On Line dal 30/06/2012

Traduzione italiana del testo contenuto in Theatrum Chemicum (Argentorati 1613) pubblicata per la prima volta in Trattato della pietra filosofale preceduto da una introduzione e seguito da un trattato del medesimo autore su l’Arte dell’alchimia. Prima traduzione italiana dal testo latino, Atanor, Todi 1913. Per ulteriori informazioni vedi la nota introduttiva al Trattato sulla Pietra Filosofale (clicca qui).

 

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TRATTATO DI SAN TOMMASO D’AQUINO INTORNO ALL’ARTE DELL’ALCHIMIA DEDICATO AL FRATE REGINALDO.

Capitolo I – Delle tre raccomandazioni al frate Reginaldo.

Per le tue preghiere assidue, mio carissimo fratello, io mi propongo di descriverti in questo breve trattato, diviso in otto capitoli, certe regole semplici ed efficaci per le nostre operazioni, e insieme il segreto delle veritiere tinture: ma prima vorrò indirizzarti tre raccomandazioni.
La prima: non prestare attenzione alle parole dei Filosofi moderni o antichi che hanno trattato di questa scienza, poiché l’alchimia consiste interamente nella capacità dell’intendimento e nella dimostrazione sperimentale. I Filosofi, volendo nascondere la verità delle scienze, hanno parlato quasi sempre figuratamente.
La seconda: non apprezzar mai e non stimare la pluralità delle cose né le composizioni formate di sostanze eterogenee, imperocché la Natura non produce niente se non per similitudine, e benché il cavallo e l’asino producano il mulo, pur questa non è che una generazione imperfetta, come quella che può effettuarsi per il caso eccezionalmente con parecchie sostanze.
La terza: non essere indiscreto, ma sorveglia le tue parole e, come un figlio prudente, non gettar le perle ai porci.
Tieni sempre presente, nella tua mente, il fine per il quale tu hai impreso l’Opera. Ritieni per certo che, se non dimenticherai mai queste regole che a me furono date dal Grande Alberto, non sarai costretto ad andar mendicando presso i re e gli altri grandi della terra, ma, al contrario, i re e i grandi ti copriranno di onori. Tu sarai ammirato da tutti, servendo con questa Arte i re e i prelati, perocché, non solamente tu potrai sovvenire ai loro bisogni, ma ancora riuscirai a recar soccorso a tutti gli indigenti, e ciò che tu darai così varrà quanto una preghiera nella Vita Eterna.
Che queste regole sieno dunque ben custodite nel profondo del tuo cuore sotto un triplice suggello inviolabile, imperocché nell’altro mio libro fatto per il volgo, io ho parlato da filosofo, mentre in questo, confidando nella tua discrezione, ho rivelato segreti d’importanza grandissima.

 

 

Capitolo II – Dell’operazione.

Come insegna Avicenna nella sua epistola al re Assa, noi cerchiamo di ottenere una sostanza veritiera per mezzo di parecchie intimamente fissate; la quale sostanza, essendo messa nel fuoco, lo mantiene e lo alimenta; e che sia inoltre penetrativa e che tinga il mercurio e gli altri corpi; tintura realissima avente i pesi richiesti e sorpassante per eccellenza tutti i tesori del mondo.
Per fare questa sostanza, come dice Avicenna, occorre avere molta pazienza, nessuna fretta, e gli istrumenti necessarii.
Molta pazienza, poiché, secondo Geber, la precipitazione è opera del Diavolo; perciò colui che non ha molta pazienza deve tralasciare un simile lavoro.
Nessuna fretta, perché in qualsiasi azione naturale risultante dalla nostra arte, il modo e il tempo sono rigorosamente determinati.
Gl’istrumenti necessarii non in gran numero, come si vedrà in appresso, poiché la nostra Opera si compie per mezzo di una cosa, di un vaso, di una sola via e di una sola operazione, secondo l’insegnamento di Ermete.
È permesso formare la medicina con diversi principii agglomerati; nondimeno non c’è bisogno di materie e di cose estranee, se non del fermento bianco e rosso.
Tutta l’opera è puramente naturale; basta osservare i diversi colori a seconda del tempo in cui appaiono. Nel primo giorno, occorre levarsi la mattina di buon’ora e vedere se la vigna è fiorita e si trasforma in testa di corvo. Poi essa passa per diversi colori tra i quali occorre notare il bianco intenso, poiché è questo appunto che noi aspettiamo e che rivela il nostro Re, cioè l’elisir o la polvere semplice che ha tanti nomi per quante sono le cose del mondo.
Ma per ispiegarmi in poche parole la nostra materia, o magnesia, è l’argento vivo preparato con l’orina d’un fanciullo di dodici anni appena emessa, e che non è stato mai per l’innanzi adoperato per la Grand’Opera.
Si chiama volgarmente terra di Spagna o Antimonio. Ma nota bene che io non intendo parlare del mercurio comune onde si serve qualche sofista, e che non mena se non a un risultato mediocre, nonostante le grandi spese a cui dà occasione; per il che, se tu avessi voglia di lavorare con simil gente, malamente perverresti alla verità dopo interminabili cotture e digestioni. Segui dunque piuttosto Alberto Magno beatissimo, mio maestro, e lavora con l’argento vivo minerale, imperocché in lui solamente è il segreto dell’Opera. Poi tu opererai la congiunzione delle due tinture, bianca e rossa, provenienti dai due metalli perfetti che, soli, danno una tintura perfetta; il mercurio non comunica questa tintura se non dopo averla ricevuta; perciò, mescolandoli tutt’e due, si mescoleranno meglio con esso e lo penetreranno più intimamente.

 

 

Capitolo III – Della composizione del mercurio e della sua separazione.

Quantunque l’opera nostra si compia per mezzo del solo nostro Mercurio, occorre nondimeno servirsi del fermento rosso o bianco. Esso si mescola allora più facilmente col Sole e la Luna, poiché questi due corpi molto partecipano della sua natura e sono anche più perfetti degli altri. La ragione n’è che i corpi sono più perfetti a seconda della quantità di mercurio che contengono. Così il Sole e la Luna contenendone più che gli altri, si mischiano al rosso e al bianco e si fissano nel fuoco, perocché è il solo Mercurio che rende perfetta l’opera; in esso noi troviamo tutto ciò che ci manca per la nostra opera, senza aver bisogno di aggiungervi altro.
Il Sole e la Luna non sono a lui estranei, perché essi si sono ridotti, al cominciamento dell’Opera, nella loro materia prima, ovvero nel mercurio.
Essi hanno dunque da lui origine.
Alcuni si sforzano di compiere l’opera per mezzo del solo mercurio o della semplice magnesia; lavandoli nell’aceto molto forte, cocendoli nell’olio, sublimandoli, bruciandoli, calcinandoli, distillandoli; estraendo in fine la loro quintessenza e mettendoli alla tortura e a un’infinità di altri supplizi per mezzo degli elementi. Credono così che la loro operazione sarà di gran profitto mentre invece non arrivano che a un tenue risultato.
Ma credi a me, figlio mio, tutto il nostro Mistero consiste solamente nel regime e nella distribuzione del Fuoco e nella direzione intelligente dell’Opera.
Noi non avremo che poco da fare.
È la virtù del fuoco ben diretto che influisce su la nostra opera, senza che noi dobbiamo molto lavorare, né molto spendere, poiché io suppongo che, quando la nostra pietra fosse nel suo stato primiero, cioè: «Prima Acqua» o «latte della Vergine» o «coda del Dragone», e fosse ben disciolta, allora essa si calcina si sublima, si distilla, si riduce, si lava, si congela da sé stessa e, per la virtù del fuoco ben proporzionato, si copie in un vaso unico senza alcun’altra operazione manuale.
Sappi dunque, figlio mio, come i Filosofi hanno parlato figurativamente della operazioni manuali, e affinché tu sia ben sicuro della purgazione del nostro mercurio, io te ne insegno la semplice operazione.
Prendi dunque del Mercurio minerale o Terra di Spagna, o Antimonio, o Terra Nera, che non sia stato mai adoperato dapprima in alcun’altra operazione. Prendine venticinque libbre, o poco più, e falle passare attraverso una panno di lino non tanto lento; questo è il vero lavaggio. Guarda bene, dopo l’operazione, se restano nel panno sporcizie o scorie, perchè, in questo caso, il mercurio non potrà essere adoperato nella nostra opera. Se niente appare, tu puoi giudicarlo eccellente. Ricordati che non occorre aggiungere altro a questo mercurio e che l’Opera così può essere compiuta.

 

Capitolo IV – Del modo di fare l’amalgama.

Poiché la nostra opera si compie per mezzo del solo mercurio senza l’aiuto d’alcun’altra materia straniera, io qui tratterò brevemente della maniera di fare l’Amalgama. La quale operazione è molto mal compresa dalla maggior parte dei Filosofi, che credono che l’Opera possa compiersi per mezzo del solo mercurio senza essere pertanto unito alla sua sorella o compagna.
Ti dico dunque con tutta sicurezza che tu devi lavorare col mercurio unito al suo compagno, senza aggiungere alcun’altra materia di sorta estranea al mercurio; e sappi che l’Oro e l’Argento non sono per nulla estranei al Mercurio, ma al contrario partecipano della sua natura più che tutti gli altri corpi. Ed è perciò che, ridotti nella loro primitiva natura, si chiamano «sorelle» o «compagne» del Mercurio, poiché della loro composizione e della loro fissazione risulta il «Latte della Vergine».
Se tu comprenderai chiaramente tutto ciò e non aggiungerai nulla di estraneo al  mercurio, sii certo che arriverai a conseguire la effettuazione de’ tuoi voti.

 

 

Capitolo V – Della composizione del sole e del mercurio.
 
Prendi il sole comune ben depurato, cioè cotto al fuoco, donde deriva il fermento rosso, prendine due once e taglialo in piccoli pezzi con le pinzette; aggiungi quattordici once di mercurio che esporrai al fuoco in una tegola concava, poi sciogli l’oro agitandolo con una bacchetta di legno. Quando sarà ben sciolto e mischiato, metti tutto nell’acqua chiara, in una scodella di vetro o di pietra, lavalo e nettalo più volte fino a che nell’acqua non appaia più alcunché di nero; allora, se tu ti metterai in ascolto, sentirai la «voce della tortora» in questa nostra terra. Quando dunque l’acqua apparirà purificata, metti l’amalgama in un pezzo di cuoio ben legato nella sua parte superiore, in forma di sacco; poi premi fortemente perché essa passi a traverso. Quando due once saranno state così spinte fuori, le quattordici che restano nel cuoio sono atte a essere adoperate per la nostra operazione. Sta ben accorto di non estrarne se non due once giuste, né più né meno. Se ve ne sono di più, togli; se ve ne sono di meno, aggiungi. E queste due once così spremute, che sono chiamate «Latte della Vergine», le serberai per la seconda operazione.
Travasa ora la materia in un vaso di vetro e metti questo vaso nel fornello più sopra descritto. Poi, accesavi una lampada sotto, mantienila sempre viva con tutto ardore, giorno e notte. Che la fiamma sia interamente racchiusa e che avvolga l’atanòr, il quale sarà ben fissato sul fornello e ben lutato col luto di sapienza.
Se, dopo un mese o due, tu potrai osservare i fiori splendenti e i colori principali dell’Opera, cioè il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso, allora senza alcun’altra operazione delle tue mani, per la direzione del Fuoco soltanto, ciò che era manifesto sarà, e ciò che era nascosto sarà manifesto. Così è che la nostra materia perviene da sé stessa all’elisir perfetto, convertendosi in una polvere sottilissima chiamata «Terra morta» o «uomo morto nel sepolcro», o «materia secca»; questo spirito è nascosto nel sepolcro, e l’anima ne è quasi separata.
Quando ventisei settimane saranno trascorse dal giorno in cui ebbe principio, l’opera, allora ciò che era grosso diventerà sottile, ciò che era rude diventerà molte, ciò che era dolce diventerà amaro, e per la virtù occulta del Fuoco la conversione dei principii sarà compiuta. 
Allorché le tue polveri saranno completamente asciutte e tu avrai finito queste operazioni, di cui ben ti ho parlato, tu tenterai, figlio mio e fratel mio dilettissimo, la trasmutazione del mercurio.
In seguito ti insegnerò le due altre operazioni, con ogni massima chiarezza, poiché tu devi sapere che una parte della nostra opera non può trasformare se non sette parti di mercurio ben depurato.

 

 

Capitolo VI – Dell’amalgama in bianco.

Deve seguirsi il medesimo metodo per ottenere il fermento bianco o fermento della Luna. Si mescola questo fermento bianco con sette parti di mercurio ben purificato, come si è fatto per il rosso, Poiché, nell’opera in bianco, non entra nessun’altra materia che il bianco, e nell’opera in rosso nessun’altra materia che il rosso; similmente, la nostra acqua, divenendo rossa o bianca a seconda del fermento usato e del tempo occorso per l’opera, si può tingere il mercurio in bianco, come è stato fatto per il rosso.
Notiamo inoltre che l’argento in fogli è più utile qui dell’argento in verghe, poiché il primo si lega più facilmente al mercurio, e si deve amalgamare col mercurio freddo e non caldo. Qui, molti hanno errato volendo sciogliere la loro amalgama nell’acqua forte per purificarla, mentre, se avessero esaminato la natura e la composizione dell’acqua forte, avrebbero riconosciuto ch’essa non può se non distruggere l’amalgama. Altri, volendo lavorare con l’oro e con l’argento secondo le regole di questo libro, errano con l’affermare che il sole non ha umidità, e lo fanno sciogliere nell’acqua corrosiva, poi lo lasciano digerire in un vasello di vetro ben chiuso per qualche mese; ma vale meglio al contrario che la quintessenza sia estratta per la virtù del fuoco sottile in un vaso di circolazione chiamato a causa di ciò «Pellicano».
Il Sole minerale, così come la Luna, ha anche in sé tante immondizie che la sua purificazione è necessaria, e non è per nulla un lavoro di donna o un gioco di fanciulli. Invece la dissoluzione, la calcinazione e le altre operazioni per il conseguimento della Grand’Opera sono un lavoro d’uomini gagliardi. 

 

 

Capitolo VII – Della seconda e terza operazione.

Questa prima parte terminata, procediamo al compimento della seconda.
Occorre aggiungere sette parti di mercurio al corpo ottenuto nella nostra prima opera, chiamato «Coda di Dragone» o «Latte della Vergine».
Fa passare il tutto attraverso il cuoio e serbane sette parti; lava e poni il tutto nel vaso di ferro, poi nel fornello come hai fatto la prima volta, e vi metterai il medesimo tempo, o press’a poco, fino a che la polvere sia di nuovo formata. Dopo ciò raccoglierai questa polvere e la troverai molto più fina e sottile della prima, poiché essa è più digerita. Una parte ne tinge sette volte sette in Elisir.
Procedi allora alla terza operazione, come hai fatto per la prima e per la seconda; aggiungi ai pesi della polvere ottenuta nella seconda operazione sette parti di mercurio depurato e mettilo nel cuoio in tal modo che ne restino sette parti del tutto, come più sopra. Fa’ cuocere il tutto di nuovo, riduci in polvere sottilissima, la quale, se sarà gettata sul mercurio, ne tingerà sette volte quarantanove parti, ciò che fa trecento quarantatre parti. La ragione n’è che più la nostra medicina è digerita, più essa diventa sottile; più essa è sottile, e più è penetrante; più essa è penetrante e più materia trasforma.
Per finire, ricordati bene che, se non si ha del mercurio minerale, si può indifferentemente lavorare col mercurio comune. Quantunque quest’ultimo non abbia il medesimo valore del primo, pure può dare un buon profitto.

 

 

Capitolo VIII – Della maniera di lavorare la materia o mercurio.

Passiamo ora alla tintura del Mercurio. Prendi una coppella d’orefice e intonacane un po’ l’interno con grasso, e mettivi la nostra medicina secondo la proporzione richiesta; il tutto a fuoco lento; e quando il mercurio comincia a fumare, getta la medicina racchiusa in cera vergine o in carta, e prendi un grosso carbone infocato, specialmente preparato per quest’uso, e mettilo nel fondo del crogiolo; poi fa’ cuocere a fuoco violento, e allorché il tutto sarà liquefatto, gettalo in un tubo spalmato di grasso, ed ecco avrai dell’Oro o dell’Argento finissimi, secondo il fermento che avrai adoperato.
Se tu vuoi moltiplicare la medicina, opera col letame di cavallo secondo il modo che ti ho insegnato oralmente, come tu sai, e che non voglio scrivere, perché è peccato rivelare questo segreto agli uomini del secolo, che ricercano la Scienza piuttosto per vanità che per fine di bene e per l’omaggio dovuto a Iddio nostro Signore, al quale gloria e onore sieno nei secoli dei secoli. Amen!
Nota bene che io ho sempre veduto compiere da Beatissimo Alberto Magno quest’opera la quale ora ho descritto in stile volgare, per mezzo della Terra di Spagna o Antimonio; ma io ti consiglio di non imprendere che il Piccolo Magistero da me brevemente qui esposto, nel quale non è alcuno errore, e che si compie con poca spesa, poco lavoro e poco tempo. Allora tu arriverai all’intento.
Ma, o frate Reginaldo, mio carissimo fratello, non imprendere giammai il Gran Magistero, poiché per la tua salute e per il dovere della predicazione del Nostro Signore Cristo Gesù, tu devi piuttosto agognare le immense ricchezze e la gloria della Vita Eterna, che i beni terrestri e temporali. 
Qui finisce il trattato di frate Tomaso d’Aquino, dell’Ordine dei Predicatori del Santo Domenico, su la moltiplicazione alchimica, dedicato al suo diletto fratello e amico in Gesù Cristo, il frate Reginaldo, per il Tesoro segretissimo.