Pagina on-line dal 13/04/2012 

Un noto ritratto di Marcelin Berthelot all’età di 41 anni.

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Marcelin Berthelot

FONTI GNOSTICHE

(Cap. III paragrafo 3 di Les origines de l’alchimie, Steinheil, Paris 1885, pp. 57-66).

 
Traduzione di Massimo Marra ©, tutti i diritti riservati, riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

 

Il testo che presentiamo di seguito è dovuto alla penna di Marcelin Berthelot (1827-1907) uno dei padri della storia della chimica, chimico ed uomo politico insigne (eletto senatore, ricoprì, in  momenti diversi, l’incarico di ministro della pubblica istruzione e di ministro degli affari pubblici) autore di opere capitali di storia della scienza, come La chymie au Moyen Age, Les Origines de l’alchimie, la Collection des Anciens alchimistes Grecs, l’Introduction à la chimie des anciens et du moyen age, e di un notevole numero di saggi e ricerche sperimentali di chimica applicata (si ricordano, oltre alle ricerche sulla sintesi dell’etanolo, del metano, dell’acido formico, dell’acetilene e del benzene, le importanti ricerche nel campo della termochimica – la branca della chimica che studia le variazioni calorimetriche nel corso delle reazioni chimiche – e degli esplosivi) apparsi sulle principali riviste scientifiche del tempo. Le opere del Berthelot, specie le raccolte di testi alchemici in edizione critica (i tre volumi della Collection ed i tre della Chymie au moyen age) hanno conosciuto diverse ristampe, anche in tempi recenti. In pratica, non esiste opera moderna sull’alchimia che non sia, in maniera diretta o indiretta, debitrice dell’opera gigantesca di raccolta, collazione, classificazione ed analisi critica di Marcelin Berthelot.
Buona lettura.
M. M.

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Avvertenza: I testi in greco antico riferiti alle citazioni tradotte nel testo, nell’originale francese inseriti in nota, sono stati soppressi per le note difficoltà di resa in html dei corretti segni diacritici.

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Lo studio di papiri e dei manoscritti conduce a precisare anzitutto l’epoca ed il punto di contatto tra l’alchimia e le antiche credenze d’Egitto e di Caldea. In effetti, questo contatto coincide con il momento del contatto tra queste credenze e quelle dei cristianI nel II e III secolo. I primi alchimisti erano gnostici.
Secondo Reuvens (1), il papiro n° 75 di Leida racchiude un miscuglio di ricette magiche, alchemiche e di idee gnostiche; queste ultime improntate alle dottrine di Marcus (2).
Gli autori dei nostri trattati, Zosimo, Sinesio, Olimpiodoro, sono del pari saturi di nomi ed idee gnostiche. «Libro della verità di Sophé l’Egiziano: qui è contenuta l’opera divina del Signore degli Ebrei e delle potenze Sabaoth». Questo titolo già citato, compare due volte, una volta da solo (3), l’altra (4) seguito dalle parole: «Libro mistico di Zosimo il Tebano». Vi si riconosce un analogo del Vangelo della Verità e della Pistis Sophia di Valentino, così come la parentela dell’autore con le dottrine ebraiche e gli gnostici. In effetti le parole «Signore degli ebrei» e «Sabaoth» sono caratterizzanti.
Quanto al nome di Sophé l’egiziano, è una forma equivalente a quella di Souphis, vale a dire del Cheops dei greci. Il libro che gli è qui attribuito ricorda un passaggio d’Africanus, autore del III secolo della nostra era, che ha composto un riassunto dello storico Manetone, più tardi compilato da Eusebio (5). «Il re Souphis – dice Africanus – ha scritto un libro sacro che ho comprato in Egitto, come cosa assai preziosaۚ. Si vendevano dunque allora, sotto il nome del vecchio re, dei libri apocrifi, i cui autori reali erano talvolta nominati di seguito, come nel titolo della nostra opera di Zosimo.
Il serpente o dragone che si morde la coda (ouroboros) è ancor più significativo: è il simbolo dell’opera che non ha inizio né fine (6).
Nel papiro di Leida (7) si parla di un anello magico sul quale è inciso questo serpente. Esso è anche raffigurato due volte nel manoscritto 2.327, in testa a degli scritti senza indicazione di autore, disegnato e colorato con la più grande cura, in due e tre cerchi concentrici di colori differenti, ed associato alle formule consacrate: «La natura si compiace della natura etc…» (8). È provvisto di tre orecchie, che simbolizzano i tre vapori, e di quattro piedi, che rappresentano i quattro corpi o metalli fondamentali: piombo, rame, stagno, ferro.
Questi ultimi dettagli ricordano singolarmente la salamandra, animale misterioso che vive nel fuoco, e che compare già a Babilonia (9) ed in Egitto (10), e di cui Aristotele (11), Plinio, Seneca e gli autori dei secoli successivi ricordando di sovente le proprietà misteriose. Se ne parla anche nei papiri di Leida (12) e tra le incisioni gnostiche su pietra della collezione della Bibliothèque Nationale: essa giocava un certo ruolo nelle formule magiche e mediche di quel tempo.
Al seguito della figura del serpente, si legge, nel manoscritto 2.327 una esposizione allegorica dell’opera: «Il dragone è il guardiano del tempio. Sacrificalo, scorticalo, separa la carne dalle ossa e troverai ciò che cerchi». Poi, viene successivamente l’uomo di bronzo, che cambia di colore e si trasforma nell’uomo d’argento; quest’ultimo diviene a sua volta l’uomo d’oro (13). Zosimo ha riprodotto questa sequenza dilungandosi maggiormente (14). D’altronde, le stesse allegorie si ritrovano in un testo anonimo (15), sotto una forma che sembra più antica: l’uomo di bronzo è spinto nella fonte sacra, ed egli cambia non solo di colore (χρωμα) ma anche di corpo (σωμα), ovvero di natura metallica, divenendo l’uomo di Asemon, e poi l’uomo d’oro. L’argento è qui rimpiazzato dall’asemon, vale a dire dall’Electrum, lega di oro e argento, che figurava nel novero degli antichi metalli egizi (p. 49).
Rimarchiamo ancora queste allegorie, in cui i metalli sono rappresentati come persone, uomini: è qui che troviamo, probabilmente, l’origine dell’homunculus del Medio Evo; la nozione della potenza creativa dei metalli e di quella della vita sono confuse in una medesima simbologia.
Un altro trattato di Zosimo racchiude una figura enigmatica, formata da tre cerchi concentrici, che sembrano gli stessi di quelli del serpente, ed al cui interno si leggono le seguenti parole cabalistiche: «Uno è il tutto, attraverso di lui il tutto, per lui il tutto ed in lui il tutto. Il serpente è uno; egli ha i due simboli (il bene e il male) ed il suo veleno (oppure la sua freccia), etc…» (16). Un po’ oltre viene la figura dello Scorpione ed una sequela di segni magici ed astrologici. Questi assiomi riappaiono, ma senza la figura, scritti in inchiostro rosso sul foglio 88 del ms. 2.327 (17): probabilmente, qui la figura esisteva nel testo primitivo, ma il copista non l’ha più riprodotta.
Nel manoscritto di San Marco, fol,. 188, v°, e nel manoscritto 2.249, fol. 96, sotto il nome di Chrysopea di Cleopatra, si vede lo stesso disegno, più complicato e più espressivo. In effetti, non solo sono tracciati i tre cerchi, col medesimo assioma mistico, ma il centro è riempito dai tre segni dell’oro, dell’argento e del mercurio. Sul lato destro si stende un prolungamento in forma di coda, che confina con una serie di segni magici che si sviluppano tutto intorno. Il sistema dei tre cerchi corrisponde qui ai tre colori concentrici del serpente citato in precedenza. Al di sotto si vede l’immagine stessa del serpente Ouroboros, con l’assioma centrale «Uno il tutto». Il serpente, così come il sistema dei cerchi concentrici, è in fondo l’emblema delle medesime idee espresse dall’uovo filosofico, simbolo dell’universo (18) e simbolo dell’alchimia.
Si tratta di segni ed immaginazioni gnostiche, così, come viene dimostrato dall’anello magico descritto nel papiro di Leida e come si può desumere dall’Histoire des origines du Christianisme di Renan (19). 
Il serpente che si morde la coda si presenta continuamente associato ad immagini di astri ed a formule magiche sulle pietre incise di epoca gnostica. Se può trarre conferma nel catalogo a stampa dei cammei e delle pietre incise della Bibliothèque Nationale di Parigi del Chabouillet. I numeri 2.176, 2.177, 2.180, 2.194, 2.196, 2.201, 2.202, 2.203, 2.204, 2.205, 2.206 etc. recano la figura dell’Ouroboros, con ogni sorta di segni cabalistici. Allo stesso modo si trova la salamandra, al n° 2.193. Al n° 2.203 si vedono Hermes, Serapis, le sette vocali simbolizzanti i sette pianeti, il tutto circondato dal serpente che si morde la coda. Al n° 2.240 il segno dei pianeti con quello di Mercurio che è lo stesso oggi in uso. Si trattava, secondo Sesto Empirico, medico del IV secolo, di amuleti e talismani che si appendevano al collo dei malati, e che si facevano servire ad ogni sorta d’uso.  Questi simboli sono contemporaneamente simili e contemporanei a quelli degli alchimisti.
Il serpente che si morde la coda era adorato a Hierapolis, in Frigia, dai Naasseni, setta gnostica a malapena definibile cristiana. Gli Ofiti, branca importante dello gnosticismo, comprendevano diverse sette che concordavano su un punto, ovvero l’adorazione del serpente, visto come simbolo di una potenza superiore (20), come il segno della materia umida senza la quale nulla può esistere, come l’anima del mondo che avviluppa tutto e dona vita a tutto ciò che c’è, il cielo stellato che circonda gli astri; un simbolo della bellezza ed armonia dell’universo. Il serpente Ouroboros simbolizzava dunque le stesse cose dell’uovo filosofico degli alchimisti. Il serpente era allo stesso tempo buono e malvagio. Ciò corrisponde al carattere del serpente egiziano Apophis, simbolo delle tenebre e della loro lotta contro il sole.
L’Ophiouchos, che è sia un uomo che una costellazione, gioca un ruolo essenziale della mitologia dei Perati, altri Ofiti; egli prende le difese dell’uomo contro il malvagio serpente. Lo ritroviamo in Olimpiodoro (21). 
Altrove ritroviamo lo speciale linguaggio gnostico: «la terra è vergine e sanguinante, ignea e carnale» ci dicono gli  stessi autori (22).
Gli gnostici, così come i primi alchimisti ed i neoplatonici di Alessandria, univano la magia alle loro pratiche religiose. Si spiega con ciò la presenza della stella a otto raggi, segno del sole in Assiria, che si ritrova tra i simboli che circondano la Crysopea di Cleopatra, così come negli scritti Valentiniani. Essa sembra ricordare l’ogdoade mistica degli gnostici, e gli otto dèi elementari egizi, riuniti per coppie maschili e femminili, di cui parla Seneca (23). Ho mostrato altrove (p. 34) che il numero quattro gioca un ruolo fondamentale sia in Zosimo che negli egizi e nello gnostico Marco.
Il ruolo dell’elemento maschile, assimilato al levante, e dell’elemento femminile, comparato all’occidente (24), l’opera compiuta dalla loro unione (πληρούμενον), l’importanza dell’elemento ermafrodita (la dea Neith degli egiziani) citato da Zosimo (25), e che riappare fino agli scritti del Medio Evo (26), l’intervento delle donne alchimiste Teosebia, Maria l’Ebrea, Cleopatra la Sapiente, che ricordano le profetesse gnostiche (27), costituiscono tratti comuni tanto agli gnostici che agli alchimisti.
Le tradizioni Ebree giocavano un ruolo importante presso gli gnostici Marciani. Il che è ancora coerente con la citata influenza ebrea negli scritti alchemici e nel papiro di Leida.
Zosimo ed Olimpiodoro riproducono le speculazioni gnostiche sull’Adam, l’uomo universale (28) identificato col Thot egiziano; le quattro lettere del suo nome (29) rappresentano i quattro elementi. Eva vi si trova assimilata a Pandora. Prometeo ed Epimeteo sono citati e considerati come espressione allegorica di anima e corpo.
Parimenti troviamo nei Geoponica una ricetta attribuita a Democrito finalizzata a scacciare i serpenti da una piccionaia, in cui figura in nome di Adam. Sotto una forma più grossolana si tratta sempre dello stesso ordine di superstizioni.
Una tale mescolanza di miti greci, ebrei e cristiani è caratteristica. I Sethiani, setta gnostica, associavano allo stesso modo misteri orfici e nozioni bibliche (30). I nostri autori alchemici non mancano di appoggiarsi di frequente all’autorità dei libri ebraici; e fanno ciò allo stesso modo dei primi apologisti cristiani, ovvero collegandoli a Hermes, ad Orfeo (31), ad Esiodo, ad Arato (32), ai filosofi ed ai maestri della saggezza antica.
Questo linguaggio, questi segni e questi simboli ci riportano nel mezzo di quel sincretismo omnicomprensivo, ben conosciuto dagli storici, in cui le diverse credenze e cosmogonie dell’oriente si confondevano sia tra loro che con l’ellenismo ed il cristianesimo. Gli inni gnostici di Sinesio, che è allo stesso tempo filosofo e vescovo, sapiente ed alchimista, ci mostrano lo stesso sincretismo.
Ora, lo gnosticismo ha giocato un grande ruolo in tutto l’oriente, e specie ad Alessandria, al II secolo della nostra era (33); ma la sua influenza generale ha oltrepassato il IV secolo. È dunque verso questo intervallo di tempo che noi siamo riportati in maniera sempre più pressante dagli scritti alchemici. Tali scritti mostrano che esisteva fin dalle origini una affinità segreta tra la Gnosi, che insegnava il senso autentico delle teorie filosofiche e religiose, dissimulate sotto il velo dei simboli e delle allegorie, e la chimica, che perseguiva la conoscenza delle proprietà nascoste della natura, e che le rappresenta, anche ai giorni nostri, attraverso dei segni dal doppio o triplo significato.  

 

 

NOTE:

(1) Iª Lettera a M. Letronne, da p.8 a p. 10.

(2) Monuments Egyptiens du musée de Leide, publiés par Leemans, p. 85 (1846). La stessa in edizione in 8°, pubblicata nel 1839, p. 18 e 34.

(3) Ms. 2.327, fol. 260.

(4) Fol. 251.

(5) Collection Didot, p. 548. Eusebio ha alterato questo passaggio, sostituendo alle parole io ho comprato etc., queste altre: libro che gli egiziani considerano come assai prezioso.

(6) Ms. 2.250, fol. 45: «Il serpente Ouroboros il cui inizio è la fine e la cui fine è l’inizio».

(7) Reuvens, Iª Lettera a M. Letronne p. 24.

(8) Ms. 2.327, fol. 196 (tre cerchi: rosso, giallo e verde) e fol. 279 (due cerchi rosso e verde).

(9) Ex ipsa quae magi tradunt contra incendia, quoniam ignes sola animalium extinguat, si vera ferunt: Plinio, I, XXIX, cap. IV. Sez. 23. 

(10) Secondo Gessner (de Quadrup. Oviparus) c’era in Egitto il simbolo di un uomo bruciato, ed egli cita Horus (Horapollon) nei suoi Hyerogliphica.

(11) Aristotele, Storia degli animali, 1, V, cap. XIX. Galeno esprime anzitutto il dubbio e si richiama a delle esperienze positive. Ciò nonostante dice che alla fine essa è bruciata. Galeno, sui Miscugli, libro III; ed. de Kūhn, I, 814, 1821.

(12) Quarta uscita della pubblicazione di M. Leemans, tavola XII.

(13) Ms. 2.327, fol. 196; Ms di San Marco, fol. 94.

(14) Ms. 2.327, fol. 86, v°.

(15) Ms. di San Marco, fol. 137; ms. 2.327, fol. 110, v°.

(16) Ms. 2.327, fol. 220 e fol. 80.

(17) Vedi anche il ms. 2.325, fol. 83.

(18) Ms. 2.327, fol. 23.

(19) T. III, p. 183.

(20) Sur les Ophites di Ph. Bergier, p. 28, 29, 96 ; 1873.

(21) Ms. 2.327, fol. 204.

(22) Zosimo nel manoscritto di San Marco, fol. 190, v°.

(23) Questioni naturali, III, 14.

(24) Ms. 2.327, fol. 206.

(25) Ms. 2.327, fol. 220.

(26) Theatrum Chemicum, V, 804.

(27) Histoire des origines du Christianisme, t. VII, p. 116.

(28) Ms. 2.327, fol. 20 e ms. 2.249 fol. 98, trascritto in parte in Hoefer I, 534 – Ms. di San Marco, fol. 190.

(29) L’autore non sapeva che in ebreo questo nome ha solo tre lettere.

(30) Renan, VII, 135.

(31) Ms. 2.327, fol. 262.

(32) Ms. 2.327, fol. 256 e fol. 93.

(33) Renan, Histoire des origines du Christianisme, t. VI, p. 139.