non si vedono i colori de l’anima, i quali si chiamano negrezza & nuvola: parimente la calamita quando s’imbianca non lascia fugire il spirito, perché la natura contiene la natura.
L’humidità adonque, la qual curava la negrezza nella decottione si mostra essere fatta secca quando si comincia a vedere il color bianco, perché io ho visto nella trasmutazione della negrezza, una bianchezza oscura, inanzi che si facesse bianchezza perfetta la quale si chiama volgarmente color bruno, la qual brunezza si fa poi vera bianchezza.
Et durando questa brunezza, il mio maestro spezzò il vaso, & il lapis, & lo risguardò dentro & fuori, & lo trovò bruno di fuori, & di dentro v’era ancora la negrezza, & mi disse la causa di questo essere perché le parti della materia adherendo alli lati del vaso haveano sentito più il calore a sé vicino, che non havea fatto la materia di mezzo, & perciò haveano più presto cominciato a transmutarsi nel colore, & mi disse che questa brunezza ascendea, perché la bianchezza era estratta dal ventre della sua negrezza, come si dice nella Turba, perché quando lo vedrai nato, saprai che la sua bianchezza è nascosta nel ventre della negrezza, che in prima si vede, & all’hora bisogna che tu cavi quella negrezza, dalla sottilissima negrezza di quella.
Et non vi meravigliate perché sin ora questa materia io chiamo lapis, perché sappiate che quanto dura la bianchezza, & anco havendo persa la rossezza per longo tempo, sta duro, & sta in forma d’una massa forte, si che con la continouatione della decottione, comincia da sé stessa a disfarsi & elevarsi alquanto.

 

SEGUITA LA DECOTTIONE DEL SECONDO GRADO, FINO ALLA ROSSEZZA.  Cap. 5.

Quando adonque questo lapis haverà lasciato così la negrezza, si muta il grado del foco, & si mette in un altro forno di dispositione sottile, nel quale si fa più forte decottione, scaldando il vaso, & la materia d’intorno, & ivi si deve far cocere, perché all’hora piglia la bianchezza vera, con la quale nel medesimo loco si coce tanto che transmutata la bianchezza pare che acquisti rossezza.
Ma si deve guardare che questo foco non sia più intenso di quello che conviene al suo grado, perché in quel bianco colore, il corpo & il spirito sono veramente congionti, & se si facesse la decottione eccessiva oltra il dovere del suo grado, essendo uniti si separariano.
Però si dice nella Turba, cocete cautamente acciò non si convertano in fumo, ma si citrinano quando di colore bianco si transmutano in rosso, & il color citrino è mezzano fra il bianco & il rosso, bisogna adonque che quello si faccia inanzi la vera rossezza, & di questa prattica hanno parlato gli Filosofi, dicendo, il spirito & l’anima non si uniscono se non nel color bianco, perché all’hora tutti gli colori che nel mondo si ponno imaginare si vedono, & si fermano, & all’hora convengono in un color solo, cioè alla bianchezza, perchè l’imbianchire è fondamento di tutta l’opera, né si muta in diversi colori, cioè veri, fuor che nel rosso, nel quale è l’ultimo fine.
Perché la citrinatione che si fa tra il bianco & il rosso, non si deve dire colore in perfettione, & si provano per tutte queste cose che io ho dette, le quali anco l’esperienza del fatto m’ha mostrato che siano vere.

SEGUITA LA DECOTTIONE DEL TERZO GRADO FINO ALLA CALCINATIONE. Cap. 6.

Quando comincia a diventar rosso si mette a cocere in un altro forno, dandogli grado di foco più forte, fin che sia veramente rosso dentro & fuori, dil che è segno quando si disfa, & si leva come di sopra si è detto, delle quai cose si parla nella Turba.
Ma dopo la bianchezza non puoi falare, perché essendo accresciuto il foco dopo la bianchezza inanzi la rossezza si perviene alla cineratione; parimente vedendo quella bianchezza sopraeminente, pensa che il rossore è nascosto in quella bianchezza, & all’hora bisogna cavarlo fuori, ma cocendolo si che tutto si faccia rosso.
Et se vi resta qualche dubio perché causa la bianchezza, ancorchè il rosso si faccia col cocere, io ve lo dichiaro a questo modo, perché durando la negrezza vi resta la matteria, & è humida di sua natura, laqual humidità si dimostra che si secca come appare la bianchezza, & mai anco appare la bianchezza sin che l’humidità che corrompono sono del tutto consumante.
Adonque per queste due cause si può dire che la bianchezza si cava dalla negrezza, & mentre si fa rossa non si guasta niente, ma solamente si coce, & nella decottione gagliarda il color rosso si vede incommutabile, nel quale è la perfettione. Però si dice nella Turba, dal composto converso in spirito rosso si fa il principio del mondo.
Parimente s’intromette il spirito che tinge & che vivifica, & poi che è partita la humidità che corrompe, non si nutrisce, perché è pervenuto alla bianchezza, apparendo adonque questo color rosso, la natura mostra la sua perfettione occulta.

SEGUITA LA CALCINATIONE, NELLA QUALE SI ABBRACCIA L’ULTIMO GRADO DEL FISSARE, & ALL’HORA IL SPIRITO È FATTO VERAMENTE CORPO PERMANENTE VERO, & FIUGITIVO FUGIENTE.  Cap. 7.

Dopo che questa materia che ha il color rosso comincia a disfarsi & elevarsi, si mette a calcinare per fiamma gagliarda di riverbero nel vaso di terra nel quale si compisce il foco in grado fisso, & si fa permanente vera, & con fissione perfettissima.
Perciò, dice Geber, nel capitolo della calcinatione, che li spiriti si calcinano acciò si facciano le fissioni, & si dissolvino meglio, & anco nel capitolo della medicina del terzo ordine, comincia a calcinarla, & deve il foco quando si calcina stare in vigore, sin che si faccia polvere al tatto impalpabile, & che Habbia grandissima rossezza. Però nella Turba si dice così, sappiate che quando è cenere si meschia benissimo, perché quella cenere  riceve il spirito, & quello humore è rinchiuso per rispetto del foco di dentro fin tanto che prenda colore di zaffrano, overo di sangue secco & adusto, overo di siropo granato: parimente quando l’aqua è entrata nel corpo, la converte in terra, dapoi in polvere o cenere.
Se volete far prova della perfettione, pigliate con la mano, che se trovate l’aqua impalpabile, la cosa va bene, se di no, tornate a replicare,
Ma questa cenere rossissima impalpabile si leva in sé stessa, cresce anco in modo di fermento, & si separa da quello nella calcinatione.
La predetta terra negra sottilissima, & transparente, laquale è nel fondo del, vaso, si trova sotto la detta polvere rossa, onde mi dicea iol mio maestro, si vede che la perfettione della fissione consiste in questo per due cause. Una perché per la fissione & per il foco della calcinatione, s’introduce una poca quantità di questo elexir sopra molte quantità non permanente del corpo, laquale essendone fatta la proiettione conferma in quelle la fissione dell’oro, il che non saria se la fissione in quella non soprabondasse. L’altra causa è perché la predetta terra negra nella calcinatione si separa dal misto, laquale per altro era in tutto l’opera inseparabile per la unione fortissima, & perciò è stato necessario separarsi per artificio gagliardissimo, & se restasse mista, per rispetto della sua impurità, impediria l’ingresso della materia pura

SEGUITA LA CENERE FATTA FUSIBILE CON LA CALCINATIONE, & IL LAPIS ITERABILE, IL QUALE E’ L’ELEXIR COMPITO. Cap. 8.

Ma questa cenere  è priva di fusione, ma in che modo entri per tingere, certamente che a quella si restituisce la liquefattione, overo sudore per il modo insegnato da filosofi. Che moco è adonque quello? E’ forsi di solvere in aqua?
Certamente no, perché li filosofi non curano delle aque che s’aderiscono a chi le tocca, & che bagnano, come si dice nella Turba; ma quelli che cominciano, & che sentono l’aqua, hanno pensato che quella sia l’aqua del vulgo, ma se havessero letti i nostri  libri, saprebbono che l’aqua è permanente.
In che nodo adonque è veramente aqua, la quale non s’attacca a chi la tocca, ma scorre per la superficie, non humettando come fa l’argento vivo? Chi farà questa aqua? Quello che sa fare il vetro, perché questa materia non è altro che quella che vuole da sé stessa essere, aggionta a sé stessa, perché contiene in sé tutte le cose di che ha bisogno.
Et se le cose che io ho dette si considerano bene, saprete da questa cenere havere il lapis rosso in colore intenso poco transparente, frangibile, con poca fatica fusibile, penetrante, entrante & tingente con perpetua citrinatione, un peso del quale converte cento mille pesi & più di Saturno in Sole.
Ma la sottilità consiste nel modo del fare la proiettione, laquale non conosciuta, l’elexir che tiene non giova dall’istesso.

CONCLUSIONE DI TUTTA LA EPISTOLA. Cap. 9

Adonque Padre non ti meravigliare se in quest’opera molti errano, perché ti giuro non  haver mai visto alcuno, fuor che il mio Maestro, il quale applicasse la sua opera in materia debita, ma si sforzano a cose impossibili nelle materie, come se credessero d’un cane generare un huomo. Che meraviglia è adonque se si rendono bugiardi nelle opere?
Perché nella prattica dell’opera restano molti sottilissimi dubij del lapis, ma credi veramente che li filosofi hanno posta la verità nelli suoi libri, ma dopo la morte di quello che scrive, li suoi scritti sono male intesi; liquali però se esso fosse vivo, li esponaria speculativamente con le parole, & li verificaria con l’effetto dell’opera.
Ma io  ho esposto alla tua prudenza in ogni cosa tutta l’opera, & ho approvato alcune cose dette da filosofi, ancor che poche n’habbia allegate, né senza causa, perché io presuppongo che tu habbi rinchiuso nel petto tutti li scritti de filosofi, & così non dubito, che tu non debbi applicare ogni cosa alli miei detti, si come io per l’esperienza che ho visto, intendo li scritti de sapienti, li quali altrimente non haverei inteso.
Ho adonque scritto poche cose, persuadendomi che tu sappi il fondamento, & perciò facilmente conseguirai l’intentione di quest’opera, & mi basta che a te solo sia manifesto il mio intelletto, & che questa verità non si possa partire meco da questo mondo,
Per la riverenza dalla tua paternità ho dato fuori questo lume sopra di quella, perché fra gli altri di questo mondo, ti ho, secondo il mio giudicio, eletto per il più degno, & l’altissimo Dio ti faccia arrivare al fine desiderato.