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Berthelot intorno al 1901.

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Marcelin Berthelot

QUALCHE NOTIZIA SULL’ALCHIMIA PERSIANA E INDIANA

Titolo originale: Quelques renseignements sur l’alchimie persane et indienne pubblicato in Journal des Savants , ottobre 1897, pgg. 627 – 633.

Traduzione di Massimo Marra ©, tutti i diritti riservati, riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

Il testo che presentiamo di seguito è dovuto alla penna di Marcelin Berthelot (1827-1907) uno dei padri della storia della chimica, chimico ed uomo politico insigne (eletto senatore, ricoprì, in  momenti diversi, l’incarico di ministro della pubblica istruzione e di ministro degli affari pubblici) autore di opere capitali per la storia della scienza, come La chymie au Moyen Age, Les Origines de l’alchimie, la Collection des Anciens alchimistes Grecs, l’Introduction à la chimie des anciens et du moyen age, e di un notevole numero di saggi e ricerche sperimentali di chimica applicata (si ricordano, oltre alle ricerche sulla sintesi dell’etanolo, del metano, dell’acido formico, dell’acetilene e del benzene, le importanti ricerche nel campo della termochimica – la branca della chimica che studia le variazioni calorimetriche nel corso delle reazioni chimiche – e degli esplosivi) apparsi sulle principali riviste scientifiche del tempo. Le opere del Berthelot, specie le raccolte di testi alchemici in edizione critica (i tre volumi della Collection ed i tre della Chymie au moyen age) hanno conosciuto diverse ristampe, anche in tempi recenti. In pratica, non esiste opera moderna sull’alchimia che non sia, in maniera diretta o indiretta, debitrice dell’opera gigantesca di raccolta, collazione, classificazione ed analisi critica di Marcelin Berthelot.
Buona lettura.
M. M.

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Qualche notizia sull’alchimia persiana ed indiana.

 

Nei vecchi libri alchemici greci, siriani ed arabi, la tradizione persiana è frequentemente associata alla tradizione greca, e questa associazione porta nel contempo ad una associazione nel campo della tradizione alchemica e magica. Gli scritti arabi la associano agli indiani o anche ai cinesi, di cui i greci non fanno alcuna menzione. Ho compiuto qualche tentativo per ritrovare tracce più dirette dell’alchimia persiana, e, quantunque questi tentativi non abbiano dato alcun  risultato decisivo, , potrebbe non essere inutile  sintetizzarne qui i risultati.
Spendiamo anzitutto qualche parola sui testi originali. Al nome del filosofo greco Democrito è associato quello di Ostane, qualificato di volta in volta come persiano, medio, babilonese o anche egiziano. Troviamo poi Sinesio (1), colui che avrebbe iniziato Democrito ai misteri nel santuario di Memphis. Questi sarebbe autore del famoso assioma «natura è incantata da natura; natura domina natura; natura trionfa sulla natura etc,… », assioma riprodotto da tutti gli alchimisti greci e latini fino al XVIII secolo. Questo autore ci comunica che i metodi dei persiani per tingere i metalli non erano gli stessi di quelli degli egizi; questi ultimi operavano per fusione e proiezione, mentre i persiani usavano delle colorazioni esterne. Zosimo cita Ostane i diversi punti (2), ed il nome di quest’ultimo ricorre nelle ricette per colorare la pietra (3) e fabbricare gemme artificiali e fosforescenti,  tratte dal Libro del Santuario dei Templi. Ad Ostane è pure attribuito un trattato alchemico di carattere mistico (4) sull’acqua divina. In un papiro magico di Leida (5) i nomi di Ostane e Democrito figurano insieme, accanto a quelli di Pétésis, Pitagora e Zoroastro.
Ritroviamo qui una tradizione più generale, riportata da numerosi autori del tempo dell’Impero romano. In effetti il nome di Ostane è dato da Plinio come quello di un mago persiano, personaggio identificato con un Ostane contemporaneo di Serse citato da Erodoto. Secondo Plinio, egli avrebbe insegnato la scienza a Democrito, ed è citato anche da Origene, Tertulliano, San Cipriano, Arnobio, Minuzio Felice, S. Agostino. Il nome Ostane è realmente persiano; le designazioni di medio o babilonese sopra ricordate, si rapportano in effetti alla medesima tradizione, dal momento che, nel periodo del secondo impero persiano (Sassanidi), che è contemporaneo di Zosimo, le tradizioni medie e caldee tendevano ad essere confuse con le tradizioni persiane propriamente dette (6). Ciò nonostante Ostane è anche definito come egiziano, il che si accorda in effetti con le indicazioni degli egittologi, essendo il nome Ostane, in certi testi sacri egiziani, sinonimo di Thot. Probabilmente la similitudine dei due nomi avrà portato, nel periodo del sincretismo alessandrino, alla confusione di due tradizioni, l’una persiana, l’altra egiziana.
Comunque sia, questo personaggio mitico non è il solo nome che sia stato utilizzato dagli alchimisti e dagli operatori delle scienze occulte di quelle epoche. Zosimo cita anche il persiano Sophar (7) e l’autorità dello pseudo-Zoroastro, nel contempo, viene invocata sia dai filosofi alessandrini che dagli alchimisti. Zosimo, in particolare, ne parla come di un mago (8). Altrove, Zoroastro viene definito astrologo, definizione comunque congenere della precedente, dal momento che i si rimane nel campo delle scienze occulte. Queste tradizioni proseguirono presso i siriani e gli arabi.
Nei trattati di alchimia siriani, appaiono di frequente riferimenti in persiano a proposito di diverse ricette. E’ il caso di quella dell’ossisulfuro d’arsenico definito Acqua forte  o Figlia dei persiani (9), del vetriolo di Persia, del succo di cappero, designato sotto lo pseudonimo di Mammella di cagna (10), di un minerale probabilmente ferroso (11), del nome dei sette pianeti in siriano, ebraico, greco, latino, persiano ed arabo (12). Vi si trova inoltre particolarmente citato Sophar (13), il mago e filosofo persiano, e la sua aquila di bronzo, conformemente al testo di Zosimo, ma con parole differenti. Vi si trova Zoroastro, ma soprattutto Ostane, almeno in due punti. Uno dei testi (14), tratta infatti dei suoi libri e del loro carattere misterioso, l’altro (15) è una lettera di Pebechius al mago Osron. Nello scritto Pebechius dichiara di aver trovato in Egitto i libri segreti di Ostane, scritti in lettere persiane, di non esser riuscito a decifrarli, e ne domanda ad Osron l’interpretazione. La corrispondenza continua: i libri di Ostane contengono, secondo Pebechius, le arti dell’astrologia, dell’astronomia, della filosofia, delle lettere, della magia, gli insegnamenti sui misteri dei sacrifici e quelli sulla lavorazione dell’oro. Vi si tratta dei minerali, delle porpore e delle tinture dell’oro e delle pietre preziose. Da questi testi sarebbe attestata l’esistenza di una dottrina alchemica propria ai persiani e di libri che la contengono.
Ma nei trattati siriani si trova qualche esplicita menzione dell’India e dei suoi miti da Ctesias (16). Vi si citano diversi prodotti indiani, come un sale, l’antimonio, l’acciaio; quest’ultimo è, ugualmente, menzionato  in un testo alchemico greco del medio evo (17), che contiene parole arabe ed in cui è detto che la sua preparazione è stata scoperta dagli indiani ed è arrivata in occidente per mezzo dei Persiani.
Le tradizioni relative agli alchimisti persiani continuano, con un carattere più preciso, presso gi arabi, così come risulta dalle citazioni seguenti che ho tratto dagli scritti di alchimia araba che ho già pubblicato. Questi scritti comprendono un trattato attribuito ad Ostane, di cui ho dato il testo e la traduzione (18). Il trattato  è presente in un manoscritto di Parigi ed in un manoscritto di Leida. Vi è detto che il testo sarebbe una traduzione dall’originale in greco, poi in persiano più moderno (pelvi?), poi nell’idioma del Khorassan, infine in arabo; ma i testi arabi sembrano pseudoepigrafi e relativamente moderni. In uno dei trattati si parla dell’Andalusia; nell’altro, vi figura un palazzo a sette porte (simbolo dei sette metalli) il quale ricorda a sua volta le sette porte della scala simbolica dei misteri mitriaci dei persiani, secondo Celso (19), le sette porte riportate in un testo di alchimia siriana (20),  citato poco fa, ed i sette gradini della scala di Zosimo (21). In questo trattato si legge un parallelo tra la scienza egiziana e quella persiana (22), seguito dalla lettera di Pechebius (qui indicato come “un certo filosofo”) ai magi persiani, che si trova a lungo nell’alchimia siriana: esso è abbreviato nel testo arabo dello pseudo Ostane così come nella risposta del mago Osron (il cui nome è ugualmente scomparso in arabo). Questo parallelo delle tradizioni attesta il carattere antico della corrispondenza, reale o pretesa, e la continuità di contatti  tra la dottrina alchemica persiana e quella greco-egiziana. Nel seguito, lo pseudo Ostane cita una pretesa iscrizione indiana relativa alla superiorità degli indù sugli altri uomini ed alla loro relazione con la Persia; vi si trova ancora una menzione dell’urina di elefante, nota panacea indiana. L’elefante, è pure menzionato nei testi siriani (23).
La scienza indiana, nei testi arabi, appare così congenere di quella persiana. Lo pseudo Ostane cita anche Abou-Ali l’Indiano, re dell’India, carica attribuita, in ambito latino, allo stesso Geber. Mohammed-Ben-Ishaq, nel Kitab-al-Fihrist, (24) dopo aver ricordato l’alchimia egiziana, aggiunge: «secondo altri, è nell’antica Persia che l’alchimia sarebbe nata. Infine, vi è chi attribuisce ala sua invenzione ai greci, agli indù, o ancora ai cinesi…».   
Nel Libro dei settanta, opera alchemica di Geber di cui ho ritrovato una traduzione latina, si parla nuovamente dell’India. (25)
Se rilevo con cura queste diverse indicazioni relative all’alchimia persiana, per quanto imperfette e sommarie esse siano, è perché esse si ricollegano ad una delle probabili fonti di questa scienza: vale a dire a quella caldeo-babilonese, parallela alla tradizione egizia. Si sa che il rimpianto Terrrien de la Couperie aveva tentato di ricollegare le origini della civiltà cinese a fonti caldee; io stesso ho scambiato qualche lettera con lui, al riguardo della storia dell’alchimia cinese, ed entrambi siamo arrivati alla conclusione che l’alchimia cinese, in definitiva, deriva da quella greca. Sono ritornato su questa questione in questa rivista, recensendo l’opera tanto interessante della signora de Mely: non è il caso di parlarne ancora, se non per segnalare di sfuggita il legame che i testi arabi tendono a stabilire tra queste differenti problematiche.
La loro soluzione getterebbe sicuramente luce sulla scoperta di testi alchemici persiani ed indiani. Il che mi ha portato a dirigere in questo senso i miei sforzi; quantunque essi non abbiano fino ad oggi avuto successo, mi sembra ciò nonostante utile segnalarne i risultati, non fosse che per chiarire la direzione più conveniente da dare a simili ricerche.
Ho pensato di indirizzare le mie indagini ai parsi di Bombay, che hanno conservato la preziosa eredità dei loro libri sacri, e che tale eredità hanno tanto liberalmente comunicato al rimpianto Darmstetter. Avevo sperato che essi avrebbero custodito qualche altro manoscritto relativo sia alle industrie, sia alle scienze persiane che alle scienze occulte in particolare.  A questo riguardo l’orrore che i Parsi professano per le scienze occulte mi lasciava qualche dubbio.
Profitta di un incontro con Lord Dufferin, allora ambasciatore d’Inghilterra a Parigi, avvenuto nei primi di ottobre  del 1895. I chiarimenti che egli richiese sia a Londra che a Bombay mi pervennero nei mesi successivi. Mi limitai a conservarli, distratto da questi studi da occupazioni di altro ordine. Il momento è oggi propizio per por mano a questi chiarimenti. Essi forniscono d’altronde qualche documento inedito per la storia delle religioni.    
Sir George Birwood, funzionario dell’India Office a Londra, che ha vissuto per lungo tempo a Bombay, mi fece avere una nota sulla magia persiana. Eccone alcuni stralci:
«Che io ne sappia, i Parsi non hanno libri segreti sulla magia. Lo zoroastrismo, in quanto sistema, è  completamente contrario ad ogni insegnamento e pratica di magia. È vero che il loro dualismo è fondato sulla concezione dell’eterno antagonismo tra bene e male ed è derivato dal dualismo primitivo degli accadi, il quale è ancora rappresentato in tutte le sue sfaccettature: grezzo ed arcaico, dallo sciamanesimo dei tartari orientali; artificioso, quale lo si ritrovava nelle tavolette babilonesi, nel lamaismo del Tibet, ed in una forma  più grave nel culto del Diavolo dei Yezidi di Siria. Ma lo zoroastrismo costituisce in sé una perpetua contestazione della magia, e le iscrizioni di Dario dichiarano formalmente nemici i magi medi. Senza dubbio delle idee magiche sono state sicuramente mescolate allo zoroastrismo, così come è avvenuto per il giudaismo ed il cristianesimo (ad esempio le superstizioni su Satana, la caduta dell’uomo, la tentazione della donna etc.). Ma i Parsi si oppongono, quanto i cristiani stessi, all’insegnamento ed alla pratica della magia, e non hanno in questo campo scritti ufficiali. … Esiste uno scritto canonico persiano di importanza rimarchevole, intitolato Shàyart là Shayart, ossia, letteralmente, “Igiene e non-igiene”, miscuglio di prescrizioni tradizionali sulla proprietà cerimoniale; si può compararle con certi capitoli ben conosciuti del Levitico e del Codice di Manu. In ragione della natura del soggetto, è inevitabile che, come in questi due altri codici, che l’influenza della magia medica vi si trovi chiaramente indicata …. D’altra parte, la magia è penetrata in tutto l’Islam… ».
Il signor Max Muller, in una lettera del 4 novembre 1895, ha voluto confermarmi queste note, in modo più sommario ed esplicito: «Secondo il signor West, autorità principale in materia di Pelvi, non esisterebbero più attualmente libri di alchimia in questa lingua: vi sarebbe solo fatta menzione, in qualche capitolo del Vendidad pelvi, di certe precauzioni e rimedi relativi alla sanità ed all’igiene. Questo scritto è d’epoca sassanide. Non è parimenti dubbio che l’antica letteratura pelvi dell’epoca sassanide non sia stata considerevole, e derivata da fonti greche. Ma la maggior parte di tale letteratura si è perduta e non vi sono speranze di scoprire manoscritti presso i parsi dell’India…».
È quanto, in effetti, mi è stato confermato da due lettere indirizzate al sig. Birdwood dal capo dei sacerdoti parsi a Bombay, Jamasji Monocheherji Dastur Jamaspasu, in risposta alle richieste di chiarimenti che gli avevo inviato per iscritto. Nella prima, del 9 novembre 1895, egli mi scriveva: «I parsi non hanno scritti canonici o non canonici sulla magia. La magia è rigettata come arte dello Spirito Malvagio e condannata nei termini più duri dall’Avesta. In esso si trovano preghiere speciali contro i deva, preghiere efficaci per purificare le abitazioni, il fuoco, l’acqua, la terra, le greggi, gli alberi….».
In una seconda lettera datata 25 febbraio 1896, il sacerdote parsi mi scriveva: «Non vi sono, al presente, opere sul soggetto menzionato dal Signor Berthelot. Io ho consultato le opere zend e pelvi esistenti, ma esse non gettano alcuna luce sull’argomento. La magia ha potuto esistere prima dell’invasione della Persia dai musulmani; ma in assenza di documenti autentici, non si può dir nulla su questa materia…».
I testi relativi ad Ostane che ho citato all’inizio del presente scritto, sembrano testimoniare l’esistenza autentica di trattati alchemici persiani al tempo dei Sassanidi; ma le notizie che ho qui riportato non lasciano speranze in merito al rinvenirne le eventuali tracce. Ciò nonostante, sarebbe necessario esaminare dei documenti che mi sono stati recentemente segnalati da una lettera di Rây, professore al Presidency College di Calcutta. Secondo questo studioso, esistono trattati d’alchimia scritti in sanscrito, risalenti al XIII secolo, che racchiudono istruzioni per preparare i solfuri di mercurio nero e rosso ed il calomel, preparazioni impiegate come medicamenti. Queste istruzioni si accordano con  quelle degli alchimisti arabi sopra segnalati. Sarebbe desiderabile che questi trattati siano sottoposti ad una analisi approfondita per determinarne l’origine, probabilmente attribuibile ad una trasmissione persiana o nestoriana. 

 

NOTE:

(1) Collection des Anciens alchimistes grecs, traduzione, pag. 61

(2) Ibid., pag. 129 e seguenti.

(3) Ibid.  pag. 336.

(4) Ibid, pag. 250.

(5) Introduction à la chimie des anciens, pag. 11.

(6) Zosimo, – Collection des anciens alchimistes grecs, pag. 233.

(7) Ibidem pag 129

(8) Collection des anciens alchimistes grecs, pag. 222.

(9) L’alchimie siriaque pag. 62.

(10) Ibidem pag. 138.

(11) Ibidem pag. 138.

(12) Ibidem pag. 291.

(13) L’alchimie siriaque pag. 313.

(14) Ibidem, pag. 326.

(15) Ibidem, pag. 309.

(16) Ibidem, pag. 313.

(17) Collection des anciens alchimistes grecs, pag. 332.

(18) Alchimie arabe, pag. 13.

(19) Introduction à la chimie des anciens, pag. 78

(20) L’alchimie siriaque pag. 311 ; – vedere anche Il tempio delle sette porte, a pagina 262 e 263.

(21) Collection des anciens alchimistes grecs, pag. 125.

(22) Alchimie arabe,  pag. 120.

(23) Ibidem, pag. 313

(24) Ibidem, pag. 40.

(25) Transmission de la science antique, pag. 328.