On Line dal 30/06/2012

Al doctor Angelicus la tradizione alchemica attribuisce diverse opere. A san Tommaso è anzitutto attribuita la celebre Aurora consurgens. Tra le composizioni alchimistiche attribuite al santo discreta fortuna ebbero pure i due trattati che abbiamo inserito in queste pagine, ovvero il presente Trattato della pietra filosofale (talvolta presenato col titolo altino di Essentiis Essentiarum) (1). ed il Trattato sull’arte dell’alchimia (clicca qui).
Quelli che presentiamo in questa sede sono i testi della prima edizione italiana dei due trattati, usciti nel 1913 per i tipi della Atanor (Trattato della pietra filosofale preceduto da una introduzione e seguito da un trattato del medesimo autore su l’Arte dell’alchimia. Prima traduzione italiana dal testo latino, Todi 1913) in una traduzione anonima (2). Il testo della traduzione dei due trattati latini, originariamente contenuti nel terzo tomo del Theatrum Chemicum (Argentorati, 1613) è evidentemente ricalcato sull’edizione francese uscita quindici anni prima a Parigi per i tipi di Chamuel, curata dall’ermetista cristiano Grillot de Givry.
L’edizione italiana riporta per esteso (dopo un disutile sommarietto biografico sul santo) una traduzione in alcuni passi infedele della colta introduzione di Grillot de Givry. Dello scritto dell’ermetista francese esiste un’altra traduzione, oggi circolante sul web, ancor più manipolata ed infedele (in cui alcune parti risultano addirittura omesse), di cui non abbiamo identificato l’archetipo a stampa, che riporta, peraltro, una misteriosa quanto apocrifa sigla G. M. in coda alla traduzione del testo di Grillot de Givry (3).
Tuttavia la fortuna editoriale dei testi alchemici attribuiti all’Aquinate, non si ferma alle edizioni citate. Esiste un’altra edizione del Trattato sull’arte dell’alchimia apparsa in tre parti nel 1990 sulla rivista Convivium, anch’essa anonima e completamente priva del benché minimo apparato critico e bibliografico (4).
Su questo sito, abbiamo preferito restituire l’introduzione di Grillot de Givry in una nuova traduzione integrale, più fedele all’originale di quanto non lo siano quelle delle edizioni fin qui citate.
Una traduzione completa ed integrale dello scritto introduttivo – e delle note inedite dell’ermetista francese portate alla luce nella ristampa dell’opuscolo francese uscita nel 1979 (Traité de la Pierre philosophale suivi du Traité sur l’arte de l’Alchimie traduit du latin pour la première fois, introduction et notes inedites par Grillot de Givry, Arché Sebastiani, 1976) (5) – era già uscita nel 1993 per i tipi della Arkeios (Trattato su la pietra filosofale e L’arte dell’alchimia. Introduzione, traduzione e note inedite, collana La via dei simboli, Arkeios, Roma, 1993). 
Chi desiderasse una traduzione più recente del Trattato sulla pietra filosofale, con testo latino a fronte, può fare anche riferimento alla recente edizione curata da Paolo Cortesi (L’alchimia ovvero trattato della pietra filosofale, oggi nella collana Grandi tascabili economici, Newton, Roma, 2006).

 

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.

 

NOTE:
(1) Il lettore potrà usufruire, sia per qeusto trattato che per l’Aurora Consurgens, delle recenti traduzioni italiane contenute nella splendida antologia curata di recente da Michela Pereira (Alchimia, i testi della tradizione occidentale, Milano, Mondadori 2006).
(2) Tale edizione è oggi reperibile in ristampa anastatica per i tipi di Marco Valerio.
(3) Tale è a esempio l’edizione reperibile nell’apposita sezione dedicata all’alchimia nel sito web della loggia massonica milanese (obb. GOI) Monte Sion, reperibile all’indirizzo  http://www.montesion.it/_alchimia/_alchimiap/Alchimia_Frame.htm
(visitato il 18/06/2011).
(4) Cfr. Convivium – Rassegna trimestrale di studi tradizionali, SEAR edizioni, anno I (1990) n° 1 (aprile-giugno), 2 (luglio-settembre), e 3 (ottobre-dicembre). 
(5) Si tratta di note inedite del traduttore, soppresse nell’edizione Chamuel. 

 

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TRATTATO DI SAN TOMMASO D’AQUINO DELL’ORDINE DEI FRATI PREDICATORI SU LA PIETRA FILOSOFALE.

 

CAPITOLO I – Dei corpi supercelesti.

Aristotele, nel primo libro delle Meteore, insegna che è bello e lodevole ricercare, con profonde investigazioni, la Causa prima che dirige l’ammirabile concerto delle cause seconde; e i saggi, poiché vedono effetti in tutte le cose, pervengono così a scrutarne le cause occulte.
Noi vediamo così i corpi celesti esercitare una notevole azione su gli elementi e per la sola virtù della materia di un solo elemento, come, per esempio, dalla materia dell’acqua essi possono estrarre le modalità aeriforme ed igniforme.
Ogni principio naturale di attività produce, nella sua durata di azione, una moltiplicazione di se stesso, similmente al fuoco che, comunicato al legno, estrae da questo una più grande quantità di fuoco.
Noi parleremo dunque qui degli agenti più importanti che esistono nella natura.
I corpi supercelesti si presentano sempre, ai nostri occhi, rivestiti della forma materiale di un elemento, ma non partecipano affatto della materia di questo elemento, e quelle sfere sono d’una essenza molto più semplice e sottile, che le apparenze concretizzate d’esse stesse, le quali noi scorgiamo semplicemente.
E Rogerio ha assai bene esposto tutto ciò: ogni principio di attività, egli dice, esercita la sua azione per la sua propria similitudine, trasformandosi questa ultima allo stesso tempo in principio passivo ricevitore, ma senza differenziare specificamente dal principio attivo che l’ha generata; per esempio, la stoppa, messa presso il fuoco, in modo che non ne sia a contatto, dal fuoco avrà moltiplicata  la sua specie come ogni altro principio di azione, e questa specie sarà moltiplicata, e raccolta nella stoppa tanto per l’azione naturale e continua del fuoco, come per l’attitudine di passività che possiede la stoppa; poi si vivificherà, fino al compimento completo dell’atto del fuoco.
Onde é manifesto che la similitudine del fuoco non è punto differente dal fuoco stesso, in specie. Ma certi principii possiedono una azione specifica intensiva di tal forza che possono corroborarla con la lor propria similitudine moltiplicandosi e riformandosi senza interruzione in tutte le cose; così il fuoco. Altri, al contrario, non possono moltiplicare la loro specie per similitudine e trasmutare ciascuna cosa in se stessi: così l’uomo.
Difatti, l’uomo non può operare per mezzo della moltiplicazione della sua similitudine come opera per mezzo il suo atto proprio, poiché la complessità del suo essere l’obbliga sempre a compiere una pluralità di azioni.
È per questa ragione, come lo prova Rogerio nel libro De InfIuentiis, che, se l’uomo potesse al contrario produrre un’azione possente mediante la sua similitudine, come il fuoco, senza dubbio la sua specie sarebbe veramente un uomo. Conseguentemente, allorché i corpi supercelesti esercitano la loro azione su un elemento, essi operano per  loro similitudine e inoltre producono qualche cosa di simigliante a loro stessi e quasi della medesima specie. 
Dunque, giacché essi producono l’elemento dell’elemento e la cosa elementata della cosa elementare, ne consegue necessariamente che vengono a partecipare essi stessi della natura dell’elemento. E, per meglio comprendere ciò, occorre osservare che il Sole produce dal Fuoco corpi saturati d’acqua urinaria e corpi cristallini sferici.
Tu devi sapere anche che ogni principio di attività, siccome è provato nel libro De Influentiis,  moltiplica la sua similitudine secondo una linea perpendicolare diritta e forte, ciò che si vede evidentemente nell’esempio preso della stoppa e del fuoco che si uniscono dapprima in un punto preso sopra una linea perpendicolare ideale; ciò che si vede ugualmente quando l’urina o il cristallo sono esposti al sole e ricevono l’influenza dei raggi solari che sono la loro similitudine.
Se si opera con l’intermediario di uno specchio, allorché il raggio del sole sarà proiettato perpendicolarmente, lo si vedrà traversare interamente l’acqua o il corpo trasparente senza rompervisi a causa dell’estremo coefficiente della potenza di sua azione: se, al contrario, esso è proiettato in linea dritta non perpendicolare, si romperà alla superficie del corpo, e un nuovo raggio si formerà in una direzione obliqua, trovandosi preso il punto di congiunzione di questi due raggi su la linea perpendicolare ideale. É questo il punto dell’energia massima del calore solare, perocché se vi si metterà della stoppa o qualsiasi altro corpo combustibile, s’infiammerà immediatamente.
Resulta dunque da tutto ciò che, quando la similitudine del sole (ovverosia i raggi del sole) è corroborata dall’azione continua del sole stesso, essa genera il fuoco. Il Sole possiede così il principio e le proprietà del Fuoco come viene provato per mezzo degli specchi ardenti.
Questa specie di specchi si costruiscono d’acciaro perfettamente terso, e di tal forma o disposizione che, riunendo il fascio dei raggi solari, essi li proiettano secondo una linea unica d’una grande forza incandescente. Si pongono questi specchi presso città o castelli o qualsivoglia altro luogo, e si vedrà che qualche cosa prenderà fuoco, come lo afferma Atan nel suo libro degli Specchi Ardenti.
È manifesto che il Sole e gli altri corpi supercelesti non partecipano in alcuna maniera della materia dell’Elementale, e di conseguenza sono esenti di corruttibilità, di leggerezza e di pesantezza.
Qui occorre procedere a una distinzione fra gli elementi: certi son semplici e infinitamente puri, non avendo la virtù trasmutatrice necessaria per evolvere fino a un altro piano di modalizzazione, poiché la materia ond’essi sono formati, trovandosi limitata da quella più perfetta forma che a lei stessa possa convenire, essi non ne desiderano d’altra sorta; e di questi elementi probabilmente son formati i corpi supercelesti. Imperocché noi poniamo realmente l’acqua sopra il firmamento e il cristallino. Così possiamo dire altrettanto degli altri elementi; ed è di questi Elementi che sono composto i corpi supercelesti, per la potenza divina o per le intelligenze nelle quali essa si è ministerializzata. Da questi elementi non possono essere generate né la gravità né la leggerezza, perché sono accidenti che non appartengono se non alle terre grossolane e pesanti. Tuttavia essi producono il fenomeno della colorazione, perché le diversità nella luce sono dovute a un fluido della serie imponderabile.
Questi Corpi Supercelesti appaiono in effetto di color dorato, e inoltre scintillano come se siano colpiti essi stessi da un raggio di luce, similmente a uno scudo che scintilli e lanci il suo baleno allorché è battuto dai raggi del sole. Gli Astrologi attribuiscono dunque a questi elementi la causa della scintillazione e del colore dorato delle Stelle, come hanno sufficientemente provato Isacco e Rogerio nel libro De Sensu; e poiché esse stelle sono generate da certe qualità dei detti elementi, ne consegue che è insito nella natura elementale di possederli.
Ma, come questi elementi sono, per lor natura, d’una infinita purità e non mai confusi con alcuna sostanza inferiore, accade obbligatoriamente che nei corpi celesti essi devono trovarsi incorporati così proporzionalmente che non possono separarsi gli uni dagli altri. Il che non dovrà affatto meravigliare, imperocché, cooperando con la Natura mediante i procedimenti dell’artista, io ho separato da me stesso i quattro Elementi di parecchi corpi inferiori, al fine di ottenere ciascuno separatamente, sia il fuoco, sia l’acqua o la terra. Io ho purificato nel miglior modo possibile ciascuno di questi elementi, l’uno dopo l’altro, per mezzo di un’operazione segreta, e dopo di ciò, li ho congiunti e ho ottenuto una cosa ammirabile che non era sottomessa ad alcuno degli elementi inferiori, poiché, lasciandola il più lungamente possibile nel fuoco, non ne restava consumata e non subiva alcun cambiamento. Non ci stupiamo dunque se i corpi celesti sono di una natura incorruttibile, poiché essi sono composti interamente di elementi, e non v’è dubbio che la sostanza da me ottenuta partecipava molto della natura di questi corpi. Ed è per questa ragione che Ermogene, che fu tre volte grande in filosofia, si esprime così: fu per me una alta gloria a null’altra eguale, di pervenire alla perfezione della mia opera e di vedere la Quinta Essenza senza alcun miscuglio della materia degli elementi inferiori.
Una parte di fuoco possiede maggior energia potenziale che cento parti di aria, e di conseguenza una sola parte di fuoco può agevolmente domare mille parti di terra. Noi ignoriamo le proporzioni ponderali assolute secondo le quali s’opera la miscela di questi elementi; nondimeno,  per  la pratica della nostra arte, abbiamo osservato che, quando i quattro elementi sono estratti dai corpi e purificati ciascuno separatamente, occorre, per operare la loro congiunzione, prendere a pesi eguali l’acqua e l’aria e la terra, e aggiungere soltanto una sedicesima parte di fuoco. Tale composizione è veramente formata di tutti gli elementi, con tutto che le proprietà del fuoco dominino ancora su quelle degli altri. Poiché, gettandone una parte su mille di mercurio, si vedrà che si coagula e diventa rosso. Ed è perciò evidente che una tale composizione è d’una essenza quasi simigliante a quella dei corpi celesti, imperocché, nella trasmutazione, essa si comporta alla maniera del principio attivo più energico.
Ripeteremo dunque, in fine, che, siccome dice il grande filosofo Aristotele, è bello e lodevole ricercare per mezzo di profonde investigazioni, la Causa prima che dirige l’ammirabile concerto delle cause seconde, e pervenire a scrutarne la forza occulta.  

 

CAPITOLO II – Dei corpi inferiori: della natura e delle proprietà dei minerali e primieramente delle pietre.

Noli tratteremo ora dei corpi inferiori, poiché questi si dividono in minerali piante e animali, cominceremo con lo studiare la natura e le proprietà dei Minerali.
I Minerali si dividono in Pietre e Metalli. questi ultimi sono formati secondo le leggi e i medesimi rapporti quantitativi delle altre creature; soltanto la loro costituzione particolare risulta da un più gran numero di operazioni e di trasmutazioni che quella degli elementi o dei corpi supercelesti, poiché la composizione della loro materia è pluriforme.
La materia che compone le pietre è dunque d’una natura assai inferiore, grossolana e impura, e possiede più o meno terrestreità a seconda del grado di purità della pietra. Come dice Aristotele nel suo libro Delle Meteore (che certuni attribuiscono ad Avicenna), la pietra non è formata di terra pura; si tratterebbe piuttosto di una terra acquosa, così che noi vediamo certe pietre formarsi nei fiumi e il sale estrarsi dall’evaporazione dell’acqua salata. Quest’acqua, possedendo molte terrestreità, si coagula sotto una forma pietrificata per il calore del sole o del fuoco.
La Materia onde si compongono le pietre, è dunque un’acqua grossolana; il principio attivo: il calore è il freddo che coagulano l’acqua e ne estraggono l’essenza lapidaria lapidiforme. Questa costituzione delle pietre è provata dall’esempio degli animali e delle piante che risentono la proprietà delle pietre e ne producono essi stessi; il che merita d’esser considerato con la più grande attenzione.
Alcune di queste pietre si trovano difatti coagulate negli animali per l’effetto del calore, e qualche volta posseggono proprietà più energiche di quelle che non provengono dagli animali e si sono formate secondo la via ordinaria. Altre pietre invece sono formate per l’azione della natura stessa attivata dalla virtù di altri minerali. Imperocché, dice Aristotele, si ottiene, col miscuglio di due acqua differenti, l’acqua detta “Latte della Vergine” e che si coagula da sé stessa in pietra. Così, egli continua, se si mescola del litargirio, sciolto nell’aceto, con una soluzione di sale alcalino, benché questi due liquidi sieno molto chiari, quando viene operata la loro congiunzione essi formeranno immediatamente un’acqua spessa e bianca come il latte. Imbevuti di quest’acqua, i corpi che si vorranno trasformare in pietre, si coaguleranno senza alcuno indugio. Difatti, se la calce d’argento o un altro corpo simile è inaffiato di quest’acqua e trattato subito dopo chimicamente con un fuoco dolce, esso si coagulerà. Il Latte della Vergine possiede dunque veramente la proprietà di trasformare le calci in pietre. Noi vediamo in egual modo nel sangue, negli ovi, nel cervello o per i capelli e altre parti degli animali, formarsi delle pietre, d’una efficacia e di una virtù mirabilissime. Se si prende, per esempio, del sangue umano e si lascia putrefare nel letame caldo, per metterlo così nell’alambicco, esso distillerà un’acqua bianca simile al latte Se si aumenterà in appresso il fuoco, esso distillerà una sorta di olio. Infine, si rettifichi il fondo che resta nell’alambicco per renderlo bianco come neve. Allora, mescolandolo con l’olio che gli viene versato sopra, verrà fuori una pietra tersa e rossa d’una efficacia e d’una virtù assai notevoli per arrestare il flusso del sangue e guarire gran numero d’infermità.
Noi ne abbiamo egualmente estratta una dalle piante, col metodo seguente: Abbiamo bruciato alcune piante nel fornello di calcinazione, di poi abbiamo convertito questa calce in acqua, l’abbiamo distillata e coagulata; allora essa si è trasformata in una pietra dotata di virtù più o meno grandi a seconda delle virtù delle piante adoperate e della loro diversità. Alcune producono pietre artificiali, le quali, all’esame più minuzioso, appaiono simili alle pietre naturali; per esempio sono stati fatti giacinti artificiali che non differiscono per nulla dai giacinti naturali, e così pure dei zaffiri con un procedimento identico.
Si dice che la materia di tutte le pietre preziose sia il cristallo che è un’acqua con pochissimi caratteri di terrestreità e coagulata sotto l’azione di un freddo estremo. Si polverizza alquanto cristallo su un piano di marmo, si imbeve di acque forti e di dissolventi energici per parecchie volte di seguito, diseccandolo e polverizzandolo di nuovo per inumidirlo ancora coi dissolventi fino a che questa miscela non formi più che un corpo ben omogeneo; essa miscela si mette di poi nel letame caldo nel quale si converte dopo un certo termine in acqua; si distilla questa per chiarificarla e farla volatilizzare in parte. Si prende allora un altro liquido fatto di vetriolo rosso calcinato e di orina di bambino; si mescola e si distilla questo liquido col primo un gran numero di volte e col medesimo sistema, secondo il peso e le proporzioni necessarie; si torna a metterlo nel letame affinché avvenga più intimamente la miscela, e quindi si coagula chimicamente a fuoco lento. Otterremo così una pietra preziosa simile in tutto al Giacinto. Quando si vuol fare un Zaffiro, il secondo liquore deve esser formato di orina e di azzurro invece che di vetriolo rosso, e così delle altre pietre, secondo la diversità dei colori, l’acqua da adoperarsi dovrà essere della stessa natura della pietra che si vuol generare. Il principio attivo è dunque il calore o il freddo, e sia che il calore sia dolce o che il freddo sia intensissimo, sono sempre essi che estraggono dalla materia la forma della pietra che non esisteva se non in embrione e come sepolta nel fondo dell’acqua. Si possono distinguere nelle pietre, come in tutte le cose, tre attributi, e cioè: la sostanza, la virtù e l’azione. Noi possiamo giudicare le loro virtù dalle azioni occulte ed efficaci che producono, nello stesso modo che giudichiamo le azioni della natura e dei corpi supercelesti.
Non vi ha dubbio dunque ch’esse possiedano certe proprietà e virtù occulte caratteristiche dei corpi supercelesti, e che partecipino della loro sostanza; il che tuttavia non vuol dire ch’esse sieno composte della sostanza medesima delle stelle, ma che possiedono le virtù eccelse dei quattro elementi, imperocché certe pietre partecipano un poco della complessione delle stelle o corpi supercelesti, come ho accennato nel trattato di questi corpi. Dopo aver isolato in un corpo qualsiasi i quattro elementi, io li purificai e, così purificati, li coordinai; raccolsi in tal modo una pietra d’una tale efficacia e d’una natura così mirabili che i quattro elementi, grossolani e inferiori di nostra sfera, non avevano alcuna azione su essa.
Parlando appunto di questa operazione, Ermogene (il Padre, come lo chiama Aristotele, che fu tre volte grande in filosofia e che conobbe tutte le scienze non solo nella loro essenza ma anche nella loro applicazione) Ermogene, dico, così esclama a riguardo di questa operazione: – Oh quale grande felicità fu per me vedere la Quinta Essenza sprovvista delle qualità inferiori degli elementi!.
Appare dunque, evidentemente, che certe pietre partecipano un poco della Quinta Essenza; la qual cosa ben si manifesta nelle operazioni di nostra arte.
 

 

CAPITOLO III – Della costituzione e della essenza dei metalli.

I metalli sono formati per natura, ciascuno secondo la costituzione del Pianeta che gli corrisponde; ed è così che l’artista deve operare. Esistono dunque Sette metalli che partecipano ciascuno di un pianeta, e sono: l’Oro che viene dal sole e che ne porta il nome; l’Argento, dalla Luna; il Ferro da Marte; l’Argento vivo da Mercurio; lo Stagno da Giove; il Piombo da Saturno, il Rame e il Bronzo da Venere. Questi metalli prendono, per altro, il nome dal loro pianeta. 

Della materia essenziale dei Metalli.
 
La materia prima di tutti i metalli è il Mercurio. In alcuni esso si trova congelato leggermente; in altri fortemente. Onde si può stabilire una classificazione dei metalli basata sul grado di azione del loro pianeta corrispondente, su la perfezione del loro zolfo, sul grado di congelazione del mercurio e di terrestreità ch’essi possiedono; il che loro assegna un posto in rapporto agli altri metalli.
Così il Piombo non è se non mercurio terrestre, ovvero che partecipa della terra, fievolmente congelato e mischiato con un solfo sottile e poco abbondante: e similmente all’azione del suo pianeta , che è fievole e lontana, esso si trova in un grado di inferiorità rispetto allo stagno, al rame, al ferro, all’argento e all’oro.
Lo Stagno è argento vivo sottile, poco coagulato, mescolato con solfo grossolano e impuro; per questa cagione esso è sotto la dominazione del rame, del ferro, dell’argento e dell’oro.
Il Ferro è formato d’un mercurio grossolano e terrestreiforme e d’un solfo terrestre e molto impuro; ma l’azione del suo pianeta lo coagula fortemente. È perciò che non si trova sopra a lui se non il rame, l’argento e l’oro.
Il Rame è formato d’un solfo possente e d’un mercurio molto grossolano.
L’Argento è formato di solfo bianco, chiaro, sottile, non ardente, e d’un mercurio sottilmente coagulato, limpido e chiaro, sotto l’azione del pianeta Luna. Perciò esso non si trova se non sotto la dominazione dell’oro. 
L’Oro, in verità il più perfetto di tutti i metalli, è composto d’un solfo rosso, chiaro, sottile, non ardente, e d’un mercurio sottile e chiaro, fortemente messo in azione dal Sole. È per questa ragione che non può essere bruciato dal solfo, come accade per tutti gli altri metalli.
È dunque evidente che si può fare l’oro con tutti questi metalli, e che con tutti, eccetto che con l’oro, si può fare l’argento. Ciò viene provato dal fatto che dalle miniere d’oro e di argento si estraggono altri metalli mescolati con marcassiti d’oro e di argento. E nessuno dubita che questi metalli si sarebbero trasformati da sé stessi in oro e in argento se fossero restati nella miniera il tempo necessario perché l’azione della natura avesse potuto manifestarsi.
Quanto al sapere se si può fare artificialmente l’oro con gli altri metalli distruggendo le forme di lor sostanza, e in qual maniera si opera, ne parleremo nel trattato Dell’essere e dell’essenza delle cose sensibili. Ma qui noi l’ammettiamo come verità dimostrata.

 

 

CAPITOLO IV – Della trasmutazione dei metalli e primieramente di quella che si compie per artifizio.

La trasmutazione dei Metalli può compiersi artificialmente cambiando l’essenza d’un metallo con l’essenza d’un altro, poiché ciò che è in potenza può, evidentemente, ridursi in atto, come dice Aristotele o Avicenna: gli Alchimisti sanno che le specie non possono mai essere trasmutate realmente, ma soltanto allorché è stata operata la riduzione nella materia prima. Ora, questa materia prima di tutti i metalli si avvicina molto, secondo l’opinione dei più, alla natura del Mercurio. Ma quantunque questa riduzione sia in gran parte opera della natura, pur non è inutile di aiutarla per mezzo dell’arte; ora ciò non è cosa facile, e appunto accade che, nel fare una simile operazione, si commettono gran numero di errori, e che i più dissipano invano la loro giovinezza e le loro forze, e seducono i re e i grandi con vane promesse che non riescono a mantenere, non sapendo riconoscere i libri erronei e impertinenti, né le false operazioni descritte dagli ignoranti, e infine non ottengono se non un risultato completamente nullo. Avendo dunque considerato che questi, dopo operazioni minuziose, non erano mai arrivati alla perfezione, io credetti che questa scienza fosse una falsa scienza. 
Rilessi i libri di Aristotele e di Avicenna De secretis secretorum, ove trovai la verità talmente velata sotto ogni sorta d’enigmi da sembrare ogni frase vuota di senso; lessi i libri dei loro contraddittori e vi trovai follie simiglianti. Infine considerai i principii della NATURA, e vidi in essi la via della verità. Osservai in effetto che il mercurio penetrava e attraversava gli altri metalli, imperocché, se si spalma un pezzo di rame con argento vivo misto con altrettanto sangue e argilla, questo pezzo di rame sarà penetrato interiormente ed esteriormente, e diventerà bianco, con tutto che questo colore non sia durevole. Si sa di già che l’argento vivo si mischia coi corpi e li penetra. Io considerai dunque che, se questo mercurio era ritenuto, esso non poteva più scorrere, e che se avessi potuto trovare un mezzo per fissare la disposizione delle sue molecole coi corpi, ne sarebbe conseguito che il rame e gli altri corpi uniti a lui non sarebbero più cotti da quegli altri corpi che, bruciandoli ordinariamente, non hanno alcuna azione sul mercurio. Imperocché questo rame sarebbe allora simile al mercurio e ne possiederebbe le medesime qualità.
Io sublimai dunque una quantità di mercurio assai grande perché la fissazione delle sue qualità interne non fossero alterate, ossia perché esso non si sottilizzasse affatto al Fuoco. Così sublimato, lo feci disciogliere nell’acqua al fine di operarne la riduzione in materia prima, inzuppai largamente con quest’acqua alquanta calce d’argento e dell’arsenico sublimato e fissato, poi feci sciogliere il tutto in un po’ di letame caldo di cavallo; congelai la soluzione e ottenni una pietra chiara come cristallo, avente la proprietà di dividere, di rompere le particelle dei corpi, di penetrarli e di fissarvisi saldamente in tal modo che un po’ di questa sostanza gettata su una grande quantità di rame la trasformava immediatamente in un argento sì puro che era impossibile di trovarne migliore. Volli anche provare se potevo allo stesso modo convertire in oro il nostro solfo rosso. Ne feci allora  bollire alquanto nell’acqua forte a fuoco lento; quando quest’acqua fu tutta divenuta rossa, la distillai nell’alambicco, e ottenni come risultato, nel fondo della cucurbita, il solfo roso puro che congelai con la pietra bianca suddetta, al fine di renderla egualmente rossa. Ne gettai poi in una parte su una certa quantità di rame, e ottenni dell’Oro purissimo.
Quanto al procedimento occulto che usai, io non l’indico che nelle sue linee generali e non lo metto qui affinché nessuno incominci a operare se non quando avrà conosciuto perfettamente i modi di sublimazione di distillazione e di congelazione, e sarà bene esperto nello sciegliere la forma dei vasi e dei fornelli e nel conoscere la quantità e la qualità del fuoco.
Ho anche operato allo stesso modo per mezzo dell’Arsenico, e ho ottenuto del buon Argento, ma non di perfettissima purezza; ho ottenuto egualmente il medesimo risultato con l’Orpimento sublimato; ma questo metodo si chiama trasmutazione d’un metallo in un altro. 

 

 
CAPITOLO V – Della natura e della produzione d’un nuovo sole e d’una nuova luna per la virtù del solfo estratto dalla pietra minerale.

Esiste tuttavia un modo più perfetto di trasmutazione, il quale consiste nel cambiamento del mercurio in oro o in argento per mezzo dello zolfo rosso o bianco, chiaro, semplice, non bruciante, come l’insegna Aristotele nei Segreti dei Segreti in un metodo vago e con fuso, poiché questo è il SEGRETO DEI SAGGI. Egli dice dunque ad Alessandro: – La Divina Provvidenza ti consiglia di nascondere il tuo disegno e di compiere il mistero che io ti esporrò oscuramente, nominando qualcuna delle cose dalle quali si può estrarre questo principio veramente possente e nobile.
Simili libri non sono publicati per il volgo, ma per gli Iniziati.
Se qualcuno, avendo fiducia nelle sue forze, volesse accingersi all’opera, io esorto di non farlo a meno che non sia molto esperto e abile nella conoscenza dei principii naturali, e che sappia adoperare con discernimento i modi di distillazione, di soluzione, di congelazione e soprattutto le diverse specie e gradi del Fuoco.
Per altro, l’uomo che vuole effettuare l’opera per avarizia, non vi perverrà mai. Solamente colui che lavora con saggezza e discernimento, vi perverrà.
La pietra minerale, della quale ci si serve per produrre questo effetto, è precisamente il solfo bianco e rosso, che non brucia e che si ottiene con la depurazione e la congiunzione dei quattro elementi.

Enumerazione delle Opere Minerali.

Prendi dunque, nel nome di Dio, una libbra di questo zolfo; trituralo fortemente su un piano di marmo e imbevilo con una libbra e mezza di olio di oliva purissimo, di quello onde si servono i Filosofi; riduci il tutto in una pasta che metterai in una pentola; così la farai sciogliere al fuoco. Quando tu vedrai salire una schiuma, ritirerai la materia dal fuoco e lascerai scendere la schiuma senza cessare di agitare con una spatole di ferro; poi metterai nuovamente al fuoco, e così farai più volte questa operazione fino a che non otterrai la consistenza del miele. Dopo ciò rimetti la materia sul marmo dove si congelerà subitamente come fosse carne o fegato cotto; tagliala allora a piccoli pezzi della forma e della grandezza di un’unghia, e insieme con un peso eguale di quintessenza di olio di tartaro, rimettila ancora al fuoco per circa due ore.
Racchiudi subito l’opera in un’anfora di vetro ben lutata, con il luto di sapienza, che lascerai cuocere a fuoco lento per tre giorni e tre notti. Dopo metterai l’anfora e la medicina nell’acqua fredda per altri tre giorni, e taglierai di nuovo a piccoli pezzi l’opera e la metterai in una cucurbita di vetro sopra l’alambicco. Distillerai così un’acqua bianca simile al latte, che è il vero “Latte della Vergine”. Quando quest’acqua sarà distillata, aumenterai il fuoco e travaserai in un’altra anfora. Prendi dunque a questo punto dell’aria pura e perfetta, poiché è questa che contiene il fuoco. Calcina nel forno di calcinazione la terra nera che resta nel fondo della cucurbita fino a che divenga bianca come neve; rimettila nell’acqua distillata sette volte affinché una lamina di rame infocata, smorzata per tre volte, divenga perfettamente bianca. Che si faccia la stessa cosa per l’acqua come per l’aria; alla terza distillazione troverai l’olio e tutta la tintura simile al fuoco in fondo alla cucurbita. Ricomincerai allora una seconda e una terza volta e raccoglierai l’olio; subito dopo prenderai il fuoco che è in fondo alla cucurbita e che sarà simile a sangue nero e molle; lo distillerai e lo proverai con la lamina di rame come hai fatto con l’acqua; ed ecco ora che tu possiedereai la maniera di separare i quatto elementi. Ma il modo di unirli è ignorato da tutti.
Prendi dunque la terra e triturala su un piano di vetro o di marmo molto pulito; inzuppala con un peso eguale di acqua fino a formarne una pasta; metti questa in un alambicco per distillarla col suo fuoco; inzuppa di nuovo ciò che ti resterà nel fondo della cucurbita con l’acqua che avrai distillato fino a che sia completamente assorbita.
Dopo inzuppala d’un eguale quantità d’aria, servendoti di questa come ti sei servito dell’acqua, e otterrai una pietra cristallizzata, la quale, gettata in piccola quantità sopra una grande di Mercurio, converte questo in vero Argento. Tale è la virtù del solfo bianco non ardente, formato dei tre elementi: terra acqua e aria.
Se ora prenderai una diciassettesima parte del fuoco e la mescolerai coi tre sopraddetti elementi, distillandoli e inzuppandoli come si è detto, otterrai una pietra rossa, chiara, semplice, non bruciante, della quale, se tu getterai una piccola parte su molto mercurio, questo sarà convertito in Oro obrizzo purissimo. Questo è il metodo per conseguire la Pietra Minerale.

 

 

CAPITOLO VI – Della pietra naturale animale e vegetale.

Esiste un’altra pietra la quale, secondo Aristotele, e una pietra e non è una pietra.
Essa è allo stesso tempo minerale, vegetale e animale; si trova in ogni luogo e in tutti gli uomini, ed è essa che tu devi far imputridire nel letame e mettere, dopo questa putrefazione in una cucurbita nell’alambicco; ne estrarrai allora gli elementi nella maniera sopraddetta, opererai la loro congiunzione e otterrai una Pietra che non avrà meno di efficacia e di virtù. E non stupirti se io ho detto di renderla putrefatta nel letame caldo di cavallo, come deve fare l’artista, poiché, se il pane di frumento vi sarà anche messo,  dopo nove giorni lo vedrai trasformato in vera carne mista a sangue. È per questa ragione, io credo che il Signore Iddio ha voluto scegliere il pane di grano preferibilmente a ogni altra materia, imperocché esso forma il nutrimento del corpo più particolarmente di ogni altra sostanza, e perché da esso si possono con gran facilità estrarre i quattro elementi e farne un’opera eccellente.
Da tutto ciò che abbiamo detto si deduce che ogni corpo composto può essere ridotto in minerale, non solo per mezzo della Natura ma anche dell’Arte.
Sia benedetto Iddio che dette agli Uomini un tal potere, poiché imitatori della Natura, essi possono trasmutare le specie naturali in breve tempo, mentre la Natura indolente non compie il suo lavoro se non dopo lunghissimo termine.  
Ecco gli altri metodi di trasmutazione dei metalli che si trovano nei Libri delle Rose, in Archelao, nel settimo libro dei Precetti e in diversi trattati di Alchimia.

 

 

CAPITOLO VII – Del modo di operare con lo spirito.

C’è anche un modo d’operare per mezzo dello spirito; a proposito occorre sapere che esistono quattro sorta di Spiriti, chiamati così perché essi si volatilizzano al fuoco e partecipano della natura dei quattro elementi, e cioè: Il Solfo che possiede la natura del fuoco, Il Sale ammoniaco, il Mercurio che possiede le proprietà dell’Acqua e che è pure chiamato “servo fuggitivo”, e l’Orpimento o Arsenico che possiede lo spirito della Terra. Certuni hanno operato con l’aiuto di uno di questi spiriti, sublimandoli e convertendoli in acqua, distillandoli e congelandoli; poi, avendoli gettati sul rame, hanno operato la trasmutazione. Altri si sono serviti di due di questi spiriti; altri di tre; altri infine di quattro; ed ecco come.
Dopo aver sublimato ciascuno di questi elementi separatamente, un gran numero di volte, fino a vederli fissati, e averli distillati e disciolti nell’acqua forte e imbevuti di dissolventi energici, si riuniscono tutte queste acque; si distillano allora e si congelano novamente tutte insieme, e si ottiene una pietra bianca come cristallo, la quale, gettata in piccola quantità su un metallo qualunque, lo cambia in vera Luna. Si dice generalmente che questa pietra è composta dei quattro elementi a un altissimo grado di epurazione. Altri credono che si debba comporre di uno spirito unito con i corpi; ma io non credo che questo metodo sia buono, e lo credo a ogni modo ignorato da tutti, benché Avicenna ne faccia breve menzione nella sua Epistola. Ciò io proverò quando avrò tempo e luogo necessarii.

 

  

 
CAPITOLO VIII – Della preparazione dei fermenti di Saturno e di altri metalli.

Prendi dunque due parti di Saturno (piombo) se tu vuoi compiere l’Opera del sole, o anche due  parti di Giove (stagno) per l’Opera della Luna. Aggiungi una terza parte di Mercurio al fine di formare un amalgama che sarà una sorta di pietra fragilissima, la quale tu triterai con cura sul marmo inzuppandola di aceto molto forte e d’acqua contenente in soluzione del sale comune ben preparato; poi la farai asciugare per tornare a inzupparla, e così più volte fino a  che la sostanza avrà assorbito il massimo dell’acqua. Allora la imbeverai con acqua d’allume al fine di ottenere un a pasta molle che dovrà essere disciolta nell’acqua. Come sarà ben sciolta, distillerai questa soluzione tre o quattro volte, la congelerai e otterrai la pietra che converte Giove in Luna.

 

 
CAPITOLO IX – Del processo di riduzione di Giove ovvero dell’Opera del Sole.

Per conseguire l’Opera del Sole, prendi alquanto vetriolo depurato, rosso e ben calcinato, e scioglilo nell’urina di bambino. Distilla il tutto e continua a distillare finché non avrai ottenuto un’acqua molto rossa. Allora tu mescolerai quest’acqua con l’acqua suddetta prima della congelazione, metterai questi due corpi nel letame per qualche giorno affinché essi s’incorporino meglio, e li distillerai e congelerai insieme. Otterrai allora una pietra rossa simile al Giacinto, della quale una parte, gettata su sette parti di Mercurio o di Saturno ben depurato, si cambierà in Oro obrizzo.
Si trovano in altri libri gran copia di altre operazioni, esposte con infinita confusione, che, certamente, non possono se non indurre gli uomini in errore, e delle quali non mette conto parlare.
Non è stato per cupidità che io ho parlato della Scienza, ma al fine di riconoscere gli effetti mirabili della Natura e ricercarne le cause, non solamente generali, ma anche speciali e immediate, non solamente accidentali ma anche essenziali. Io ne ho trattato lungamente così come della separazione degli elementi dei corpi.
Questa opera è proprio vera e perfetta, ma essa esige molto lavoro, e io soffro tanto dell’imperfezione del mio corpo, che non tenterei d’imprenderla se non spinto da pressante necessità. Ciò che ho detto qui dei minerali è ampiamente sufficiente.