Pagina on-Line dal 07/04/2012
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TRISMEGISTO: – Il sommo fattore, non con le mani, ma col Verbo fece l’universo Mondo. Ma pensalo così come sempre presente, ogni cosa operante, Dio unico, ordinante con sua volontà tutte le cose, imperò che il corpo suo è questo, non tangibile, non visibile, non misurato, non distante né simile ad alcuna altra cosa, imperò che non è Fuoco, né Acqua, né Aere, né Vento. Vero è che da esso tutte queste dependono, ma egli è in tal modo buono che solo a lui tale nome è conveniente. Esso ancora volle adornare la Terra d’un certo ornamento del corpo Divino; mandò adunque qua giù l’huomo di animante immortale, mortale e animale. Et il Mondo certamente fu ripieno degli animali del mondo, vivente per intelletto e ragione. Imperò che l’huomo fu fatto contemplatore dell’opera divina, della qual cosa maravigliandosi conobbe il suo autore. Certamente Dio, o figliuolo mio Tazio, fe’ partecipi ciascuno delli huomini del parlare, ma non della mente, non per cagione d’invidia, imperò che chi sono quelli a’ quali esso abbia invidia? Certo da lui non viene invidia. La invidia abita qua giù basso, con l’animo delli huomini che non hanno mente.
TAZIO – Or dove l’ha egli posta?
TRISMEGISTO. – Conciò sia che egli avessi piena questa ampia tazza, e’ mandò un banditore comandando che e’ dovessi queste tali cose annunziare a l’anime de gli huomini. Tuffi sé medesima in questa tazza qualunque può, cioè quella la quale crede che la tazza debba riducere l’anima a colui che la mandò, e quella la quale conosce il fine al quale ella è stata fatta. Tutti quelli, adunque, i quali ubbidirono al bando e tufforonsi nella Mente, furono fatti partecipi della cognizione, e ricevendo la Mente diventarono huomini perfetti. Ma coloro i quali spregiarono il bando furono certamente lasciati partecipi del parlare, ma senza parte di Mente, non sappiendo a che fine e perché cagione o da cui essi sono stati generati. Oltra a questo, i sensi loro sono simili a quelli dell’animale irrazionale, e, inviluppati dall’ira e dalla cupidità, non bene considerano le cose degne d’essere considerate, imperò che, mancipati dalle libidini del corpo, riputano l’huomo essere nato solo per cagione di quelle. Ma tutti quelli, o figliuolo mio, che per dono di Dio furono sostentati secondo la comparazione dell’opere, sendo mortali, immortali sono tenuti, avendo compreso con la loro intelligenzia tutte le cose che sono in terra e in mare, e oltre a questo se alcuna altra cosa è sopra il Cielo, e in tanto se medesimi sollevano che ancora veggiono esso Bene. Il quale certo, quando il riguardano, riputano questa vita la quale noi viviamo una certa miseria, veramente dispregiando ogni cosa così corporale come ancora incorporale; ad uno solo si trasferiscono. Questa, o Tazio, è la scienzia della Mente, cioè la contemplazione delle cose divine e la intelligenzia di Dio esistente la divina tazza.
TAZIO – Certamente, o padre, io desidero d’essere lavato de la santa acqua di questa tazza.
TRISMEGISTO. – Se prima, o figliuolo, tu non arai in odio il tuo corpo, tu non potrai amare te medesimo; ma come prima te medesimo amerai, subito conseguirai la Mente, la quale, finalmente acquistata, prestamente acquisterai scienzia.
TAZIO – In che modo, o padre, dì tu queste cose?
TRISMEGISTO. – O figliuolo, impossibile è a stare intento all’uno e a l’altro, cioè alle cose mortali e alle divine, imperò che conciò sia che due cose solo, nell’ordine di tutte le cose, si trovino, cioè il corpo e lo incorporeo, e che l’uno sia detto mortale e l’altro divino, per la elezione dell’uno, perdiamo l’altro, e quante volte si lascia la cura dell’uno tante volte seguita l’operazione dell’altro. Et adunque la elezzione del meglio, bellissima a colui che la elegge quanto per Dio che gli el concede, non dimeno egli dimostra agli altri la pietosa affezione che ha verso Dio. Ma la elezione del peggio, certamente, fa perdere esso huomo. Ma non pecca verso Dio se non solamente a questo modo, che sì come le pompe passano per li mezzi, certo sanza possanza di alcuna operazione, ma che impacciano tutti gli altri, non altrimenti questi, a similitudine delle pompe, vanno vagando e errano per cagione delle voluptà del corpo. Conciò sia adunque che questo così sia, o figliuol mio, l’operazioni divine debbono precedere, e dapoi l’humane seguitare. Certamente Dio è fuori de la colpa, da noi viene la cagione de’ mali, imperò che noi poniamo i mali avanti al bene. Non vedi tu, o figliuol mio, quanti corpi e’ ci bisogna salendo passare? E quanti cori d’Angeli e’l circuito de’ Pianeti? E i loro cori, acciò che noi andiamo a uno solo? Imperò che egli è bene insuperabile, sanza termine, infinito, che in quanto a sé non ha incominciamento, ma ha bene principio in quanto a la umana cognizione, e non dimeno tale cognizione non è suo principio, ma egli dà bene a noi principio di cognizione di se stesso; abbracciamo adunque il principio, imperò che, a quello conosciuto, tutte l’altre cose prestissimamente discorreremo. Ma egli è cosa ardua e difficile lasciare le cose consuete e presenti e rivoltarsi a le superiori migliori, imperò che quelle cose che noi veggiamo cogli occhi ci delettano, e le cose nascoste generano diffidenzia. Certo le cose manifeste sono cattive, e il Bene è occulto a coloro che si fermano nelle cose manifeste, imperò che non ha alcuna forma né figura, e per questa cagione egli è solamente a sé simile, e a tutti gli altri dissimile, imperò che lo incorporeo non può apparire al corpo, e a questo modo è la differenzia dal simile al dissimile; e la differenzia dal dissimile a quello che è simile è quello che viene dapoi. La unità è principio e radice e origine del tutto, ma il niente è senza principio, e il principio da niuno dipende senon da se medesimo. Ma il principio non è dal principio, ma d’altrui. L’unità adunque principio, contiene ogni numero e da niuno è contenuta, genera ogni numero e da niuno numero è generata. Certo che quello che è generato è imperfetto che si può dividere, crescere e scemare, e a quello che è perfetto non accade alcuna di queste cose. Certamente quello che cresce ha accrescimento per virtù della unità, e per proprio mancamento viene meno quando non può più ricevere l’unità.
Questa immagine di Dio, a te, o Tazio, in quanto si può, soprascritta ti sia, la quale, se tu diligentemente considererai e conoscerala bene con gli occhi interiori, credimi figliuolo che troverai la salita al Cielo, dove ancora essa imagine ti conducerà, imperò che la visione ha una certa possanza che coloro che sono accesi di desiderio fervente di vedere, gli apprende e a sé gli tira, proprio in quel modo che fa la Calamita il ferro.